Teoria della moneta (1)
INTRODUZIONE
È forse nel campo della teoria della moneta che le difficoltà dovute al mancato completamento dell'opera fondamentale di Marx, Il Capitale, sono le più grandi. Comunque, esse non potevano non provocare varie incomprensioni più o meno interessate, e numerosi sono i critici di Marx che, in base ad una lettura superficiale della sua opera, pretendono di dimostrare sia che la teoria della moneta si adatta al massimo alle forme embrionali dell'economia moderna, sia che Marx abbia dovuto, nei libri II e III della sua opera, contraddire le leggi che egli stesso aveva annunciate nel primo, per tener conto della "realtà concreta" dei rapporti capitalistici sviluppati, ribelli, secondo questi critici, alla interpretazione marxista. La storia è vecchia quanto l'antagonismo radicale fra il metodo e i risultati marxisti e quelli dell'economia politica volgare: per convincersene, basta leggere le prefazioni di Engels ai due ultimi libri del Capitale, editi dopo la morte di Marx in base ai manoscritti da lui lasciati.
Resta tuttavia il fatto che le difficoltà puramente materiali sono effettive, e che, ad uso dei militanti, importa cercar di appianarle. A questo scopo appunto tendeva l'esposto della riunione generale di cui qui diamo conto. Quali che siano le evidenti insufficienze per ciò che concerne la redazione dei due ultimi libri del Capitale, si può tuttavia affermare, senza andare a caccia di paradossi, che si tratta veramente di un'opera compiuta. In realtà, il piano generale, chiaramente stabilito fin dall'origine nelle sue linee maestre - come dimostra un confronto con l'Introduzione alla Critica dell'Economia Politica del 1859 - è abbastanza netto per servir di guida sicura nel corso di tutte le analisi più particolari, se ci si è resi conto dell'unità profonda che cementa tra loro le diverse parti del Capitale, malgrado il carattere specifico del loro oggetto.
I caratteri dominanti dell'insieme, benché da un punto di vista letterario si possa contrapporre il I libro, brillantemente compiuto in tutti i suoi particolari, agli altri due, rimasti allo stato di schizzi tuttavia molto elaborati, i caratteri dominanti, dicevamo, sono la coerenza e il rigore. Il fatto che si possa dire altrettanto della teoria marxista in genere, noi ci guarderemo bene di attribuirlo a virtù puramente scientifiche di Marx: al contrario, vi riconosciamo il segno, nel campo delle armi dottrinali, del carattere universale, radicale e in un certo senso definitivo, della rivoluzione sociale che la società borghese porta in grembo.
Per quanto riguarda la moneta, Marx ne affronta lo studio fin dalla Prima Sezione del I Libro, ma in un modo che può sorprendere e perfino sconcertare . Invece di partire dal denaro, dalla moneta, così come funziona nell'economia capitalistica sviluppata, egli si occupa della moneta nella sua forma più astratta, ma anche la più semplice; della moneta allo stato (si potrebbe dire) puro, e quindi priva delle sue determinazioni capitalistiche. Non è evidentemente un prodotto del caso o di un "capriccio hegeliano", ma il risultato di un'esigenza scientifica che supera l'aspetto puramente storico delle cose, pur inglobandolo.
Certo, allo stesso modo che la economia mercantile è apparsa molto prima dell'economia capitalistica, che resta tuttavia anch'essa, ma a modo suo, una economia la cui ricchezza "si presenta come una immane 'raccolta di merci'" , il modo di produzione capitalistico non è stato il solo ad utilizzare il rapporto di produzione "denaro" o "moneta". Una visione storica della successione dei modi di produzione presupporrebbe quindi lo studio della merce e del denaro prima dello studio del capitale propriamente detto. Ma c'è di più. La comprensione dello stesso modo di produzione capitalistico presuppone quella dei rapporti di produzione dai quali si è sviluppata, anche e soprattutto se ha loro impresso il proprio marchio. La comprensione della natura e del ruolo della merce e del denaro nel modo di produzione capitalistico esige quindi che siano messe in evidenza le caratteristiche di questi rapporti considerati allo stato puro, astratti per qualche tempo dalle loro determinazioni storiche particolari.
Del resto, lo stesso Marx, mediante confronti fra il suo metodo e quello delle scienze della natura, si è sforzato di far sentire questa necessità: "La forma di valore, della quale la forma di denaro è la figura perfetta, è poverissima di contenuto, e semplicissima. Tuttavia invano l'umanità da più di duemila anni ha cercato di scandagliarla a fondo, mentre d'altra parte l'analisi di forme molto più ricche di contenuto e molto più complicate è riuscita per lo meno approssimativamente. Perché? Perché il corpo già formato è più facile da studiare che la cellula del corpo. Inoltre, all'analisi delle forme economiche non possono servire né il microscopio né i reagenti chimici: l'uno e gli altri debbono essere sostituiti dalla forza d'astrazione. Ma per quanto riguarda la società borghese, la forma di merce del prodotto del lavoro, ossia la forma di valore della merce, è proprio la forma economica corrispondente alla forma di cellula. Alla persona incolta, l'analisi di tale forma sembra aggirarsi fra pure e semplici sottigliezze; soltanto che si tratta di sottigliezze come quelle dell'anatomia microscopica" .
La fisiologia che studia il funzionamento d'insieme dell'essere vivente non può evidentemente accontentarsi di sommare i risultati ottenuti mediante lo studio della cellula, arbitrariamente separata dall'insieme per comodità di ricerca; resta tuttavia il fatto che essa non può progredire nella conoscenza globale a cui tende, se non prendendo per materiali di base le "minuzie cellulari".
Lo stesso procedimento si ritrova nello studio marxista della moneta e del modo di produzione capitalistico in generale. La Prima Sezione del Capitale, che studia "la merce e il denaro", non è dunque affatto un antipasto troppo pesante, di cui si potrebbe fare a meno per gettarsi avidamente sul piatto forte, come qualcuno ha creduto, ma una preparazione indispensabile alla buona "digestione" dell'insieme. Le disavventure degli economisti che hanno seguito la via opposta, cercando di cogliere la natura della moneta più elaborata, la moneta di credito, prima di sapere che cosa era esattamente il denaro tout court, basterebbero per dimostrare a contrario la fondatezza di questo metodo.
Seguiremo dunque, qui, il piano di Marx: partendo dallo studio della natura e delle funzioni del denaro nella circolazione semplice delle merci, arriveremo finalmente allo studio della moneta così come lo sviluppo del modo di produzione capitalistico l'ha "perfezionata". Un tale esposto è evidentemente molto frammentario nella stessa misura in cui isola dagli altri il rapporto di produzione monetario. Esso presuppone quindi la conoscenza delle leggi fondamentali dell'economia capitalistica esposte in tutte le pagine del Capitale da un lato, e non può dall'altro avere che un obiettivo limitato: l'esposizione della teoria marxista della moneta permette di affermare, nel migliore dei casi, solo la funzione di questa nell'economia capitalistica, di capire come la moneta serva il capitale; non può in nessun caso sostituirsi ad uno studio dei rapporti di produzione fondamentali del capitalismo. In questo campo il marxista si distingue... dal banchiere perché non condivide la visione alienata del mondo economico che è necessariamente propria di quest'ultimo: il marxista sa che i rapporti monetari sono semplici riflessi di rapporti di produzione più profondi, i quali sono a loro volta, in ultima analisi, rapporti fra gli uomini, o meglio, tra le classi.
