Il cervello sociale
La struttura delle comunicazioni, che già Marx prese in esame, è ormai ad un livello altissimo di integrazione mondiale: lo sviluppo dei traffici e delle reti informatiche, la conservazione dei dati in memorie sempre più diffuse nella società, l'elaborazione interattiva di questi dati, in tempo reale o differito, quindi il raggiungimento di una indifferenza spaziale e temporale nella comunicazione fra uomini, tutto ciò fa parte della maturazione di quel cervello collettivo che la società di domani saprà utilizzare al meglio per un nuovo e inimmaginabile balzo; e il risultato sarà così potente da potersi paragonare a quello raggiunto dall'umanità con il passaggio dalla raccolta in natura alla produzione cosciente di cibo e manufatti.
Prima di tutto produzione sociale
Quella del cervello sociale, di un corpo collettivo composto da tutti gli uomini, è un'idea antica. I Greci pre-socratici la consideravano normale e, prima ancora, la filosofia orientale originaria fondeva l'individuo con il tutto della natura e della specie.
L'idea non poteva che scaturire da un'effettiva condizione che l'umanità ha conosciuto. Non sappiamo quasi nulla dei rapporti sociali della preistoria, ma sappiamo che all'uscita da quel periodo alcune società umane pre-civili avevano già un'organizzazione complessa anche se non conoscevano ancora alcune delle categorie sociali comparse più tardi, come la schiavitù e le forme sviluppate dello Stato politico. I gruppi urbanizzati del tardo neolitico medio-orientale, gli Egizi delle prime dinastie, le popolazioni pre-colombiane, i minoici pre-greci o gli abitanti della Valle dell'Indo prima dell'invasione ariana, non avevano ancora raggiunto una struttura sociale proprietaria, e attraverso gli strati archeologici si rivela un tipo di vita con residui dell'organico comunismo primitivo.
Oggi, grazie alla tecnologia, all'organizzazione e alla scienza, la produzione e riproduzione della specie umana non può effettuarsi se non attraverso metodi che non hanno più nulla dell'antica attività parcellare degli individui o dei gruppi di individui. Essendo la forza produttiva sociale ad un elevato grado di maturazione, l'idea viene relegata alla storia della filosofia e prende corpo la dimostrazione materiale, pratica, che l'uomo sta ritornando ad una struttura sociale organica. Ovviamente il capitalismo esaspera l'alienazione dell'individuo e porta alle massime conseguenze la separazione fra l'uomo e il suo lavoro, fra la produzione sociale e l'appropriazione privata, ma, tra tutte le epoche storiche, questa è quella che porta al massimo livello la socializzazione del lavoro e quindi fa maturare le premesse per una società nuova.
Se l'idea di una società nuova è sterile utopia, le condizioni tipiche della società futura invece esistono già materialmente all'interno del capitalismo, come Marx dimostrò. Esistono condizioni che il capitalismo stesso si incarica di portare alle estreme conseguenze e che comportano tutto il potenziale necessario al proprio superamento. Questa, tra l'altro, è la premessa fondamentale da cui Marx ed Engels partono per scrivere la loro critica alla filosofia tedesca e porre le fondamenta di una scienza che superi tutte le filosofie.
Quali sono le condizioni per il superamento del capitalismo? All'interno di questa società non possono esistere situazioni che riproducono in embrione la società futura, e vedere immaginari pezzetti di comunismo intorno a noi sarebbe alquanto immediatistico e soprattutto limitativo rispetto alla potenza delle forze reali che premono per il cambiamento e che non si manifestano certamente con biglietti da visita così espliciti. Nessun modello "pratico" di comunismo (partiti politici, comunità specificamente organizzate, fenomeni particolari nascosti all'interno della società ecc.) può rappresentare la potenza della negazione totale che scaturisce dal modo di essere di questa società.
Una comunità comunistica isolata potrà, per esempio, fare a meno della proprietà e relegare all'ambiente esterno la legge del valore, ma ciò è assai poco rispetto alla negazione della legge del valore in generale. Infatti il problema non è tanto quello di individuare un "oggetto" comunista quanto di individuare il comunismo al lavoro sulle basi stesse della società capitalistica nel suo insieme.
L'uomo non può più produrre in quanto individuo ma solo in quanto essere sociale, soprattutto in simbiosi con un ambiente socializzato al massimo in tutti i suoi aspetti. La struttura sociale si compenetra con la struttura produttiva e diventa esplosivo il potenziale insito nella contraddizione fra produzione e mercato. Perché produzione e distribuzione in ambiente capitalistico sono già elementi di natura diversa. Le contraddizioni fra produzione sociale e appropriazione privata, fra piano produttivo e anarchia distributiva, fra valore d'uso alienato e valore di scambio realizzato, non esistono all'interno del sistema produttivo, dove vi è soltanto attività finalizzata ad uno scopo e non scambi di valore: l'intera società capitalistica, giunta al suo massimo sviluppo, avrebbe bisogno di funzionare come la fabbrica, di essere regolata con un progetto razionale, perché ciò è nella natura dello sviluppo delle forze produttive. Ma proprio ciò è negato dalla società borghese, perché se tutto funzionasse come all'interno di una fabbrica non ci sarebbe più capitalismo.
Quando lo sviluppo capitalistico giunge alla socializzazione mondiale della produzione, il lavoro massimamente socializzato incomincia a stravolgere la struttura stessa della società in un processo del tutto automatico e inconsapevole rispetto alle tradizioni e all’ideologia della classe dominante. Non solo, ma tutta la sovrastruttura ideologica si dimostra impotente rispetto all'emergere di forze reali, tant'è vero che la stessa borghesia deve ammettere inconsciamente alcune categorie tipiche del marxismo all'interno dei suoi schemi economici e culturali. Come per esempio l'accettazione della teoria del valore nel computo del prodotto complessivo oppure l'adozione di modelli unificati della conoscenza. Tutto ciò ha ben a che fare con lo sviluppo del cervello sociale.
Quanto questa società sia diversa dalla società animale, cioè quanto essa sia potenzialmente vicina a una vita consapevole di specie, al capitalista non interessa. Ciò non toglie che vi siano forze potenti che obbligano lo scienziato a prendere atto di un rivoluzionamento particolare rispetto alle altre epoche. Per questo, in riunioni passate, avevamo preso come uno dei punti di riferimento possibili il libro di Leroi-Gourhan Il gesto e la parola. In questo testo, nel secondo volume, al culmine della interessante trattazione sulla trasformazione secondo invarianti nelle forme fisiologiche fino all'espressione dell’umanità dell’uomo attraverso la conquista dello spazio esteriore con il prolungamento dei sensi e della forza, troviamo alcuni passi sulle manifestazioni comunicative che stanno alla base dell'esistenza e, poi, del funzionamento della complessa macchina sociale e materiale umana. Qui l'autore non può fare a meno di occuparsi di informazione, e cioè di come si trasmettono i dati che stanno alla base della conoscenza umana e che permettono alla enormemente complessa macchina produttiva e riproduttiva di funzionare. Da questo punto in poi dobbiamo parlare espressamente di trasmissione dell'informazione non più da cervello biologico ad altro cervello, ma all'interno del cervello sociale.
Leroi-Gourhan, per quanto proiettato già oltre i luoghi comuni cari alla maggior parte degli scienziati, non usa termini "nostri", ovviamente; e si avvale ancora di tutta la terminologia evoluzionistica di tipo tradizionale, anche se sottolinea la contraddizione maggiore dell'evoluzione attuale dell'uomo, cioè la distanza enorme, l’abisso che si è formato fra l’evoluzione dell’individuo biologico, l'animale, e l’evoluzione del suo essere sociale. L'evoluzione del cervello non avviene più all'interno della scatola cranica ma si proietta all'esterno; non utilizza più l'accrescimento di cellule e di relazioni fra le stesse bensì l'accrescimento di relazioni fra uomini e fra cose fabbricate da uomini, in un sistema intelligente, paragonabile al cervello ma estremamente più esteso ed articolato. L'intero sistema è ormai da tempo altra cosa che non la somma delle sue parti.
