La rivoluzione all'attacco

Prima parte. Contesto ad alto potenziale

"Dicendo: 'Esiste una situazione obiettivamente rivoluzionaria, ma è deficiente l'elemento soggettivo della lotta di classe, il partito rivoluzionario', si sballa in ogni momento del processo storico, un grossolano non senso, un'assurdità patente. È invece vero che in qualunque frangente, anche il più periglioso dell'esistenza della dominazione borghese, anche allorché tutto sembra franare e andare in rovina (la macchina statale, la gerarchia sociale, lo schieramento politico borghese, i sindacati, la macchina propagandistica), la situazione non sarà mai rivoluzionaria, ma sarà a tutti gli effetti controrivoluzionaria, se il partito rivoluzionario di classe sarà deficitario, male sviluppato, teoricamente traballante" (Amadeo Bordiga).

Chi ha spento il biennio rosso?

Parleremo del rapporto fra guerra civile in Russia e situazione insurrezionale in Germania e altri paesi; fra l'avanzata dell'Armata Rossa su Varsavia e l'andamento del contemporaneo Secondo Congresso dell'Internazionale Comunista, considerato dalla nostra corrente il culmine dell'elaborazione teorica e tattica raggiunto dalla rivoluzione europea, ma anche il bivio fra la coerenza rivoluzionaria e la degenerazione politicantesca che portò l'Internazionale a non essere diversa dai suoi nemici socialdemocratici.[1] Parleremo di una politica che balla alla musica della rivoluzione e della sua dannata metamorfosi in (contro)rivoluzione che balla alla musica della politica. Parleremo di due modi di produzione (e anche più di due) che si scontrano liberando una immensa quantità di energia sociale. Parleremo di santità e magia antiche, orientali, che sorgono dal profondo di epoche passate per inquinare la rivoluzione, alle quali si contrappone la religione moderna, occidentale, della democrazia parlamentare e dei fronti unici fra forze politiche al servizio della conservazione.

Per i comunisti russi del 1917 la "loro" rivoluzione vittoriosa non era che il primo tempo della rivoluzione europea e mondiale. La guerra civile impediva l'affermazione e il consolidamento del potere sovietico, ma una volta eliminato il pericolo di una restaurazione autocratica o democratica (la borghesia democratica russa era del tutto inconseguente, come aveva dimostrato la necessità di una "rivoluzione doppia"), il mondo intero avrebbe dovuto fare i conti con l'Armata Rossa. Nel dicembre del 1917, mentre le altre nazioni continuavano la guerra con i folli massacri nelle trincee, la Russia firmava un armistizio con la Germania. Era la conclusione logica, che fosse preordinata o forzata dai fatti, di un percorso iniziato con il rientro degli esuli russi con il famoso treno "piombato". L'armistizio non era necessariamente un trattato di pace: si trattava piuttosto di guadagnare tempo, anche a costo di sacrifici territoriali; la rivoluzione europea avrebbe reso nullo ogni trattato. Alla Germania del resto premeva chiudere il vastissimo fronte orientale, e nel febbraio 1918 riaprì le ostilità sapendo che i soldati russi avevano disertato il fronte e che quindi non avrebbe trovato resistenza. Trotskij si era insediato come commissario per gli affari esteri con lo scopo dichiarato di abolire la Diplomazia.[2] E il potere sovietico non stette a tergiversare: il 3 marzo firmava la pace di Brest-Litovsk. La rivoluzione doveva avere la precedenza, occorreva "cedere spazio contro tempo" per organizzare il nuovo stato dopo aver abbattuto il vecchio.

Tuttavia né il tempo, né le forze materiali furono sufficienti: la Russia cadde nel caos e praticamente scomparve come nazione. Eserciti di ribelli antibolscevichi si ritagliarono aree su cui avevano un labile controllo. Verso l'autunno del 1918 erano sorti diciotto governi controrivoluzionari, ognuno in guerra per procura.[3] L'Armata Rossa, fondata nello stesso anno, non era ancora un esercito, raccoglieva gruppi di soldati sbandati, piccoli reparti rimasti miracolosamente organizzati, marinai e Guardie Rosse. Queste forze sparse furono coordinate sotto il comando di Trotskij, nel frattempo diventato capo militare. Con una parvenza di organizzazione e soprattutto con la fine della guerra nel resto d'Europa (novembre 1918) il nuovo stato divenne il punto focale su cui si fondavano ottimistiche previsioni sulla rivoluzione europea. Lenin, denunciando il Trattato di Versailles che affamava la Germania, si fece interprete di questo ottimismo e, sulla base di un reale movimento anticapitalistico internazionale, considerò la rivoluzione in Russia una chiave per spalancare le porte alla rivoluzione in Europa.

Gli eventi non smentirono affatto la previsione: in effetti il proletariato tedesco insorse con le armi nel gennaio del 1919, dimostrando una forza superiore ad ogni previsione. Ma non aveva una guida, dato che nessuno dei partiti esistenti risultò adeguato ad affrontare l'impatto di una simile forza. La sanguinosa repressione che subì dimostrò ancora una volta che la controrivoluzione non è altro che la verifica sperimentale dell'esistenza della rivoluzione. E la rivoluzione reclamava una guida che non c'era. Eppure solo in Germania almeno 500.000 operai si armarono nelle alterne vicende fra il 1919 e il 1923. Si imponeva nei fatti una immensa "questione militare", ma la grande forza disponibile fu lasciata a sé stessa.

"Diamo una guida al movimento rivoluzionario"

Tentò lo stato russo di fondare una nuova Internazionale, questa volta comunista, per dare una guida, indispensabile, al movimento rivoluzionario che stava incendiando l'Europa. Giustamente, a rivoluzione in corso, la distinzione fra Stato del potere proletario e partito comunista non era ritenuta sensata. Nell'accezione organica del termine, la dittatura del proletariato è la dittatura del partito. Solo con il precipizio nella controrivoluzione ritornano distinti i due reparti della rivoluzione; e allora, certo, l'influenza del partito sullo stato e di questo sull'Internazionale è deleteria. Ma mentre opera la rivoluzione, partito e stato sono come le divisioni di un esercito, come gli organi differenziati di uno stesso corpo. Vedremo che nel 1920, sotto l'influenza della guerra portata dall'Armata Rossa fin nel cuore dell'Europa, questa organicità prenderà il sopravvento per un breve periodo, per essere poi dimenticata quando la rivoluzione subirà la disfatta.

La Terza Internazionale, Comunista, fu dunque fondata nel marzo del 1919. Ma non ebbe nessuna delle caratteristiche del partito organico, per cui non rappresentò in realtà alcuna guida. Fu un tentativo di fronte politico a egemonia russa con un programma di compromesso. Nessun rivoluzionario può essere contrario per principio a fronti, alleanze o compromessi, ma siccome la rivoluzione è una guerra, anche quando non si combatte con le armi, se essi non solo non servono a vincere il nemico ma anzi favoriscono e comportano la sua certa vittoria, una tale politica non va semplicemente presa in considerazione. L'Europa straboccava di esempi: ovunque il nemico si era infiltrato nei nostri ranghi. L'opportunismo, come era chiamato allora, non era un fenomeno morale, non scaturiva dal "tradimento" di alcuni uomini, ma era un fenomeno materiale, che aveva a che vedere con la estrema necessità dell'auto-difesa da parte del capitalismo.

In questo periodo di poco più di un anno assistiamo da una parte al rafforzamento del potere sovietico, ad una sua stabilizzazione con la vittoria nella guerra civile, e dall'altra alla sconfitta della rivoluzione comunista in Europa. L'Internazionale Comunista (o meglio: l'Internazionale ibrida che nelle intenzioni del partito rivoluzionario russo sarebbe stata "forgiata" al fuoco del comunismo) aprì dunque i suoi lavori in una atmosfera di confusione e speranza, tra orizzonti nuovi e tare storiche vecchissime. Mentre si svolgeva il Congresso, Pietrogrado era sotto attacco da parte delle armate bianche equipaggiate di tutto punto dalle potenze occidentali, e lo stato russo doveva preparare in fretta e furia un piano di evacuazione. La guerra civile esplodeva in tutta la sua violenza e l'esercito del nuovo stato sembrava in procinto di soccombere da un momento all'altro su tutti i fronti. Ma ciò non avvenne, e ancora oggi esperti militari cercano di capire come possa essere successo che le armate della controrivoluzione, comandate dagli specialisti dell'ex potente esercito zarista, non fossero riuscite a sfondare. Nell'autunno incominciarono a farsi sentire gli effetti di alcune vittorie parziali. In capo a pochi mesi i Bianchi furono travolti e letteralmente spazzati via. Ma l'isolamento dei comunisti russi rimase pressoché totale. Le vie di comunicazione al di fuori del territorio controllato erano quasi tutte bloccate e la possibilità di collegarsi con i moti operai d'Occidente rimase aleatoria. In marzo i tentativi insurrezionali in Germania e in Ungheria fallirono e la repressione ripeté quella tedesca del gennaio. La rivoluzione in Russia non riuscì a collegarsi con il movimento rivoluzionario nel resto d'Europa, ma il fermento sociale era così generalizzato e così violento che l'ottimismo non cedette il passo al pessimismo, almeno non subito. Nel primo numero del suo bollettino d'informazione, l'Internazionale scrisse:

"La vittoria del comunismo in tutta la Germania è inevitabile. Nell'immediato futuro subiremo ancora singole sconfitte. Qua e là il nero potrà forse ancora prevalere sul rosso. Ma nonostante tutto, la vittoria definitiva spetterà al rosso. E ciò nei prossimi mesi o forse addirittura nel giro di settimane. Il movimento procede a ritmo così vertiginoso che si può affermare con certezza: nel giro di un anno incominceremo a dimenticare che in Europa ci si è battuti per il comunismo, perché fra un anno l'Europa intera sarà comunista. E allora la battaglia per il comunismo si sarà ormai estesa all'America e forse anche all'Asia e alle altre parti del mondo".[4]

Controrivoluzione in Germania

I rapporti fra Russia e Germania erano contrassegnati dunque da una valutazione estremamente ottimistica non solo della situazione materiale riguardo alle capacità insurrezionali del proletariato tedesco, ma anche delle reali capacità e possibilità politiche da parte dei partiti sulla scena. Nel primo caso la valutazione era corretta sebbene da riconsiderare alla luce delle capacità del partito; nel secondo caso era completamente sbagliata, o perlomeno dettata esclusivamente da un ottimismo rivoluzionario che veniva comunque stemperato in incessanti attività sotterranee degne della miglior mistificazione democratica. In quel periodo vi erano in Germania tre partiti in contatto con l'Internazionale: il KPD (Partito Comunista di Germania), il KAPD (Partito Comunista Operaio di Germania) e l'USPD (Partito Socialdemocratico Indipendente di Germania). La sinistra di quest'ultimo partito aveva chiesto l'adesione all'Internazionale Comunista già alla sua fondazione (l'adesione sarà rinviata).