LA MONETA NELLA CIRCOLAZIONE SEMPLICE DELLE MERCI
La forma moneta
Supponiamo, dapprima, di trovarci di fronte ad una società di produttori indipendenti, cioè padroni dei loro mezzi di produzione e quindi anche dei loro prodotti (artigiani e contadini proprietari). Se il progresso delle forze produttive è sufficiente per aver già provocato una divisione tecnica del lavoro, ogni produttore non può da solo produrre l'insieme degli oggetti atti a soddisfare i suoi bisogni: il fabbro non può nutrirsi degli utensili da lui fabbricati più che il contadino possa fare a meno di questi utensili per le sue colture. Lo scambio dei prodotti è quindi necessario, ogni produttore detenendo dei valori d'uso (attrezzi, abiti, generi alimentari, ecc.) superiori ai suoi bisogni personali, mentre deve procurarsi altri valori d'uso di cui non è produttore. Nella sua forma più semplice, il baratto, lo scambio si realizzerà in un rapporto quantitativo determinato fra merci di diverso valore d'uso. Nel corso dello scambio, quando le merci cambieranno simultaneamente di mano, esse appariranno tuttavia come eguali tra loro, malgrado le differenze che permettono di distinguerle e che determinano appunto i loro rispettivi valori d'uso (la loro utilità ai fini della soddisfazione dei bisogni umani). Se un quintale di grano si scambia contro 49 metri di tela, gli è che, da un certo punto di vista che non ha evidentemente nulla a che vedere con l'utilità, col valore d'uso e quindi con la soddisfazione dei bisogni, quel quintale di grano è effettivamente eguale a questi 40 metri di tela. Ora, la sola proprietà comune a quelle due merci, per altri aspetti molto diverse, consiste nell'essere dei prodotti del lavoro umano, nel fatto che la loro produzione ha richiesto una certa spesa di lavoro umano. L'eguaglianza:
1 q.le di grano = 40 m. di tela che si afferma nel corso dello scambio, maschera un'eguaglianza più profonda di cui essa è soltanto l'espressione, cioè :
spesa di forza lavoro umana per produrre 1 q.le di grano = spesa di forza lavoro umana per produrre 40 m. di tela.
Perciò, a questo stadio, ogni merce particolare può esprimere il suo valore nelle altre merci prodotte, cosicché si stabilisce una serie di equivalenze del tipo seguente, che esprimono reciprocamente i valori di scambio delle diverse merci:
x merce A = y merce B = z merce C = ecc.
Questa forma embrionale della circolazione delle merci esige tuttavia che all'atto dello scambio le due merci si trovino effettivamente faccia a faccia. Il produttore di grano deve incontrare il produttore di tela nel preciso momento in cui ha bisogno di tela e dispone di un'eccedenza di grano, mentre il produttore di tela offre della tela ma desidera del grano. Gli scambi sono quindi sottomessi ad una doppia limitazione, nel tempo e nello spazio. Del resto, basterebbe aggiungere un terzo personaggio, perché tutto ciò divenga inestricabile: il sarto ha bisogno di tela, ma il tessitore non desidera rinnovare il suo guardaroba; il contadino ha bisogno di abbigliamenti, ma è il tessitore che vuol fare provvista di grano e non il sarto - e si sa che la diversificazione delle produzioni, che va di pari passo con lo sviluppo delle forze produttive, avrà ben presto moltiplicato all'infinito il numero di produttori che gettano sul mercato merci differenti. D'altronde, se il nostro contadino può facilmente dividere la sua produzione di grano in tante parti quante sono necessarie, il sarto taglierà e cucirà almeno un abito intero. Per poco che questo abbia un valore di scambio eguale a un mezzo quintale di grano, ma il sarto abbia bisogno di appena un quarto di quintale, il mercato non potrà essere concluso.
Tutte queste limitazioni, proprie del baratto delle merci, saranno superate con l'introduzione del denaro e grazie all'attività di una classe sociale particolare, quella dei mercanti. Che cos'è il denaro, la moneta? Prima di tutto, una merce come le altre, cioè un prodotto del lavoro umano; anch'essa quindi, può scambiarsi con le altre merci e partecipare alla serie di eguaglianze che esprimono il valore di scambio reciproco delle merci: 1q.le di grano = 40 m. di tela = ecc... = 100 gr. d'oro.
Dopo molti brancolamenti, i metalli preziosi e soprattutto l'oro e l'argento hanno finito per recitare in esclusiva il ruolo di equivalente generale delle merci. Invece di scambiarsi direttamente fra di loro, queste si scambiano a tutta prima contro l'oro, secondo il rapporto quantitativo determinato dal valore di scambio di quelle e di questo; non è più che per la via traversa dell'oro che le merci si scambiano le une contro le altre. A questo stadio le nostre equivalenze si sono modificate, le merci cessano di esprimere reciprocamente il loro valore, soltanto l'oro esprime il valore di tutte:
1 q.le di grano
40 m. di tela = 100 gr. d'oro
1 t. di ferro
ecc.
Il fatto che l'oro (e l'argento) si imponga in questo ruolo di misura universale dei valori di scambio e ne escluda di conseguenza ogni altra merce, deriva dalle sue proprietà fisico-chimiche: praticamente inalterabile, soggetto a limitato logorio, esso è anche facilmente divisibile; potrà quindi sempre esprimere, purché se ne faccia variare il peso, valori di scambio molto diversi gli uni dagli altri (ben inteso, questa stessa proprietà appartiene al grano, al ferro, ecc., ma è la congiunzione della inalterabilità e della divisibilità che ha deciso a favore dell'oro). Si vede così che l'oro recita la sua parte di equivalente generale nella misura in cui è, prima di tutto una merce come altre, e poi una merce che possiede particolari caratteristiche fisiche .
L'apparizione della moneta introduce quindi una separazione fra le due operazioni complementari dello scambio, la vendita e l'acquisto, o più esattamente rende possibile lo scambio anche se queste due operazioni debbano essere separate nel tempo e nello spazio. Nel baratto, acquisto e vendita erano simultanei:
M = M
dove M e M designano delle merci di diverso valore d'uso ma di eguale valore di scambio. (Si tratta quindi, in realtà, non di un'eguaglianza in senso proprio, ma di una equivalenza). Quando la moneta fa la sua comparsa, lo scambio può essere simboleggiato con:
M - D - M,
(dove D indica il denaro). Il venditore si disferà della sua merce contro dell'oro che gli permetterà di acquistare, più tardi o su un altro mercato, una o più merci per un valore di scambio totale pari a quello della merce che ha venduto, ma di diverso valore d'uso. Parallelamente entra in scena il personaggio del mercante; detentore di moneta, sarà acquirente qui e venditore altrove; supporto animato del denaro, gli permetterà di giocare in pieno il suo ruolo economico: mettere in rapporto i produttori di merci, anche se distano gli uni dagli altri o se portano le loro merci sul mercato a date diverse.
Le funzioni della moneta
Ricordati sommariamente questi risultati dell'analisi marxista, dobbiamo ora studiare più attentamente le funzioni della moneta. Tutte discendono, in realtà, dal ruolo di equivalente universale che il denaro assume, ma ciò non toglie che meritino ciascuna un'analisi particolare. Si tratta, in effetti, di isolare le caratteristiche stesse della moneta in quanto tale, caratteristiche che rimarranno anche quando la moneta, via via che gli scambi si svilupperanno sotto l'impulso del capitalismo, cambierà di forma. La moneta permette di misurare i valori di scambio, è uno strumento della circolazione delle merci e può, inoltre, essere messa in riserva, tesaurizzata; sono queste le sue tre principali funzioni o, più esattamente, si può parlare di moneta in senso proprio solo quando queste tre funzioni, distinte ma legate l'una all'altra, sono effettivamente adempiute. Consideriamole una dopo l'altra:
1. LA MONETA MISURA DEI VALORI
Questa funzione deriva direttamente dalla formazione dell'equivalente generale così come l'abbiamo brevemente delineata più sopra. Come dice Marx nel Libro III del Capitale, "il prezzo per il suo concetto generale non è a tutta prima che il valore sotto forma di denaro" (Introduzione alla Critica dell'Economia politica), "l'oro diventa misura dei valori perché tutte le merci misurano i loro valori di scambio in oro nella proporzione in cui una quantità determinata di oro e una quantità determinata di merci contengono lo stesso tempo di lavoro".
