In senso lato e in senso stretto
Questi appunti furono scritti nel 2009 come traccia per una riunione. L'apertura della nuova sede centrale di n+1 li rende attuali e ci sembra una buona occasione per pubblicarli. Il testo riprodotto è quasi invariato rispetto all'originale, abbiamo solamente tolto alcuni paragrafi di carattere contingente.
"[Centralismo]. La sostituzione dell'aggettivo organico a quello democratico non è motivata solo dalla maggiore esattezza di una immagine di tipo biologico rispetto alla sbiadita immagine di natura aritmetica, ma anche dalla esigenza solida e di lotta politica di liberarsi dalla nozione di democrazia " (Appunti per le tesi di organizzazione, 1964).
"La memoria digitale può essere residente in un luogo virtuale ovunque nel mondo e così la struttura di lavoro in rete. Invece la funzione oggi svolta da questo hotel, unita all'archivio cartaceo-digitale, alla costituenda biblioteca, all'apparato tecnico-organizzativo, agli spazi dove trovarsi e lavorare magari per più giorni, è un insieme che va raccolto in un luogo fisico. Non stiamo parlando di fantapolitica: la soglia quantitativa e qualitativa per giungere a tanto non è poi troppo lontana" (note all'incontro redazionale di Rimini, Hotel River, 21 settembre 2008).
Non sembri fuori luogo l'abbinamento fra la proposizione di una corrente storica e la frase occasionale di un piccolo gruppo di lavoro che sta cercando di organizzarsi al meglio dotandosi di spazi adeguati per lo svolgimento del compito che si propone e che affonda le sue radici nella detta corrente storica caratterizzandosi soprattutto per l'abbandono reale, non solo formale, del metodo e del principio democratico. L'accettazione del funzionamento organico (biologico) è una conseguenza, mentre il progetto e la realizzazione degli spazi fisici rappresentano il supporto "logistico".
L'origine di n+1 è caratterizzata dal tentativo di impostare un lavoro comune con molti di coloro che si riferivano al patrimonio storico della Sinistra Comunista "italiana" e mostravano di non aver tralignato rispetto ad esso. Occorre precisare che tale tentativo coinvolgeva all'inizio una ventina di gruppi sparsi in diversi paesi, e che quindi non era velleitario, c'erano elementi materiali che giustificavano un certo ottimismo.
Non volevamo però fondare un "partitino ad uso e consumo di quattro militanti a spasso" (Bordiga, 1925). Pensavamo che fosse più corretto realizzare semplicemente una rete di lavoro con chi aveva lottato contro lo snaturamento del programma originario. Partivamo dal presupposto che questa rete fosse in grado di riprendere il patrimonio teorico della Sinistra e mettemmo a disposizione la nostra Lettera ai compagni che sarebbe diventata un periodico se il progetto fosse andato in porto. Purtroppo (o fortunatamente) il progetto fallì e fu necessario interrompere quello che era diventato un lavoro di Sisifo. Tuttavia la realtà "n+1" s'è venuta a configurare proprio in quel tentativo di lavoro comune, e il superamento dei cliché terzinternazionalisti continua ad essere uno dei suoi tratti distintivi, anche se in trent'anni abbiamo maturato ulteriori possibilità di verifica del patrimonio teorico della nostra corrente.
Si usano spesso come sinonimi le espressioni "lavoro comune" e "lavoro collettivo". Non è sbagliato, ma sarebbe forse meglio distinguere. Quello collettivo è sempre la messa in funzione di un vero e proprio cervello sociale; quello comune potrebbe al limite essere svolto sullo stesso tema da più individui che non si conoscono neppure.
