Massimo di entropia
"Il problema di Marx lo possiamo definire come la ricerca del grado di sciupìo di ciascuna forma sociale. Noi non guardiamo alla ricchezza sciupata; e tanto meno all'oro o agli altri tremolanti suoi simboli, ma al lavoro umano, al grado di sacrifizio e di tormento che alla specie umana – e alla sua parte attiva avanti tutto – arreca la produzione di una certa massa di consumi, e dei suoi propri consumi" (PCInt. Scienza economica marxista come programma rivoluzionario, 1959).
La grande dissipazione
Nell'articolo che precede, abbiamo tentato di evidenziare il potenziale energetico catturabile già oggi rispetto a quello che ci viene inviato dal Sole, senza far ricorso a fonti esauribili. Il calcolo esatto è impossibile con i dati a disposizione, ma l'ordine di grandezza della potenza installabile è più che sufficiente per affermare con tutta sicurezza che l'impedimento vero non sta nelle tecnologie, o comunque nei modi escogitati per ricavare energia alternativa, ma nell'immane dissipazione capitalistica.
È quantificabile questa dissipazione? E rispetto a cosa? Nel Primo Libro del Capitale Marx individua la forma basilare della dissipazione di classe: dato un certo saggio di sfruttamento (rapporto fra plusvalore e salario), è automaticamente dato anche il grado di spreco sociale: il capitalista è solo un proprietario di capitale, ed è il presente modo di produzione che gli dà la facoltà di appropriarsi privatamente il frutto del lavoro sociale. Il capitalista è inutile, tant'è vero che nella società per azioni, egli è sostituito da funzionari stipendiati. Già a questo primo livello si dimostra che oltre un certo limite, dato dalla formula del saggio di profitto, non è possibile introdurre ulteriormente automatismi e perfezionamenti scientifici nel ciclo produttivo senza eliminare uomini che vi operano. Invece di liberare tempo di lavoro per trasformarlo in tempo di vita, il capitalismo schiavizza alla macchina chi il lavoro ce l'ha, e affama chi ne è necessariamente privo. Nel testo della nostra corrente Scienza economica marxista come programma rivoluzionario si indaga sulle diverse forme dello sciupìo sociale. Giunti al punto in cui si tratta del saggio di sfruttamento, che in Marx è tipicamente del 100% (cioè metà giornata lavorativa come lavoro necessario a riprodurre la forza-lavoro e metà come pluslavoro), si sottolinea che cosa significhi tale proporzione per la vita umana:
"Il primo momento della dottrina marxista conclude a questa prima condanna del mondo presente: grado di sciupìo di una metà".
Ma questa forma di dissipazione, dice il testo, è almeno intrinseca al processo produttivo. Ciò che succede a monte e a valle riguarda invece forme di spreco che nulla hanno a che fare con la produzione e sono deleterie persino per il capitalismo stesso. Che però non ne può fare a meno. Nella trasformazione da denaro in merce e poi da merce in denaro, altre fonti di passivo sociale evidenziano la follia attuale. Prima di passare all'equivalente energetico dello sciupìo sociale, facciamone un elenco traendolo dal testo citato:
1) Sciupìo nella produzione.
2) Sciupìo nella necessità di farsi anticipare capitale (immobilizzi).
3) Sciupìo nella circolazione propriamente detta (spese di circolazione).
4) Sciupìo nella contabilità a base di valore.
5) Sciupìo nel bisogno di moneta.
6) Sciupìo nella conservazione della moneta e delle merci.
7) Sciupìo nella circolazione nazionale e internazionale delle merci.
Come si vede, coerentemente con il fatto che a noi interessa soprattutto lo sciupìo di vita umana, la dissipazione energetica diretta non viene menzionata, ma è ovvio che un'attinenza c'è, e voce per voce possiamo rilevarla facilmente. Una produzione altamente razionale com'è quella dell'industria trova, non appena si affaccia sul mercato, la completa anarchia; le voci legate alle caratteristiche del capitale, del credito e del sistema bancario rappresentano un cumulo di lavoro enorme, banche, sportelli, impiegati, forzieri, apparati contabili, allarmi, guardie armate, ecc. Non è che energia sprecata. E moltissimi esempi sono possibili, come dicevamo nella prefazione alla ristampa (1992) del testo citato:
"Quanto 'costa' l'anarchia produttiva che disloca le singole unità aziendali dove più aggrada al singolo capitalista con il risultato di spostare freneticamente montagne di merci per migliaia di chilometri lungo strade, cieli, ferrovie? Quanto 'costa' la pratica di riempire i magazzini dei rivenditori intermedi con l'inevitabile deterioramento od obsolescenza delle merci? Quanto 'costa' sfornare ogni anno cinquanta di milioni di autoveicoli che se ne stanno inchiodati nei parcheggi per il 90% della loro esistenza, con il loro corollario di 250.000 morti all'anno nella corsa imbecille alla velocità cui si contrappongono intasamenti disumani? Quanto 'costa' un apparato medico e sanitario che prospera sulla malattia e la sofferenza, sulle quali fa giganteschi profitti che verrebbero a mancare se solo si lavorasse per evitarle?".
L'energia è un fattore di vitale importanza in ogni processo che comporti lavoro, trasformazione della materia, movimento, ecc.; è banale ricordarlo, ma l'energia se ne va in calore o in altre forme inutilizzabili nei modi meno immediatamente percepibili. Anche il rumore di fondo delle metropoli è energia dissipata, e lo è ancora di più se lo si smorza con espedienti costruttivi. Anche la sofferenza, fisica e psichica, è dissipazione di energia nella misura in cui richiede l'intervento per alleviarla. Nel calcolo per conoscere la dissipazione di energia non rientrano solo il mondo industriale, la miniera, il pozzo di petrolio, il tentativo di rubarla al Sole: c'è tutta la società.