Necessità della memoria di specie
Nel testo citato troviamo un capitolo sulla trasmissione dell’informazione in quanto memoria accumulata. Ora, se si parla di accumulo, significa che occorre individuare delle capacità di memoria sempre maggiori. Una memoria che si accumula ha, di per sé, anche bisogno di un'espansione della potenzialità dell'hardware, per così dire. È vero che il cervello biologico si potenzia soprattutto con relazioni fra le sue cellule elementari, ma ciò ha un limite nel numero di cellule e nel volume che occupano. La memoria della specie contiene molto di più di quanto contenga quella dell'individuo, e gli individui non possono trasmettere per via biologica tutto ciò che memorizzano. Questo aspetto non va sottovalutato: la trasmissione per via biologica della memoria, sia genetica che sociale, presuppone accoppiamento, riproduzione, allevamento della prole, insegnamento-apprendimento, esperienza, tutte cose che possono essere risolte da un elementare rapporto fra individui all'interno del nucleo sociale primordiale rappresentato dalla famiglia. La trasmissione per via sociale avviene invece in una rete molto più complessa che comprende non solo gruppi isolati di individui, ma strutture stabili da essi formate, e chi trasmette può farlo contemporaneamente nei confronti di milioni di suoi simili, oppure depositando i dati da qualche parte (biblioteca) e così permettendo l'accesso alla memoria in tempi e spazi differiti.
Seguendo questo filo è naturale domandarsi come possa espandersi la capacità di memoria dell'uomo se il cervello biologico non si espande. È chiaro a questo punto che la parola "uomo" assume il significato di specie e che la memoria non solo diventa un fatto sovra-individuale, nel senso che appartiene a più individui, ma che essa nel corso dell'evoluzione si stacca dagli individui stessi per diventare qualcosa di completamente nuovo rispetto al serbatoio cerebrale o alla capacità collettiva di registrazione e trasmissione.
Il cervello umano in evoluzione si è espanso in termini di centimetri cubi e probabilmente di complessità. Ma se le relazioni sociali progrediscono, poniamo, in modo geometrico, cioè con una progressione visibile e misurabile in pochi decenni, e recentemente anche in anni, l’evoluzione biologica invece progredisce secondo epoche rapportabili alle migliaia, centinaia di migliaia di anni. Eppure la specie ha memorizzato le sue conoscenze e la sua storia, nonostante la massa del nostro cervello equivalga pressappoco a quella dell'uomo di Neanderthal. Come è possibile risolvere la contraddizione?
L'umanità non ha avuto bisogno, fortunatamente, di portare il cervello singolo a un volume di mezzo metro cubo: attraverso lo sviluppo sociale (produzione e riproduzione della specie) la memoria si è evoluta uscendo dalla scatola cranica degli individui biologici e fissandosi in un complesso di oggetti e relazioni. Ogni essere vivente si sviluppa in base alla memoria genetica impressa nelle cellule riproduttive e vive in base alla memoria epigenetica individuale, che gli permette di adattarsi e affrontare le specifiche condizioni ambientali. I mammiferi, che rappresentano il massimo livello nella scala evolutiva dal punto di vista della memoria epigenetica, sono in grado di accumulare esperienza individuale e di memorizzarla, ma questa esperienza scompare con la morte del soggetto. Affinché essa possa fondersi con la memoria della specie occorrono tempi biologici di evoluzione, e non è neppur chiaro attraverso quale meccanismo le conoscenze basilari diventino innate o se si possano definire tali. Una generazione, comunque, non è sufficiente; e ciò mostra la fusione dell'individuo con la specie per quanto riguarda il mondo animale.
L'uomo rappresenta apparentemente l'unica eccezione a questa regola, per cui di norma si esalta la funzione dell'individuo mettendo in secondo piano la specie. Ma ciò è del tutto arbitrario. È proprio nell'uomo che si esalta invece la funzione di specie nel momento stesso in cui l'individuo sembra essere divenuto l'elemento essenziale della società e del "pensiero". Nella scala evolutiva umana, molto presto azioni ed esperienze individuali diventano relazioni memorizzabili e trasmissibili col mondo circostante, compreso l’altro uomo. L'informazione viene fissata e trasmessa già durante la vita dell'individuo e non soltanto agli individui circostanti (famiglia, clan) ma ad un numero qualsiasi di individui, per di più indifferentemente dalle distanze nello spazio; l'attività dell'individuo si fonde più che mai nell'attività e nell'esperienza collettiva di specie. L’esperienza di ogni individuo non svanisce più con la sua morte e non occorre più aspettare un lunghissimo periodo evolutivo affinché essa si fissi nell'istinto. Perciò il processo di esteriorizzazione della memoria è un tutt'uno con la perdita d'importanza dell'individuo a favore della potenza della specie. O meglio: l'individuo della società umana assume caratteri molto più differenziati dal punto di vista della conoscenza e dell'azione, ma gli effetti della differenziazione vanno a vantaggio dell'evoluzione molto più che nel regno animale, dove la differenza è recepita soprattutto a vantaggio del buon risultato riproduttivo; nel processo riproduttivo umano la differenza è un fattore di informazione supplementare a vantaggio della specie non solo dal punto di vista sessuale-biologico.
Tale processo, essendo legato alla possibilità di trasmettere l’esperienza da parte di un individuo, necessita della presenza di un altro individuo in grado di ricevere un'esperienza che non ha (differenza); devono esistere almeno due individui in grado di capirsi (oltre che riprodursi), che abbiano entrambi esperienze diverse ma condivisibili, dunque un linguaggio comune, un'attività produttiva in cui si manifestino e vengano utilizzate queste qualità, un fine da raggiungere collettivamente. Insomma, un'esperienza sociale, che è esperienza di specie. Se nell'animale occorrono almeno due individui di sesso diverso per rappresentare la specie (cosa che di per sé elimina alla radice il concetto idealistico di individuo), nell'uomo occorrono invece migliaia e migliaia di individui differenziati che, presi isolatamente, cioè sradicati dalla memoria e conoscenza collettiva, rappresentano ancora meno di un animale scompagnato.
Il capitalismo rende l'individuo schizofrenico perché gli inculca il culto di sé stesso mentre lo massifica in quanto appendice del mondo delle merci. Non per nulla il sogno attuale dell'americano che ne ha le scatole piene del capitalismo è l'isolamento nella foresta o nel deserto, ma con la casa tecnologica che prende energia dal sole e il computer che gli permette di navigare con Internet, cioè di non morire in quanto essere sociale. L'isolamento con la tecnologia e l'informazione è un nonsenso, dato che tecnologia e informazione sono fatti esclusivamente sociali. Ogni gesto individuale, ogni esperienza individuale non è altro che relazione col mondo circostante (compreso l’altro uomo) e quindi informazione che, alla fine, va a fondersi nel gesto e nella esperienza collettiva. Ecco che perciò l’esperienza di ogni uomo non può più svanire e morire con la morte dell’individuo.
Linguaggio e scrittura
Tutta l’opera di Marx è lo studio delle relazioni fra gli uomini all’interno dell’economia politica, cioè della produzione e riproduzione della specie che, con il sistema capitalistico raggiunge il massimo storico di efficienza tecnica. Questo sistema racchiude in sé la memoria di sistemi precedenti, è in grado di svilupparla, trasformarla e ritrasmetterla. Nel corso dei millenni, la nostra specie ha sviluppato gli strumenti adatti allo scopo. L'evoluzione del linguaggio, per esempio, ha permesso la trasmissione orale attraverso procedimenti mnemonici cerebrali più sofisticati, mentre la progressiva introduzione della scrittura ha permesso la trasmissione di informazione attraverso procedimenti mnemonici più razionali e più efficienti, depositati e codificati al di fuori dell'individuo, ha permesso la distribuzione delle conoscenze a più individui anche distanti nel tempo e nello spazio. Linguaggio e scrittura, però, non potevano evolversi senza la produzione materiale. Il lavoro dell'uomo, l'utensile utilizzato, il prodotto che ne scaturisce tramite l'uso del linguaggio che lega tutti questi elementi, rappresentano la tecnica di una certa epoca. Ogni tecnica è memoria collettiva e lo stesso utensile elementare, l'oggetto più ergonomico che ci sia, non è altro che esteriorizzazione della vita umana in un oggetto inerte, il tramite fra il cervello sociale, l'energia biologica locale e la produzione per altri.