Ci viene in mente questa sottile differenza perché la realtà l'ha già imposta: noi siamo già di fronte a un lavoro svolto in comune con elementi che non partecipano sistematicamente a quello collettivo che, sintetizzando, chiamiamo con il nome della rivista. La Sinistra Comunista "italiana" aveva anticipato quello che oggi chiamiamo wikilavoro (collettivo). Fu una sua tradizione, più che altro legata all'attività interna a causa della struttura di partito ereditata dal passato nonostante le nuove tesi di organizzazione. Infatti in quelle condizioni i due livelli funzionavano in parallelo, quasi fossero separati. Per noi è diverso: ogni volta che il lavoro si svolge con le modalità di rete è per definizione, nello stesso tempo, aperto e chiuso, quindi comune e collettivo. Lenin, in Lettera a un compagno, prevedeva per il costituendo partito russo una comunicazione stretta fra i due livelli, tanto che faceva dipendere il suo buon funzionamento dalla corretta informazione scambiata. Oggi non avrebbe senso parlare di livelli come allora: la rete li riassume in sé con il tipo di "legami" che si vengono a formare.
La questione in generale
È indispensabile una premessa: oggi gli argomenti che stiamo per affrontare sono di facile comprensione per il semplice fatto che le reti di ogni genere fanno parte della nostra vita, fisicamente presenti attraverso una specifica attrezzatura che anche i bambini usano senza problemi. Fino a trent'anni fa non era così, anche se l'organizzazione sociale della nostra specie è basata da millenni su relazioni configurabili come reti. Queste relazioni sono state oggetto di studio e ne sono scaturite delle teorie, le quali ci servono per approfondire le sempre attuali "questioni di organizzazione". Qui specificamente ci occuperemo del confronto fra le suddette teorie e i testi rivoluzionari classici che in un certo senso le hanno anticipate. È necessario specificare che in ogni rete vi sono dei "legami" fra i nodi e che essi sono fondamentalmente di due tipi: forti e deboli. Ad esempio, il lavoro collettivo di n+1 si svolge fra elementi che sono in relazione tramite legami forti; ognuno di questi elementi è inevitabilmente in relazione con altri, famiglia, lavoro, interessi vari, che rappresentano i legami deboli. La teoria delle reti ci dimostra che i legami forti sono indispensabili per fissare caratteri identitari, mentre i legami deboli rappresentano l'unica possibilità di circolazione di questi caratteri. Può esservi teoricamente una rete senza legami forti, ma una rete senza legami deboli è impensabile. Per usare la terminologia di Lenin, il partito in senso stretto è una rete a legami forti; con lo sviluppo dei legami deboli verso la classe abbiamo il partito in senso lato.
Ne consegue che il concetto di "lavoro comune", nel contesto del partito storico e in assenza del partito formale, va inteso in senso lato e non in senso stretto. In qualche modo è in comune anche la conoscenza sviluppata dalla borghesia in quelle che la nostra corrente ha chiamato "capitolazioni ideologiche di fronte al marxismo". Quando c'è lavoro comune sui presupposti della teoria rivoluzionaria c'è sempre lavoro di partito. Marx scrive ad Engels che Darwin stava facendo in campo biologico lo stesso lavoro che essi stavano facendo in campo politico-economico. Engels riprenderà questa analogia in una delle prefazioni al Manifesto del partito comunista.
È "lavoro di partito" tutto ciò che contribuisce al movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. In Marx la teoria del partito non è del tutto esplicita, però è facile da ricavare da molti dei suoi scritti. Nel Manifesto il quadro teorico offre già una buona traccia per una lettura di tutto ciò che egli scriverà successivamente: i comunisti sono coloro che anticipano la società futura; non fanno già più parte di questa società anche se vivono dentro di essa. L'enorme importanza di questo concetto non è stata capita dalla maggior parte di coloro che si richiamano a Marx.
"I comunisti non sono un partito a sé fra gli altri partiti dei lavoratori. Essi non hanno interessi separati da quelli dell'intero proletariato".
È sempre stato troppo comodo sorvolare su questa proposizione e sulle altre che seguono: esse escludono la forma partito che la maggior parte delle persone ha stampata nel cervello. I militanti di tutte le rivoluzioni sono sempre stati militanti di un "sovrapartito" che rappresenta il futuro, non un partito del presente fra altri partiti del presente.
"Essi non propongono particolari princìpi su come modellare il movimento proletario […] Nelle diverse lotte nazionali dei proletari essi pongono in evidenza e affermano gli interessi comuni di tutto il proletariato, indipendentemente dalla nazionalità […] esprimono sempre l'interesse complessivo del movimento nelle diverse fasi in cui si sviluppa la lotta fra proletariato e borghesia".