Per misurare i valori, non occorre che una moneta "ideale". Tutti sanno che scrivere un prezzo su un'etichetta non significa ancora vendere la merce etichettata, benché, evidentemente, si applichino delle etichette al solo fine di vendere e quindi questa funzione "ideale" della moneta come misura dei valori supponga l'esistenza di una moneta reale che renda possibile degli scambi effettivi. D'altra parte, poiché la moneta è una merce come le altre, il suo valore può variare se variano le condizioni di produzione dell'oro. Queste variazioni del valore di scambio dell'oro determineranno una variazione generale e in senso inverso del prezzo delle merci. Se il valore dell'oro aumenta, i prezzi diminuiranno, perché occorrerà ormai una quantità minore d'oro per esprimere un determinato valore; se il valore dell'oro diminuisce, l'insieme dei prezzi subirà un aumento nelle stesse proporzioni. Tuttavia, queste variazioni non alterano affatto la funzione di equivalente generale dell'oro; prima come dopo queste variazioni positive o negative, i valori delle diverse merci, a parità di condizioni, si esprimeranno sempre nello stesso rapporto. Se all'inizio:
1 q.le di grano = 40 m. di tela = 100 gr. d'oro,
e se in seguito, a causa di una diminuzione del 25% del valore dell'oro:
1 q.le di grano = 40 m. di tela = 125 gr. d'oro,
il prezzo di ogni merce sarà bensì cambiato, ma i loro rapporti reciproci saranno rimasti costanti, perché
1 q.le di grano = 40 m. di tela
prima come dopo la variazione dell'oro. Le variazioni di valore della moneta non le impediscono quindi affatto di giocare il ruolo di misura dei valori, cioè di rendere commensurabili tra loro i valori delle differenti merci .
Infine, la funzione di misura dei valori compiuta dalla moneta suppone che l'oro assuma la forma di "scala dei prezzi". L'abitudine, generalizzata e sanzionata dalla legge, definisce la quantità di oro che servirà come unità di misura, e questa unità è a sua volta divisa in parti proporzionali, in modo che si possa facilmente, per semplice addizione, esprimere in oro qualunque prezzo. In origine, i nomi monetari sono spesso i nomi di unità di peso. La lira sterlina (pound), per esempio, era il valore di una libbra (pound) di argento: ma la interferenza delle monete straniere, le falsificazioni monetarie, l'intervento del potere statale, ecc. hanno poi soppresso questa corrispondenza fra nome monetario e massa di metallo prezioso da esso rappresentata: "Poiché la scala del denaro da una parte è puramente convenzionale, dall'altra ha bisogno di validità universale, alla fine essa viene regolata per legge. Una parte determinata di peso del metallo prezioso, per esempio un'oncia d'oro, viene ripartita ufficialmente in parti aliquote, che ricevono nomi di battesimo legali, come libbra, tallero, ecc. Questa parte aliquota, che poi vale come unità di misura vera e propria del denaro, viene suddivisa in altre parti aliquote con nomi di battesimo legali... Invece di dire che il quarter di grano è eguale a un'oncia d'oro, in Inghilterra si dirà che esso è eguale a 3 lire sterline, 10 scellini e 10 pence e mezzo". (Il Capitale, Libro I, 1 Ed. Rinascita, pag.114).
2. LA MONETA, STRUMENTO DELLA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
Come sappiamo, la moneta è apparsa quando gli scambi avevano assunto una tale estensione che non potevano più tollerare le limitazioni imposte dal baratto. Da questo punto di vista, la moneta si presenta quindi come lo strumento capace di far cambiare di mano le merci in condizioni in cui il baratto sarebbe inoperante o troppo complicato. Tuttavia, la moneta può funzionare veramente come mezzo di circolazione solo in quanto è anche misura dei valori. Il produttore non si sbarazzerà della sua merce per cederla al mercante, se non nella misura in cui questi sarà in grado di consegnargli una certa quantità d'oro, equivalente generale delle merci. La seconda funzione della moneta si presenta perciò come il prolungamento immediato della prima. Non solo, ma questa seconda funzione è anche la sanzione materiale della prima. Qui un oro "ideale" non basta più; occorrono delle monete sonanti e saltellanti, e solo nella misura in cui l'oro "materiale" permette effettivamente di compiere degli scambi, l'oro "ideale" può assolvere il suo compito di misura dei valori. Le diverse funzioni della moneta appaiono quindi come legate le une alle altre; non sono che i diversi aspetti assunti dai rapporti economici fra le merci, cioè dai rapporti sociali fra i produttori.
a. Corso del denaro
Il movimento compiuto dalle merci è circolare. Il venditore aliena la sua merce contro denaro, ma con questo denaro si procura in seguito altre merci. Prendendo la merce come punto di partenza, il movimento si conclude con una riapparizione della merce, che è, beninteso, di un valore d'uso differente dalla prima, ma di un valore di scambio eguale. Completamente diverso è il movimento del denaro: nelle mani del venditore, esso appare solo come un intermediario della merce che egli desidera procurarsi; lo si possiede solo temporaneamente, e la sua funzione di mezzo di circolazione esige che lo si rimetta in circolo. Se il produttore di merci vende queste ultime solo per acquistarne altre, non riceve del denaro che per disfarsene. La funzione di mezzo di circolazione del denaro implica perciò che esso cambi continuamente di mano: questo moto perpetuo è ciò che si chiama corso del denaro.
Qual è la quantità di denaro necessaria alla circolazione delle merci? È evidente che questa quantità deve essere accuratamente distinta dalla quantità totale dei mezzi monetari esistenti in un momento dato. I più cospicui stock d'oro non potranno mai far circolare delle merci che non esistono: si può scambiare soltanto ciò che è stato effettivamente prodotto. La quantità di denaro utilizzato come mezzo di circolazione dipende perciò in primo luogo dalla quantità di merci che circolano o, più esattamente, dal valore totale dello stock di merci che si scambiano le une contro le altre per la via traversa della moneta. "È chiaro che, possedendo l'oro e l'argento un valore proprio - scrive Marx nella Critica dell'Economia Politica (Ed. Riuniti, pag.146) - e astraendo da tutte le altre leggi della circolazione, soltanto una quantità determinata di oro e di argento possa circolare come equivalente per una data somma di valori di merci".
Ma la moneta che funziona come mezzo di circolazione ha per caratteristica, come abbiamo visto, di cambiare continuamente di mano. Ciò significa che una quantità data di denaro funziona in modo quasi indefinito, se si trascura da un lato il logorio al quale essa è sottoposta e dall'altro il fatto che serve più volte in un determinato lasso di tempo. Perciò, più la velocità di circolazione è grande, più il numero di transazioni compiute mediante una stessa unità monetaria sarà grande. In altre parole, più grande è la velocità del corso del denaro, più la quantità di denaro necessaria alla circolazione è piccola per un volume di scambi dato. Se si potessero conoscere a un momento dato il prezzo unitario e la quantità di ogni merce da una parte, e la velocità del corso del denaro dall'altra, sarebbe facile calcolare la quantità di denaro che in quel momento funziona effettivamente come mezzo di circolazione. Si avrebbe la seguente eguaglianza: somma dei prezzi delle merci fratto velocità media del corso del denaro = quantità di moneta funzionante come mezzo di circolazione.
Va da sé che un tale calcolo sarebbe difficilissimo nella misura in cui presuppone la conoscenza di un numero enorme di dati, d'altronde variabili nel tempo. Ma in realtà la cosa non presenta nessuna difficoltà particolare perché la pratica commerciale si incarica di stabilire facilmente ciò che un calcolo teorico potrebbe valutare solo a prezzo di grandi difficoltà.
