Risultati del processo di produzione immediato
Nel VI Capitolo Inedito di Marx vi sono dei punti che riguardano la produttività del lavoro, la necessità di integrare i lavori differenziati dei singoli operai di fabbrica in un unico prodotto dell'operaio globale, e la possibilità di considerare l'intera produzione capitalistica non come insieme di merci discrete ma come una sola merce continua. Le implicazioni dell'intero processo di produzione immediato ci permettono di trattare unitariamente l'insieme del valore prodotto, per esempio in Italia, in un anno, quindi di utilizzare in modo coerente con la nostra teoria i dati forniti dalle statistiche sui prezzi. Infatti la loro somma globale è il valore, la cui rappresentazione può essere ottenuta con un qualsiasi segno convenzionale: ore di lavoro, unità a-dimensionali, denaro virtuale come equivalente generale, ecc.
Partendo dai caratteri continui della produzione e del valore, Marx definisce il complesso d'industria come mediazione storica, come transizione verso uno stadio sociale più evoluto. Quest'ultimo non sarà creato secondo un modello, come pretendono gli utopisti, ma è già contenuto come elemento comunista in nuce, all'interno della società capitalistica. La rivoluzione sarà liberazione positiva, pratica, di questo elemento esistente.
In uno dei tanti abbozzi dell'opera definitiva (Quaderno XVIII,1863), mai sistemata, Marx pone "la combinazione di plusvalore assoluto e relativo", cioè l'analisi del passaggio dalla dominazione formale alla dominazione reale del Capitale e i problemi legati al lavoro produttivo e improduttivo, nella posizione in cui doveva essere posto il VI Capitolo, eliminato e quindi rimasto, appunto, Inedito. L'eliminazione, dati gli argomenti, appare comprensibile non appena si tenga conto che uno sviluppo di quell'abbozzo si armonizza con la trattazione che, così come ci è pervenuta, rappresenta la conclusione (Terzo Libro). Marx annota nello schema originario: "Qui bisogna inserire anche il problema del rapporto tra processo di produzione e processo di distribuzione", e aggiunge il paragrafo: "Movimenti di riafflusso del denaro nel processo complessivo della produzione capitalistica". E proprio nelle ultime pagine del Terzo Libro, pagine molto dense, riassume il problema della ripartizione del valore nella società dei "redditi" e accenna all'approfondimento sulle classi.
Prima di sviluppare il significato della formula trinitaria: capitale-profitto, terra-rendita, lavoro-salario, che abbraccia tutti i segreti della produzione capitalistica, Marx compie un'operazione che, se si prescindesse dalla necessità del cambiamento sociale, risulterebbe del tutto inspiegabile. Nella triade sopra riportata sostituisce "capitale-profitto" con "capitale-interesse". Questo perché nella circolazione globale del capitale, che si valorizza sfruttando forza-lavoro, il profitto e l'interesse coincidono; perciò "il profitto, la forma del plusvalore che caratterizza specificamente il modo di produzione capitalistico, è felicemente eliminato". Rimane il capitale, che si valorizza in un ciclo produttivo diventando più capitale, rimane la terra, rimane il lavoro. Ma se è eliminato il capitalista, che è l'unico tramite per il profitto "felicemente eliminato", il Capitale anonimo e impersonale può eliminare anche il proprietario fondiario che intasca la rendita, la quale altro non è che sovrapprofitto tolto al capitalista. Spariscono due classi inutili, rimangono il Capitale e il proletariato. Questa è la potenzialità del capitalismo all'ultimo stadio.
Che cosa significa, in pratica tutto ciò? Possiamo da tutto questo dedurre qualcosa di utile nel descrivere il punto cui è arrivato il capitalismo come anticipazione pratica di una società libera dal bisogno? La potenzialità del capitalismo allo stadio supremo è evidente: rese superflue le classi proprietarie, anche se queste rimangono aggrappate alla storia con le unghie e con i denti, il confronto diretto fra Capitale e lavoro perde di contenuto, non ha più senso alcuno. Tolti di mezzo il capitalista, la concorrenza e la discretizzazione sociale (separazione, alienazione reciproca), l'operaio complessivo che produce la merce complessiva in un continuo spazio-temporale, in effetti non produce merce affatto. Il valore complessivo prodotto non è più denaro ma conteggio puro e semplice, il denaro diventa un tramite fittizio. Si tratta di un'operazione comune in matematica: in un tutto omogeneo non ha più importanza come chiamo l'unità di conto, "ora di lavoro", "tallero" o altro. Facendo astrazione dai rapporti sopravviventi, reali fin che si vuole, producenti fin che si vuole effetti disastrosi sull'intera umanità, ma ormai inutili, noi possiamo avere una visione chiara del futuro non capitalistico, senza denaro.
Se prendiamo l'esempio di Marx e trattiamo sia la produzione che il prodotto come un blocco unico sulla base dei dati ufficiali, vediamo che in un paese come l'Italia tutto il valore prodotto in un anno – circa 2 milioni di miliardi – è frutto del lavoro di 10 milioni di proletari, per un tempo di lavoro complessivo pari a circa 20 miliardi di ore. Detratti 400.000 miliardi di lire per i salari, il plusvalore complessivo è di 1.600.000 miliardi di lire (o "talleri" ecc.). Questo significa che l'operaio globale, formato da 10 milioni di "corpi", assorbe soltanto il 20% del valore complessivo prodotto, mentre il resto della società si divide il restante 80%. Naturalmente i numeri che abbiamo utilizzato per quantificare il lavoro "produttivo" sono adottati con l'occhio all'operaio globale di Marx, considerando come un tutto unico l'operaio propriamente detto, il direttore, il guardiano, il progettista, ecc.
Tre milioni di famiglie proletarie assorbono valore per il 20%, mentre 12 milioni di famiglie non proletarie assorbono il restante 80%. Ciò conduce all'assurdo che ogni famiglia proletaria avrebbe un'entrata pari a quella di ogni altra famiglia, mentre sappiamo che questa media democratica è del tutto ingannatrice. In realtà il 20% più agiato della popolazione italiana spende in consumi il quadruplo rispetto al 20% più disagiato, e l'operaio complessivo, consumando per definizione tutto il suo "reddito", spende solo un quinto dell'intero valore prodotto, pur rappresentando la metà della popolazione occupata. Come si vede siamo di fronte a una massiccia redistribuzione del plusvalore a formare reddito, quella che Marx chiama "movimento di riafflusso del denaro". Se dovessimo calcolare una distribuzione "equa", del tipo di quella criticata da Marx a proposito del programma di Gotha, troveremmo come risultato una distribuzione media di circa 140 milioni a famiglia e due ore di lavoro al giorno per ogni persona in età di lavoro.
Certo non può essere così limitato l'obiettivo della rivoluzione. L'eliminazione del capitalismo non significherà affatto migliore redistribuzione ma pieno superamento della società del valore. Non si produrranno più merci inutili e saranno eliminati interi rami economici o comunque utili in qualche modo a questa società, come il sistema bancario, la magistratura, la polizia, l'esercito, il trasporto individuale ecc. Sarà ulteriormente abbattuto il tempo di lavoro che serve all'umanità per vivere. Tutti daranno il loro contributo alla produzione fino a che vita, lavoro, produzione e riproduzione della specie saranno la stessa cosa, per cui aumenterà enormemente il rendimento metabolico dell'organo sociale fatto non di individui alienati ma di cellule vive, parti armonicamente legate al tutto.