I socialisti e le costituzioni (XXXII)
Ieri
Una caratteristica del fondarsi dei vari regimi borghesi sono le Carte statutarie, un connotato invariabile della politica borghese la superstizione e il feticismo costituzionale.
Gli antichi regimi preborghesi, fin dai tempi molto remoti, ebbero le loro Tavole, ma i borghesi scettici ne risero perché fondate sulla rivelazione ai Profeti e sul principio della divina origine del potere.
La classe capitalistica, portatrice di verità ragione e scienza, fondò invece i suoi documenti storici sulla pretesa di avere finalmente scoperte le basi eterne del diritto naturale, e truccò sotto le ampollose dottrine liberali il contrabbando della tutela dei suoi interessi economici.
I vari sistemi e rapporti giuridici e di pubblica organizzazione, fondati sulla stabilità delle Dichiarazioni delle Carte e delle Costituzioni, sono garanzie non per l'Uomo o il Cittadino o il Suddito, stranamente fatto da quei pezzi di carta Sovrano (in modo che non sa più dove abbia il disopra e dove il disotto) ma sono garanzie per la continuità del dominio conquistato dai borghesi, per la sicurezza della proprietà privata e dell'ordine su di essa fondato.
Tutta la massa degli altri strati sociali non possidenti e non capitalisti non solo deve gioire e bearsi di queste conquiste, non solo deve confermare nelle consultazioni elettive la sovranità delegata ai satrapi dell'economia borghese, ma deve essere pronta a battersi all'ultimo sangue se da qualche angolo taluno spuntasse a minacciare una delle garanzie che la Costituzione assicura, a tentare di strappare qualche lembo del sacro papiello.
La borghesia francese, assillata da ritorni di ci-devant nobili preti e re a riprendere i tolti privilegi, forma le armate di difesa del suo potere non solo nella polizia dello Stato, ma vuole una Guardia, naturalmente Nazionale, e come dice Marx la formano i bottegai di Parigi. Ma non basta; al Re Sole bastavano pochi moschettieri, al capitale sovrano occorrono più vaste forze, e gli stessi operai industriali sono invitati a formare una Guardia della libertà borghese.
Uno degli ineffabili bardi della rivoluzione dei botteghieri, Victor Hugo, dice che la garanzia della libertà è il fucile nelle mani dell'operaio. Un grande onore per la classe proletaria essere chiamata, ogni qualvolta scotta il terreno sotto i piedi al capitale, a combattere per difendere la libera costituzione dello Stato.
Giacobinismo oramai démodé, storia e letteratura in ritardo di un secolo? Magari fosse così. Tutto il degenerante socialismo di destra, bloccardista e alleanzista, si alimenta di questo contenuto: tenere la classe operaia come riserva di combattimento della legalità statutaria borghese.
Bisogna sconsolatamente cantare il ritornello scemo: e siamo sempre lì...
Vecchi nostri zii con i baffoni, al tempo di Pelloux che nelle repressioni dei moti popolari aveva violato le leggi costituzionali, seriamente nutriti dei dettami dell'Arca liberale britanna e della sapienza dei Gladstone e dei Disraeli, pure essendo dei fieri conservatori inorridivano che si sostenesse dal governo: "con la maggioranza della Camera si può violare lo Statuto". E si rallegravano tutti dicendo: "L'estrema Sinistra le ha chiamate eresie!". Bastava non il marxismo ma una preparazione da scolaretto ginnasiale a riflettere: quanto deve essere estremamente fessa questa Estrema Sinistra.