Le prime forme di tecnica mnemonica sono antichissime. In Cecoslovacchia fu trovato un osso risalente a 30.000 anni fa con inciso un non troppo primitivo sistema di conto: 55 tacche divise in due gruppi da 30 e 25, ulteriormente divisi in sottogruppi di 5. I reperti archeologici e gli strati in cui essi vengono trovati sono la prova di una memoria: il materiale "inorganico organizzato" è il lascito descrivibile dell'uomo che interagisce con la natura producendo manufatti, modificandola.
Nelle società primitive, fino all'introduzione della scrittura vera e propria (non l'invenzione, come dicono alcuni, dato che dalle tacche dell'osso ricordato alla scrittura alfabetica vi sono innumerevoli passaggi legati alla maturità sociale), il patrimonio di conoscenze di un gruppo sociale veniva trasmesso oralmente. Il linguaggio, l'epica, il mito, tramandavano l'unità del gruppo, erano la sua memoria, ne rappresentavano le caratteristiche specifiche. Questo tipo di trasmissione durò più di quanto non si creda abitualmente, dato che, fino al tardo Rinascimento e oltre, le corporazioni di arti e mestieri trasmettevano le tecniche ai garzoni senza che nulla venisse scritto.
Ma non erano possibili connessioni tra le varie tecniche, e quindi tra le diverse conoscenze memorizzate. Ciascuna rimaneva indipendente, e l'unione fra le conoscenze era raggiunta sporadicamente soltanto tramite le rare aggregazioni degli individui che univano la bottega e continuavano trasmettendo in modo lineare, come prima, cioè come nel ciclo biologico, di cui la società sembra finora essere la copia. In questo senso, nella corporazione locale vi era coesione tra individui come nella famiglia vi è coesione parentale, e comunque il sistema artigiano tendeva alla suddivisione piuttosto che all'unione (a Parigi, nel XIII secolo, su 15.000 cittadini censiti e tassabili vi erano ben 5.000 artigiani iscritti a 300 professioni).
La trasmissione tramite scrittura si afferma, inizialmente, con un'estensione delle tacche dell'osso ricordato più sopra, e i primi caratteri sono in genere utilizzati per inventari o per movimenti di oggetti, animali, uomini, e per il conteggio del tempo. Si sente cioè la necessità di memorizzare dati attraverso l'uso di metodi che li fissino sulla materia e non solo nella mente. Una storia o un mito memorizzati si possono ripetere senza alcuna variazione, così come si ripetono i gesti per costruire un'amigdala di selce o un propulsore d'osso. Ma la memorizzazione di scorte, uomini o concetti variabili nel tempo in quantità e qualità, richiede una tecnica mnemonica comune e soprattutto un supporto fisso, riconoscibile da tutti e da tutti producibile. L'aedo omerico poteva conoscere a memoria diversi poemi e trasmetterli con mirabile coesione, ma non avrebbe potuto memorizzare l'andamento di attività sociali in cui oggetti e uomini cambiano continuamente. Per questo la "contabilità" nacque prima della "letteratura". E prima ancora di quest'ultima sono servite tecniche scritturali per fissare codici, leggi, miti, ingegnosi sistemi numerali, e soprattutto storia; per memorizzare, insomma, tutto ciò che costituisce il cuore dell'organizzazione sociale. Lo sviluppo completo della scrittura, questa vera e propria protesi mnemonica, si avrà con l'alfabeto, che permetterà una facile e infinita composizione di testi e quindi la saggistica e la letteratura. Polemizzando con Erodoto, Tucidide tiene a precisare: "Forse l'assenza del favoloso renderà la narrazione meno piacevole all'uditorio; ma chi vorrà conoscere chiaramente la realtà dei fatti accaduti e di quelli identici o simili che potranno accadere conformemente alla natura dell'uomo, mi basterà che la giudichi utile. La mia storia è un possesso perenne, non uno spettacolo per l'uditorio del momento" (La guerra del Peloponneso, I, 22).
Sappiamo che invece la storia è un possesso transitorio delle classi che la scrivono e che sarà riscritta fino a che non scompariranno le classi. Ma lo sviluppo dello strumento scrittura permette comunque di trasmettere alle generazioni future una gran quantità di conoscenza indipendentemente dalla presenza dell'individuo che trasmette. Con l'invenzione della stampa è possibile la moltiplicazione illimitata del veicolo di trasmissione della memoria. Due o tre secoli dopo l'umanità conosce un vero e proprio salto qualitativo: nel '700 si raggiunge il culmine nel recupero della memoria della specie. In nessun'altra epoca della storia umana una quantità simile di conoscenza accumulata nei millenni viene in poco tempo messa a disposizione su larga scala. Vengono stampati tutti i testi tramandatici dall'antichità, vengono tradotte nelle lingue principali tutte le conoscenze accumulate, la letteratura, la scienza, la geografia, la filosofia, il diritto, le arti. La memoria sociale si adegua al bisogno della produzione sociale che esplode insieme con gli indici demografici. La razionalizzazione qualitativa della classificazione e della ricerca si compie mentre procede la produzione quantitativa, attraverso procedimenti riguardanti la struttura degli scritti, cioè con l'introduzione di rimandi, la compilazione di dizionari che confrontano lingue diverse, la raccolta di scritti con indici tematici e così via. La razionalizzazione del sapere di un'epoca intera è ottenuta, infine, attraverso l’universalizzazione dell'enciclopedia, che riassume in sé strumenti mnemonici diversi.
Memorie di macchine ed enciclopedie
Le enciclopedie in genere portano ad un grande balzo in avanti per quanto riguarda la memoria collettiva. La grande enciclopedia di Diderot e D'Alembert è formata da una serie di manuali di per sé esaustivi e conglobati in un dizionario le cui voci, grazie all'organicità del tutto, sono in relazione, e nel loro insieme sono già sapere collettivo consegnato ad uno strumento sociale. Uno strumento che compendia non soltanto sapere scritto (l'enciclopedia illuminista era già interdisciplinare, come si direbbe oggi), ma che diviene, com'è stato notato, artiglieria potente contro l'Ancien Régime.
A quell’epoca l’arte della documentazione si era evoluta parallelamente all'arte dell’animazione meccanica, che solo più tardi fu applicata nell'industria. Questo fatto è importantissimo perché ci permette di fare un parallelo - ardito, ma noi siamo temerari - tra la tecnica di memorizzazione documentaria, attraverso la stampa, e la tecnica di memorizzazione del movimento meccanico. Macchine automatiche erano conosciute anche nell'antichità (Qin Shiuangdi, l'imperatore della Grande Muraglia e dell'esercito di terracotta, amava particolarmente gli automi), ma solo nel '700, grazie alla generalizzazione dell'utilizzo di un movimento memorizzato nella materia - legno, bronzo o acciaio che fosse - l'automa meccanico poté raggiungere una perfezione tale da permettere un'evoluzione rapida dello strumento. L'organetto memorizza le note di un motivo tramite pioli che fanno vibrare lamine predisposte: il suono è dato dalla macchina e non da chi fa girare la manovella, esso è memorizzato nella materia inerte. La musica sarà sempre la stessa indipendentemente dal manovratore, essa non è più nella testa di costui ma nella macchina fuori di lui.
L'efficienza più alta raggiunta nella fabbricazione degli automi prima della cibernetica è dunque l’animazione degli organi mediante camme; esse possono essere molte e mosse tutte insieme, di modo che ognuna stabilisce un movimento che è conservato per ogni organo in una memoria. In quest'ultima, che si tratti dell'Encyclopédie o dell'automa, ciascuna parola-ingranaggio-camma isolata contiene una parte della memoria totale. Fra l’arma-produzione di Vaucanson e l’arma-programma di Diderot, che nascevano nello stesso periodo e con gli stessi presupposti sociali, vi è la stessa relazione che esiste fra il computer e il contenuto della sua memoria.