Partito internazionale, dunque, e azione modellata sul movimento complessivo anche in fasi particolari. Vale a dire: la tattica è modellata sullo stadio maturo del capitalismo anche quando la lotta si svolga ancora per compiti precapitalistici.
"Le formulazioni teoriche dei comunisti non riposano affatto su idee, su princìpi scoperti da questo o quel riformatore del mondo. Essi sono solo l'espressione generale di rapporti effettivi di una lotta di classe che esiste, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi".
È la formula dell'anti-utopia. Chi si mette in sintonia con questo movimento è in regola con il partito storico, è pronto per affrontare l'esistenza del partito formale. Chiunque giunga a tanto, fa materialmente "lavoro comune" con gli altri che vi giungono, ovunque si trovino, qualunque sia la loro giustificazione contingente.
"Il primo compito dei comunisti è identico a quello di tutti gli altri partiti proletari: costituzione del proletariato in classe, annientamento del dominio della borghesia, conquista del potere politico da parte del proletariato. [Ma] dal punto di vista teorico essi sono anticipatamente consapevoli delle condizioni, del corso e dei risultati complessivi del movimento proletario".
Altro passo difficile da interpretare. Partiti proletari non comunisti che abbiano un programma come quello sopra descritto non esistono oggi ma non esistevano neppure nel 1848. Che cosa potevano intendere Marx ed Engels con queste parole? È evidente che la chiave sta nella seconda parte: anche se altri partiti giungessero per prassi o intuizione all'altezza dei fini, cioè della società comunista, ciò non basterebbe. I comunisti hanno in più la consapevolezza scientifica del corso rivoluzionario, possono perciò anticipare non solo il risultato finale ma anche il percorso per giungervi. Mentre gli altri si possono perdere lungo la linea che porta alla biforcazione, i comunisti rappresentano un'intelligenza (consapevolezza, cognizione, ragione) collettiva in grado di rovesciare la prassi.
Lenin e il partito come rete di lavoro
Un testo specifico molto utile per capire i vari livelli di lavoro comune nel contesto del "lavoro con metodo di partito anche in assenza di partito formale" è Lettera a un compagno di Lenin, adoperato banalmente come un manualetto di organizzazione politica. Seppur concepito come risposta agli interrogativi sulla struttura del partito russo in clima di clandestinità, vi si prospetta un modello che non corrisponde né a quelli esistenti all'epoca, né a quello su cui si plasmerà lo stesso partito russo. Leggendo bene fra le righe con in mente i risultati raggiunti successivamente dalla Sinistra Comunista, e da noi ripresi, si capisce bene che il modello è di tipo organico e che la struttura non è incentrata sulla democrazia elettiva ma sui compiti che devono essere assolti dall'insieme e dalle sue parti.
In Lettera a un compagno vi è un'impostazione teorica dell'organizzazione valida in generale. Come proposta per le condizioni particolari della Russia fu nei fatti inapplicabile. Il Partito Bolscevico non rispecchiò quel modello. In nessun modo ciò significa che Lenin "si fosse sbagliato": egli aveva invece applicato integralmente l'insegnamento di Marx, proponendo per la rivoluzione democratica il modello più avanzato, già contenente anticipazioni della società comunista. Questa impostazione è una costante in Lenin e la troviamo ad esempio sia ne Le due tattiche che nelle Tesi di Aprile. Al di là del linguaggio utilizzato, il concetto fondamentale che sta alla base del modello di partito descritto da Lenin all'anonimo compagno è la rete. In altro testo egli dice che è militante del partito chi ha un incarico in esso, cioè partecipa e contribuisce alla sua vita; qui dice che i militanti devono essere organizzati da collegamenti fra gruppi locali, d'officina e di fiduciari, in modo che sia garantita non solo la sicurezza ma anche l'organicità del tutto. Si dirà: organicità, una parolina buttata lì nel corso della frase. Non crediamo: Lenin era un tipo preciso. Nella moderna teoria delle reti solo una certa configurazione può mantenere le sue caratteristiche anche se colpita in alcuni suoi nodi; e solo configurazioni a rete possono esprimere nello stesso tempo "gerarchie" che non entrino in conflitto con l'organicità del lavoro (come fanno ad esempio quelle militaresche).