L'umanità oggi dissipa in totale 500 ExaJoule (1 E-Joule = 1018 Joule), una quantità enorme di energia primaria, che per l'85% è ricavata da combustibili fossili. Questa dissipazione la sappiamo calcolare, quella umana non ha una unità di misura, il Joule non funziona. Però sappiamo che c'è una relazione: se il petrolio è caro e scarso, la Cina dovrà estrarre il suo miliardo e passa di tonnellate di carbone in miniere sempre più profonde e pericolose, migliaia di uomini moriranno per questo solo fatto tutti gli anni.
Il bilancio energetico è quindi estremamente ostico da calcolare in termini fisici, e impossibile in termini umani; ma la relazione che abbiamo visto esistere fra le due forme dello sciupìo ci permette di usare il primo criterio per ricavarne un'idea sul secondo. La figura 1 mostra lo schema del Modello Mondiale per l'Energia (World Energy Model), sulla base del quale la IEA (International Energy Agency) calcola una grandezza che abbiamo già incontrato nel secondo articolo di questo numero della rivista, l'EROEI (Energy Returned On Energy Invested), cioè il rendimento del sistema mondo per quanto riguarda l'energia disponibile rispetto a quella dissipata per procurarcela. Si tratta di un modello dinamico a molte interazioni, e quindi più complesso di quanto appaia; ma già a livello schematico si può facilmente comprendere quante "trappole per energia" vi siano sul percorso prima del suo utilizzo, e come molta dell'energia prodotta finisca infine nelle stesse trappole (i triangoli). Questa corsa a ostacoli contro la dissipazione non la si può eliminare del tutto, in nessuna società. Tuttavia una società che riuscisse a equilibrare i settori che nello schema compaiono alla fine della corsa, a destra, riuscirebbe a modificare favorevolmente il bilancio energetico totale. La voce "Settore industriale", ad esempio, potrebbe modificare le tecnologie di cattura dell'energia solare sotto le sue svariate forme, mentre gli altri settori potrebbero rivoluzionarne il consumo. La definizione di "Analisi energetica" alla quale è consacrato il modello, e che troviamo nell'articolo da cui abbiamo tratto lo schema, ci dà già l'idea di come possa essere utilizzato il modello stesso, e quindi anche il processo reale che esso rappresenta:
"È una tecnica per esaminare il modo in cui vengono sfruttate le fonti di energia per svolgere funzioni utili… La determinazione della quantità di energia primaria, diretta e indiretta, che viene dissipata nella produzione di un bene o servizio che viene consegnato al mercato" (A dynamic function for EROEI).
Nei Grundrisse Marx annota che prima dell'atto fatale, prima cioè che avvenga la "consegna al mercato", nel processo industriale non esiste produzione di merci, né perciò di valore. Ora, tale processo rimarrebbe il medesimo anche se scomparisse di colpo la società capitalistica; ma un conto è che esso sia asservito al mercato, un conto è che sia al servizio della specie (e dell'ambiente in cui essa vive). Una specie che sapesse progettare la propria vita in armonia con la biosfera, non baderebbe soltanto alla prima parte del percorso che porta al rapporto fra l'energia lorda di partenza e quella netta utilizzata, ma porrebbe la questione del valore d'uso dell'energia eliminandone il valore di scambio, cioè quella "frasetta" in cui vediamo condensata l'ideologia della dissipazione: "consegnare al mercato".
Come si vede, anche l'apparente trattazione scientifica nasconde l'interesse della classe dominante. Comunque sia, possiamo prendere spunto dalla massa enorme di dati raccolti dalle varie istituzioni, le quali ci fanno il piacere di alleggerirci il compito e di fornirceli condensati in comodi schemi. Uno di questi schemi, ricavato da decenni di rilievi sulla produzione di combustibili fossili (carbone e petrolio convenzionale), ci mostra che il rendimento energetico della fornitura di energia da queste fonti varia nel tempo secondo una curva che abbiamo già visto (secondo articolo). In figura 2 si nota una crescita storica esponenziale del rendimento, un punto di flesso, un rallentamento degli incrementi, un picco massimo e una continuazione della curva nel tempo con un andamento simmetrico.
La curva tracciata nel tempo dal bilancio energetico fra energia ottenuta ed energia dissipata per produrla da una certa fonte, è analoga a quella che tiene conto della massa materiale (tonnellate, barili) della stessa fonte presa in esame, è di nuovo una curva di Hubbert! Gli investimenti in infrastrutture, tecnologie ed energia per… ricavare energia, aumentano in modo esponenziale col solo risultato di ottenere una crescita lineare o addirittura negativa dell'energia ricavata. Come se non bastasse, l'ottenimento di energia dalle fonti fossili e anche rinnovabili è fortemente condizionata dalle nuove tecnologie. I dati su cui si basa la curva dimostrano che c'è un'interazione fra tecnologia e rendimento: la fame di energia stimola le nuove tecnologie, ma queste, proprio quando ce ne sarebbe più bisogno, diventano "mature", raggiungono il culmine della loro efficacia, non sono più in grado di progredire, come stanno dimostrando le tecniche di trivellazione, da anni bloccate intorno a una profondità limite di dieci chilometri.