Con l'animazione mediante una camma si ottiene la ripetizione infinita di un determinato movimento, con la moltiplicazione delle camme un'animazione complessa. Il movimento immaginato dall'uomo è così memorizzato e trasferito in un oggetto in grado di riprodurlo al di fuori dell'uomo e senza di lui.
L'enciclopedia è costituita anch'essa da una memoria parcellare, alfabetica invece che meccanica, organizzata in gerarchie stratificate e complesse. Ciascun elemento isolato (le lettere dell'alfabeto) rappresenta una parte della memoria totale, ma la somma di venti o trenta lettere sempre uguali dà luogo ad un tutto che non si può per nulla paragonare ai suoi componenti. Dà luogo infatti a un'infinita serie di combinazioni che serve a rappresentare una conoscenza virtualmente senza limiti. Chiunque osservi il meccanismo dell’automa settecentesco o antico può facilmente rendersi conto che esso contiene qualcosa di universale: un collo d'oca, un profilo di camma, un manovellismo che riproduce movimento memorizzato in qualche modo. La macchina tessitrice, quella da cucire, il ricordato organetto, le calcolatrici meccaniche, i torni automatici e una gran parte degli aggeggi meccanici esistenti funzionano ancora oggi sullo stesso principio. Un principio elementare, che è stato una grandissima scoperta per l’umanità.
La camma è una struttura solidale ad un albero rotante. Essa memorizza nella sua forma periferica una determinata operazione utilizzando la trasformazione del moto circolare in moto rettilineo. Tutti i possessori di automobile dovrebbero sapere che intorno all'esplosione del carburante nella camera di combustione vi è una serie di "servizi" affidati a meccanismi simili a quelli dei vecchi automi (trasformazione del moto rettilineo alternato dei pistoni in moto rotatorio, poi nuovamente in moto rettilineo alternato nella chiusura e apertura delle valvole, nel funzionamento della pompa di benzina, nell'apertura e chiusura del sistema spinterogeno).
Con una serie di camme possiamo ottenere una memorizzazione più complessa e possiamo anche chiamare ciò con il nome più roboante di "programma". Il programma classico di una lavatrice o di una macchina ricamatrice è dato da un semplice pacchetto di camme. Questi programmi producevano gli stessi risultati più tardi ottenuti tramite lo sviluppo dei computer applicati alla produzione. A questo particolare strumento elettronico si è finito per attribuire erroneamente l'esclusiva capacità di memorizzare dati. Ma, come abbiamo visto, un qualsiasi organetto memorizza la musica e le calcolatrici meccaniche avevano notevoli capacità di memoria, sfruttabile per operazioni complesse.
Nel '700 Leibniz ne costruì una. Nei secoli successivi, i "pacchi" di meccanismi messi in serie o in parallelo fornirono più potenza al calcolo meccanico, fino ad arrivare alle calcolatrici meccaniche programmabili, già preconizzate nel secolo scorso e poi costruite in questo. Adam Smith intuì per primo che la suddivisione del lavoro manifatturiero in tante operazioni elementari (i "pacchi") avrebbe recato, in breve tempo, formidabili incrementi di produttività. La Riche de Prony applicò questa intuizione al lavoro intellettuale: chiamato dal Governo francese a compilare tavole logaritmiche e trigonometriche con 14, 19 e 25 decimali, egli pensò bene di ripartire le lunghe e complicate operazioni di calcolo fra più collaboratori (altri "pacchi"), ottenendo così velocemente e con minimo sforzo parcellare il risultato voluto. Meditando la fruttuosa soluzione di La Riche de Prony, Charles Babbage, verso la metà del secolo scorso, pensò di fabbricare una macchina per realizzare le tavole, dato che gli uomini commettevano troppi errori. Il progetto si ampliò fino al disegno particolareggiato di una potente macchina universale da calcolo, ma non fu portato a termine a causa dei costi estremamente alti e della precisione necessaria, non ottenibile con le tecnologie dell'epoca.
In piena rivoluzione industriale, quando progetti più grandiosi anche se meno sofisticati trovavano capitale in abbondanza, non bastò il patrimonio personale del progettista né il finanziamento della Royal Society per portare a termine il prototipo della "macchina analitica".
La macchina di Babbage anticipava, come logica funzionale, i calcolatori elettronici. La memoria era realizzata nella forma e nella posizione dei singoli pezzi, mentre la velocità doveva essere fornita dalla moltiplicazione degli stessi. Il principio consistente nell'eseguire operazioni matematiche semplici e rapide con meccanismi agenti contemporaneamente in parallelo (ancora "pacchi") rimase valido e inalterato fino alle calcolatrici in uso ancora pochi anni fa. Mentre avveniva il passaggio dalla meccanica all'elettronica furono costruite macchine calcolatrici senza avvenire, come la Logos della Olivetti; era un monumento all'ingegnosità e alla precisione meccanica di serie, aveva una notevole dotazione di memoria, ma fu sconfitta.
Genesi dell'automa da produzione
Queste macchine erano dunque l'estensione degli automi antichi e settecenteschi, che non erano semplicemente fantocci che si muovevano per il divertimento delle signore, bensì avanguardie della produzione capitalistica che stava diventando sistema di macchine. La filosofia meccanicista cartesiana concepiva i corpi biologici come macchine perfette e Vaucanson divenne famoso per la sua trasposizione del moto complesso in uomini e animali. Costruì infatti anche un'anatra mobile con più di mille pezzi. Ma questo inventore, a differenza degli antichi costruttori di macchine "filosofiche", ebbe subito un riconoscimento ufficiale e fu nominato ispettore generale delle manifatture della seta, dove riorganizzò la produzione secondo nuovi criteri. Soprattutto applicò le sue conoscenze nell'invenzione di un nuovo telaio per la tessitura delle stoffe operate, sul principio del tamburo forato, il quale non è altro che una camma complessa. Poco più tardi Jacquard sfruttò l'idea trasformando il tamburo in un cingolo di cartoni forati, primo vero esempio di programma memorizzato nella materia.
Già all'inizio dell'800 abbiamo dunque un complesso sistema produttivo e sociale, dotato di memoria storica collettiva (biblioteche) e di memoria operativa (enciclopedia, automi, nastri perforati), intorno al quale incomincia a muoversi un apparato sempre più esteso per lo sfruttamento dell'energia naturale, termica, umana, sociale, una rete fatta di strade, di fabbriche, di ferrovie, di navi, di telegrafi. Su questa rete si fonda il capitalismo pienamente sviluppato, quello che passa dalla sussunzione formale del lavoro al Capitale, alla sussunzione reale.
L'unico modo per noi di definire il cosiddetto progresso non è l'intossicazione da civiltà, ma la potenziale liberazione dell'uomo dalla sua schiavitù, l'aumento della potenza sociale del lavoro. Si capisce che questo processo, che nei millenni non segue l'evoluzione biologica ma quella sociale, e perciò schizza fuori dalla scatola cranica dell’individuo ponendolo come non mai in subordine alla specie, è un fenomeno completamente diverso da quello che invece sta alla base della società delle api, delle formiche o delle termiti o anche dei castori che sono mammiferi sociali abbastanza evoluti.
La stampa, l’Enciclopedia e il successivo "cervello elettronico" non rappresentano il passaggio storico dal cervello di un individuo a quello di più individui, e nemmeno una generalizzazione dell'individuo tramite le sue cellule, come succede nell'alveare: il passaggio millenario al potente cervello collettivo attuale della specie uomo è il frutto di un salto qualitativo antico. Il mondo globalizzato di oggi non è tanto una realizzazione "nuova" dovuta a tecnologie specifiche, come affermano alcune correnti scientifiche attuali, quanto lo sviluppo inarrestabile del cervello di specie che, dal primo strumento fabbricato in società ad oggi, non fa che utilizzare strumenti sempre più potenti e complessi.
Oggi come non mai vi è perfetta continuità nell’uso, da parte dell'ultima classe dominante, quella borghese, della potenzialità crescente del lavoro sociale e quindi della memoria sociale. Il computer e tutto quel che gli sta intorno, in quanto frutto dell'accumulazione storica del patrimonio economico, scientifico e culturale della società, ha contenuto di classe, determinato dalle stesse esigenze dell'organizzazione capitalistica: quantificazione, automazione, controllo, dominio. Tuttavia rafforza talmente la memoria sociale da rappresentare già un embrione di potenziale rottura dei limiti capitalistici, se non altro per il fatto che accelera tutti i processi in atto (contabilità, produzione, borse, calcolo scientifico ecc.).