Se è militante solo chi ha "un incarico", e se i collegamenti fra i nodi della rete coinvolgono non solo i militanti (legami forti) ma via via gli elementi dell'ambiente in cui la rete si diffonde (legami deboli), abbiamo una bella immagine delle funzioni interne della rete nel senso della moderna teoria: i legami forti sono indispensabili per la continuità programmatica e la stabilità strutturale, ma senza i legami deboli la rete si sclerotizza per mancanza di morfogenesi, cioè della capacità di avvalersi di apporti che facciano evolvere la struttura. È una concezione che richiama: a) la teoria delle reti; b) la teoria delle catastrofi; c) la teoria dell'informazione; d) il secondo principio della termodinamica. Non ci sembra poco.
Ovviamente Lenin non poteva pensare nei termini delle teorie attuali. Siamo noi che facciamo analogie andando a scovare nel suo lavoro gli elementi adatti allo scopo. Comunque il margine di arbitrarietà è molto basso, tant'è vero che il testo che stiamo analizzando si potrebbe riscrivere tranquillamente con il linguaggio delle suddette teorie (e magari un giorno lo faremo davvero).
Adottata questa procedura (inusuale per l'ambiente marxistoide che si dedica alla politique politicienne), resta dimostrato che è possibile una teoria non sociologica né filosofica, né psicologica, né politica del "lavoro comune". Vale a dire una teoria non soggettivistica. In Lenin la struttura del partito è una struttura di lavoro, adatta a produrre risultati. Di tale struttura fanno parte degli insiemi che prendono il nome di Organo Centrale, Comitato Esecutivo, Gruppo di fiduciari, Circoli Operai, Classe Operaia; ma le loro relazioni non sono piramidali, sono a rete. La democrazia interna non esiste, ed è persino criticato il ricorso abitudinario al metodo elettivo.
A riprova che la concezione di Lenin non è gerarchica, troviamo anche un passo in cui, dopo aver spiegato la struttura della rete (il termine compare più volte), egli afferma che tutti i membri dei vari nodi a diverso livello "hanno gli stessi diritti". Non si tratta evidentemente di un assetto giuridico interno ma di una struttura a griglia, dove i legami fra le parti del tutto sono di tipo orizzontale e il mitico centralismo bolscevico è ottenuto nel rispetto del programma e non di una gerarchia di potere. E nel Che fare si prospetta addirittura un partito diffuso entro la classe operaia:
"Mi si obietterà che un'organizzazione 'lose' [in tedesco aperta, sciolta, non rigida] al punto da non avere un regolamento, da non aver neppure iscritti noti e registrati, non può essere chiamata organizzazione. Può darsi: non m'importa il nome. Ma questa 'organizzazione senza iscritti' farà tutto il necessario, e assicurerà fin dal principio un solido collegamento fra i nostri futuri sindacati e il socialismo".
C'è da chiedersi che diavolo capiscano certi sinistri quando leggono Lenin. Come corollario del tutto, a dimostrazione che la struttura di partito è concepita come organica e non gerarchica, c'è il rifiuto dello statuto persino per il partito in senso stretto. C'è già la teoria, cioè il programma rivoluzionario, le regole statuali non servono, sono un formalismo inutile. Che cosa si potrebbe infatti scrivere sullo statuto che i militanti e tutta la rete non sappiano già in base al programma?
"Gli statuti sono inutili non perché il lavoro rivoluzionario non possa avere sempre una struttura ben definita. No, la struttura è necessaria e noi dobbiamo cercare di dare a tutto il lavoro tale struttura. Ma non con gli statuti, bensì solo ed esclusivamente con l'esatta informazione al centro del partito: solo allora si tratterà di una reale struttura legata a una reale responsabilità e propaganda di partito".