Si deve anche notare che la velocità media del corso del denaro non è una causa prima, ma, al contrario, una variabile dipendente: è la velocità di circolazione delle merci che si traduce nella velocità di circolazione del denaro, il valore di questo essendo dato; inoltre, poiché il prezzo delle merci è variabile (per cause fortuite, e si tratta allora di variazioni intorno ad una media ma che tuttavia incidono sulla quantità di moneta circolante, o per effetto di variazioni nel valore delle merci derivanti da mutamenti nel processo di produzione), come lo è il valore della moneta stessa, ne risulta una combinazione complessa di tutti questi fattori. Resta comunque il fatto che la moneta è soltanto il riflesso del mondo delle merci , non la causa dei movimenti che vi si producono. "La legge che la quantità dei mezzi di circolazione è determinata dalla somma dei prezzi delle merci circolanti e dalla velocità media del corso del denaro, può anche essere espressa così: data la somma di valore delle merci e data la velocità media delle loro metamorfosi, la quantità del denaro, ossia del materiale monetario in corso, dipende dal suo proprio valore. L'illusione che i prezzi delle merci, viceversa, siano determinati dalla massa dei mezzi di circolazione, e questa massa sia determinata a sua volta dalla massa del materiale monetario che si trova in un dato paese, ha la sua radice, nei suoi primi sostenitori, nell'ipotesi assurda che entrino merci senza prezzo e denaro senza valore nel processo della circolazione, dove poi una parte aliquota del pastone di merci si scambierebbe con una parte aliquota del mucchio di metallo". (Il Capitale, I,1, pagg. 137-138, Ed. Riuniti).
Quando il denaro assolve la sua prima funzione di misura dei valori, il fatto che il suo valore sia variabile, poiché anch'esso è una merce, appare come una caratteristica determinante: esso contribuisce infatti a stabilire il livello dei prezzi: invece, quando il denaro assolve la sua seconda funzione di mezzo di circolazione, la sua caratteristica essenziale diviene il fatto che la quantità che ne è richiesta è a sua volta variabile. Ne viene una conseguenza particolarmente importante, sulla quale ci soffermeremo più oltre, cioè la necessità di una tesaurizzazione. In realtà, il volume delle transazioni non può né rimanere costante (storicamente, esso aumenta senza tregua) e neppure crescere regolarmente (a prescindere anche dai fenomeni di crisi, è un fatto che l'apparizione dei prodotti sul mercato non può essere distribuita regolarmente sull'annata: basta pensare per convincersene ai prodotti agricoli): durante un anno solare il mercato delle merci è quindi periodicamente soggetto a brusche oscillazioni e d'altra parte la velocità del corso del denaro è essa stessa variabile, per queste stesse ragioni e per altre ancora. Ne segue che la somma di denaro circolante, di quantità necessariamente variabile, anche per un periodo relativamente breve, non può essere eguale alla somma totale di mezzi monetari esistenti: tutto il denaro non può funzionare contemporaneamente come mezzo di circolazione.
b. La "smaterializzazione dell'oro" funzionante come mezzo di circolazione.
Assolvendo la sua funzione di mezzo di circolazione, il denaro si logora, cosicché si stabilisce progressivamente un divorzio tra il valore reale della moneta d'oro che circola - valore proporzionale al suo peso, il quale diminuisce via via che la si utilizza - e il valore da essa incarnato - il valore iscritto su di essa: il prezzo monetario dell'oro si separa dal suo prezzo mercantile. Oltre alle spese derivanti dal conio iniziale delle monete, che sono spese improduttive in quanto determinate dalle esigenze della sfera della circolazione e non da quelle della produzione, lo Stato deve far fronte alle spese di rinnovo continuo del numerario logorato: "Le merci che operano come denaro non entrano né nel consumo individuale, né in quello produttivo. È lavoro sociale, fissato in una forma in cui serve soltanto da macchina di circolazione. Oltre al fatto che una parte della ricchezza sociale è relegata in questa forma improduttiva, il logorio del denaro esige continua sostituzione di esso o conversione di più lavoro sociale - in forma di prodotto - in più oro e argento. Questi costi di sostituzione sono ragguardevoli in nazioni sviluppate capitalisticamente ... oro e argento, in quanto merci-denaro, costituiscono per la società costi di circolazione che scaturiscono solo dalla forma sociale della produzione. Sono faux frais della produzione di merci in generale, che crescono con lo sviluppo della produzione di merci e particolarmente della produzione capitalistica". (Il Capitale, II, pag.140, Ed. Riuniti).
Comunque, il semplice fenomeno materiale del logorio delle monete trasforma spontaneamente il numerario in un semplice segno di valore: la moneta d'oro che nel corso di manipolazioni successive ha perduto un decimo della sua massa, continua purtuttavia a servire di mezzo di circolazione allo stesso titolo della moneta intatta. Realizzandosi, la circolazione trasforma, in certo modo meccanicamente, la moneta usata in un semplice rappresentante della moneta nuova. Si delinea così un processo di "smaterializzazione" della moneta che si prolungherà e assumerà la sua forma più completa con l'intervento diretto dello Stato. Nel suo ruolo di mezzo di circolazione l'oro sarà progressivamente sostituito prima da monete in metallo meno costoso (rame, nichel, ecc.), poi da "cose che sono relativamente senza valore, cedole di carta". (Il Capitale, I, 1, pag.141, Ed. Riuniti). Se, per la moneta d'oro che esce dalla zecca, il prezzo mercantile è eguale al prezzo monetario, lo stesso non è già più vero per la moneta che ha lungamente circolato sul mercato; lo scarto aumenta con l'introduzione di monete in metallo inferiore, mentre infine non esiste più alcun rapporto fra prezzo monetario e prezzo mercantile quando si arriva alla carta-moneta.
Notiamo che, a questo stadio, il credito capitalista non ha ancora fatto la sua apparizione, cosicché la carta-moneta di cui si parla è esclusivamente la moneta di Stato a corso forzoso; non si tratta in alcun modo della moneta di credito. Questa carta-moneta è quindi soltanto un segno d'oro, un gettone che nella circolazione interna sostituisce il metallo giallo detenuto nelle casseforti dello Stato, il quale economizza così (a parte tutte le operazioni fraudolente che ciò - come se non bastasse - gli permette, tanto è vero che lo Stato non ha atteso la creazione della carta-moneta per falsificare l'argento...) le spese derivanti dall'impiego diretto dell'oro come mezzo di circolazione. Questa carta-moneta, poiché sostituisce semplicemente l'oro come mezzo di circolazione, deve evidentemente piegarsi alle leggi della circolazione monetaria già valide per l'oro; in particolare, la carta-moneta, qualunque ne sia la quantità emessa, può solo rappresentare in un dato momento la quantità d'oro che circolerebbe realmente: "Lo Stato getta nel processo della circolazione, dal di fuori, cedole di carta sulle quali sono stampati nomi di denaro come 1 lira sterlina, 5 lire sterline, ecc. Finché esse circolano realmente al posto della somma d'oro dello stesso peso, sul loro movimento si rispecchiano soltanto le leggi del corso del denaro. Una legge specifica della circolazione cartacea può sorgere soltanto dal suo rapporto con l'oro, in quanto essa è rappresentante di quest'ultimo. Tale legge è semplicemente questa: l'emissione di carta moneta deve essere limitata alla quantità nella quale dovrebbe realmente circolare l'oro (o l'argento) da essa simbolicamente rappresentato. Ora, è vero che la quantità d'oro che può essere assorbita dalla sfera della circolazione oscilla costantemente al di sopra o al di sotto di un certo livello medio; tuttavia la massa del mezzo circolante non cala mai, in un dato paese, al di sotto di un certo minimo stabilito in base all'esperienza... Quindi essa può essere sostituita con simboli cartacei. Ma se oggi tutti i canali della circolazione vengono riempiti di carta moneta al pieno limite della loro capaciti di assorbimento di denaro, domani essi potranno essere sovrappieni, in conseguenza delle oscillazioni della circolazione delle merci. Ogni misura è (allora) perduta" (Il Capitale, I, pagg.141-142, Ed. Rinascita).
Per concludere sulle due prime funzioni della moneta, ritorniamo un momento sui loro caratteri contraddittori, che hanno indotto in errore molti economisti. Quando la moneta funziona da misura dei valori, ciò che conta è la sua materia: i prezzi saranno evidentemente espressi da numeri diversi se si impiega la moneta d'argento invece che la moneta d'oro, perché l'oro e l'argento non hanno lo stesso valore per uno stesso peso. Quando invece la moneta funge da mezzo di circolazione, è la sua quantità che conta: essa dev'essere sufficiente per far fronte, data la velocità del corso del denaro, alle necessità delle transazioni commerciali. Là dove il denaro funziona in qualche modo "idealmente", come semplice moneta di conto, la sua natura materiale è essenziale; là dove invece essa appare "fisicamente", può essere sostituita da semplici "segni" senza valore, dei quali solo la quantità importa. Queste semplici osservazioni bastano a mostrare l'importanza di uno studio delle diverse funzioni del denaro che, pur distinguendo, ne metta in luce la unità.