Mentre nel mondo animale non vi è altro che la somma di movimenti automatici dettati dall'istinto, cioè da un piano di specie registrato nel patrimonio genetico e ben poco integrato dall'apprendimento, la società umana è il risultato di informazioni memorizzate, messe in relazione tra di loro in un insieme complesso, e utilizzate per riprodurre oggetti, sistemi, relazioni e rapporti sociali secondo un modello, un progetto. Questo tipo di memoria fa esplodere la capacità di apprendimento; non è più un fenomeno biologico che necessita di milioni di anni per dare risultati, ma un fenomeno sociale che può cambiare un uomo (e quindi tutti gli uomini) in una piccola frazione della sua vita. Mentre la mutazione genetica che sta alla base dell'evoluzione biologica necessita della trasmissione sessuale dei caratteri e della loro diffusione attraverso lo stesso processo per generazioni e generazioni, la memoria sociale è riproducibile e trasmissibile a milioni di uomini contemporaneamente e non c'è bisogno di coppie, famiglie e tribù per tramandarla di generazione in generazione.
L'apprendimento si fonde con l'insegnamento, la memoria individuale si fonde con quella collettiva, la rete neuronica nella testa del singolo si fonde con la rete collettiva che si avvale dei manufatti e delle comunicazioni che avvolgono il Globo. L'informazione diffusa e la rete di relazioni che essa crea incomincia faticosamente a riprodurre la stessa rete neuronica prima ancora che l'uomo sappia esattamente che cosa questa sia. La memoria dell’uomo, diventata un tutt'uno con l'intelligenza collettiva, collega anche il passato col presente ed entrambi col futuro: il passato le fornisce il patrimonio accumulato, il presente lo elabora, e questa capacità di riprodurre in modo elaborato rovescia la prassi della natura, la quale procede per prova ed errore, mentre la caratteristica dell'uomo è procedere secondo un progetto.
È con l'uomo che il mondo entra nella storia. Certamente anche gli altri esseri viventi hanno una storia, ma è solo con l'uomo che essa incomincia ad abbandonare il terreno spontaneo e a percorrere quello del controllo (o della volontà, secondo gli idealisti). Anche se finora esiste una colossale sproporzione fra il mondo della spontaneità "naturale" e quello che corrisponde a scopi prestabiliti, come scrive Engels, esiste tuttavia una parte dell'attività umana che corrisponde già ad un progetto più o meno coerente con gli scopi.
Strutture emergenti del nuovo
Progetto vuol dire applicazione di volontà per ottenere un risultato conosciuto in anticipo, significa dunque previsione di quel futuro risultato. È ciò che in campo sociale abbiamo chiamato rovesciamento della prassi. L'uomo capitalistico riesce a rovesciare la prassi nella sua produzione di merci, ma non riesce a farlo nella sua vita sociale. Vediamo la crosta terrestre ricoprirsi, oltre che di paccottiglia da consumo, anche di opere ingegnose che fanno parte di sistemi complessi, ma questi ultimi sono immersi a loro volta in un sistema generale intrinsecamente anarchico, caotico e incontrollabile, la cui conoscenza viene perciò affrontata con metodo non scientifico. In tal modo il sistema si rivela non solo ormai inutile ma anche dannoso per l'armonia della vita di specie. Darwin, dice ancora Engels, descrisse inconsapevolmente con amara ironia la condizione umana capitalistica; altro che attività umana: la libera concorrenza, la lotta per l'esistenza, la sopravvivenza del più adatto, l'equilibrio della giungla, cioè tutte le categorie che gli economisti esaltano come il prodotto eccelso della civiltà capitalistica, non sono altro che la condizione specifica del regno animale.
Il riformismo vorrebbe, da sempre, intervenire per cambiare lo stato di cose con la pretesa di riuscire a rovesciare la prassi e rendere il mondo "migliore". Ma tutto quel che può raggiungere è il cambiamento dell'operatore all'organetto, il quale potrà dare una velocità più o meno regolare alla manovella, ma non potrà mai cambiare musica se non cambia lo strumento. Nei primi anni '60 Nenni disse che i socialisti dovevano partecipare al governo per contare qualcosa, per entrare nella sala comando del sistema. È tipico del riformismo non capire che dietro il "quadro dei bottoni" c'è un cablaggio già fatto, secondo un progetto già definito per ottenere certi risultati. Premendo i bottoni succederà quello per cui il sistema è costruito: esso ha memorizzato, per così dire, tutte le sue funzioni in una struttura definita, forse più complessa ma della stessa natura di quella dell'organetto o della camma che fa muovere l'automa. Le funzioni sono implicite nella forma del meccanismo, per cui occorre cambiare il meccanismo per ottenere qualcosa di diverso.
Il cambiamento già apportato dalla rivoluzione delle forze produttive, cambiamento già in corso e che già rappresenta una delle strutture della prossima società, è molto più profondo di un semplice avvicendarsi di meccanismi specifici, adatti cioè a funzioni diverse. Nella società nuova esploderà l'intelligenza sociale che fa dei vari meccanismi un unico meccanismo articolato, in grado di auto-apprendere, di migliorarsi e di stabilire sempre nuove connessioni fra gli elementi che compongono il tutto. Questa intelligenza non deve essere creata, c'è già nel mondo capitalistico così com'è, così come si è trasformato raggiungendo la sua massima maturità. Solo ora, molto tempo dopo Marx, alcuni scienziati incominciano a rendersi conto della vanità dell'ipotesi riformista in un sistema complesso come l'economia di mercato. Non si tratta più di ri-formare la vecchia forma, ma di liberare la nuova che nasce sulla base della capacità di auto-organizzazione del sistema. Nel caos di questo sistema incominciano ed emergere strutture appartenenti ad un nuovo ordine; esse sfuggono al controllo degli organi specifici di questo modo di produzione e ormai non gli corrispondono più. Queste strutture, come la produzione sociale, si imprimono nella memoria collettiva e avranno il potere di muovere realmente gli uomini ad azioni conseguenti. Ne deduciamo che la stessa memoria collettiva non può non influire anche sui singoli che, per ora senza saperlo, incominciano a ragionare e a muoversi secondo categorie comunistiche. Nella nenniana sala comando i vecchi cablaggi non corrispondono più al nuovo meccanismo che si forma dietro al pannello; gli uomini premono i bottoni ma non succede niente e la macchina va per conto suo. Fino a quando dall'insieme delle forze sociali non scaturirà una coscienza collettiva (e qui entriamo direttamente nel campo della teoria comunista del partito).
Per approfondire il tema della capacità di autoregolazione e, nel passo successivo, di auto-apprendimento del sistema, torniamo un momento al meccanismo più semplice che ci sia, la nostra camma, tenendo presente che quel che diciamo a proposito di essa vale per svariati altri meccanismi. Abbiamo visto che cambiando la camma, cioè il profilo che memorizza un'azione, cambia il risultato, cioè il tipo di azione voluta. È possibile impacchettare meccanicamente memorie diverse e ottenere risultati voluti più complessi, come un ricamo o la combinazione ordito-trama di un tessuto pregevole. È possibile applicare il movimento al tutto tramite una macchina a vapore. Se infine aggiungiamo una valvola di Watt, che saggiando la quantità di moto regola la quantità di vapore per mantenere costante l'energia del sistema, ecco che abbiamo una macchina cibernetica con un accenno d'intelligenza. Primitiva quanto si vuole, ma già della natura di quella preconizzata nel '700 da Diderot per il suo clavicembalo che potrebbe suonare da solo e che, in linea teorica, potrebbe ad un certo punto auto-riprodursi in tanti clavicembalini.
