Prendere la fabbrica o prendere il potere?
Nelle agitazioni operaie degli ultimi giorni in Liguria si è verificato un fenomeno che da un poco di tempo si ripete con qualche frequenza e che merita di essere rilevato come sintomo di uno speciale stato di spirito delle masse lavoratrici.
Gli operai, anziché abbandonare il lavoro, si sono, per così dire, impadroniti degli stabilimenti, ed hanno cercato di farli funzionare per proprio conto, o meglio senza la presenza dei dirigenti principali. Questo vuol dire, prima di tutto, che gli operai si accorgono che lo sciopero è un'arma che non risponde più tanto, specialmente in certe condizioni.
Lo sciopero economico, attraverso il danno immediato dell’operaio stesso, esercita la sua utile azione difensiva per il lavoratore a causa del danno che la cessazione del lavoro arreca all’industriale per il fatto di diminuire il prodotto del lavoro che a lui appartiene.
Ciò in condizioni normali dell’economia capitalistica, quando la concorrenza col relativo ribasso dei prezzi obbliga ad un continuo accrescimento della produzione stessa. Oggi i pescicani delle industrie, specie di quella metallurgica, escono da un periodo eccezionale durante il quale hanno realizzato guadagni enormi col minimo fastidio. Durante la guerra lo Stato forniva loro materie prime e carbone ed era contemporaneamente l'unico e sicuro compratore; lo Stato stesso, con la militarizzazione degli stabilimenti, provvedeva alla rigorosa disciplina delle masse operaie. Quali condizioni più favorevoli per un comodo esercizio? Questa gente ora non è più disposta ad affrontare tutte le difficoltà provenienti dalla scarsezza del carbone e delle materie prime, dall’instabilità del mercato, dalle irrequietezze delle masse operaie; specialmente, non è disposta a contentarsi di guadagni modesti nelle proporzioni che realizzava ordinariamente prima della guerra, e forse anzi in proporzioni minori.
Essa quindi non si preoccupa degli scioperi, anzi se ne compiace, pur protestando a parole contro l'incontentabilità eccessiva e le pretese assurde degli operai.
Ciò questi ultimi hanno compreso, e con la loro azione di impossessarsi della fabbrica e continuare a lavorare anziché scioperare vogliono significare che non è che non vogliano lavorare, ma che non vogliono lavorare come dicono i padroni. Essi non vogliono più lavorare per conto loro, non vogliono più essere sfruttati, vogliono lavorare per proprio conto, ossia nell’interesse solo della maestranza. Questo stato d'animo che si va facendo sempre più preciso deve essere tenuto in massimo conto; soltanto non vorremmo che fosse fuorviato da false valutazioni.
Si è detto che, dove esistevano i consigli di fabbrica, questi hanno funzionato assumendo la direzione degli opifici e facendo proseguire il lavoro. Noi non vorremmo che dovesse entrare nelle masse operaie la convinzione che sviluppando l'istituzione dei consigli sia possibile senz'altro impadronirsi delle fabbriche ed eliminare i capitalisti. Questa sarebbe la più dannosa delle illusioni. La fabbrica sarà conquistata dalla classe lavoratrice - e non solo dalla rispettiva maestranza, che sarebbe troppo lieve cosa e non comunista - soltanto dopo che la classe lavoratrice tutta si sarà impadronita del potere politico. Senza questa conquista, a dissipare ogni illusione ci penseranno le guardie regie, i carabinieri, ecc., cioè il meccanismo di oppressione e di forza di cui dispone la borghesia, il suo apparecchio politico di potere.
Questi vani e continui conati della massa lavoratrice che si vanno quotidianamente esaurendo in piccoli sforzi debbono essere incanalati, fusi, organizzati in un grande, unico, complessivo sforzo che miri direttamente a colpire al cuore la borghesia nemica.
Questa funzione può solo e deve esercitare un partito comunista, il quale non ha e non deve avere altro compito, in questa ora, che quello di rivolgere tutte le sue attività a rendere sempre più coscienti le masse lavoratrici della necessità di questa grande azione politica, che è la sola via maestra per la quale assai più direttamente giungeranno al possesso di quella fabbrica, che invano, procedendo diversamente, si sforzeranno di conquistare.
Da il "Soviet" del 22 febbraio 1920.