3. LA MONETA NEL SENSO FORTE
Nel Capitale questo capitolo è intitolato: La moneta. Il segno del valore (nell'edizione francese: La moneta o il denaro). Si tratta di considerare la terza funzione del denaro che, mentre corona le due prime, le contiene in potenza. Questo capitolo è d'altronde importantissimo sia per la comprensione dei meccanismi monetari più complessi, in particolare quelli della moneta di credito, sia perché considera anche i rapporti fra la circolazione delle merci e del denaro all'interno di un dato paese e la loro circolazione su scala internazionale.
a. La tesaurizzazione
La tesaurizzazione si presenta come una interruzione temporanea del processo di circolazione delle merci. Abbiamo visto che questo ha un carattere circolare: M - D - M , almeno per quel che concerne la circolazione delle merci. Per il denaro, invece, il processo di circolazione si traduce nella tendenza a fuggire dalle mani del compratore verso quelle del venditore, che del resto diventa a sua volta compratore, e così via. Il tesaurizzatore da parte sua non comprerà dopo di aver venduto, ma conserverà la quantità di denaro che ha ricevuto dalla vendita facendole abbandonare la sfera della circolazione: M - D ... "Così il denaro si pietrifica in tesoro e il venditore di merci diventa tesaurizzatore" (Il Capitale, I, 1, pag.145, Ed. Rinascita).
Ma c'è tesoro e tesoro. Ciò che il tesaurizzatore moderno accumula non è dell'oro o dell'argento in quanto metalli preziosi che il talento degli artisti potrà trasformare in gioielli, vasellame o ornamenti diversi. Il suo tesoro sarà un tesoro monetario, egli accumulerà del denaro in quanto tale, costituirà delle riserve di equivalente generale delle merci. La tesaurizzazione appare dunque come il complemento delle due prime funzioni del denaro, perché le suppone tutte due. Il tesaurizzatore mette in riserva questa merce particolare che è la misura del valore di tutte le altre, ma anche lo strumento della circolazione delle merci. Sotto forma di ricchezza astratta, momentaneamente sottratta alla sfera attiva della produzione e della circolazione, egli accumula i mezzi per partecipare domani all'attività che regna in questa sfera.
Se la tesaurizzazione appare a tutta prima come dovuta alla volontà individuale di un singolo che persegue suoi fini personali, essa è anche una necessità economica generale, che si realizza per questa via traversa: la terza funzione del denaro gioca il ruolo di regolatore delle altre due. Studiando la moneta come mezzo di circolazione, abbiamo visto che le contrazioni ed espansioni periodiche degli scambi implicavano un rimpicciolimento ed una espansione simultanei della massa monetaria circolante. Poiché la massa monetaria esistente rimane per un periodo dato relativamente fissa, occorre che una parte abbandoni la sfera della circolazione per rientrarvi quando se ne farà sentire il bisogno: la tesaurizzazione funge da valvola di sfogo che permette di regolare il flusso della moneta circolante: "Affinché la massa di denaro che è realmente in corso corrisponda sempre al grado di saturazione della sfera della circolazione, la quantità di oro o di argento presente in un paese dev'essere maggiore di quella impegnata nella funzione di moneta. A questa condizione adempie la forma di tesoro del denaro. Le riserve dei tesori servono assieme come canali di deflusso e di afflusso del denaro circolante, il quale quindi non fa mai straboccare i suoi canali circolatori". (Il Capitale, I , 1, pag.149, Ed. Rinascita).
Se da un lato la tesaurizzazione si presenta come un'interruzione del processo di circolazione, essa rappresenta altrettanto la possibilità di riprendere in avvenire questo processo momentaneamente interrotto. Si può osservare, anticipando largamente su quanto seguirà, che qui risiede anche "la possibilità, ma solo la possibilità, di crisi", perché la crisi si manifesta, fra l'altro, con la rarefazione del denaro-mezzo di circolazione.
Le tre funzioni del denaro sono quindi strettamente legate le une alle altre. Il denaro non sarebbe uno strumento di circolazione se non fosse anche la misura dei valori; ma la circolazione è così fatta, che suppone alternativamente la tesaurizzazione e il suo contrario, la spesa di denaro precedentemente accumulato: infine la tesaurizzazione ha per oggetto l'equivalente generale, cioè la moneta nel senso forte, insieme misura dei valori e mezzo di circolazione delle merci. Di più, questa accumulazione di denaro momentaneamente sottratto alla sfera della circolazione da cui è nato servirà di base, quando saranno maturate le condizioni economiche generali, al risparmio e quindi anche al credito capitalistico, che a sua volta modificherà profondamente i caratteri formali della moneta.
b. Il denaro mezzo di pagamento e il denaro universale
Nel suo ruolo di mezzo di circolazione, la moneta d'oro può essere sostituita da semplici segni. La pratica del credito commerciale caccerà a loro volta questi segni dalla sfera della circolazione per sostituirli con titoli di credito, cioè con promesse di pagamento. Se un commerciante acconsente a cedere la sua merce a un altro contro la promessa scritta di pagarla a termine, la merce avrà cambiato di mano senza che l'oro né alcuno dei suoi rappresentanti abbia giocato il minimo ruolo, se non nella valutazione del prezzo della merce, funzione "ideale" che, come abbiamo visto, non esige la presenza "materiale" del denaro. La promessa di pagamento a termine, debitamente consegnata su una cambiale, può quindi bastare a mettere in circolazione le merci. L'equazione del primo atto della circolazione della merce non è più M - D, ma piuttosto M - cambiale (... D), il denaro riapparirà nella sfera di circolazione solo al termine fissato; la circolazione della merce si sarà compiuta senza il suo intervento e esso non avrà più altra funzione che di saldare una transazione già realizzata: da mezzo di circolazione, il denaro diventa mezzo di pagamento. "Il denaro, ossia lo sviluppo autonomo del valore di scambio, non è più la forma mediatrice della circolazione delle merci, ne è bensì il risultato conclusivo... Esso entra in circolazione come unico equivalente adeguato della merce, come esistenza assoluta del valore di scambio, come ultima parola del processo di scambio, in breve come denaro e cioè come denaro nella funzione determinata di mezzo di pagamento generale. In questa funzione come mezzo di pagamento il denaro appare come merce assoluta ma entro la circolazione stessa, non come tesoro al di fuori di questa". (Per la Critica dell'Economia Politica, cit., pag.124-125).
Notiamo che una delle manifestazioni della crisi è appunto il crollo del credito, e che allora il denaro di cui si faceva tranquillamente a meno fino a quel momento come mezzo di circolazione in senso stretto, è di nuovo reclamato a gran voce per assolvere questa funzione. Comunque, se l'oro è stato cacciato dalla sfera della circolazione dalla carta-moneta, lo stesso processo si delinea anche per quest'ultima; ma il denaro non può essere completamente eliminato dalla circolazione delle merci e riappare periodicamente sotto forma di mezzo di pagamento cioè in quanto denaro in senso forte.
L'oro progressivamente cacciato dalla sfera della circolazione interna, regna invece da padrone assoluto negli scambi internazionali. "Solo sul mercato mondiale il denaro funziona in pieno come quella merce la cui forma naturale è allo stesso tempo forma immediatamente sociale di realizzazione del lavoro umano in abstracto. Il suo modo di esistenza diventa adeguato al suo concetto". (Il Capitale, I, 1, pag.157 - 158). Ma, anche qui, la funzione di mezzo di circolazione del denaro si attenua, mentre predomina il denaro come mezzo di pagamento, che salda le bilance commerciali, internazionali a termini fissati. D'altronde, ogni Stato deve costituirsi un tesoro per far fronte sia alle vicissitudini commerciali, sia alle necessità di guerra. Val la pena di notare, a questo proposito con Marx, che "i paesi a produzione borghese sviluppata limitano al minimo richiesto dalle loro specifiche funzioni i tesori concentrati in massa nei serbatoi delle banche. Con qualche eccezione, il fatto che i serbatoi di tesori siano colmi in modo notevole al di sopra del loro livello medio, indica un ristagno della circolazione delle merci o una interruzione nel flusso della metamorfosi delle merci".(Il Capitale, ed. cit., I ,1, pag.161).