Siamo al livello della meccanica semplice tipica degli albori della rivoluzione industriale e già abbiamo la rappresentazione di un sistema auto-regolato secondo parametri di controllo voluti, cosa che il capitalismo, nel suo arco storico pluricentenario, non è riuscito a ottenere per quanto riguarda la società. L'assunto di Marx sulla contraddizione fra lo sviluppo delle forze produttive e il modo di produzione che ne diventa una catena è già pienamente visibile in una arcaica fabbrica di primo '800.
Lo sfruttamento dell’energia del carbone e dell'acqua tramite la produzione di vapore sarebbe stata problematica senza le leve e i pistoni dei greci e i meccanismi degli automi settecenteschi, ma la regolazione dell'energia tramite un meccanismo di retroazione spinse il sistema intero verso forme di intelligenza per la prima volta di origine non animale. L'energia tende a sprigionarsi in modo incontrollato e selvaggio, il fuoco può spegnersi, le caldaie possono scoppiare, gli alberi ruotare troppo veloci e gripparsi o sfasciare le macchine. L'autocontrollo del sistema secondo parametri progettati in anticipo e imposti senza il bisogno della presenza umana rappresenta un salto nel comportamento dell'intera produzione di specie, racchiude gli elementi della tecnica più moderna, il potenziale d'espansione della memoria collettiva. È una vera rivoluzione, e non è ancora finita. Abbiamo la dimostrazione pratica che le leggi della natura dominano ancora l’uomo capitalista inchiodandolo a un modo di produzione antistorico, ma soprattutto abbiamo la dimostrazione pratica che l’uomo potrà dominare le leggi della natura invertendo la prassi naturale e armonizzando la sua esistenza, la sua produzione e riproduzione con la natura stessa. Nelle caratteristiche specifiche del capitalismo maturo c'è già tutta la potenzialità della società futura.
Dal libro al computer
Ci siamo sempre interessati agli sviluppi della tecnologia moderna, che superano l'elementare rapporto uomo-macchina nell'officina e coinvolgono la società nel suo insieme, e nei nostri lavori abbiamo più volte accennato all'importanza dello sviluppo di moderne tecniche produttive, e soprattutto di quella rete di relazioni all'interno della società rappresentata dalla moneta elettronica, dalle telecomunicazioni sempre più sviluppate, da quella vera e propria rete neuronica che è Internet. Fummo alquanto criticati come scopritori di cose senza importanza, quindi come sostenitori di tesi un po' esoteriche. Ciò è molto curioso. Esoterico è chi si occupa di argomenti riservati a pochi eletti, mentre noi ci eravamo occupati di cose che il mondo intero utilizza ormai normalmente.
Non siamo per nulla d'accordo con chi dice che questi aspetti non sono importanti e addirittura neppure interessanti. Il fatto che la borghesia sia schizofrenica sull'argomento, cioè non ne parli affatto limitandosi ad usare i nuovi strumenti, oppure, al contrario, ne parli in toni messianici attraverso guru più o meno improvvisati o pasdaran informatici più o meno aggressivi, non ci influenza minimamente. Il nostro obiettivo è quello di sondare nella società attuale e scovare tutte le sue potenzialità, considerando con particolare attenzione quelle già imposte dalle forze emergenti della società futura. Una delle manifestazioni materiali, assolutamente legata al fatto che, come diceva Lenin, l'imperialismo è capitalismo di transizione, è l'auto-organizzazione della società secondo strutture dettate dalla socializzazione sempre maggiore del lavoro e dalla smaterializzazione spinta dell'apparato produttivo, che richiede sempre meno acciaio, fabbriche, capannoni, fonderie, grandi macchine utensili ecc.
La struttura mondiale della comunicazione, della conservazione dei dati in memorie estese, della loro elaborazione in tempo reale o differito, la stessa scomparsa del tempo e dello spazio nella comunicazione diretta fra uomini, tutto ciò fa parte della maturazione di quel cervello collettivo che - come abbiamo già detto - la società di domani troverà già pronto per quel balzo paragonabile a quello compiuto dall'umanità nel passaggio dalla raccolta in natura alla produzione di cibo e manufatti.
Del resto le tecniche nuove non fanno che rispondere a un'esigenza sempre sentita, e così facendo espandono le vecchie possibilità oltre la soglia del cambiamento quantità-qualità, com'era per esempio successo nel passaggio dall'ideogramma o geroglifico alla più potente e versatile scrittura alfabetica. Sempre di scrittura si trattava, ma nello stesso tempo di qualcosa di ben più articolato e complesso. Non è un paradosso il fatto che la complessità organizzata sia foriera di cose semplici e che con una trentina di segni si possa descrivere lo scibile universale.
Il libro, mezzo di comunicazione che, nel corso del '700, adotta tutti gli strumenti mnemonici possibili legati al linguaggio, riassumendo per intero la storia della scrittura, è la base su cui si innesca il processo successivo. Indici, paragrafi numerati con rimandi ipertestuali, note, postille a margine, introduzioni, dediche significative per il momento storico, riassunti in apertura di capitolo, bibliografie che collegano ad altri libri, ecc., sono già una struttura complessa di conoscenza, il supporto materiale di un pensiero e di una memoria andati ben oltre il loro contenitore naturale.
La struttura di un moderno programma per computer appare agli utilizzatori come un insieme trasformato delle stesse esigenze sentite dagli utilizzatori di libri. Ma anche all'interno del programma, addirittura nel computer stesso e, al suo esterno, nei computer collegati in rete e interagenti con gli operatori, si riproduce un rapporto molto simile a quello uomini-libri-uomini. Il tentativo che faremo è quello di dimostrare che le nuove relazioni sviluppate tramite le nuove tecnologie sono invarianti, per certi aspetti, rispetto a quelle di un tempo, ma, contemporaneamente, fanno fare un salto di qualità al complesso della comunicazione e della memoria collettiva.
Il materiale documentario classico, cioè quello stampato, è rimasto sostanzialmente invariato da due secoli, e la biblioteca non è cambiata di molto, se si prescinde dalle sovrastrutture, oggi informatizzate. Ma si tratta di un cambiamento significativo che non è lecito ignorare. Anche nella biblioteca tradizionale la spinta evolutiva si proietta all'esterno, la memoria esce dal libro e si costituisce in sistema complesso fra libri, regolato da leggi dinamiche. L'informatizzazione di una biblioteca moderna (almeno a livello potenziale, perché ci sono problemi di costi a volte insuperabili per il capitalismo) comporta non solo gli schedari, gli indici, la suddivisione per materie ecc., ma anche e soprattutto l'unificazione dei singoli testi con il tutto, tramite collegamenti ipertestuali attraverso cui non si compie soltanto una ricerca passiva, cioè non si cerca soltanto ciò che già sappiamo di cercare, ma si impara mentre si ricerca, ovvero si aggiunge informazione nuova rispetto a quella che avevamo e che cercavamo soltanto di ampliare. Non si trovano dunque solo i singoli libri, anche se catalogati sotto temi coerenti, ma si trovano - fra libri e temi, fra libri e libri, fra temi e temi - relazioni che simulano il comportamento del cervello umano.
Non poteva che essere così. La memoria collettiva ha raggiunto una quantità di conoscenza accumulata tale che è ormai impensabile pretendere da un cervello singolo, o anche da gruppi di cervelli isolati, la capacità di recepire non diciamo il contenuto di tutte le biblioteche, ma anche soltanto quello di un particolare ramo di conoscenza in esse depositato. Questo significa che la conoscenza è memorizzata, una volta per sempre, al di fuori degli uomini che l'hanno prodotta.
Il capitalismo non riesce a far tesoro di questa conoscenza. Testi antichi dimenticati in depositi inadatti vanno irrimediabilmente perduti. A volte ci si accorge dell'esistenza di immensi patrimoni di conoscenza dopo alluvioni, incendi o terremoti, quando vengono distrutti per sempre. Testi moderni con importanti contributi possono passare inosservati perché nessuno è in grado di seguire centinaia di migliaia di lavori scientifici pubblicati ogni anno. Eppure, nonostante ciò, la conoscenza stampata sul cervello di carta, così memorizzata e messa in relazione nel cervello-biblioteca tramite semplici quanto ingegnosi ritrovati, si sta riorganizzando da sé tramite l'adozione delle nuove tecniche. Diciamo da sé a ragion veduta perché, come nel mondo dei computer milioni di appassionati prestano il loro lavoro gratuito per lo sviluppo dei programmi che poi le case di software vendono con profitti pazzeschi, così nel cervello sociale anonimi cultori scavano riportando alla luce tesori perduti, li traducono e li pubblicano a loro spese, li mettono a disposizione su Internet.
