New economy, il futuro del capitalismo globale
Le nuove tecnologie che permettono al mondo capitalistico di produrre a livelli altissimi di sofisticazione tecnica e organizzativa, di essere intimamente connesso in tutte le sue componenti economiche, sociali, scientifiche, ecc., cozzano contro tutto un mondo che non solo è duro a morire, ma viene continuamente alimentato proprio dallo sviluppo moderno. Si tratta della morte e resurrezione continua dello sfruttamento assoluto, quello che deriva dall'abbassamento delle condizioni di vita e dall'innalzamento del tempo di lavoro.
Negli ultimi vent'anni negli Stati Uniti il valore prodotto mediamente da ogni abitante (neonati, pensionati e improduttivi compresi) è cresciuto del 36% in termini reali, ma il salario dei proletari è diminuito del 14%. Le solite statistiche rivelano che il quinto più ricco delle famiglie americane ha un reddito annuale medio di 137.000 dollari, mentre il quinto più povero arriva a 13.000, cioè dieci volte di meno. Ma i più poveri, secondo le statistiche americane, non sono tutti quelli considerati tali: per essere classificati in quella fascia, occorre che il reddito non superi i 15.000 dollari pro capite, il che fa già una bella differenza, e porta gli indigenti americani ufficiali alla bella cifra di 75 milioni.
Il problema non è di tipo morale e la dizione "ricchi" o "poveri" è di tipo sociologico e quindi va presa con le molle, dato che possono essere poveri anche i gangster di una banda caduta in disgrazia e ricchi i loro concorrenti.
Ad ogni modo il presidente Clinton ci ha fatto sapere a più riprese che l'economia americana tira, che vi sarà addirittura il problema di come spendere il surplus di bilancio e che del risultato beneficiano tutte le classi, tant'è vero che nel periodo del suo mandato sono stati creati finora un milione e mezzo di nuovi posti di lavoro all'anno. A parte il fatto che verrebbe da chiedersi come mai sei o sette anni fa ci fossero dieci milioni di disoccupati in più di oggi, occorre credere al presidente, perché il fenomeno non è per nulla strabiliante.
In primo luogo, il tasso di occupazione americano, cioè la percentuale degli occupati nella popolazione fra i 16 e i 65 anni, dal 1989 al 1998 è rimasto praticamente invariato, passando dal 63 al 64%; quindi l'aumento dei posti di lavoro è un dato assoluto e non un rapporto, mentre la diminuzione della disoccupazione deriva dal fatto che la fascia al livello di sussistenza, quella che beneficiava di sussidi, è costretta a fare qualsiasi cosa per sopravvivere. Inoltre, quasi nello stesso periodo, vi è stata un'immigrazione netta di 2 milioni di persone l'anno, che è andata ad ingrossare il numero degli addetti nei settori più disagiati e peggio pagati.
Infatti il Ministero del Lavoro americano, che è molto efficiente e ha un sito Internet come tutte le istituzioni di quel paese, censisce più del 50% della crescita clintoniana nei settori che richiedono più bassa istruzione, e sappiamo quali possano essere, in tutti i paesi del mondo.
I settori dove prolificano questi "nuovi posti" di lavoro hanno praticamente eliminato la possibilità di svolgere vita sindacale, per cui il grado di sindacalizzazione dell'intero settore privato è sceso dal 34% del 1954 al 10% di oggi. Se il lavoro in generale non è tutelato, quello delle donne è ancor più soggetto ad arbitrio: dal 1952, gli Stati Uniti rifiutano di sottoscrivere la convenzione dell'Ufficio Internazionale del Lavoro sulla regolamentazione minima della maternità. La famiglia è sacra, e in America più che altrove, ma l'industria ha le sue esigenze e così appena il 2% delle donne americane che lavorano è tutelato da regole.
Ma è senza regole anche la condizione di malato, per cui il 40% della popolazione americana, non avendo copertura sanitaria, non può permettersi di ammalarsi, in un paese che spende per la "salute" esattamente il doppio di quanto spende l'Europa intera, un paese all'avanguardia delle tecniche chirurgiche e della farmacologia, dove però la vita media è di due anni inferiore alla nostra e la mortalità infantile è del 30% superiore; dove, col 4% della popolazione mondale, grazie al liberissimo mercato dei farmaci e della salute, si propina agli individui il 40% delle vendite farmaceutiche mondiali.
Non se la cava bene neppure il proletario anziano, il quale, magari dopo aver passato una vita a pagare assicurazioni di ogni tipo, va a far parte di quel 60% che giunge all'età della pensione senza copertura assicurativa, e deve continuare con un lavoro qualsiasi, dato che la facilità di licenziamento provvede ad eliminare dal ciclo produttivo chi, a causa di salute o altro, vede calare la propria efficienza lavorativa.
In una giungla del genere non ci si può stupire che la popolazione perda la testa e offra alle statistiche il più alto tasso mondiale di "criminalità", il cui nome più corretto sarebbe "reazione sistemica al sopravvivere di una società storicamente morta". Adesso si sparano tra di loro anche i bambini a scuola, mentre le varie dottrine della "tolleranza zero" riempiono le carceri con un numero di reclusi 10 volte superiore alla media europea. È logico che poi occorra privatizzare questo fenomeno quando, ergendosi a principio il liberismo, il solo sistema carcerario incomincia ad assorbire una buona fetta del bilancio pubblico e la cifra dimostra che si è superata la soglia critica tra "spesa pubblica e cuccagna privata". Anche perché, in epoca di bassi saggi di profitto, il Capitale è affamato di forza-lavoro semi-gratuita e di concessioni con il contributo statale (il capitalismo americano è statalista né più né meno che altrove). Mentre il problema non sussisteva nel 1970 con 200.000 carcerati, superati i 2.000.000 all'inizio di quest'anno, il business si manifesta in tutta la sua evidenza negli appalti per l'edilizia, le uniformi, l'armamento, le produzioni interne, l'alimentazione e naturalmente i milioni di parcelle avvocatizie.
Nel frattempo, dal 1960 ad oggi, nel solo settore economico della cosiddetta criminalità, sono morti ammazzati 1.000.000 di americani. Cifre da rammentare, con quella dei morti per altre cause sociali e quella - addirittura più bassa - dei morti per le guerre americane compresa quella mondiale, a tutti coloro che paventano la rivoluzione perché, non si sa mai, potrebbe essere violenta.
Questi che abbiamo osservato non sono che degli aspetti fenomenici del capitalismo e oltretutto una minima parte. Come sistema in quanto tale esso è ben di peggio, se si guarda non tanto al paese maggiore quanto al mondo nel suo complesso; soprattutto se si fa il confronto con quanto l'umanità ci rimetta a non balzare nella società nuova; ma ogni tanto è utile mettere in fila, senza moralismi inutili, qualche cifretta. Tanto per tener presente.
(Fonte dei dati: La Repubblica, Il Sole-24 Ore, Bureau of Labour Statistics)