Nessuno di questi partiti era adeguato alla situazione. Alla maturità dimostrata dal proletariato tedesco, non corrispondeva alcuna qualità positiva dei suoi pretesi rappresentanti. Anche il KAPD, che rispecchiava meglio di tutti le necessità del momento, aveva posizioni ibride che non gli consentivano di prendere la testa del movimento insurrezionale. La politica dell'Internazionale Comunista si concentrava comunque sui partiti più influenti, il KPD e l'USPD. Verso gli indipendenti l'IC mostrò un'attenzione particolare in quanto li riteneva potenzialmente in grado di abbandonare la posizione oscillante fra la socialdemocrazia tarlata dell'SPD e il KPD per confluire almeno in parte in quest'ultimo sulla spinta degli eventi. E difatti l'IC li invitava formalmente a espellere alcuni oltranzisti socialdemocratici, a fondersi con il KPD e aderire all'IC. La quale, per anni, non smetterà di immaginare possibile una propria influenza sul proletariato tedesco tramite i "suoi" partiti, reputando rivoluzionario il primo malgrado l'inconsistenza dei secondi. Peggio che mai, sosteneva la necessità di questa tattica frontista proprio mentre infuriava la guerra civile in Russia, cioè mentre sarebbe stato più facile e realistico pensare di influenzare direttamente il proletariato tedesco tagliando fuori i partiti cialtroni. Non era estraneo a tali considerazioni il risultato elettorale del giugno 1920: sei milioni di voti all'SPD, cinque milioni all'USPD, mezzo milione al KPD (il KAPD non aveva partecipato). Occorre anche sottolineare, per capire bene l'ambiente, che gran parte della "politica estera" verso i partiti comunisti e socialisti degli altri paesi passava attraverso emissari del partito russo, e tutto questo pochissimo tempo dopo che Lenin aveva proclamato la fine della diplomazia segreta e Trotskij aveva tentato di abolire la diplomazia tout court.

Lenin aveva un bel dire che si trattava di forgiare l'Internazionale con il materiale che c'era realmente piuttosto che fondarla con quello auspicabile. Di fatto, se un lavoro di "forgiatura" non era teoricamente da escludere, la situazione tedesca escludeva che in pratica lo si potesse fare. La Germania era precipitata in una situazione simile a quella in cui si ritrovava un secolo prima, quando a dispetto dell'avanzata del capitalismo produceva ideologia. Ora, a dispetto dell'avanzare proletario e con una rivoluzione vittoriosa di fronte, produceva riformismo, democrazia, paura del proletariato all'attacco. Tanta paura da permettere alla socialdemocrazia di sostituirsi alle forze della reazione nell'assassinare operai. Se la rivoluzione borghese tedesca aveva aspettato il canto del gallo francese, ora la rivoluzione proletaria avrebbe dovuto appoggiarsi sull'orso russo liberatosi dall'autocrazia e all'attacco al momento sui fronti interni. Nel 1918 Lenin aveva usato una parabola efficace: la rivoluzione mondiale aveva prodotto due metà complementari del socialismo; da una parte la maturità delle condizioni materiali, con l'industria moderna ecc.; dall'altra le chiare condizioni politiche, con il potere in mano comunista in un grande paese. Due metà, come due pulcini che dovevano crescere; ma che, in quanto pulcini, non avrebbero potuto scalfire il guscio d'acciaio che li conteneva. Solo diventando una cosa sola avrebbero avuto la forza di spezzare il guscio e così dar corso alla rivoluzione mondiale "senza difficoltà o con difficoltà trascurabili, naturalmente se si considera la difficoltà sulla scala mondiale e non su quella piccolo-borghese filistea".[5]

Per schiodare la Germania dalle sue condizioni contraddittorie ovviamente non sarebbe bastato un aggiustamento al vertice (per carità, attraverso congressi democratici) di partiti i cui dirigenti erano per lo più dei non-marxisti quando non degli anti-marxisti. La soluzione, non prospettata a livello teorico, si presentò infine a livello pratico e stupì tutti: la guerra civile russa aveva allungato una sua propaggine al centro dell'Europa. Lenin fu pronto a cogliere l'importanza degli avvenimenti e a considerarli con ben altro entusiasmo di quello dimostrato per le noiose manovre degli emissari nei corridoi dei partiti socialisteggianti.

La rivoluzione marcia da Ovest a Est

La Rivoluzione stava covando sotto la cenere quando un'ondata di misticismo investì la Russia. Santa era la terra russa, santa la sua Capitale, santo lo zar, santo ogni pope invasato spinto dalla Rivoluzione a difendere privilegi o a saltare il fosso mettendosi dalla parte del popolo. Tanta santità tutta in una volta in tempi troppo stretti, accelerati dalla rivoluzione, era il frutto dell'estrema difesa dell'esistente – in Russia dell'antico – contro la società nuova che avanzava. E i rappresentanti di questa difesa non rigurgitavano contro la rivoluzione solo commistioni sciamaniche, filosofiche o cristiane: la santità protettiva s'era infiltrata anche nelle file bolsceviche, assumendo l'aspetto esteriore della scienza. Il cosmismo si radicò quasi esclusivamente in Russia, ma sua sorella teosofia dilagò anche in Europa occidentale e in America. Quando la Rivoluzione incomincerà ad arretrare, saranno santificate pure le liturgie ancestrali che passeranno con forme identiche e nomi nuovi nella vita quotidiana di ogni strato sociale. Matrimoni e battesimi "rossi", raccapriccianti proletari-tipo emuli rossi di Stakhanov, complesse cerimonie del Partito-Chiesa rosso, ideologia-religione con il suo simbolismo e la sua estetica rossi. Non fu raro vedere la simbologia rossa ammantarsi di estetica cristiana, dove la falce e il martello sostituivano la croce.

E siccome stiamo parlando di un periodo in cui l'avanzata sembrava inarrestabile, tutta quella santità fu in qualche modo, curiosamente, arruolata nelle file della rivoluzione da militi poco attenti alle basi del materialismo. Se era vero che, come in una corrente gnostica antica, il Bene della tradizione aveva generato il Male della rivoluzione, allora schierarsi con ciò che la tradizione considerava "Male" era rivoluzionario. Il mondo della mistica e della metafisica aveva adesso il suo contraltare nella rivoluzione e nella scienza. È noto che molti bolscevichi avevano partecipato a questa contaminazione fra dottrine esoteriche e mondo positivista e scientifico.[6]

La Rivoluzione d'Ottobre si sviluppò tra due fuochi: a Est il mondo immobile dell'Asia contro il quale si scagliò senza troppi complimenti l'Armata Rossa, ricambiata con una furiosa lotta per la vita o per la morte, lotta che passò anche attraverso la fondazione di regni buddisti, repubbliche sciamaniche, sacche di resistenza capeggiate da novelli Ataman;[7] a Ovest il mondo degenerato del capitalismo decadente e del suo figlio prediletto, l'opportunismo socialdemocratico. Fu questa sua situazione a fare della Russia una "cerniera geostorica", un perno, un collegamento, un cardine, un luogo-faglia tra rivoluzione d'Occidente e rivoluzione d'Oriente, in cui potevano scatenarsi terremoti con effetti anche a molta distanza. Lo schema fu tracciato per la prima volta dalla socialdemocrazia tedesca la quale, per bocca di Mehring, affermò: la rivoluzione marcia da Occidente a Oriente. È vero, ma bisogna fare attenzione al pulpito da cui arriva la predica: la socialdemocrazia europea non aveva nessuna rivoluzione da esportare, mentre l'impatto del capitalismo sulla struttura di una società antica doveva mostrarsi di grande potenza rivoluzionaria. E le conseguenze potevano valere per tutta l'Europa.