La corteccia cerebrale esteriore
Si trovano capitali a valanghe per qualche minuto di pubblicità idiota, ma non si trovano fondi per salvaguardare la memoria della specie. Così, mentre i mostri di organizzazione voluti dagli Stati non funzionano mai, come la fantascientifica biblioteca mitterandiana di Parigi, o hanno problemi di gigantismo, come la biblioteca del Congresso di Washington, il sottosuolo materiale fondato dalle forze produttive lavora, e la memoria spontanea dà segni di auto-organizzazione, registra, copia, entra in modo piratesco nei templi superprotetti del Capitale, beffa i copyright e i segreti, produce programmi che non vedranno mai il mercato. La conoscenza inerte racchiusa nel libro collettivo dell'umanità si è dinamizzata con strumenti che, rendendo possibile la consultazione di un testo indipendentemente dal luogo in cui si trova rendono nello stesso tempo obsolete le immense raccolte dove un incendio o una catastrofe potrebbe distruggere tutto in una volta sola.
La memoria collettiva informatizzata è l'embrione di più alte potenzialità. Si potrebbe accedere ad essa da schermi moltiplicati a piacere, e distribuiti dove si vuole; il contenuto di una certa branca del sapere, indicizzata, catalogata, riassunta, collegata, riferita con un click agli originali e ad altri infiniti testi con cui dialoga, diverrebbe immediatamente disponibile. Questa rete è già costituita da nodi suscettibili di espansione ed elaborazione virtualmente infiniti, per cui è possibile ogni costruzione e ricostruzione di percorsi documentari interattivi. Il mezzo ingloba in modo del tutto naturale gli antichi strumenti come indici, cataloghi, rimandi; potenzia al massimo quelli relativamente nuovi come le schede (introdotte di recente, all'inizio secolo), li sfrutta al meglio mettendo il tutto in relazione, e così facendo rappresenta una vera e propria corteccia cerebrale "esteriorizzata" dell'uomo, per quanto ancora rudimentale e in via di evoluzione. Rudimentale, perché la vera corteccia è ben più complessa di quella in nuce nella società umana in marcia verso la propria liberazione dal regno della necessità. Se indici, schedari e biblioteche sono memorie in ogni senso, non hanno però la capacità di memorizzare in proprio, accolgono solo e sempre ciò che l'uomo immette. Ora, si potrebbe obiettare che, siccome siamo ben lontani dalla realizzazione di un'intelligenza artificiale, questo tipo di cervello collettivo sarà sempre il riflesso della società in cui l'uomo vive, cioè nel nostro caso la società capitalistica. Perciò addio cervello sociale come anticipazione della società futura.
Ciò è vero, ma non saremmo comunisti se non ci interessassimo alle potenzialità del fenomeno. Dato che ci stiamo occupando del cervello sociale, e dato che partiamo dal presupposto che la nuova società non sarà il frutto di creazione divina ma la conseguenza di forze accumulate nella vecchia, dobbiamo indagare intorno al fenomeno dell'unione fra l'uomo capitalistico e le forme anticipate di questa società futura.
Nel patrimonio cui ci colleghiamo vi sono già delle indicazioni sufficienti per definire il campo di ricerca, non bisogna far altro che enuclearle e riprenderne il tema:
1) Nella fabbrica non vi è produzione di merci scambiabili con equivalenti; il passaggio da una fase all'altra avviene secondo le esigenze del piano di produzione, il controllo del processo è ottenuto con il conteggio dei pezzi fisici e non è contabilità in valore; il prodotto non diviene merce se non dopo essere immesso sul mercato e vi è quindi un enorme settore della società potenzialmente sottratto alle leggi del valore (perciò a quelle del capitalismo).
2) Il maturare del capitalismo rende superfluo il capitalista, sostituito nelle sue originarie funzioni da funzionari stipendiati; a questo punto, una volta dimostrato che l'esigenza del Capitale è quella di riprodurre sé stesso attraverso la socializzazione della produzione, e non di arricchire il capitalista, rimane dimostrata "la non esistenza potenziale del capitalismo".
3) Il perdurare del capitalismo produce un immenso sciupìo del lavoro sociale, che non sarebbe per nulla ridotto dalla mera distribuzione a tutti del profitto capitalistico; la forza produttiva sociale sarebbe già sufficiente, a questo stadio del suo sviluppo, per risolvere tutti i problemi (immediati e non) dell'umanità, quindi questa società sopravvive a causa della sola questione politica del potere e non di compiti ancora da svolgere.
4) Detto questo, all'interno di questa società così com'è devono esistere elementi già corrispondenti alle caratteristiche della società futura, altrimenti ogni azione per farla saltare sarebbe donchisciottesca.
Questa situazione, peraltro appena abbozzata con affermazioni che altre volte abbiamo supportato e sviluppato, e che saranno affrontate in modo approfondito in altra sede, non può non produrre anche gli strumenti necessari al buon funzionamento della società futura, cioè un'anticipazione di quel cervello sociale che sarà, con l'estinzione dello Stato, delle classi e dei partiti che le rappresentano, il partito dell'umanità di domani.
Einstein, Marx e il cervello sociale
Anche se la fabbricazione di macchine intelligenti è ancora lontana, il problema non riguarda una semplice curiosità da rotocalco. Non si tratta infatti di ipotizzare una macchina specifica che abbia proprietà definibili secondo parametri di intelligenza umana, si tratta invece di stabilire se l'intelligenza è prerogativa di un individuo o di una macchina oppure se può esistere un sistema fatto di individui e macchine interagenti che possa essere definito intelligente.
Essendo questo un problema che investe l'evoluzione della nostra specie e della sua intelligenza, negare da questo punto di vista l'esistenza di un cervello sociale equivale a negare che l'australopiteco si possa essere evoluto nelle successive forme e intelligenze. Equivale a negare che il cantore omerico senza scrittura possa essersi evoluto in un Tucidide.
È quindi tempo che l'individuo si rassegni al fatto che la sua intelligenza biologica parcellare è superata, almeno da quando l'uomo è diventato un animale sociale attraverso la produzione necessaria alla propria riproduzione. E il suo cervello "privato" deve subire il confronto con quello collettivo di specie, così come la sua mano subisce senza tante storie il confronto con la forza di un caterpillar da cinquanta tonnellate, o la sua andatura a piedi con la velocità un jet. Siamo talmente abituati a pensare che il cervello sia la causa del successo della nostra specie, che dimentichiamo la vera sequenza dei fatti: il cervello si è evoluto dopo che l'uomo ha completato il suo scheletro e il suo corpo dal punto di vista anatomico attuale e ha adottato la posizione eretta. Soprattutto dopo che ha imparato a vivere e riprodursi attraverso il lavoro sociale, per quanto rudimentale fosse ai primordi. Infatti solo in epoche relativamente recenti il cervello si è modificato in complessità, parallelamente alla generalizzata fabbricazione di utensili, all'uso del fuoco, allo sviluppo delle tecniche di caccia con armi perfezionate come la fionda, il propulsore, l'arco o il boomerang, che erano già macchine per proiettare lontano da sé la propria azione, quindi, in un certo senso, l'intelligenza. È il lavoro che ha fatto il cervello, ed è il lavoro sociale che fa in continuazione il cervello sociale.
È qui che si dimostra come l'uomo, ancora legato ad un modo di comportarsi che è tipico delle società naturali, perdurando il capitalismo è un vero fossile vivente. Ha già prodotto il cervello sociale, lo adopera per la produzione al fine di accrescere capitale, lo vede e lo analizza nei suoi studi, ma non è in grado di utilizzarlo a vantaggio della specie e della sua armonia con la natura; e non lo sarebbe mai se non subentrasse una nuova società in grado di sconvolgerne il modo di pensare e le idee forgiati dall'ideologia della classe dominante nell'epoca della completa sussunzione del lavoro (cioè della vita dell'uomo) al Capitale.