Già negli scritti giovanili del 1842 Marx analizza le Dichiarazioni dei Diritti americana e francese e sottolinea che esse garantiscono soprattutto la sicurezza della proprietà e degli affari nella classe abbiente. Nella prefazione del 1859 alla Critica dell'Economia descrive poi egli stesso lo viluppo delle sue ricerche. Egli aveva fatto studi universitari giuridici, pure occupandosi soprattutto di storia e di filosofia. Scrivendo nella Gazzetta Renana fu portato a studiare questioni economiche e nello stesso tempo venne a contatto delle correnti socialiste e comuniste a base vagamente ideologica. Ciò lo condusse, prima ancora che allo studio approfondito della scienza economica, ad una completa critica e revisione della Filosofia del diritto di Hegel. Troviamo martellata una prima conclusione (evidentemente non bastano nemmeno i martelli per le teste di intiere generazioni di "socialisti"): "Tanto i rapporti giuridici che le forme dello Stato, né si spiegano da sé stessi, né ricorrendo al cosiddetto sviluppo generale dello spirito umano, ma hanno la loro radice nei rapporti materiali della vita sociale".
Segue la nota e magnifica sintesi del metodo materialista storico che conclude alla transitorietà del sistema di produzione borghese e di tutte le sue soprastrutture giuridiche, e quindi alla diretta conseguenza che vivendo in una società antagonistica, la classe proletaria non deve combattere alla difesa ma per l'abbattimento delle sue forme di produzione.
Le carte costituzionali non sono che una di queste "forme di produzione" borghesi da spazzare via nella rivoluzione operaia.
Sempre questo Marx, e queste cose le sapeva solo lui! Sono in verità cose di tanta evidenza per i militanti del socialismo e della causa proletaria, balzano e ribalzano dalla esperienza sociale di ogni giorno, potremmo benissimo fare a meno di citare il Signor Marx Carlo, o cambiargli il nome, indicarlo con un semplice simbolo o riferire queste belle enunciazioni come se la paternità spettasse allo "zì Nisciuno". Resterebbero altrettanto vere ed evidenti. Non solo se il detto Signor Marx non fosse nato ma anche se i suoi volumi si fossero persi, i pappatutto della borghesia ed i loro multiformi lustrascarpe avrebbero dalla storia avuto le stesse seccature, e ne avranno, senza bisogno di "ipse dixit", e senza riserve sulla volontà di dio e popolo, sempre maggiori. D'altra parte per quello che ne sappiamo il Signor Marx non era né pretenzioso né ingombrante, non chiese né ottenne nemmeno una croce di cavaliere, la minimissima briciola dei pasti, super appetiti, di potere. Considerava sé stesso, il dottor Carlo, colla sua laurea e i suoi sudati studi di tutta una vita, alla stregua delle parole del Manifesto: "In tempi in cui la lotta di classe si avvicina a soluzione, il disgregamento prende nella classe dominante, nella vecchia società, carattere così crudo e violento che una piccola parte dei dominatori diserta e si unisce ai rivoluzionari di quella classe che ha con sé l'avvenire". Nulla più che un sintomo, una conferma sperimentale della legge investigata, sintomo lui e sintomo il commerciante agiato don Federico Engels che gli forniva qualche scellino da comprar patate per la cena sul pantagruelico mercato di Londra. Per il materialismo non vi sono più Eroi, e, con grave disdoro di ogni poesia della vita, ne prendono il posto pochi disertori.
Ospite della libera Inghilterra ne fece per gratitudine la descrizione che tutti sanno, non servendogli nemmeno di avere un posto di ministro in governi fantocci, o di essere ammesso ai ricevimenti degli Esuli e dei Profughi delle rivoluzioni borghesi e patriottiche. Di carattere infine intrattabile, non gliene fregava un Kuusinen di essere citato e soffiettato.
Potremmo dunque non citare il nominativo in questione e fare farina del nostro sacco le parole che maneggiava così bene, tanto non le portiamo al mercato e non ha preso per gli eredi il Copyright.
Ma il fatto è che siamo circondati affogati e totalmente smarriti, nella nostra pochezza, in una moltitudine, in un diluvio, in una inondazione di professati e dichiarati marxisti, dediti affannati e investiti da anni e anni e in tutti i paesi del mondo a dire e a fare il contrario di quello che lui, Marx, pensava e scriveva.