Ciò che è rivoluzionario per l'Occidente è sicuramente rivoluzionario anche per l'Oriente; ciò che è rivoluzionario per l'Oriente… è rivoluzionario per l'Occidente se, e solo se, si porta a compimento in Oriente e non viene trasposto in Occidente. La cosiddetta "questione nazionale" è tutta qui, e generazioni di militanti rivoluzionari si sono dannati a causa dello stramaledetto equivoco. La socialdemocrazia tedesca era indietro di una rivoluzione: mentre sosteneva correttamente che la rivoluzione marcia da Occidente a Oriente, degenerava riflettendo a Oriente l'armamentario democratico, frutto della rivoluzione borghese, proprio mentre l'Oriente, saltando un'epoca, era sconvolto dalla rivoluzione comunista.[8]

Dunque se rimane vero che la rivoluzione in senso storico marcia da Occidente a Oriente, nella misura in cui l'Oriente salta un'epoca e l'Occidente rimane impaludato nella socialdemocrazia, l'influsso si inverte, come nel formidabile schema del rovesciamento della prassi. Dunque l'Armata Rossa, oggettivamente, per ragioni geostoriche ben determinate, compiva opera rivoluzionaria sia quando rintuzzava gli attacchi dei Bianchi a Oriente, sia quando rintuzzava quelli dei capitalisti a Occidente (cercando nel frattempo di forgiare qualche partito pseudo-comunista!).

Alla fine della guerra civile, l'incredibile avanzata dell'Esercito Rivoluzionario in direzione di Varsavia rappresentava l'estremo tentativo di coronare la rivoluzione doppia: contro l'arretratezza di società non ancora emancipate dal passato e contro la decrepitezza di società che avevano rinunciato al futuro. Se pensiamo che per i comunisti sarebbe stato già tanto un processo rivoluzionario in Oriente che avesse portato a termine compiti borghesi sotto la dittatura del proletariato, ci rendiamo conto di quanta energia sociale fosse stata necessaria per scatenare l'inversione storica. Infatti non c'erano dubbi che la "marea rossa" rappresentava la rivoluzione proletaria e non un'orda barbara come la dipingevano i suoi nemici.

Tanto l'attacco sovietico al cuore dell'Europa è stato demonizzato dai nemici, quanto è stato perlomeno sminuito da pretesi amici. Edward Carr lo giudica una "follia";[9] altri storici lo trattano alla stregua di analoghe battaglie della guerra civile, altrettanto estese sul territorio, altrettanto violente; alcuni hanno addirittura condotto un'analisi psico-linguistica sugli scritti di Tukhacevski per capire se il maresciallo fosse un genio o uno spostato (era semplicemente un abile militare rivoluzionario giovane ed esuberante, spietato e spregiudicato).

Pressioni dall'infinito Oriente

Non sarebbe corretto evitare il tema scabroso delle ideologie che serpeggiavano in Russia al tempo della rivoluzione. La situazione materiale, cioè la complessa realtà dello scontro in atto, comprendeva, come abbiamo ricordato, anche l'eccesso di santità che si respirava, e il movimento che gravitava intorno al Partito Bolscevico ne era impregnato.

Per artisti mistici come Solgenitzin la santità della Russia era un dato di fatto, al di sopra delle religioni, indipendente dai santi ortodossi. Per materialisti comunisti come noi la santità della Russia era, per dirla parafrasando Marx, come la storia per l'Italia, la politica per la Francia, l'economia per l'Inghilterra e la filosofia per la Germania. Nel risiko della geostoria non sono i popoli a decidere dove nascere e i Russi dovettero ripartirsi santità e magia tra rivoluzione e controrivoluzione. Generali bianchi come Denikin e Petlyura erano convinti di condurre una guerra santa e nella loro propaganda identificavano Rossi con Ebrei (di questi ultimi ne massacrarono più di 100.000). Ancora oggi gruppi che si rifanno alla Santa Russia rivendicano gli eroi martiri della guerra civile, compresi comandanti come Judenich e Kolchak, poco inclini al misticismo. Anche contro questi fantasmi combatteva l'Armata Rossa di Trotskij e Tukhacevski.

Un'opera romanzesca spacciata come realtà vissuta, Bestie, uomini, dei, di Ferdinand Ossendowski esprime con chiarezza l'ambiente in cui era maturata la mistica infiltratasi negli schieramenti opposti.[10] L'autore era un poliedrico scrittore con un retroterra tecnico-scientifico. Condannato a morte dal regime zarista e fuggito dalla "furia dei Rossi" dopo la rivoluzione, riparò in Siberia; da qui, costretto nuovamente a fuggire, raggiunse la Cina attraverso la Mongolia e il Tibet. È una significativa figura simbolica: chimico e matematico, perseguitato sia dall'autocrazia asiatica degli zar, sia dalla rivoluzione, rispolvera miti ancestrali in un ambiente dove tutto è titanicamente santo, persino il mistico generale controrivoluzionario barone von Ungern-Strnberg che, al termine della sua violentissima ritirata, proclamatosi dittatore della Mongolia, voleva fondare una teocrazia lamaista e restaurare la dinastia Qin in Cina (quella oggi molto conosciuta per l'esercito di terracotta, III secolo a.C.).

L'ambiente dunque è quello della natura di fronte alla quale l'uomo è nulla (distanze immense, freddo disumano, fiumi impetuosi che spingono a valle montagne di ghiaccio, sciamani in presa diretta con altri universi, monaci di religioni improbabili e persino il luogo dove risiede "il re del mondo", dal quale emanano le linee di forza che tutto governano).

Non si creda che tutto ciò sia solo un'espressione letteraria: abbiamo visto che la rivoluzione in Russia aveva risvegliato forme ataviche di conoscenza che all'interno del partito bolscevico, contagiate dalla scienza moderna, si erano trasformate in un miscuglio tremendo che pretendeva di essere compatibile con il comunismo.[11] Ossendowski rappresenta solo un piccolo esempio che ci permette una veloce escursione in terre di confine così ambigue e lontane dalla scienza sociale cui si alimenta la teoria della rivoluzione che sembrano invenzioni. In effetti la rivoluzione d'Ottobre scoperchia un immane vaso di Pandora. L'antica società si ribella e si difende evocando panorami ancestrali, mentre la nuova cerca di scuotersi di dosso le incrostazioni della democrazia e dei residui illuministici decomposti.

Essendo quella russa una rivoluzione "multipla" (espressione della nostra corrente), essa si afferma sia contro ciò che è già stato ed è antico, sia contro ciò che è, ed è stramaturo, pronto per morire, a favore di ciò che non è ancora ma è storicamente acerbo e va superato d'un balzo. Per queste ragioni si ritrova, nel luglio del 1920, schiacciata tra forze come quella rappresentata dal generale polacco Pilsudski, mano armata dell'Intesa (Francia, Inghilterra, Russia pre-rivoluzione) e forze come quella rappresentata dal generale russo-tedesco von Ungern, mano armata del mondo che stava per scomparire.

Per essere fedeli al corso storico senza perderci con i singoli eventi, anche importanti, siamo ovviamente costretti a schematizzare. I combattimenti contro i reparti della controrivoluzione in Estremo Oriente furono poca cosa in confronto ai grandi scontri della guerra civile (Judenich davanti a Pietrogrado, Kolciak in Siberia, Denikin sul Volga; Vrangel in Crimea, le truppe britanniche ad Arkangelsk, Murmansk e nel Caucaso; quelle francesi a Odessa; quelle statunitensi e giapponesi a Vladivostok). Una tale manifestazione di forza inesausta, in grado di far svanire le velleità reazionarie delle potenze occidentali e delle loro pedine in loco, può spiegarsi solo con l'immenso scontro fra modi di produzione. Non è più soltanto questione di dottrine militari sconvolte dagli avvenimenti ma di cambiamento radicale in atto, così drastico da togliere ogni significato alla volontà degli uomini, che diventano strumenti attivi esclusivamente in funzione dei mondi che si scontrano. Trotskij ricorderà come gli eserciti avanzassero simili a sonnambuli spinti dall'inerzia della guerra che li aveva scaraventati sui campi di battaglia. Salivano sui treni blindati cui erano agganciati i carri bestiame che trasportavano i cavalli, scendevano, combattevano, risalivano, tornavano indietro verso un altro fronte, lo sfondavano, non stavano a preoccuparsi di raccogliere i frutti delle vittorie parziali, ripartivano e così via. Non era solo una questione di "morale della truppa", anzi, la guerra civile sembrava infinita e niente avrebbe fatto pensare a un "morale" qualsiasi. Ma la rivoluzione, quando prende lo slancio è inarrestabile. Come a Valmy, Rivoluzione Francese, dove 24.000 rivoluzionari male armati e senza esperienza militare ebbero la meglio su 35.000 austro-prussiani (altri 45.000 non fecero in tempo a intervenire), una vittoria inspiegabile con i criteri di valutazione correnti. E quella russa era una rivoluzione mista, con tutte le contraddizioni del caso, compreso il fatto che i reparti dell'Armata rossa all'attacco cantavano la Marsigliese, dato che non avevano avuto tempo o modo di preparare un loro canto di battaglia e avevano preso a prestito quello della rivoluzione precedente.

Seconda parte. Congresso e marcia su Varsavia

"Questa incessante avanzata di una gigantesca armata nemica, simile ad un serpente, che continuò per intere settimane, con spasmodiche interruzioni qua e là, ci diede l'impressione di un qualcosa di irresistibile, come un inarrestabile uragano" (Jòzef Pilsudski)

Pellegrinaggio a Pietrogrado

Nel secondo volume della nostra Storia della Sinistra si afferma che se, al momento del II Congresso, avessimo voluto tracciare un profilo identitario basato sulla coerenza con il marxismo, non avremmo trovato nulla che ci accomunasse ad altri che non fossero i bolscevichi. Si tratta di un'affermazione pesante, ma è assolutamente fondata: nonostante l'adesione all'Internazionale, la totalità dei gruppi o partiti presenti ai due primi congressi rimangono "estranei alla dottrina di Marx ed Engels". Per questo motivo Lenin deve necessariamente redigere le condizioni di ammissione, poi precisate su richiesta della Sinistra Comunista "italiana". Non sarà un elenco di norme a salvare l'Internazionale dall'opportunismo, ma nel 1920, all'apertura del II Congresso, quasi alla fine della lunga guerra civile e con l'Armata Rossa in marcia su Varsavia, arrivano alla spicciolata i congressisti, catturati da questo attrattore formidabile che al momento è in grado di far passare in secondo piano il lavorìo frontista e la conseguente ipocrisia.