Il cervello individuale, con la sua corteccia e i suoi neuroni, è certamente un organo meraviglioso, ma è ormai insufficiente, come sono insufficienti ormai la mano, il dente, l'occhio, lo stesso linguaggio. Il definitivo distacco dal regno della necessità per entrare in quello della libertà presuppone la difesa di questa libertà, per non regredire, come succedeva alle antiche civiltà. Il distacco e il passaggio non sarebbero possibili se non si fosse sviluppato il cervello sociale. D'altra parte, se l'uomo rimanesse tale e quale è oggi, senza sviluppare una diversa società che gli permetta di utilizzare fino in fondo i benefici del cervello sociale, quest'ultimo prenderebbe fatalmente il sopravvento come nei romanzi di fantascienza. Marx alla sua epoca registrava la schiavitù dell'uomo accresciuta dalla macchina capitalistica, ma si trattava di una schiavitù formale, di un accresciuto sfruttamento. Oggi la schiavitù è completa, reale, perché l'uomo è completamente integrato nel ciclo e non vi si può sottrarre, produttivo o mantenuto che sia, operaio o capitalista, oppure anche membro di una classe non specificamente capitalistica, come il contadino parcellare. Il fatto che oggi la psichiatria sia costretta a occuparsi di rapporti patologici uomo-società-macchina è un indizio significativo di questa peggiore schiavitù, dato che l'uomo è "liberato" sul serio, e definitivamente, dal lavoro a causa della macchina; e infatti è tagliato fuori dal ciclo produttivo in quanto disoccupato od occupato fittizio, mero granello nel mucchio della sovrappopolazione relativa. La potenza esteriorizzata dell'uomo si è evoluta, e se la società non cambia, le macchine in quanto sistema segnerebbero la fine della specie biologicamente intesa, molto prima che i clavicembali di Diderot siano in grado di riprodursi da soli.
Ci sono prove formidabili del fatto che il cervello sociale è in funzione e produce risultati. Abbiamo citato Vaucanson, Jacquard, Watt. Potremmo citare ancora altri grandi inventori e scienziati, ma solo fino ad un certo punto nella storia, grosso modo fino a quando anche Lenin non scrive che il lavoro sociale si è ormai impadronito del mondo. Da quel punto in poi l'individuo perde definitivamente la sua funzione, anche in quanto strumento di conoscenza concentrata altrui. Rimane il lavoro legato alla produzione sociale, nella ricerca, nell'invenzione, nel progresso tecnologico, sempre più anonimo e legato all'industria. Dopo la prima guerra mondiale non c'è più scienza che non sia frutto del cervello collettivo. L'esempio più notevole è quello di Einstein, ma non è l'unico: egli raccoglie i frutti della fisica e della matematica degli anni precedenti la sua epoca, e in un certo senso, come Marx, raggiunge i più alti risultati non già scoprendo qualcosa ma operando le corrette relazioni fra cose che altri avevano scoperto prima di lui.
Il partito, organo di classe e di specie
Nessuno per esempio ha "inventato" il computer. Esso è il risultato di intuizioni sorte parallelamente in America, in Inghilterra e in Russia, poi applicate alla ricerca in campo militare. Nessuno ha la paternità dei suoi sviluppi successivi, del software, dei primi rudimentali sistemi operativi. Nessuno può far valere per sé il successo per la primogenitura di "invenzioni" particolari, dato che la materia in questione scaturiva direttamente dal lavoro collettivo di migliaia di uomini e che ogni realizzazione parziale era immediatamente fatta propria da altrettante migliaia. Né i precursori della logica che sta alla base dei computer, né gli inventori del microchip, né i primi realizzatori di Internet sono noti al grande pubblico e, tra l'altro, non si sono arricchiti.
L'evoluzione della macchina e dei suoi programmi è avvenuta per lo più al di fuori degli uffici-progetti, ed è il risultato di milioni di ore lavorative gratuite, di giochi, di una passione che ad un certo punto ha investito una quantità enorme di anonimi cultori coinvolti nella tecnologia dell'informazione all'esterno da ogni ciclo produttivo specifico. Per la prima volta nella storia del capitalismo, e in modo massiccio, lo spontaneo dispiegarsi della ricerca collettiva sulla base di cellule sociali individuali sparse nello spazio ma collegate da un intento comune, ha preceduto la mercificazione dei risultati tecnici e conoscitivi di cui l'industria si è poi impadronita esaltando la ricerca specifica e investendo capitali. La stessa IBM, capostipite nella produzione di grossi computer, capì ad esempio molto tardi, si può dire per ultima, la potenzialità del computer "personale" e lo stesso aggettivo dimostra quanto ancora si fosse lontani dall'immaginare l'esplosivo diffondersi di questa strana macchina che simula assai malamente processi mentali e in quanto ad intelligenza è inferiore a un'ameba. D'altra parte il computer "personale" è diventato molto presto un non-senso nell'epoca della massima socializzazione e della telecomunicazione veloce: probabilmente il futuro di questo mezzo in piena evoluzione consisterà in una semplice protesi dei sensi umani in grado di connettersi con la rete universale di una conoscenza dinamica, senza che vi sia bisogno di hardware e software "personali".
È anche interessante notare come questo genuino prodotto del cervello sociale sia del tutto sotto-utilizzato in una società che tutto sommato non sa ancora cosa farsene. Oggi i bambini giocano con computer molto più potenti di quelli che resero possibili i viaggi spaziali e la maggior parte degli utenti non li usa per processi più complicati dello scrivere una lettera ogni tanto o, ultimamente, per far quattro chiacchiere tramite Internet.
Il significato dello sviluppo delle relazioni in un mondo sempre più integrato, tra le quali spicca la rete informatica con le sue altissime potenzialità, merita un attento esame proprio a partire dalle sue premesse produttive e sociali, perché il discorso sull'allargamento della rete neuronica del cervello sociale, discorso che dovremo sviluppare, è strettamente collegato alla funzione primaria del partito rivoluzionario e allo sviluppo della sua organizzazione. Questo partito non va inteso soltanto come un'organizzazione specifica che diriga la lotta contro le organizzazioni delle classi avverse, ma come l'organo politico dell'ultima classe rivoluzionaria della storia, quella che avrà il compito di mettere fine alla successione delle società classiste. Terminato il suo compito, il partito rivoluzionario si estinguerà, come si estinguerà lo Stato di classe. A meno di non considerare "partito" il futuro specifico organo che prenderà forma sulla base di un'intelligenza sociale nel frattempo maturata e che avrà il compito di armonizzare finalmente l'uomo con la natura di cui fa parte. È in questo senso che il partito non muore mai: esso si tramanda nel tempo secondo invarianti e trasformazioni, rappresentando sempre una memoria collettiva, prima della classe, poi della specie.
Letture consigliate
- Karl Marx - Friedrich Engels, L'ideologia tedesca, cap. I "Feuerbach". Opere Complete, Editori Riuniti, vol. V (sul superamento della "frase" nell'indagine sui fenomeni e sul comunismo come movimento reale e non come ideale).
- Karl Marx, Grundrisse, Einaudi, vol. I pag. 91 (sugli attuali rapporti già adeguati alla società futura).
- Karl Marx, Il Capitale, Libro I, cap. XIII, "Macchine e grande industria, 1. Sviluppo del macchinismo". Utet, pag. 501 (sull'importanza dello sviluppo della rete di comunicazioni e dell'automa globale rappresentato dal sistema di macchine).
- Sinistra Comunista, Riconoscere il comunismo, ed. Quaderni Internazionalisti (sulla morte della filosofia e sulla necessità di intendere il comunismo come anticipazione della società futura attraverso il partito organico).
- Denis Diderot, Il sogno di D'Alembert, Sellerio (una potente anticipazione di temi sul superamento dell'individuo e sullo sviluppo delle relazioni universali; un testo utilizzato da Lenin in Materialismo ed empiriocriticismo).
- André Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola, Einaudi (sull'evoluzione dell'uomo attraverso lo sviluppo materiale di una memoria e di un'intelligenza esteriore, cioè sociale, rispetto all'organismo dell'individuo biologico).