Riassunti così brevemente i risultati principali dell'analisi marxista del ruolo del denaro nella circolazione semplice delle merci, potremo passare allo studio delle metamorfosi subite dal denaro, dalla moneta, nell'economia capitalistica pienamente sviluppata: sarà questo l'oggetto del capitolo seguente.
LA MONETA NELLA CIRCOLAZIONE DEL CAPITALE
1. La trasformazione del denaro in capitale
Come abbiamo visto, Marx conduce la sua analisi fondamentale sulla natura e sulle funzioni del denaro sulla base di una economia mercantile in cui il capitalista e l'operaio salariato non hanno ancora fatto la loro comparsa. Appena questi due personaggi entrano in scena, il denaro subisce una profonda metamorfosi, che esprime la rivoluzione avvenuta nei rapporti fra le classi. Da innocente mezzo di circolazione delle merci, il denaro si trasforma in capitale-denaro e, benché questo prenda a prestito dal "tesoro" la sua forma esteriore, ne differisce profondamente per la sostanza. Finora, le merci recitavano la parte principale e il denaro appariva come l'ausiliario del loro movimento; appena il modo di produzione capitalista si è impadronito della produzione, la moneta, il denaro, figura invece come prima donna mentre le merci si accontentano di servire a loro volta di strumenti della circolazione del denaro. Le parti sono così capovolte, ma è vero che nel frattempo lo stesso denaro ha cambiato natura per diventare capitale.
Nella circolazione semplice delle merci, anche se il rapporto di produzione monetario impone una via traversa, e così oscura un rapporto fra i produttori che per il fatto stesso dello scambio appare formalmente come rapporto tra i loro prodotti (le merci), il fine stesso del movimento dei prodotti rimane evidente. Vendere per comperare, vendere i prodotti il cui valore d'uso eccede i bisogni del produttore per permettergli di acquistare valori d'uso corrispondenti a bisogni che egli non può soddisfare direttamente con il risultato della sua attività produttiva; in tutto questo non v'è alcun mistero. Ben diversamente stanno le cose nella produzione capitalistica: il capitalista compera per vendere invece di vendere per comperare (cosa che si applica già a quel precursore del capitalista moderno che è il semplice mercante). Se la circolazione delle merci può essere schematizzata con M - D - M, la circolazione del denaro trasformato in capitale si presenta invece come D - M - D.
Da un punto di vista formale, il denaro appare nell'uno e nell'altro degli schemi di circolazione; ma il loro modo rispettivo di circolazione non è lo stesso: "Denaro come denaro e denaro come capitale si distinguono in un primo momento soltanto attraverso la loro differente forma di circolazione" (Il Capitale, I, 2, cap. IV. pag.163). Il denaro che funziona come mezzo di circolazione delle merci si mantiene costantemente nella sfera della circolazione, mentre le merci ne escono continuamente per essere consumate: il denaro è qui un semplice intermediario della circolazione delle merci e perciò cambia continuamente di mano. Il denaro che funziona come capitale circola invece in un altro modo. All'origine, esso si presenta come un "tesoro" accumulato che viene gettato in blocco nella circolazione per acquistare delle merci (vedremo poi quali; per ora, si può considerare che si tratti solo di capitale commerciale), ma lo scopo dell'operazione non è di ottenere dei valori d'uso da consumare: le merci acquistate saranno al contrario gettate di nuovo nella circolazione e quindi scambiate contro denaro. Il denaro si presenta come il punto di partenza e il punto di arrivo del ciclo, come lo scopo stesso della circolazione, e quindi riaffluisce costantemente verso il personaggio che ha dato l'avvio al ciclo con un certo anticipo di capitale denaro. Invece di mantenersi esclusivamente nella sfera della circolazione, come il denaro in quanto mezzo di circolazione delle merci, e quindi sfuggire sempre al suo detentore provvisorio, il capitale-denaro è destinato a riaffluire verso il suo detentore, che se ne è disfatto temporaneamente solo perché scontava questo riafflusso. "Il fenomeno del riafflusso come tale ha luogo appena la merce comperata è rivenduta, e così il ciclo D - M - D è descritto completamente. E questa è una distinzione tangibile fra la circolazione del denaro come capitale e la circolazione del denaro come puro e semplice denaro" (Il Capitale, I, ibid., pag.165).
Apparentemente, la circolazione del capitale-denaro presenta un carattere di assurdità. Se il ciclo M - D - M ha per termini estremi dei valori di scambio equivalenti, l'operazione ha un senso nella misura in cui questi valori di scambio equivalenti sono incarnati in merci di diversi valori d'uso. Merci di valore di scambio equivalente possono circolare (scambiarsi) solo in quanto hanno diversi valori d'uso. Se alle due estremità del ciclo del capitale-denaro si ritrova il denaro, per giustificare questo movimento non si possono invocare valori d'uso diversi, perché il denaro ritirato alla fine è evidentemente identico, da questo punto di vista, a quello anticipato all'inizio. Il ciclo ha quindi un senso solo se il valore di scambio ottenuto alla fine del ciclo è superiore al valore anticipato: la circolazione del capitale-denaro si presenta perciò, fin dall'inizio, come una "violazione" della legge del valore, dello scambio fra equivalenti, perché il valore di scambio ottenuto alla fine deve superare il valore di scambio messo in gioco all'inizio: "Il ciclo M - D - M comincia da un estremo, che è una merce, e conclude con un estremo, che è un'altra merce, la quale esce dalla circolazione per finire nel consumo. Quindi il suo scopo finale è il consumo, soddisfazione di bisogni, in una parola, valore d'uso. Il ciclo D - M - D comincia invece dall'estremo denaro e conclude ritornando allo stesso estremo. Il suo motivo propulsore e il suo scopo determinante è quindi il valore stesso di scambio" (Il Capitale, I, ibid., pagg.165 - 166).
Il ciclo del capitale-denaro non è quindi D - M - D ma piuttosto D - M - D', in cui D' = D + D D, cioè una somma superiore al denaro inizialmente anticipato D. La differenza fondamentale tra la circolazione delle merci e la circolazione del capitale-denaro si riconduce perciò al fatto che la prima ha il suo motore nell'appropriazione di valori d'uso, il che le dà un carattere relativamente "rigido", come dice Marx (infatti i bisogni non sono estensibili a volontà, per uno stadio dato della produzione sociale), mentre la seconda è per essenza illimitata. Poiché lo scopo della circolazione del capitale-denaro è il suo proprio accrescimento, essa non conosce né limite né fine, e ciò che definisce il capitale-denaro (e il capitale in generale) non è il suo volume e neppure l'accrescimento derivante dal compiersi del suo ciclo, ma la ripetizione necessaria e quindi l'estensione illimitata di questo accrescimento: il capitale è definito dal suo proprio moto, ed è un moto "perpetuo"; può accelerarsi o rallentarsi, ma deve sempre proseguire, pena la morte del capitale stesso:
"Nella circolazione, il valore originariamente anticipato non solo si conserva, ma altera anche originariamente la propria grandezza di valore, mette su un plusvalore, ossia si valorizza. E questo movimento lo trasforma in capitale" (Il Capitale, I, ibid., pag. 167).
"La circolazione semplice delle merci - la vendita per la compera - serve di mezzo per un fine ultimo che sta fuori della sfera della circolazione, per l'appropriazione di valori d'uso, per la soddisfazione di bisogni. Invece, la circolazione del denaro come capitale è fine a se stessa, poiché la valorizzazione del valore esiste soltanto entro tale movimento sempre rinnovato. Quindi il movimento del capitale è senza misura" (Il Capitale, I, ibid., pag. 168).