Il Congresso coincide con la marcia su Varsavia. Mentre i delegati si sistemano nei luoghi di accoglienza, centosessantamila soldati si stanno dirigendo con ogni mezzo verso la capitale polacca con l'obiettivo dichiarato di congiungersi all'insurrezione tedesca e far scattare la rivoluzione in tutta Europa. Ciò non impedisce che dietro le quinte del Congresso si prendano accordi, si dia vita a frazioni (o fazioni), si traccino percorsi per il futuro nello stile tipico dei parlamenti. Ma il dato più interessante è che la rivoluzione vittoriosa ha messo in ombra le differenze ed è diventata un elemento di polarizzazione per chiunque abbia a che fare (o dica di avere a che fare) con il movimento proletario. Nella citata Storia della Sinistra si annota questa gigantesca parata dell'opportunismo mascherata da genuino interesse per la costituzione del partito mondiale. Tutti vogliono far parte dell'Internazionale. Hanno affrontato un viaggio tremendo, alcuni hanno impiegato settimane e sono arrivati a Congresso concluso. Si passa in genere dalla Finlandia, uno dei pochi varchi con i trasporti più o meno funzionanti. Alcuni gruppi affrontano in battello il mare ghiacciato, quello di cui fa parte il socialista Raymond Lefebvre risulterà disperso. Ci sono controlli alle frontiere, non sempre funzionano gli appuntamenti e il partito russo ha adottato un sistema di inviti e di arrivi "assistiti", con emissari che accompagnano i congressisti per evitare incontri non graditi al partito.[12]

I membri della delegazione della Sinistra Comunista "italiana", della federazione giovanile del Psi e altri hanno ricevuto un invito personale da Lenin, [13] ma fra loro Bordiga non sembra essere particolarmente attratto dal successo dei russi quanto da ciò che sta materialmente succedendo. Giuseppe Berti così racconta il suo atteggiamento:

"Chi scrive era a Napoli, nel 1920, accanto a Bordiga, nei giorni in cui Bordiga si preparava a partire per il II Congresso dell'Internazionale Comunista e, nell'ingenuo entusiasmo della sua gioventù, ricorda come domandasse a Bordiga se si sentiva emozionato per il fatto di visitare per la prima volta la Russia rivoluzionaria, di vedere coi suoi occhi, finalmente, che cosa erano i Soviet, il bolscevismo, la società nuova e rimase impietrito quando si sentì rispondere che a lui – Bordiga – quanto era accaduto in Russia interessava relativamente, e meno ancora gli importava indagare sulle forme che la rivoluzione aveva assunto lì. 'Le nostre tesi – mi disse – scaturiscono dal marxismo, da un marxismo rigoroso e non annacquato, come quello che per lunghi anni ha dominato nella II Internazionale, e se anche un giorno la Rivoluzione Russa sparisse o i Soviet e i bolscevichi dimostrassero di non saper adempiere bene alla loro funzione, noi non cambieremmo una virgola del nostro programma, ricordalo' ". [14]

Bordiga parte in giugno per il II Congresso con un mandato non scritto della Conferenza Nazionale della Frazione Comunista Astensionista (Firenze, 8-9 maggio):

"Intensificare i rapporti internazionali allo scopo di costituire la frazione antielezionista nel seno dell'Internazionale Comunista". [15]

Da Napoli passa in Svizzera, in Germania, in Olanda e in Danimarca e riesce a prendere contatto con vari comunisti antiparlamentaristi. Il 28 giugno scrive da Berlino:

"Tra poche settimane forse lo stato cuscinetto [la Polonia] non ci sarà più. Le truppe dei Soviet entreranno a Varsavia: più ancora, esse vi troveranno la capitale di una nuova repubblica soviettista… Quale è, di fronte a queste prospettive, la preparazione sociale e politica della classe operaia germanica? La risposta a questa domanda non può, malauguratamente, non avere sapore di pessimismo… Il partito indipendente è il partito della indecisione, del confusionismo teorico, della incapacità e neghittosità all'azione.. I compagni del KAPD mi hanno affermato, ed in ciò ritengo non abbiano torto, che non erano intenzionati di costituire un nuovo partito, ma che furono cacciati con un procedimento inaudito, mentre il congresso, se regolarmente convocato, avrebbe dato ad essi la maggioranza… Lo stesso astensionismo del KAPD è dissimile, come dicevo, dall'astensionismo della nostra frazione, e pur avvalendosi di analoghe constatazioni e argomenti, poggia in parte su basi diverse, in quanto svaluta l'azione politica e di partito in generale. Ma in gran parte vive e si agita nel nuovo partito una maggiore decisione rivoluzionaria e una più larga attività tra le masse; e i suoi seguaci sono quegli operai che sono insofferenti di certi momenti di transigenza del vecchio partito comunista, e della sua conversione al parlamentarismo che lo avvicina agli indipendenti, i quali si avvalgono della sua tattica per valorizzarsi di fronte al proletariato tedesco e alla Internazionale".[16]

I preparativi del Congresso

La delegazione del Partito Socialista Italiano è accolta a Pietrogrado da Zinoviev, che convince Bombacci sulla necessità di una scissione dai riformisti. È evidente che gli ospiti vogliono stupire: il viaggio da Pietrogrado a Mosca avviene su un treno speciale un tempo appartenuto allo zar; a Mosca la delegazione è accolta in una stazione imbandierata e tappezzata di scritte di benvenuto in italiano e viene condotta a visitare la città e i suoi monumenti; la sera ha un incontro prolungato con Kamenev, Cicerin, Bucharin, Rakovsky e ancora Zinoviev. Bombacci e Graziadei sono ormai favorevoli alla scissione dalla destra riformista. Serrati afferra appieno il significato di ciò che sta succedendo e, mentre rifiuta di fatto la scissione, sottolinea la propria disponibilità verso l'Internazionale. Durante il Congresso sarà molto vicino a Zinoviev fra una seduta e l'altra. Intanto il clima preparatorio del Congresso è frenetico e riunioni si succedono alle riunioni. Il 16 giugno il Comitato panrusso dei Soviet riceve solennemente le delegazioni straniere. Tre giorni prima l'Armata Rossa aveva ripreso Kiev all'esercito polacco in Ucraina e il contrattacco stava incalzando gli invasori in ritirata precipitosa.

Mentre l'Armata Rossa insegue l'esercito polacco in ritirata oltre i confini dell'Ucraina, viene convocata una riunione alla quale vengono ammessi i francesi Cachin e Frossard, autorizzati da Zinoviev. Nella seconda parte è presente Lenin. Anche se non avrebbero facoltà di intervento, i francesi relazionano sulla situazione del loro paese e Serrati su quella italiana. Tutti si attirano le critiche di Lenin. Si decide di invitare al Congresso (che aprirà i lavori il 19 luglio) gli indipendenti tedeschi (USPD). [17] Serrati è contrario perché ciò significa accettare nell'Internazionale i socialdemocratici che hanno votato i crediti di guerra nel 1914. [18] Ma Radek ribatte che l'unità di misura non è il comportamento nel passato ma l'atteggiamento presente verso la rivoluzione in corso. [19]

Il 26 giugno la delegazione italiana è ricevuta da Lenin il quale invita Serrati e gli altri socialisti presenti a separarsi dal gruppo di Turati. Di fronte all'asserzione di Serrati sul peso quantitativo dei riformisti nelle organizzazioni sindacali, Lenin pronuncia la famosa frase: "Separatevi dalla frazione di Turati e poi fate un'alleanza con essa". [20]

Mentre fervono i preparativi per il Congresso gli schieramenti vengono assecondati o creati. Alcune delegazioni, fra cui quella italiana e quella francese con Cachin e Frossard, sono invitate a una crociera di lavoro sul Volga. Bombacci e Graziadei sono invece trattenuti a Mosca: hanno accolto il progetto di scissione dal PSI e sono pronti a discuterne. Serrati, che lo rifiuta, è isolato. Ma sono isolati anche Bordiga e De Meo, nonostante la calorosa accoglienza di Lenin: in quanto antiparlamentaristi, sono nella lista nera del vademecum congressuale, cioè l'Estremismo, malattia infantile del comunismo, "offerto" ad ogni delegato nella seduta inaugurale del Congresso, che si tiene simbolicamente allo Smolny, il leggendario quartier generale della Rivoluzione d'Ottobre. Lenin pronuncia il discorso d'apertura di fronte a 208 delegati. Cita Keynes come autorevole interprete involontario della teoria marxista sulla crisi, e critica sia i sostenitori borghesi dei cicli "irrequieti" dell'accumulazione sia i sostenitori rivoluzionari della "crisi senza sbocco", per concludere che il Congresso vuole anche dimostrare la necessità della lotta contro l'opportunismo che dà fiato al capitalismo:

"Nessuna situazione è assolutamente senza sbocco. La borghesia si comporta come un rapinatore sfrontato che ha perduto la testa, fa una sciocchezza dopo l'altra, aggrava la situazione e affretta la sua rovina. Tutto questo è vero. Ma non si può 'dimostrare' che la borghesia non abbia assolutamente alcuna possibilità di addormentare una minoranza di sfruttati con qualche concessione e che non riesca a schiacciare questo o quel movimento, questa o quella insurrezione… Oggi bisogna 'dimostrare' con la pratica dei partiti rivoluzionari che questi partiti sono tanto coscienti, organizzati, collegati con le masse sfruttate, risoluti e abili da sfruttare la crisi ai fini di una rivoluzione vittoriosa. E noi ci siamo riuniti in questo congresso dell'Internazionale Comunista soprattutto per preparare questa 'dimostrazione ".[21]

