Organismi e superorganismi
Edward O. Wilson, La conquista sociale della Terra, Cortina, 2013.
Con questa recensione non faremo un riassunto del libro ma esporremo cosa noi vi abbiamo letto tra le righe. Non è un caso che questo saggio abbia innescato uno dei soliti dibattiti fra scienziati suddivisi in fazioni entro le varie discipline. Invece di unire le forze per risolvere problemi, come detterebbe il buon senso oltre che l'approccio scientifico, gli "studiosi" (e se stessimo trattando discipline umanistiche sfotteremmo con "pensatori") si dedicano a questi tornei opinionistici costruiti sulle basi che via via si consolidano e divengono condivise.
Sappiamo che v'è disaccordo fra sostenitori dell'evoluzionismo darwiniano "duro", cioè rispettoso delle origini benché arricchite con le nuove scoperte in campo genetico, e sostenitori di un darwinismo più articolato, che ingloba le origini ma le modifica a volte radicalmente introducendo osservazioni, o addirittura vere e proprie teorie, sugli effetti della complessità ambientale e genetica. Wilson fa parte della seconda schiera. Essendo specialista di superorganismi formati da insiemi complessi di insetti, si chiede se non vi sia per caso (o per necessità) una qualche invarianza fra i due maggiori gruppi di conquistatori sociali della Terra, da una parte l'uomo, dall'altra api, termiti e formiche. La risposta che si dà è sì: non solo esiste un'invarianza, ma modelli di simulazione matematica dimostrano che la socialità, in questo caso eusocialità (socialità buona, che migliora sé stessa) è anche un prodotto/fattore di evoluzione. Attenzione, stiamo entrando sul nostro terreno.
L'evoluzione non sarebbe soltanto frutto di "caso e necessità" nella combinazione di fattori materiali come atomi, molecole, cellule e organi a contatto fra loro e con l'ambiente, ma anche di un qualcosa di impalpabile come l'organizzazione sociale, "l'informazione che informa" senza bisogno di passare dalla materia e si trasmette con il linguaggio. Peso atomico zero. Se è corretta questa lettura del libro, ci viene in mente Engels e il complesso rapporto mano-cervello che forma un sistema co-evolutivo e contribuisce allo sviluppo del linguaggio, come s'è poi constatato in paleoantropologia analizzando le aree del cervello nei crani fossili in rapporto alla produzione di manufatti scheggiati.
L'insetto sociale forma un superorganismo come prodotto automatico di azioni e reazioni fisiologiche, inscritte nel proprio programma genetico. L'uomo anche, ma in più ha la capacità di acquisire informazione, elaborarla e trasmetterla tramite linguaggio. L'informazione che l'ape riceve e trasmette sarà sempre la stessa per tempi compatibili con l'evoluzione biologica, mentre quella che riceve e trasmette l'uomo, essendo elaborata, si accumula, evolve in tempi molto più rapidi che non quelli darwiniani e si trasmette accresciuta, non solo da ascendenti a discendenti ma tra tutti gli appartenenti alla specie.
La socialità umana non sarebbe allora frutto di un semplice egoismo genetico per cui l'individuo, salvando gli altri, salva sé stesso (nel senso che salva il proprio patrimonio di geni differenziati). La forza evolutiva dell'uomo sarebbe invece dovuta da una parte a normale selezione darwiniana fra gli individui più adatti a proteggere sé stessi e il gruppo di appartenenza (nel senso di proteggere i geni di cui sono portatori), dall'altra a una selezione basata sulla più o meno perfezionata organizzazione sociale, i cui caratteri devono essere fissati da regole e difesi nel tempo. Tutto ciò ci sembra in linea con il nostro patrimonio teorico: se l'evoluzione sociale è più veloce di quella biologica (abbiamo utilizzato in questo senso gli studi di Leroi-Gourhan) è ovvio che la difesa del patrimonio genetico attraverso la sua trasmissione per via sessuale perde importanza rispetto alla sua difesa attraverso l'appartenenza alla società organizzata entro la quale si dispiega il rapporto fra i sessi.
L'evoluzione sociale rafforza il gruppo di appartenenza e questo succede in tutti i gruppi, per cui non tarda a presentarsi anche un'evoluzione dei rapporti fra gruppi. È chiaro infatti che la difesa della propria organizzazione e delle sue funzioni in quanto ricettacolo genetico raggiunge il suo apice di utilità nel momento in cui due gruppi umani si incontrano o si scontrano. In caso di contatto può verificarsi infatti una duplice possibilità: o l'incontro, cioè l'osmosi organizzativa con scambio di prodotti utili e anche di individui portatori genetici, oppure lo scontro, cioè il tentativo di impedire lo scambio organizzativo e quindi genetico. In ogni caso molto prima che avvenga lo scambio genetico avviene lo scambio organizzativo. Perciò, da quando l'incontro o lo scontro si manifesta per la prima volta, non solo prevale il processo di fissazione dei caratteri sociali su quello dei caratteri genetici, ma entrambi si amplificano. O nasce una rete di gruppi come unificazione di forze organizzate, oppure dette forze si scontrano producendo una selezione poco naturale come quella provocata dalla guerra. In ogni caso si ha evoluzione accelerata rispetto alle condizioni d'origine.
Abbiamo visto che i processi di formazione dei caratteri di un alveare e di un gruppo umano sono molto diversi tra loro; ma anche nel caso degli insetti i caratteri organizzativi prefissati codificano il comportamento sessuale, e da ciò ne discende anche il tipo di conservazione del patrimonio genetico. Da questo punto di vista è vero che gli insetti sociali e l'uomo sono cellule di un superorganismo con un supercervello. Solo che gli insetti ottengono ciò con movimenti automatici, parte dei quali formano il linguaggio per comunicare. Ma è poi così profonda la differenza fra l'uomo e gli insetti sociali? In fondo, a prescindere dal "libero arbitro" di cui ci crediamo dotati, l'insieme di miliardi di individui è come quello di miliardi di cellule che si muovono esattamente secondo medie determinate (altrimenti non esisterebbe la statistica). Un insieme altamente evoluto ma che finora non è stato in grado di progettare la propria esistenza, esattamente come quello degli insetti sociali.
A parte qualche scivolata idealistica o metafisica, l'autore riesce ad evitare agevolmente sia l'antropomorfizzazione degli insetti, sia l'insettizzazione degli umani. Soprattutto non attribuisce a questi ultimi anime, pensieri, coscienze o menti, qualità un tempo divine e oggi filtrate dalle ideologie tardo-illuministiche.
La formica innesta un processo automatico seguendo una pista di feromoni per andare da un luogo all'altro. L'uomo accende un navigatore che simula il processo automatico della formica per ottenere lo stesso risultato. L'uomo controlla il percorso con cinque sensi e un sacco di informazione memorizzata. Non sappiamo quanti sensi abbia una formica, ma di fatto la pista di feromoni e la mappa del navigatore sono il prodotto di processi sociali co-responsabili dell'evoluzione. Tale prodotto si fissa come carattere non-genetico dell'evoluzione stessa. La continuità sociale garantisce quella genetica. L'individuo può morire, il gruppo (la specie) resta. Adattamento e mutazioni genetiche si accompagnano così alla capacità acquisita di raccogliere informazione dal mondo e trasmetterla in forme sofisticate alle generazioni future con mezzi non genetici. Allora la parola "conquista" non si addice al fenomeno evolutivo: si tratta di ri-armonizzazione sociale della Terra.