La Sinistra Comunista "italiana" e il suo metodo di lavoro
Solo ed esclusivamente con la conoscenza di sé stesso e dell'ambiente in cui si muove, il partito si in-forma, cioè si dà una struttura. Siamo ad una analogia spinta con il corpo organico degli esseri viventi: l'evoluzione è un interagire con l'ambiente, la forma è il risultato. Abbiamo visto che la genesi dell'uomo è il lavoro, è il lavoro che "fa" la mano, il cervello e il linguaggio. Con l'integrazione di prassi e programma è sciolta la contraddizione fra il programma invariante (la già citata stabilità strutturale) e il cambiamento, divenire, rivoluzione (la morfogenesi). È importante ribadire perché le parole in corsivo sono quelle del titolo del libro di René Thom sulla teoria delle catastrofi, e le rivoluzioni lo sono. Lenin se la prenderà con coloro che immaginavano un graduale processo di formazione del partito: il graduale processo c'è già stato, dal Manifesto in poi abbiamo la catastrofica teoria completa della rivoluzione che comprende quella del partito.
Una curiosità: in Lettera a un compagno la parola "organico" compare una volta, "rete" compare cinque volte; "organizzazione" ventisei, "lavoro" quaranta, "partito" cinquantasette. La lingua di Lenin batte in crescendo sul dente partito-lavoro.
La nostra corrente nel secondo dopoguerra tentò di rimanere fedele alla concezione rivoluzionaria di partito, facendo tesoro della degenerazione intervenuta fin dall'inizio degli anni '20 del secolo scorso. Senza un legame con la classe, il piccolo organismo formale era più che altro una manifestazione del grande partito storico, come del resto diceva di sé stesso. Nonostante tutto, ogni militante doveva sentirsi parte di un lavoro che preparava "il vero partito di domani". La struttura di tale lavoro era basata sul rifiuto ragionato del vecchio schema dei partiti della Terza Internazionale. Non c'erano gerarchie interne, non c'erano congressi in cui si presentassero tesi a votazione, non c'erano funzionari e segreterie. C'erano dei "responsabili" locali e regionali con una funzione molto simile a quella prevista da Lenin per l'informazione e i collegamenti. In positivo la struttura rifletteva il lavoro effettivo: incontri frequenti permettevano di avere una doppia direzione. L'informazione arrivava dalla periferia al centro e le riunioni generali servivano alla sintesi che poi veniva "riverberata" direttamente su tutta la periferia in direzione opposta. La stampa fissava i risultati e la raccolta del materiale per la storia e per la registrazione scritta del patrimonio teoretico e sperimentale. All'epoca era possibile un'attività sindacale non episodica.
Vi sono molti tipi di rete, ma essi si possono ricondurre a tre principali: a) "a riccio o stella", con collegamenti centro-periferia e viceversa; b) "ad albero", con nodi a cascata che si diramano da un tronco; c) "mesh", con nodi interconnessi disposti su una griglia diffusa. Il vecchio partito funzionava come una rete ad albero ma con nodi interconnessi tramite le riunioni generali e regionali. C'era un centro formato da più persone non necessariamente nello stesso luogo, e c'era il gruppo dei "negri", anche questo diffuso, così chiamato per analogia con quello che produceva collettivamente le opere poi firmate da Alessandro Dumas. Ogni formalismo inutile era bandito, come del resto stabilivano le Tesi.
La partecipazione al lavoro di partito avveniva ad un primo livello tramite i gruppi sindacali di fabbrica o, quando c'erano, territoriali. Si trattava di legami deboli che toccavano anche elementi di altre organizzazioni per mezzo del lavoro sindacale. Il collegamento politico con il partito prevedeva la figura del simpatizzante, più che altro simbolica, dato che il lavoro del neofita non si distingueva in nulla da quello dei militanti passati nei ranghi degli "effettivi".
L'adesione al partito era strettamente individuale, non era neppure immaginabile l'aggregazione di un gruppo strutturato di persone.
Il lavoro di n+1 è un lavoro "a rete tangibile"
"Non bisogna credere che le organizzazioni del partito debbano comprendere soltanto i rivoluzionari di professione. Abbiamo bisogno di organizzazioni le più diverse, di ogni genere, di tutti i gradi e sfumature, dalle organizzazioni estremamente ristrette e cospirative sino alle lose Organisationen, molto grandi e molto libere".