Ovviamente anche gli esponenti dei partiti che l'IC avrebbe voluto forgiare secondo le indicazioni di Lenin avranno applaudito. Ma erano ben lontani dal tipo di partito adeguato alla rivoluzione. Per questo c'era un'attenzione spasmodica sui movimenti dell'Armata Rossa: le armi potevano ben sostituire partiti corrotti i cui rappresentanti erano in maggioranza tra i presenti. La documentazione sul Congresso dimostra che gli uni e gli altri non si erano ancora resi veramente conto della portata di ciò che stava succedendo. Mentre si dedicavano alla rivoluzione coltivando un politicantismo da professionisti dei parlamenti, Tukhacevski e gli altri comandanti passavano in rassegna le truppe che nel frattempo erano state organizzate e rifornite nel modo migliore che la situazione aveva permesso. La posta in gioco era immensa e l'esercito aveva fatto tesoro di tutte le misure risultate utili durante la guerra civile. Alla minuziosa preparazione tecnica i comandanti, affiancati da commissari comunisti, avevano aggiunto la preparazione politica, spiegando "semplicemente" ai soldati la natura della loro missione: vanificata l'invasione polacca dell'Ucraina, ora l'Armata Rossa avrebbe invaso la Polonia; la marcia su Varsavia non sarebbe stata un semplice episodio di guerra, sarebbe stata invece l'inizio della rivoluzione in Europa.

La seconda grande offensiva sul fronte occidentale inizia con un intenso fuoco di artiglieria cui segue l'attacco della fanteria. La linea di avanzamento è quella della ferrovia Smolensk-Brest-Litovsk, ed entro il 7 luglio le armate polacche vengono respinte oltre i confini che avevano superato. L'11 luglio l'Armata Rossa entra a Minsk, il 14 oltrepassa Vilnius, il 20 occupa Grodno dopo una durissima battaglia.

Il Congresso è al suo secondo giorno. L'attenzione si polarizza sulle possibili conseguenze dell'avanzata. Tutti hanno in mente l'esercito giacobino che "esporta la rivoluzione sulla punta delle baionette". Il 1º agosto l'Armata Rossa è a Brest-Litovsk. Il 7 agosto il Congresso chiude i suoi lavori. Il 12 agosto Tukhacevski giunge in vista di Varsavia. Alcune migliaia di soldati si attestano ai confini della Prussia orientale, direzione Berlino. Se si fosse raggiunto l'obiettivo non si sarebbe certo aperto un dibattito con i partiti a congresso.

Rivoluzione armata e Congresso democratico

Mentre il Congresso svolgeva i suoi lavori, l'avanzata su Varsavia sanciva anche la fine della guerra civile. Resistevano alcune isole di ribellione come quella dell'armata di Vrangel arroccata in Crimea. Essa sarà vinta definitivamente dopo la guerra in Polonia, ma al momento avrebbe rappresentato un grave pericolo se avesse attaccato da sud l'Armata Rossa e si fosse saldata all'esercito polacco. Solo dopo la sostanziale sconfitta dei Bianchi la Russia sarebbe riuscita a risollevarsi dalla terribile situazione economica e militare: tra il 1914 e il 1921 guerra, carestia, epidemia di tifo e requisizioni militari avevano prodotto da 12 a 28 milioni di morti (la cifra cambia a seconda delle fonti). Il compito che abbiamo chiamato titanico si presentava in tutta la sua chiarezza: il mondo era effettivamente sconvolto. Come aveva scritto John Reed, niente sarebbe comunque stato come prima. La rivoluzione era al massimo della potenza, i nemici sconfitti, il flusso dei soldati verso l'Armata Rossa ininterrotto, tanto che Lenin aveva ipotizzato di arruolare fino a 5 milioni di uomini.[22]

La Polonia, forte dell'appoggio di Francia e Inghilterra, stava lottando per la propria sistemazione nazionale e ciò la poneva in una situazione ambigua di fronte alla rivoluzione proletaria. Le grandi potenze avevano presentato un piano che poneva i confini politici della nazione polacca ai limiti del territorio "etnico" (linea Curzon, dal nome del ministro degli esteri inglese). Prima del 1914 una guerra della Polonia contro la Russia sarebbe stata rivoluzionaria, ma nel 1920 si scontrava fatalmente con una rivoluzione di livello superiore. Il generale Jozef Pilsudski, comandante dell'esercito polacco, rappresentava quindi una rivoluzione fuori tempo, per cui lo scontro, inevitabilmente, prendeva l'aspetto di lotta fra passato e futuro. Il momento era favorevole alla Polonia, perché l'Armata Rossa era ancora impegnata contro gli ultimi baluardi bianchi, pur avendo già praticamente vinto la guerra civile. Se l'esercito polacco non avesse attaccato subito, quello sovietico avrebbe avuto il tempo e la forza di rivolgersi contro l'invasore. Il quale aveva superato la linea Curzon e occupato parte dell'Ucraina confidando in un non-intervento russo. Il calcolo si era però dimostrato sbagliato: l'Armata Rossa aveva energia rivoluzionaria sufficiente per dirottare truppe e cavalleria (squadroni a cavallo erano stati richiamati dalle steppe e avevano percorso 1200 Km in 30 giorni). La situazione era paradossale: Marx ed Engels avevano considerato la Polonia un baluardo contro la reazione russa ed erano favorevoli al suo consolidamento come nazione:

"Nessuna rivoluzione può ottenere vittoria definitiva nell'Europa occidentale finché l'odierno stato russo le sussiste accanto. Nel seno stesso dell'impero [russo], esistono fattori che lavorano attivamente alla sua rovina. Il primo è rappresentato dai polacchi. Questi sono stati posti da un giogo secolare in una situazione che li costringe o a essere rivoluzionari, e quindi a appoggiare ogni moto genuinamente rivoluzionario dell'occidente europeo come primo passo verso la liberazione della Polonia, o morire. E, oggi come oggi, possono trovar degli alleati nell'Europa occidentale soltanto tra le file della classe operaia".[23]

Parole che sarebbero ancora state valide tre anni prima, furono invalidate dalla rivoluzione. Pilsudski era un socialdemocratico, considerato in patria fino a quel momento quasi un rivoluzionario. Due rivoluzioni non possono scontrarsi, ma ormai quella polacca era rientrata nell'ambito delle relazioni fra stati; e di fronte a quella russa, proletaria e comunista nonostante i compiti ancora borghesi, si presentava come politica statale al pari di quella di altri stati borghesi. Che infatti ora ne presero le difese, mentre erano stati fino ad allora indifferenti, o addirittura avevano partecipato, agli smembramenti e ai massacri.

La Rivoluzione Russa aveva quindi il potere, come tutte le rivoluzioni, di stabilire le condizioni sociali dei suoi interlocutori; il potere di ridefinire fenomeni che solo pochi anni prima avevano natura completamente diversa. Questo potere non risiedeva al Cremlino ma sui campi di battaglia, sui treni blindati, nelle marce estenuanti e nelle improvvisate e caotiche assemblee tra operai e soldati.

Non è un caso che il 1920 abbia rappresentato in Russia un crocevia geostorico e che l'avanzata su Varsavia sia coincisa con il II Congresso dell'IC. La rivoluzione aveva bisogno di una prova di coerenza, di verificare se l'azione armata fosse tutt'uno con l'azione politica. Occorre sottolinearlo perché, mentre sul terreno l'Armata Rossa, equipaggiata come poteva, riportava incredibili vittorie contro gli specialisti della guerra, sul piano politico le cose stavano andando assai diversamente. Il contrasto era stridente: da una parte l'epica e la grandiosità storica nella condotta militare; dall'altra un Congresso già partito male, fin dalla scelta dei congressisti e dall'organizzazione dell'accoglienza. Abbiamo appena sfiorato l'argomento delle manovre politiche, i giochi di corridoio, la presenza di banditi politici come Cachin e Frossard, le ambiguità di Serrati, l'inconseguenza dei tedeschi, la democrazia drogata con accordi segreti e concordati prima del voto, la meschineria della politique politicienne nell'organizzazione di un Congresso che si ergeva a guida del mondo comunista ma che sembrava in tutto e per tutto a un parlamento borghese. Se fosse fallito il tentativo di allargare i confini della rivoluzione, quel tipo di politica avrebbe preso il sopravvento e avrebbe fatto scivolare l'Internazionale nel pantano degli espedienti tattici.

Ottuso Clemenceau, lungimirante Nitti

Sappiamo che nel 1919 la Terza Internazionale era nata spuria, democratica, senza un programma e con delegati che ponevano pregiudiziali pesanti. Poco male, si potrebbe dire: data la situazione, la leniniana politica della "forgia" era comprensibile: probabilmente il Secondo Congresso, con un anno di tempo, avrebbe saputo fare di meglio. Non fu così. Se l'Armata Rossa non avesse marciato su Varsavia, i delegati avrebbero più o meno ripetuto l'esperienza del I Congresso. Anzi, nel frattempo le forze opportuniste si erano organizzate meglio. Non sembri un'esagerazione: l'influenza della rivoluzione armata sui congressisti fu robusta, obbligandoli a produrre tesi rivoluzionarie. Ma l'anno dopo, al III Congresso, tutto era tornato a gravitare intorno al compromesso con gli avversari. È più facile vincere una guerra che neutralizzare degli opportunisti.