Se dunque l'autorità di Marx non deve contare, poiché è pacifico che nessuna conclusione va fondata sulla autorità di testi, si vorrebbe almeno che tutta quella disgustosa banda dimenticasse quel nome e facesse una buona volta gettito delle teorie degli scritti e delle tradizioni che si ricollegano all'opera di Marx. Trattatelo da superato e anche da fesso, ne avete facoltà; non avete quella di tradirlo sporcamente e di falsificarlo dieci volte al giorno per fini opposti a quelli cui dedicò l'opera e la vita.
La praticaccia giornalistica borghese ha fatto, per dirne una su cento, uso dell'aggettivo "marxista" per designare l'insieme informe di tutti quelli che nella tragica guerra civile spagnuola lottavano contro Franco: trotzkisti, stalinisti, socialdemocratici, cacciando nel calderone anche libertari, sindacalisti, e radicali borghesi. In Italia nel baraccone di Montecitorio se si passasse ai voti la mozione "siamo marxisti", è sicura la maggioranza assoluta, alla concorde consegna di Togliatti, Nenni, Saragat, Romita, Silone, con la recente recluta Lussu, e vari ausiliari leggeri di cui ci sfugge il nome.
Quanti ce ne contiamo noi? Fatto presto: nessuno.
Non ci urta solo la pretesa di tutto questo gentame ad esser marxista, ma anche la pubblicitaria concordia della grande stampa "antimarxista". Quando questa vuole sottolineare il suo orrore di un dollaro al millimetro per l'ala estrema moscovizzante, sciorina e scaraventa a tutto gas la qualifica di marxismo puro, marxismo ortodosso, marxismo intransigente.
Fa così il gioco del credito tra le masse operaie di quei partiti che hanno interesse a coprirsi delle grandi ombre di Marx e di Lenin. Accetta di definire coll'altro nuovo e armonico termine di deviazionismo il contrasto con il centro cominformista di figure come Tito, come la Pasionaria. Invece la tolleranza di figure di posizioni di attività come quelle, veramente, di stile platealmente borghesuccio, patriottardo, victorughista, per anni ed anni, non è che una ulteriore prova del tradimento al marxismo da parte di quel centro, di deviazionismo esteso a tutto l'orizzonte da parte del movimento staliniano che nella sua massa ha consumato fino alla dannazione il peccato di nazionalismo militare e di alleanza col capitalismo occidentale. Fa quindi ridere i polli che i Titi e le Pasionarie, figure fuori del marxismo fino dalla nascita, possano essere esempio di deviazione da una linea che non hanno mai avuto, come li farebbe ridere molto di più il voler nobilitare il loro dissidio coi padroni di ieri con una sensibilità di sinistra alla stalinistica degenerazione.
Oggi
Tanto ci riconduce alla questione che una funzione di difesa costituzionale è il rovescio di quello che il partito marxista dovrebbe fare, e che sempre sotto quest'aspetto è scoppiata la epidemia del tradimento opportunista.
Il morbo causticato a ferro rovente da Vladimiro Lenin partì dalla mondiale chiassata di indignazione per le parole del cancelliere tedesco Bethmann Hollweg "i trattati sono pezzi di carta" a proposito del passaggio delle truppe germaniche traverso il "piccolo Belgio" cui un trattato internazionale garantiva la neutralità. I socialisti invece di riconoscere l'esattezza della tesi marxista ed il fondamento del diritto sulla forza bruta, si gettarono ad accusare il regime tedesco di essere feudale e preborghese. Si commossero ad esempio - i socialisti interventisti, non tutti per fortuna - in Italia, alle parole con cui rispondeva Salandra: "io, modesto borghese, osservo al conte Bethmann Hollwe....". Ruffiani da ambo le parti!