Non è necessario qui sviluppare la teoria del plusvalore; accontentiamoci di ricordare qual è la merce speciale il cui acquisto permette al capitalista di trarre dalla circolazione del suo capitale "un di più", un plusvalore. Consideriamo oramai il capitalista industriale, non più soltanto il capitalista commerciale. Entrambi acquistano per vendere; ma il primo non rivende semplicemente le merci acquistate, fa loro subire una trasformazione attraverso un processo di produzione. Il capitale-denaro, egli lo trasforma anzitutto in mezzi di produzione (edifici, attrezzature produttive, utensili, macchine, ecc.) e in oggetti di produzione (materie prime) che acquista al loro valore sul mercato; questa frazione del suo capitale prende il nome di capitale costante. Ma, per animare questo "capitale morto", egli deve anche acquistare sul mercato il lavoro umano che, applicato ai mezzi di produzione, trasformerà gli oggetti di produzione in prodotti. Il capitalista compera contro salario la forza-lavoro di un certo numero di operai per un periodo di tempo determinato e si chiamerà capitale variabile la frazione di capitale anticipata che giuocherà questo ruolo. Anche qui, la merce sarà pagata, in media, al suo valore, che può essere soltanto l'equivalente in valore dei prodotti necessari a conservare la forza-lavoro dell'operaio; cioè, a mantenerlo in grado di produrre normalmente e di assicurare la propria discendenza.
Compiuto il processo di produzione, il capitalista avrà trasformato in merci il suo anticipo di capitale-denaro; ma il valore di queste merci supererà quello dell'anticipo iniziale. In realtà, la forza-lavoro è una merce particolare il cui uso fornisce appunto del lavoro umano. Ora, se durante il processo di produzione essa trasmette alle nuove merci prodotte il valore anteriormente contenuto nell'anticipo di capitale costante, vi aggiunge però, in più, un valore supplementare che supera l'anticipo di capitale variabile effettuato dal capitalista: se la forza-lavoro di un operaio può essere utilizzata dieci ore al giorno, l'insieme dei prodotti il cui valore equivale al salario giornaliero rappresenterà, per esempio, soltanto cinque ore di lavoro medio. La differenza, o plusvalore, sarà intascata dal capitalista, che non avrà perciò meno rispettato, diversamente da quello che a tutta prima parrebbe, la legge dello scambio fra equivalenti, nei confronti sia del salariato che del compratore delle sue merci. Troviamo qui definito nel modo più breve possibile il rapporto fondamentale, specifico del modo di produzione capitalista, quello che permette di distinguerlo dai modi di produzione anteriori (benché essi abbiano in comune certe categorie economiche) e, a maggior ragione, dal modo di produzione socialista .
La merce, la moneta, il denaro sono esistiti prima del capitalismo, anche se quest'ultimo ne ha immensamente esteso la sfera di azione, ma il denaro non ha per se stesso la virtù di funzionare come capitale. Perché subisca questa metamorfosi, deve essere soddisfatta una doppia condizione: è necessario che a un polo della società si sia verificata una accumulazione di denaro e che all'altro si sia realizzata una massiccia espropriazione dei produttori indipendenti - espropriazione che sola permetterà di trasformare la forza-lavoro in merce e perciò il denaro in capitale, cioè gli permetterà di comprare della forza-lavoro.
Il modo di produzione capitalista è definito dall'esistenza generalizzata del salariato, la cui nascita suppone a sua volta un'economia mercantile sviluppata. Denaro e capitale-denaro non sono la stessa cosa; la trasformazione del denaro in capitale-denaro esprime, in una sfera particolare, l'introduzione di un rapporto di produzione determinato. Il denaro può ormai comperare la forza-lavoro come un'altra merce; il salariato è nato e il capitale con esso.
Lo scambio dei prodotti deve già possedere la forma della circolazione delle merci perché la moneta possa entrare in scena: "Le forme particolari del denaro... indicano di volta in volta, a seconda dell'estensione e della relativa preponderanza dell'una o dell'altra funzione, gradi diversissimi del processo sociale di produzione. Eppure, a norma dell'esperienza, una circolazione delle merci relativamente poco sviluppata è sufficiente per la produzione di tutte quelle forme. Ma, per il capitale, la cosa è differente. Le sue condizioni storiche d'esistenza non sono affatto date di per se stesse con la circolazione delle merci e del denaro. Esso nasce soltanto dove il possessore di mezzi di produzione e di sussistenza trova sul mercato il libero lavoratore come venditore della sua forza-lavoro, e questa sola condizione storica comprende tutta una storia universale. Quindi il capitale annuncia fin da principio un'epoca del processo sociale di produzione. Quello che dà il carattere all'epoca capitalistica è il fatto che la forza-lavoro assume anche per lo stesso lavoratore la forma di una merce che gli appartiene, mentre il suo lavoro assume la forma di lavoro salariato. D'altra parte, la forma di merci dei prodotti del lavoro acquista validità generale solo da questo momento in poi" (Il Capitale, I, 2, pag. 187 e nota).
2. LA CIRCOLAZIONE DEL CAPITALE, O LE METAMORFOSI DEL CAPITALE
Compiendo il suo ciclo infinitamente ripetuto, e di cui sappiamo già che trova la sua forza motrice nella ricerca di un plusvalore e non nella produzione di merci, che è soltanto un mezzo necessario per giungere allo scopo, il capitale subisce una serie di metamorfosi cicliche, cioè si presenta alternativamente sotto forme diverse .
Se si suppongono date le condizioni economiche e sociali della produzione capitalistica, il punto di partenza sarà sempre una certa quantità di capitale-denaro pronto a essere gettato nella circolazione. Questo capitale-denaro dovrà a sua volta convertirsi in capitale-merce, cioè scambiarsi contro gli elementi materiali della produzione: impianti, macchine, materie prime, ecc., cioè capitale costante, e mezzi di sussistenza per gli operai, cioè capitale variabile (salari). L'atto caratteristico di questa prima fase circolatoria del capitale-denaro è evidentemente la sua trasformazione in capitale variabile, cioè l'acquisto di forza lavoro che si risolverà certo in definitiva, in un acquisto di mezzi di sussistenza (spesa del salario degli operai) e quindi parteciperà alla circolazione delle merci offrendo però al capitalista la possibilità di impiegare produttivamente la forza-lavoro . Una volta che il capitale-denaro si è così risolto in merci (mezzi di produzione, materie prime, forza-lavoro), il processo di circolazione si interrompe per dar luogo al processo di produzione. Il capitale prende allora la forma di capitale produttivo, la cui attività avrà per risultato l'apparizione di una nuova merce, distinta da quelle che componevano il capitale-merce iniziale sia per valore d'uso che per valore di scambio: la cosa è evidente per il valore d'uso, e sappiamo già che la forza-lavoro impiegata produttivamente genera un nuovo valore, pur trasmettendo al nuovo prodotto la somma del capitale costante e del capitale variabile anticipati. Da capitale produttivo, il capitale si è così ritrasformato in capitale-merce, che deve entrare in una nuova fase di circolazione per ritrovare la sua forma primitiva di capitale-denaro. Il ciclo del capitale, in origine rappresentato da
D - M - D' (D' > D),
può essere rappresentato in modo più completo mettendo in evidenza le diverse forme del capitale, e soprattutto il fatto che il plusvalore proviene unicamente dall'uso del capitale variabile e non dalla totalità del capitale anticipato come si immagina il capitalista e come lo "teorizza" l'economia politica volgare; cosa che faremo nel resoconto completo quando apparirà sulla rivista teorica internazionale Programme Communiste. Qui ci interessa più particolarmente il ciclo del capitale-denaro.
Ora, lo studio del ciclo e delle metamorfosi del capitale mostra che questo deve necessariamente assumere periodicamente la forma di capitale-denaro: esso è il punto di partenza del ciclo e il suo punto d'arrivo: "Il denaro è la forma in cui ogni capitale individuale (prescindendo dal credito) deve presentarsi per trasformarsi in capitale produttivo; ciò deriva dalla natura della produzione capitalistica, e in generale dalla produzione di merci" (Il Capitale, Libro II, Sez. III, cap. 18, cit., pag. 375).