Il paragrafo citato è di Lenin (Un passo avanti, due indietro). Le organizzazioni del partito. Plurale. È chiaro che Lenin aveva in mente una rete con legami forti e deboli. Dal punto di vista della teoria delle reti, anche la struttura di lavoro del vecchio partito era, come abbiamo visto, abbastanza evoluta, anche se era pur sempre un ibrido, almeno per quanto riguarda la funzione dei legami deboli, incanalati unicamente nel lavoro di tipo sindacale e nei contatti che individualmente potevano verificarsi tramite i militanti o tramite la stampa. Senza contare che fino alla metà degli anni '60 era ancora in uso il tesseramento tradizionale. E comunque c'era un centro coordinatore, che inevitabilmente assumeva funzioni "direttive" e di "segreteria". Noi abbiamo eliminato qualsiasi residuo formalistico delle vecchie organizzazioni rivoluzionarie, applicando alla lettera, in parte per spontanee determinazioni, in parte volutamente, il corpo di "tesi sulle questioni di organizzazione".
Fino a che non sarà necessario adottare strutture più complesse (e questo, disse Bordiga, avverrà quando i dati quantitativi saranno modificati di svariati ordini di grandezza) la nostra tenderà ad essere – e in parte già è – un network integrale. Vale a dire che i vari nodi non saranno differenziati secondo una qualche categoria di "valore" ma potranno assumere i caratteri di hub (asse di ruota, punto focale, polo di smistamento, ecc.) solo in base al lavoro svolto.
Internet favorisce la natura del lavoro a rete, e il wikilavoro svolto tramite una determinata struttura ha sufficiente potenziale per diventare un hub completamente de-personalizzato. L'energia che un "sistema" così impostato può liberare è enorme: il sito, l'informazione, le comunicazioni, l'archivio storico e di lavoro, la biblioteca, il lavoro in processo, tutto è "retificabile"; e la portata di questo aspetto del lavoro non ha più nulla a che fare con i risvolti semplicemente organizzativi che il movimento rivoluzionario ha finora dovuto affrontare. Come aveva già osservato Marx, il capitalismo non può fare a meno di rivoluzionare i rapporti di produzione. L'approdo di n+1, come di tanti organismi, alla rete è un aspetto non secondario di tali rapporti. Nessun movimento sociale d'ora in poi potrà prescindere dalle reti. In un documento interno scrivemmo nel 1999 a questo proposito:
"Quattro anni fa chi faceva discorsi del genere era considerato un temerario esploratore, un integralista informatico, il sacerdote di una setta esoterica, un pasdaran dell'ordine dei bit. Oggi i ragazzini ne parlano correntemente e domani sarà come usare il telefono. Il mondo sarà connesso e nessuno penserà più alla tecnologia che c'è dietro al video".
Adesso il telefono è diventato computer. Chi ha vissuto l'esperienza di partito nei decenni passati tocca con mano il cambiamento nelle modalità di informazione. La possibilità di stabilire legami forti e deboli è completamente cambiata, com'è cambiata di conseguenza la situazione a valle una volta che i legami sono stabiliti.
La rete apre un lavoro al mondo e il potenziale di tale lavoro (un qualsiasi lavoro) si universalizza. Si inverte peraltro il concetto di propaganda, specie per gli organismi politici: non si tratta più soltanto di ottenere visibilità con mezzi che possono essere utilizzati indifferentemente per un partito o un detersivo, bensì di mettere a disposizione l'informazione necessaria a chi eventualmente stia cercando qualcosa proprio in quell'ambito. Un esempio elementare fra tanti: da migliaia di volantini distribuiti per decenni, scaturivano contatti sporadici, mentre i nostri siti informano, collegano, stimolano, interagiscono. Sono dinamici, vivi.