Del resto il mondo intero esercitava una pressione enorme sulla rivoluzione in Russia. La borghesia aveva realmente paura, e mentre da una parte forniva armi ed equipaggiamenti alla controrivoluzione, dall'altra tentava di capire se non fosse il caso di prendere atto delle vittorie militari dei "rossi" e organizzare il "passaggio dalla guerra alla pace". Nella primavera del 1919, in una lettera segreta ai rappresentanti dell'Intesa, Lloyd George, il ministro inglese a capo della coalizione imperialista, dichiarava:

"Non so per quale miracolo i bolscevichi siano riusciti a conservare la loro influenza sulla massa del popolo russo e, fatto ancora più sintomatico, sono riusciti a creare un esercito molto numeroso e, sembra, molto disciplinato, pronto a offrire ogni sacrificio all'altare del proprio ideale. Entro non più di un anno la Russia piena di entusiasmo e munita di un esercito unico nel suo genere, pronta a lottare per un ideale che per essa è fede, potrà dare inizio a una nuova guerra".[24]

Aveva ragione, anche se non sarebbe stata la Russia a scatenare la guerra bensì la Polonia. Invece di isolare la rivoluzione la si attizzava. Ancora nel dicembre 1919 Clemenceau aveva dichiarato di voler

"mettere attorno al bolscevismo un reticolato di filo spinato per impedire ad esso di avventarsi sull'Europa civilizzata", [25]

ma la guerra civile aveva dimostrato che l'opzione militare non era più percorribile. Un mese dopo, nel gennaio 1920, durante una riunione del Consiglio Supremo dell'Intesa, Lloyd George e Nitti si accordavano pragmaticamente per far approvare contro Clemenceau la revoca del blocco economico e la ripresa delle relazioni commerciali con la Russia. L'Inghilterra era in mezzo al guado: mentre inviava armi alla Polonia, sondava altre possibilità prima di arrivare al punto di non ritorno. La potenza militare sviluppata dalla rivoluzione consigliava di cambiare registro. Lloyd George poteva affermare:

"Non siamo riusciti a riequilibrare la Russia con la forza. Penso che riusciremo a salvarla commerciando con essa. Il commercio aiuta a rinsavire (...) Il commercio, secondo me, porrà termine alla ferocia, alla rapina e alla crudeltà del bolscevismo meglio di qualunque altro metodo". [26]

E Nitti, in un telegramma inviato all'ambasciata italiana a Londra ai primi del giugno 1920 ribadirà:

"Per rinnovare la nostra vita sociale e politica, occorre farla finita con la politica del reticolato di ferro intorno alla Russia propugnata da Clemenceau". [27]

Nel periodo tra il 1917 e il 1920, l'azione dello stato russo a livello internazionale è volta a contrapporre nei vari paesi il proletariato alla borghesia, i popoli ai paesi colonialisti, avendo ben chiaro, nonostante tutto, l'obiettivo della rivoluzione mondiale. Ma già dalla fine del 1919 compaiono sintomi di spostamento verso obiettivi secondari: inizialmente una necessità di "tregua", che diventa presto accettazione di una "coesistenza". Al Congresso di Heidelberg del KPD (quello in cui fu espulsa la sinistra che darà vita al KAPD) Radek afferma che il problema della politica estera della Russia – a meno che la rivoluzione europea non si avvicini più rapidamente di quanto non stia avvenendo – consiste nell'arrivare ad un modus vivendi con gli stati capitalistici ("La possibilità di pace tra stati capitalisti e proletari non è un'utopia"). In dicembre lo stesso Radek, sulla rivista teorica dell'IC, propone la già citata alleanza tra la Russia e la Germania sconfitta contro l'Occidente). [28]

Paradossalmente, proprio mentre il potere sovietico sgomina le truppe bianche, caccia i corpi di spedizione stranieri, riconquista gran parte dei territori persi, le prospettive della rivoluzione mondiale diventano più vaghe e lontane. In tale clima non è un caso che le campagne militari diventino il punto di appoggio cui aggrapparsi, anche psicologicamente, per salvare l'ottimismo rivoluzionario. Ovviamente per la rivoluzione è necessario togliere di mezzo al più presto la guerra civile e la guerra fra stati. Nel corso del 1920 il potere sovietico firma trattati di pace con l'Estonia, con la Lituania, con la Lettonia e con la Finlandia. Anche alla Polonia, memori della sua tribolata storia, sono state fatte concessioni:

"Ricordate compagni, che non abbiamo conti da regolare con gli operai e i contadini polacchi. Noi abbiamo riconosciuto l'indipendenza della Polonia e la Repubblica Popolare Polacca e continueremo a farlo. Abbiamo proposto alla Polonia una pace sulla base dell'integrità delle sue frontiere, anche se queste frontiere si estendono ben oltre i limiti della popolazione puramente polacca. Abbiamo convenuto di fare tutte queste concessioni che ognuno di voi dovrà ricordare quando sarà al fronte. Lasciate che il vostro atteggiamento verso i polacchi dimostri che voi siete soldati di una Repubblica operaia e contadina e che state andando verso di essi non come aggressori ma come liberatori".[29]

La sconfitta delle sinistre occidentali

Tra le necessità della rivoluzione mondiale e quelle dettate dall'esistenza dello stato russo si viene a stabilire un dualismo che avrebbe potuto essere ancora riassorbito a vantaggio della rivoluzione se la classe operaia dell'Occidente si fosse mossa in una prospettiva effettivamente rivoluzionaria. Non fu così; e questo dualismo fu accentuato, naturalmente giustificando il fatto con la salvaguardia della rivoluzione: si sosteneva che accettare la partecipazione ai processi diplomatici e commerciali avrebbe alleviato il peso della controrivoluzione allontanandola dal territorio sovietico. È vero che il riconoscimento della Russia sovietica da parte degli stati capitalistici avrebbe comportato il riconoscimento degli stati capitalistici da parte dello stato sovietico. Ma che danno poteva derivarne se lo stato sovietico avesse mantenuto il controllo sull'immensa area toccata dalla rivoluzione? Lo stesso Lenin scriveva che la fine della guerra civile stava permettendo finalmente un inventario delle risorse, grano, petrolio, carbone; che la fame e il freddo potevano essere alleviati e che si poteva vendere qualcosa per acquistare ciò che mancava. Per i bolscevichi russi la salvaguardia della repubblica sovietica andava messa in primo piano, e il farlo era nell'interesse del socialismo internazionale. Sarà alla fine del Secondo Congresso, con la sconfitta dell'Armata Rossa alle porte di Varsavia, che si chiuderà per l'Europa la possibilità della vittoria della rivoluzione comunista. Gli interessi dello stato russo cominceranno allora a diventare preminenti rispetto alle esigenze della rivoluzione mondiale. Il controllo sul territorio non corrispondeva a un controllo sui processi della rivoluzione.

Diminuirà allora, fino a scomparire rapidamente, il ruolo e l'apporto dei comunisti occidentali, in parte presi di mira nel libro sull'estremismo distribuito non a caso al Congresso. Ben prima della bolscevizzazione forzata dei partiti comunisti furono emarginati quei militanti non russi che

"non si riconoscevano interamente nelle tesi leniniste, ma rivendicavano un rapporto paritario sulla base della comune derivazione dalla matrice marxiana e della autonomia di un'esperienza rivoluzionaria parallela a quella bolscevica". [30]

È quanto ribadisce Bordiga nei primi mesi del 1920:

"La tendenza comunista astensionista non ha mai avuto la pretesa che le viene affibbiata di essere la più fedele interprete del pensiero di Lenin. Essa ha sempre sostenuto che il bolscevismo russo non è nulla di nuovo dal punto di vista teorico (...) Le coincidenze frequenti tra le nostre direttive e quelle di Lenin dimostrano che entrambe discendono dal medesimo tronco donde si dipartono col medesimo indirizzo". [31]

Dopo la sconfitta in Occidente, però, i bolscevichi (Lenin in particolare), si convincono sempre più che il successo del proletariato europeo debba passare attraverso una "tattica indiretta", cioè un sistema di alleanze con forze eterogenee, anche della sinistra borghese.[32] Ciò significava addirittura un passo indietro rispetto alla rivoluzione "doppia" diretta da comunisti. Significava immaginare che nell'Occidente putrefatto potessero esistere forze non comuniste assimilabili nel percorso rivoluzionario. La sconfitta della sinistra internazionale, di cui quella italiana secondo Bordiga era solo una parte,[33] si manifesta pienamente dopo il Secondo Congresso dell'Internazionale, ma segnali di questo mutamento sono presenti fin dai primi mesi del 1920, anno che segna il confine tra l'ottimismo realistico del 1919 e il pessimismo tragico del 1921. Lo scioglimento dell'Ufficio della Terza Internazionale per l'Europa Occidentale ad Amsterdam (maggio 1920) è un segno. La pubblicazione di L'estremismo malattia infantile del comunismo e la sua ossessiva presenza al Congresso è un altro segno. E così l'apertura ai socialisti francesi e all'USPD tedesca con tanto di invito a Mosca. I proletari, disse Bordiga più tardi, non potevano capire quello che consideravano un grave cedimento di fronte ai rappresentanti dell'odiato opportunismo, per di più quello centrista, particolarmente nocivo e pericoloso, contro il quale si erano sprecate parole di fuoco. E nell'immediato, in occasione dello scioglimento del Bureau di Amsterdam, lo stesso Bordiga scrive:

