"Le case che salvarono il mondo"
Così è intitolato un articolo di fondo dell'Economist. "Esse [le case] hanno protetto l'intera economia mondiale da una profonda recessione". Nel 2001, per esempio, gli Stati Uniti hanno avuto la più grave crisi industriale dagli anni '30, raggiungendo il minimo dei profitti e degli investimenti in settant'anni, col risultato di avere alcuni milioni di disoccupati in più. Inoltre, pur tenendo presente il massiccio recupero degli ultimi mesi, l'intero ammontare dei titoli in borsa è ancora del 25% inferiore a due anni fa e quasi tutti i 275 milioni di abitanti degli Stati Uniti possiedono titoli, direttamente o indirettamente. Nonostante ciò, i consumi degli americani sono mediamente saliti. Ma com'è possibile?
Semplice: i capitali "rimasti liberi nella società" si sono investiti nel classico mattone. Il prezzo medio di tutti gli immobili degli Stati Uniti è salito del 9% in termini reali in un anno. Ognuno può immaginare quale enorme cifra ciò rappresenti. L'Inghilterra segue da vicino. Lo stesso fenomeno, anche se in modo meno appariscente, è avvenuto in tutti gli altri paesi del mondo sviluppato tranne che in Germania e Giappone, dove i prezzi sono scesi. Un altro fatto interessante è che ovunque il rapporto medio fra reddito e spesa per la casa è aumentato negli ultimi vent'anni, tranne che negli Stati Uniti e in Inghilterra.
Dal nostro punto di vista il valore delle case è quello di prima, è solo aumentato il prezzo. Se vogliamo essere più precisi ancora: il valore di molte case, quando il costruttore e il proprietario l'abbiano già intascato lungo il periodo necessario a ricostituire il capitale anticipato più il profitto, è zero. Nonostante tutto, anche dopo secoli, l'immobile porta rendita nelle tasche del proprietario. E siccome la rendita e l'interesse rappresentano profitto levato al capitalista industriale, ecco che la salvezza del mondo appare subito come un qualcosa di assai contraddittorio.
Le borse mondiali avevano visto un gran tracollo dei prezzi che però, protratto nel tempo, non aveva causato lo stesso panico di un crack repentino. Aveva comunque cancellato e dirottato grandi masse di capitali. Quindi era stato cancellato e dirottato profitto, dato che anche il risparmio di un lavoratore, finché non viene consumato, non è salario ma capitale altrui. Per il capitalismo il guaio è che il profitto si converte facilmente in rendita; è un fatto normale, ma la rendita si converte in profitto soltanto come eccedenza del rentier, cioè quando questi andasse in banca a depositare il sovrappiù rispetto ai suoi consumi e la banca prestasse questo capitale a fini d'investimento. Comunque una parte del nuovo profitto andrebbe a pagare interesse alla banca la quale ne darebbe una parte al rentier e così via. Questo meccanismo è quello che porta Marx ad affermare: "Quanto maggiore è lo sviluppo della civiltà in un paese, tanto più gigantesco è il tributo che la società versa sotto forma di sovrapprofitti ai grandi proprietari". E naturalmente sappiamo che sovrapprofitto dei capitalisti vuol dire maggior plusvalore estratto dal lavoro dei proletari nelle loro aziende.
In ogni caso, la differenza fra il comportamento della rendita americana e inglese rispetto a quella tedesca e giapponese, ci dimostra uno degli assunti comunisti sulle radici dell'imperialismo e della lotta fra i paesi imperialisti: siccome la rendita è in ultima analisi plusvalore, con la globalizzazione del Capitale la guerra di concorrenza fra capitalisti che se lo ripartiscono si sposta sempre più dall'interno dei singoli paesi allo scenario internazionale. Naturalmente il prezzo degli immobili si tramuta in denaro soltanto nella compra-vendita e questa per la maggior parte dello stock immobiliare di un paese non avviene certo tutti i giorni. Ma dal punto di vista del valore non c'è proprio nessuna differenza fra il possedere denaro, titoli o immobili, perché in ogni caso c'è trasformazione in un diverso equivalente solo nello scambio e comunque il valore è garantito solo da una regola condivisa, sotto l'egida di un'autorità, cioè di una legge dello Stato.
Se il plusvalore internazionale che un tempo era in circolazione sotto forma di titoli si fissa ad un certo punto in immobili americani e inglesi invece che tedeschi e giapponesi, qualunque sia il meccanismo di ripartizione, significa che l'imperialismo anglosassone si è effettivamente impossessato di quote di plusvalore altrui, garantite dalla potenza dell'imperialismo maggiore.