I compagni conosceranno già un diagramma di Eulero-Venn che abbiamo recentemente utilizzato per sintetizzare la situazione di n+1, piccola realtà invisibile immersa nel mondo. Mondo che è al primo di sei livelli/insiemi. Al secondo livello abbiamo l'insieme di coloro che si richiamano al comunismo. Noi siamo lì dentro, mescolati a migliaia di realtà che un esterno vede tutte uguali. Il riscontro di chi si avvicina da una di queste realtà all'insieme n+1 è già filtrato dai contenuti del sito, della rivista, della conoscenza individuale. Se il riscontro non è platonico e si tramuta in adesione al lavoro scatta l'appartenenza a n+1, altrimenti tutto si ferma in modo del tutto naturale ai legami deboli.
Il diagramma dovrebbe rivelare con chiarezza l'assurdità delle gerarchie unilaterali semplici tipo piramidi, cerchi concentrici, scale o diagrammi di flusso (flow charts): la complessità delle relazioni balza all'occhio non appena si pensi che i confini non sono affatto netti, per cui si passa a una logica fuzzy (sfumata). Ciò significa che gli statuti non hanno più alcun senso e che il sistema deve essere messo in grado di autoregolarsi in ogni suo aspetto, dal particolare al generale e viceversa. In base a cosa? Ma al lavoro, se questo è coerente con il programma.
Il sistema è aperto, gli insiemi si sovrappongono. Ci sono elementi che lavorano al programma di n+1 pur facendo parte dei legami deboli e quindi sono "cablati", wired. Chi svolge un lavoro continuo e sistematico di qualsiasi genere non può essere considerato un semplice legame debole e quindi accede in via del tutto naturale a quello strumento specifico per il lavoro interattivo che si svolge secondo il metodo wiki. Chi vuol far parte del lavoro comune trova sul nostro network tutto ciò che gli serve, non occorre fare l'elenco dettagliato.
Il diagramma di Eulero-Venn ci mostra un mondo di relazioni assai complicato. Sono relazioni che s'intrecciano a causa di determinazioni irreversibili e nessuno riuscirà a farle regredire al punto di partenza, cioè al partito com'era prima, alla tradizione terzinternazionalista, a un mondo che non c'è più. Queste determinazioni si possono soltanto accettare come sono, assecondando le forze materiali soggiacenti. Il cambiamento ci sarà, ma sarà un risultato, non una premessa come credeva qualcuno dei nostri passati interlocutori peccando di attivismo.
Questo è il quadro entro il quale per noi si configura il concetto di "lavoro comune". Sono escluse tutte le categorie tipiche dei vecchi partiti: il proselitismo di tipo missionario, il "confronto" fra partiti premessa o conseguenza del frontismo, l'individualismo carrierista, il volontarismo, la manovra e il pateracchio. È inutile fare i puristi, Lenin c'insegna che questi pericoli sono sempre in agguato e non sempre egli stesso è riuscito ad essere esente da contaminazione. Fenomeni ricorrenti, sono stati bersaglio delle feroci critiche della nostra corrente. La variazione quantitativa e organizzativa può derivare solo dalla capacità di elaborazione qualitativa sul patrimonio esistente e mai da espedienti o manovre. Questo, al solito, significa sapersi mettere in sincronia con il movimento reale che abolisce… ecc. ecc..
È possibile che maturi nei prossimi anni la sincronia di cui sopra e nascano forze che marciano in parallelo per qualche tempo, com'è successo in tutte le rivoluzioni passate. L'importante è studiare gli errori del passato alla luce della teoria per non ripeterli. Non vediamo altro modo per farlo che formarci nel lavoro, quello che stiamo cercando di svolgere al meglio, per lasciare ai posteri non una macchina organizzativa ma un essere vivente con tutti i suoi organi funzionanti, la sua memoria, il suo metabolismo, la sua capacità di riproduzione cellulare, gli strumenti che gli servono e, un giorno, la sua forza.
Letture consigliate
- Lenin, Lettera a un compagno sui nostri compiti organizzativi; Un passo avanti, due indietro (si trovano facilmente online).
- PCInt., Appunti per le questioni di organizzazione, 1964. Considerazioni sull'organica attività di partito quando la situazione è storicamente sfavorevole, 1965. Tesi di Napoli, 1965. Tesi di Milano, 1966. Origine e funzione della forma partito, 1961. Tutti i testi si trovano sul nostro sito, sezione Archivio storico.