"Per quanto riguarda la sconfessione dell'Ufficio di Amsterdam affidato a valorosi compagni, della cui attività ci siamo spesso occupati, non possiamo azzardarci a dare un giudizio. Non ci sembra esatto che le opinioni di tale Ufficio e della Conferenza siano in tutto contrastanti con quelle di Mosca (...). Ma non vorremo che Amsterdam fosse sconfessato per il suo giusto atteggiamento battagliero e intransigente verso gli opportunisti e i ricostruttori. Non crediamo che Mosca decampi dalle sue posizioni di critica feroce ai rinnegati tipo Kautsky." [34]

La presenza di Cachin[35] a Mosca aveva lasciato esterrefatti e disgustati i delegati. Tutti i presenti sapevano esattamente chi era, e nelle presentazioni ufficiali alcuni avevano rifiutato ogni contatto. Bordiga narrerà nel 1936 un aneddoto sull'atmosfera che regnava al II Congresso:

"Bisogna averli visti e conosciuti da vicino questi compagni francesi per giudicarli per quello che sono. Ricordo che a Mosca, in una riunione famosa, vi era quel tale Cachin che con enfasi curialesca ricordava ai compagni del Comitato le lacrime da lui versate la prima volta che aveva potuto parlare nella Strasburgo... liberata![36] Io ebbi uno scatto; sorsi dal mio posto gridando: ma chi è costui? Alla porta!... Mi vennero attorno i compagni russi: per carità! tu ci rovini... ma non sai che costui ha dietro di sè parecchie decine di migliaia di organizzati? Lasciagli dire tutte le sciocchezze che vuole..." [37]

La "follia" di Lenin e la paura dell'Europa

Se fu follia, come dice Carr, allora si spieghi come mai l'Europa borghese si mise a tremare senza ritegno. Si spieghi come mai l'Europa piccolo-borghese, socialdemocratica, adottò fino all'inverosimile una pratica di "contenimento" del proletariato in armi. Si spieghi ovviamente l'entusiasmo del proletariato di fronte all'avanzata dell'Armata Rossa e della fuga precipitosa da Varsavia di tutte le rappresentanze diplomatiche in vista di una evacuazione. Se nella Santa Russia la controrivoluzione si alimentava di magie antiche, mistificate con la scienza fino a far cadere nel tranello esoterico molti bolscevichi e compagni di strada, in Europa occidentale la stessa controrivoluzione metteva sugli altari Santa Democrazia e suo figlio il Fronte Unico. In Germania, per salvare la democrazia e con essa il capitalismo, i socialdemocratici al governo passarono alla repressione violenta (per chi ami la storia fatta di nomi, ricordiamo Noske, Scheidemann, Ebert). In Ungheria l'esperimento dei Consigli fu affossato dall'alleanza politica fra rivoluzionari come Bela Kun e i politicanti socialdemocratici. In Italia il proletariato, nonostante la magnifica combattività, fu invitato a schierarsi con la frazione borghese democratica, contro quella borghese fascista e condotto così alla disfatta (l'occupazione delle fabbriche imprigionò gli operai entro i reparti, e lasciò l'esercito padrone della piazza). Ondate di scioperi scossero l'Europa e, oltre a quelli ricordati, vi furono scontri in Austria, Francia, Inghilterra, Bulgaria.

Date le premesse, non a caso Lenin era il più convinto, fra i comunisti russi, che il 1920 avrebbe visto la rivoluzione trionfare in tutta Europa. In marzo scrive:

"Per la repubblica sovietica la situazione internazionale non è mai stata favorevole come lo è oggi e il nostro paese non ha mai riportato così grandi vittorie. Se si riflette sulle condizioni in cui siamo ora, nell'attuale situazione internazionale, dopo due anni di inaudite difficoltà e di incalcolabili sacrifici, se si riflette sulle cause di questo fenomeno, ogni uomo capace di ragionare scorgerà le forze essenziali, le molle e il fondamentale rapporto di forze in tutta la rivoluzione mondiale che è incominciata… Quando si considera la questione su vastissima scala i tratti particolari e i dettagli scompaiono, diventano evidenti le forze motrici essenziali della storia mondiale". [38]

L'ottimismo di Lenin era giustificato: la situazione militare apriva prospettive grandiose sia per quanto riguardava la Russia, sia per quanto riguardava l'Europa. L'Armata Rossa aveva sconfitto, in quei mesi, Kolchak in Siberia, le armate di Denikin nel sud, quelle di Yudenich in Estonia e i contingenti di occupazione stranieri erano stati evacuati dalla Siberia, da Arcangelo, dalla Crimea e dal Caucaso. E non erano nemici da poco: l'armata di Kolchak ad esempio aveva attaccato sul Volga con 300.000 uomini ed era stato sconfitto. Esempi del genere dimostravano la liberazione di un potenziale enorme. L'entusiasmo e la fiducia di Lenin nella vittoria della rivoluzione pervaderanno come una marea montante i lavori del secondo Congresso dell'IC. Nell'euforica atmosfera del Congresso, osservando la famosa carta geografica con le bandierine, Lenin credeva nella prospettiva rivoluzionaria immediata per l'Europa. Non si stancava di ripetere che le masse in Occidente erano rivoluzionarie ma erano tenute a freno da capi opportunisti. Se questo era vero, ed era vero, diventava plausibile il recupero del centrismo dei Serrati e dei Levi: i centristi avevano dietro di sé buona parte della classe operaia, ma non erano all'altezza della capacità insurrezionale di quest'ultima. La rivoluzione in marcia a partire dalla Russia avrebbe potenziato l'insurrezione e spazzato via il controllo centrista. Dal punto di vista di Lenin, anche l'attacco alle sinistre del comunismo internazionale aveva un senso: se il mondo stava conoscendo un periodo insurrezionale, era inusitato il comportamento di chi rifiutava per principio ogni contatto con l'opportunismo. Quest'ultimo era un fenomeno materiale, non si poteva negare l'utilità di alleanze proposte al fine di strappare le masse operaie al suo controllo. Lenin non metteva in discussione l'intransigenza nei confronti del nemico, ma invitava a non confondere il piano politico con quello militare. Perciò, proprio mentre esaltava la potenza dell'Armata Rossa, sottovalutava la potenza dell'opportunismo, quello stesso fenomeno contro cui egli stesso lottava da una vita. Dietro sua indicazione, tre giorni prima dell'apertura del Congresso, il CC del partito russo aveva rifiutato la mediazione inglese nel conflitto con la Polonia e aveva dato ordine all'Armata Rossa di continuare l'offensiva. Frossard riferisce che Lenin, in pieno Secondo Congresso, il 28 luglio, avrebbe detto ai delegati francesi durante un incontro:

"Sì, i Soviet sono a Varsavia. Presto la Germania sarà nostra, l'Ungheria riconquistata; i Balcani si rivoltano, l'Italia vacilla. L'Europa borghese si sta frantumando nella tempesta." [39]

Quanto potevano contare, socialmente, tutti quanti gli opportunisti, dai destri ultrariformisti ai centristi, di fronte alla situazione internazionale che montava? Lenin manterrà questa posizione fin dopo la conclusione del Secondo Congresso. Quando Radek, nei primi mesi del 1920, ritornò in Russia dopo quasi un anno di permanenza a Berlino (dove era stato imprigionato) e informò i bolscevichi sulla pesante situazione in cui si trovavano i rivoluzionari in Germania, Lenin non volle credergli e lo rimproverò di vedere la rivoluzione in Europa diventare un "lungo processo". Rimprovero piuttosto grave, perché questa era la posizione di Paul Levi, capo del KPD.

Se dobbiamo credere alle cronache, Lenin sarebbe rimasto aggrappato all'ottimismo fin dopo la sconfitta militare alle porte di Varsavia. Nei giorni seguenti la conclusione del Congresso, quando l'avanzata dell'Armata Rossa era ormai bloccata e solo reparti isolati continuavano a combattere sul fronte nord in direzione della frontiera prussiano-orientale, Lenin auspicava ancora un rovesciamento favorevole. Scrive Margarete Buber-Neumann:

"In quella situazione Lenin convocò al Cremlino tre delegati tedeschi, Levi, Meyer e Lowenhaim, i soli che in quei giorni erano a Mosca e non stavano viaggiando sulla via del ritorno. Trovarono Lenin davanti a una grande carta geografica su cui spiegò loro la situazione che si era creata sul fronte occidentale. A un certo punto disse: 'Ci è pervenuto un dispaccio del compagno Trotskij, il quale ci comunica che nei prossimi giorni l'Armata Rossa raggiungerà la frontiera della Prussia orientale. Potete intuire quali saranno gli sviluppi futuri. Secondo voi, quali forme assumerà l'insurrezione in Prussia orientale?' I tre delegati tedeschi lo guardarono stupiti. 'Un'insurrezione? E proprio in Prussia orientale? Ma se è noto che proprio i contadini di quella regione sono il gruppo più reazionario di tutta la popolazione tedesca!' Lenin reagì in tono irritato: 'Spero non vorrete affermare che in Prussia orientale non ci si batterà'. A questo punto fu Meyer a intervenire: 'Compagno Lenin, ma vi aspettate veramente che la popolazione della Prussia orientale si sollevi spontaneamente?' Con voce delusa e irrequieta Lenin si rivolse a Levi: 'E voi, compagno Levi, pensate anche voi che laggiù non ci sarà un'insurrezione?' Levi non rispose. Fu Lenin a chiudere la discussione in tono tagliente: 'Sappiate in ogni caso che al Comitato Centrale la pensiamo diversamente". [40]