Se il capitale è molto di più che denaro, ciò non toglie che debba prendere la forma del denaro, e quindi piegarsi anch'esso, sotto questa forma, alle leggi della circolazione monetaria definite più sopra. Le funzioni della moneta, e poco importa per il momento di che moneta si tratti , sono perciò conservate nella circolazione del capitale, benché messe al servizio delle leggi più generali che reggono la circolazione del capitale in quanto tale. Ma la forma moneta che il capitale deve necessariamente assumere reagisce sul suo ciclo, perché gli impone un limite relativo. Indubbiamente, non esiste una legge di proporzionalità assoluta fra la massa del capitale-denaro anticipato e la massa dei valori d'uso ottenuti alla fine del processo di produzione. Il rapporto fra queste due grandezze è in realtà determinato dalla produttività del capitale, che dipende a sua volta dalle condizioni tecniche della produzione, cosicché una stessa massa di capitale-denaro si risolverà in c e v in proporzioni variabili secondo le epoche, e si concluderà nella produzione di quantità variabili di un dato valore d'uso. La potenza produttiva del capitale non è quindi determinata unicamente dalla sua grandezza, così come non lo è, del resto, la massa di plusvalore prodotta, che dipende evidentemente dalla proporzione fra capitale costante e capitale variabile e dal grado di sfruttamento della forza-lavoro (l'una storicamente legata all'altra). Fatte queste riserve, resta il fatto che, ad uno stadio dato della produzione sociale, la massa di capitale-denaro disponibile costituisce un limite del capitale produttivo in grado di entrare in funzione. Perciò lo studio della moneta capitalistica sbocca in realtà nello studio dei mezzi di cui il capitale si serve per emanciparsi da questo limite relativo - mezzi che, come vedremo, sono anch'essi e necessariamente di natura monetaria, cosicché la contraddizione resta, ma portata ad un grado superiore.
Conformemente alla sua natura, il capitale deve circolare indefinitamente. Il risultato di un ciclo compiuto si presenta quindi come l'avvio di un nuovo ciclo, lo scopo della produzione capitalistica essendo non semplicemente la produzione di plusvalore, ma la produzione ininterrotta di capitale. Il capitale esiste nella misura in cui si accresce, in cui si accumula. Sebbene, per il capitalista isolato, il consumo di una frazione del plusvalore possa apparire come lo scopo del movimento impresso al capitale, alla scala sociale non può trattarsi che di un fenomeno contingente, relativamente secondario; e la crescente spersonalizzazione del capitale (società per azioni, trust nazionalizzati, ecc.) traduce nel modo più evidente questo fenomeno. Occorre quindi non solo che il capitale iniziale, una volta realizzato sotto forma di capitale-denaro mediante la vendita dei prodotti, inizi un nuovo ciclo, ma che lo stesso plusvalore si trasformi in un nuovo capitale, si investa: così si effettua la riproduzione allargata del capitale. Il plusvalore si risolve a sua volta in capitale costante e capitale variabile, e compie un movimento di valorizzazione parallelo a quello del capitale iniziale (tralasciamo qui la rappresentazione simbolica di questo movimento, rinviandola al resoconto esteso in Programme Communiste).
Il completamento della riproduzione allargata, cioè la trasformazione del plusvalore in capitale, il suo investimento, suppone che siano riunite un certo numero di condizioni. Il plusvalore deve passare dalla forma capitale-denaro alla forma capitale produttivo: ciò impone anzitutto una certa proporzione fra il capitale costante e il capitale variabile in cui esso si risolve; impone in secondo luogo una grandezza determinata alla massa totale (c + v) di plusvalore da investire. L'allargamento della produzione esige per esempio l'acquisto di nuove macchine; quando siano date le loro caratteristiche tecniche, sono pure date la quantità di materie prime che esse consumeranno e la grandezza della forza-lavoro che le metterà in moto. Ora ai vecchi mezzi di produzione si può aggiungere soltanto almeno una macchina intera, non la metà o il quarto per esempio. Ad uno stadio dato della produttività nel ramo di produzione considerato, il capitale minimo supplementare che può essere investito si trova quindi perfettamente determinato. Se l'ammontare del plusvalore ottenuto alla fine di un ciclo è inferiore a questo capitale minimo, bisognerà attendere che il completamento di nuovi cicli abbia aumentato a sufficienza il plusvalore per consentirgli a sua volta di funzionare effettivamente come capitale produttivo; nell'intervallo, esso non è che capitale produttivo potenziale. Lo stesso problema si porrebbe, del resto, se il plusvalore superasse il capitale minimo da investire; un reinvestimento immediato di tutto il plusvalore può aver luogo soltanto se il plusvalore è esattamente eguale al capitale minimo o ad uno dei suoi multipli interi; in tutti gli altri casi, si ha formazione di capitale potenziale.
Un fenomeno analogo si produce all'interno del ciclo di un capitale dato. Il capitalista deve anticipare integralmente gli elementi del capitale produttivo. Ma a un certo tempo di circolazione separa la produzione delle merci dalla conversione del loro valore in capitale-denaro suscettibile di ritrasformarsi in capitale produttivo. Un nuovo anticipo deve quindi essere fatto, se non si vuole che la produzione si interrompa fino al riflusso, sotto forma di capitale-denaro, del capitale inizialmente anticipato. Considerazioni analoghe a quelle fatte per il plusvalore mostrano che, a meno che il tempo di circolazione sia un multiplo intero esatto del tempo di produzione (ipotesi teorica irrealizzabile, anche solo a causa delle inevitabili variazioni del tempo di circolazione che si oppongono alla rigidità relativa del tempo di produzione), si produce un accavallarsi dei capitali anticipati, e dei capitali realizzati mediante la vendita dei prodotti, che "libera" per qualche tempo certe frazioni del capitale, cioè impedisce loro di convertirsi immediatamente in capitale produttivo.
L'uno e l'altro fenomeno impongono perciò al capitalista considerato isolatamente di conservare sempre una frazione del suo capitale sotto forma di capitale-denaro, oltre al capitale-denaro necessario per far fronte agli acquisti periodici di capitale costante e di forza-lavoro, e ad un certo fondo di riserva. Si vede così sorgere la necessità di una tesaurizzazione capitalistica. "Poiché le proporzioni in cui si può allargare il processo di produzione sono prescritte non arbitrariamente ma tecnicamente, il plusvalore realizzato, sebbene destinato alla capitalizzazione, spesso può crescere solo mediante la ripetizione di differenti cicli fino al volume... in cui può realmente operare come capitale addizionale... Il plusvalore si fissa dunque in tesoro e in questa forma costituisce capitale monetario latente... Così la tesaurizzazione appare qui come un momento che è compreso entro il processo capitalistico di accumulazione, lo accompagna, ma contemporaneamente è da esso sostanzialmente differente. Infatti, mediante la formazione di capitale monetario latente, il processo di riproduzione in sé non viene allargato. Al contrario. Qui si forma capitale monetario latente perché il produttore capitalistico non può allargare immediatamente la scala della sua produzione" (Il Capitale, Libro II, Sez. I, cap. 2, cit., pagg. 79 - 80). Nata dalle condizioni stesse del ciclo capitalistico, questa tesaurizzazione si presenta come un fenomeno contraddittorio nella misura in cui impedisce temporaneamente ad una frazione del capitale di funzionare effettivamente come capitale. Essa si oppone quindi al movimento fondamentale del capitale, contraddice alla sua natura, e gioca in questo senso un ruolo parassitario. Il modo di produzione capitalistico tuttavia risolve questa contraddizione alla scala sociale; tende irresistibilmente a unificare i capitali isolati. La tesaurizzazione capitalistica fornisce così la base del sistema bancario e del credito, che possono essere considerati come le soluzioni capitalistiche alle contraddizioni non del capitale in generale, ma del capitale sotto forma di denaro.