In tutte le questioni di azione proletaria e socialista di battute nei vari svolti il problema si ridisegnò così. I destri che si opponevano alla iniziativa e alla violenza rivoluzionaria per rovesciare o tentare di scuotere il dominio borghese, rivendicarono invece l'azione di piazza, l'uso delle armi, la rivolta, per il caso che i governi agissero al di fuori degli statuti costituzionali. Il traditore del marxismo si riconosce da questo, ossia dalla improntitudine con cui, dopo avere eliminata la violenza come mezzo proprio dell'azione proletaria autonoma, la accetta e la invoca quando gli operai devono assumere quella tale funzione di difensori delle garanzie fondate dal regime borghese e liberale. Sono quindi al di sotto, sono molto più disfattisti, di un socialismo pacifista su tutti i fronti, fabiano, cristianeggiante, o gandhista e tolstoiano. E questa posizione storica ha caratterizzata la campagna antifascista, naufragio delle tradizioni classiste in Italia. Finché i fascisti distruggevano sezioni comuniste e camere del lavoro e quindi consolidavano le garanzie di conservazione borghese, liberaldemocratici e socialdemocratici si sarebbero compiaciuti e volentieri adattati a stare nel nuovo ingranaggio. Ma tutto lo scandalo fu che il fascismo si permetteva di lacerare lo statuto albertino... Di qui il grande blocco borghese proletario che ha dialetticamente realizzato il programma mussoliniano: liberare la classe dominante italiana da un movimento estremista diretto alla lotta per toglierle il potere.
E non assistiamo oggi alla ennesima rappresentazione della vile commedia dell'accusa a de Gasperi di violare la costituzione? Non è questo il contenuto di tutto il lavorio di opposizione dell'Unità, dell'Avanti!? Difesa di questo bel garofano di Repubblica e di vergine costituzione demo-social-comun-cristiana, nata violata, nata bisognosa di quel regime di casa regolamentata che vuole abolire la senatrice Merlin.
Tutta una battaglia parlamentare dedicata a questo tema pietoso; se nel designare due o tre ministri si sono violate o meno le norme parlamentari ortodosse e gli articoli costituzionali. Perché così si fa brodo per il fine supremo di affrettare la prossima gazzarra elettorale, nella speranza, vuota di sbocchi, di strappare a De Gasperi la maggioranza ed il potere. E in cambio di questo vantaggio, del tutto illusorio anche ai più bassi diretti fini di parte, si rende alla borghesia italiana l'infinito servizio di accreditare tra le masse la convinzione che, procedendo nel quadro della presente costituzione, tutto può conseguirsi sulla via progressiva degli interessi e delle aspirazioni dei lavoratori. I quali quindi non hanno alcun bisogno per avanzare di mezzi non legalitari.
Ché se poi lo statuto della Repubblica fosse minacciato, allora sì che di colpo il movimento legalitario diverrebbe insurrezionista e gli operai sarebbero chiamati a battersi. Battersi come partigiani, ancora e sempre, delle garanzie che la classe borghese pose a presidio del suo dominare, contro un passato feudale sia pure, spettro oramai dileguato, ma anche e soprattutto contro l'avvenire rivoluzionario, contro lo spettro del comunismo levatosi un secolo addietro, per divenire palpabile ed armata realtà.
Tanto ha minacciato e comminato al governo italico il Pietro Nenni, ingiuriandolo per la subordinazione del capitale nazionale al capitale straniero, quasi che quello del capitale nazionale non fosse per i lavoratori sfruttamento di classe, quasi che senza gli investimenti di guerra del capitale straniero avrebbe il signor Nenni potuto rivalicare i confini d'Italia e la soglia del parlamento.
Quando il tipo alla Nenni parla di marxismo, par di sentire l'eco lugubre del passo del ladro sull'impiantito della casa derubata.
Da "Battaglia Comunista" n. 44 del 23-30 novembre 1949