Ma le cronache sono tendenziose. I tedeschi convocati, semplicemente, mentivano. I sedicenti capi del movimento operaio tedesco, di cui Paul Levi era uno degli esponenti con più gravi responsabilità, non erano preoccupati per la possibile disfatta, temevano piuttosto che si realizzasse la vittoria. Sempre, quando il proletariato si scatena contro le condizioni di vita fino a mettere in crisi il potere borghese, i capi opportunisti sfoderano preoccupazioni per l'esito di scioperi e manifestazioni per coprire il terrore suscitato dal movimento che li lascia indietro. In un rapporto segreto, ritrovato dopo l'uscita delle ultime edizioni delle Opere Complete, Lenin elenca alcuni fatti che spiegherebbero le cause della disfatta. C'erano migliaia di soldati dell'Armata Rossa in Prussia orientale, e vi si trovavano proprio perché Danzica era sulla strada della Germania. Certamente i contadini prussiani saranno stati reazionari, e comunque Lenin mai pensò di poggiare la rivoluzione, russa e internazionale, sul comportamento dei contadini. Bisognava tener conto del loro peso numerico, ma il compito della rivoluzione era quello di neutralizzarli, altro che aspettarsi una loro insurrezione. La riuscita dell'insurrezione era compito proletario, non contadino, i contadini semmai si sarebbero aggregati al vincitore. Ecco la versione di Lenin sulla presenza di truppe rosse nella Prussia orientale e sul clima politico indotto sulla Germania, ed ecco perché poteva dire "al Comitato Centrale la pensiamo diversamente":

"Quando le nostre forze si avvicinarono alle frontiere della Prussia orientale, che è separata [dal resto della Germania] da un corridoio polacco che si estende fino a Danzica, ab­biamo visto tutta la Germania entrare in subbuglio. Incominciarono a giungere notizie secon­do cui decine e centinaia di migliaia di comunisti tedeschi stavano attraversando le nostre frontiere. Fummo inondati di telegrammi [a proposito della formazione] di reggimenti comu­nisti tedeschi. Dovemmo adottare la decisione di non pubblicare [quelle richieste] d'aiuto e continuare a dichiarare che stavamo combattendo [solo contro la Polonia]".[41]

Ora, questo resoconto fu esposto davanti al Comitato Centrale, appunto, cioè di fronte a compagni che avevano una precisa conoscenza dei fatti e ai quali non era possibile raccontare bugie madornali. Del resto in Europa tutti sapevano che migliaia di volontari tedeschi combattevano nell'Armata Rossa, compresi degli ufficiali. Sappiamo della grande capacità che ebbero i proletari tedeschi nel rifornirsi di armi durante innumerevoli insurrezioni. Sappiamo che buona parte dei 60.000 prigionieri caduti in mano nemica, provenivano dai reparti accerchiati dall'esercito tedesco nella Prussia orientale e internati in Germania. Non solo la sconfitta era avvenuta in circostanze diverse da quelle raccontate nella storia ufficiale, ma si era prodotto quel fenomeno delle "alleanze spontanee contro natura":

"E noi vediamo che la Germania orientale è in subbuglio. Si sta formando una specie di blocco contro natura alla testa del quale vi sono dei generali kornilovisti [che avevano appoggiato il putsch di Kapp] che, essendo uomini di buonsenso militare, [adottano la semplice parola d'ordine]: 'Guerra alla Francia ad ogni costo, non importa insieme a chi o in quali condizioni'. Questi ufficiali tedeschi sono uomini politicamente analfabeti che non capiscono come la guerra porti con sé determinate conse­guenze, e adesso hanno l'idea di muovere guerra alla Francia ad ogni costo".[42]

Non manca un riferimento al II Congresso, al tempo perduto a convincere i delegati tedeschi e di altri paesi che c'era una rivoluzione mondiale in atto e che questo fatto lapalissiano era rimosso dalla mente opportunista. Per qualche giorno Lenin deve aver pensato che non si poteva sopportare il disfattismo di quelli che di lì a poco sarebbero stati i protagonisti autentici delle parole d'ordine sul fronte unico e che si stavano comportando peggio dei putschisti tedeschi:

"Ecco come si presentava all'epoca il problema, e questo problema non poteva allora essere risolto dai comunisti tedeschi, non potevano risolverlo perché in quel momento si trovavano qui, qui a Mosca, a riunirsi e a decidere sulla più elementare questione dei rapporti con gli In­dipendenti di destra, i cui dirigenti erano come il nostro Martov, mentre gli operai erano favo­revoli ai bolscevichi. Essi erano impegnati a decidere su questa questione mondiale, che si presenta in tutti i paesi. E in quel momento gli avvenimenti in Germania balzarono al di là di qualsiasi decisione su tali questioni, e prese forma un blocco tra i patrioti coerenti ed estremi­sti da una parte e i comunisti dall'altra, che si dichiarò consapevolmente a favore di un blocco [con] la Russia sovietica. Con la nascita di un tale blocco, nella politica mondiale esistono soltanto due forze: una, la Società delle Nazioni, che ha prodotto il Trattato di Versailles, e l'altra, la repubblica sovietica, che ha stracciato il Trattato di Versailles. E il blocco contro natura [in] Germania è stato favorevole a noi".[43]

La fatidica mappa

La rivoluzione era avanzata procedendo su due binari: quello della realtà in marcia e quello della "politica", mutuato dal sistema democratico rappresentativo borghese. Questo dualismo si era riflesso sull'Internazionale anche mentre era in corso la guerra in Polonia. Nel momento in cui tale guerra aveva ancora una prospettiva di vittoria, sostenuta dalla materiale e travolgente avanzata dei soldati, il Congresso si era adeguato e aveva riscritto le proprie tesi e conclusioni in chiave rivoluzionaria. Ma era evidente che l'influsso dell'avanzata su Varsavia non aveva cancellato l'influsso di L'Estremismo malattia infantile del comunismo, scritto nell'aprile del 1920, quindi in vista del Congresso. La fraseologia dei delegati era resa roboante dagli avvenimenti militari, ma copriva malamente la realtà frontista: proprio mentre Zinoviev proclamava che "è necessario chiudere a chiave le porte dell'IC", Cachin, Frossard e tutti i tromboni della politica tradizionale occidentale presenti al Congresso erano addirittura ossequiati.

Non serve cercare responsabilità o colpe, bisogna però capire come può essere affossata una rivoluzione. Il Congresso aveva aperto i lavori a luglio. Poco prima l'Armata Rossa aveva subìto sconfitte disastrose da parte dell'esercito polacco. L'obiettivo di realizzare una "Grande Polonia" sembrava raggiunto con la caduta di Kiev. Ma mentre si approssimava l'apertura del Congresso, la situazione si era rovesciata completamente: a giugno l'Armata Rossa aveva riconquistato Kiev e lanciato un'offensiva che aveva messo in rotta l'esercito polacco. C'erano ora tutte le premesse per un contrattacco su Varsavia. Era risalito l'ottimismo. A Congresso aperto, Zinoviev aveva salutato i congressisti con un discorso pomposo:

"Il II Congresso dell'Internazionale comunista è passato alla storia dal mo­mento dell'apertura dei suoi lavori. Tenete in mente questo giorno. Sappiate che questo giorno è la ricompensa per tutte le vostre privazioni e per la vostra coraggiosa e tenace lotta. Dite e spiegate ai vostri figli il significato di questo giorno. Imprimete nei vostri cuori quest'ora solenne".[44]

Più tardi descriverà la famosa scena che si svolgeva tutte le mattine:

"Nella sala del Congresso era appesa una grande carta geografica sulla quale veniva segnato ogni giorno il movimento delle nostre armate. E ogni mattina i delegati si fermavano con un interesse da restar senza fiato dinanzi a questa carta. Era una specie di simbolo: i migliori rappresentanti del proletariato internazionale con estremo interesse, con animo palpitante, seguivano ogni avanzata delle nostre armate, e tutti si rendevano perfettamente conto che, se fosse stato raggiunto l'obiettivo militare stabilito dal nostro esercito, ciò avrebbe significato un immenso accelerarsi della rivoluzione proletaria inter­nazionale".[45]

Victor Serge descrive la stessa scena aggiungendo alcune parole fondamentali che ribadiscono quanto Mosca e Pietrogrado stessero ballando alla musica di Varsavia:

"Una mappa dispiegata sulla tappezzeria tratteneva l'attenzione di gruppi di commentatori. Lenin, Radek, Zinoviev si fermavano seguendo con gli occhi insieme agli stranieri l'avanzata delle piccole bandiere rosse che Tukhacevski spostava verso Varsavia per strappare il trattato di Versailles, fare una Polonia sovietica, domani una Germania socialista e ben presto gli Stati Uniti dell'Europa Socialista. Avevamo tutti nelle nostre cartelle le Tesi di Tukhacevski sull'Armata Rossa al servizio dell'Internazionale. Una sera, un dispaccio da Kharkov diffuse la voce che Tukhacevski, Rakovsky e Smilga erano entrati a Varsavia". [46]

Serge non ci dice quale reazione ci fosse a una notizia del genere (in realtà i reparti che essi comandavano si erano appena avvicinati ai sobborghi ed erano stati respinti. Lenin più di tutti era colpito da eventi così esaltanti: l'Esercito della Rivoluzione Mondiale, dopo un sacrosanto contrattacco benedetto da tutti i crismi della tradizione diplomatica (dopo le ripetute profferte di pace da parte della Russia, l'aggressore era chiaramente Pilsudski), stava marciando nel cuore dell'Europa capitalista.

Al Congresso le relazioni assunsero un tono completamente diverso rispetto a quello delle fasi preliminari: ora l'accento era posto con forza sui compiti della rivoluzione mondiale. La marcia su Varsavia aveva influenzato il "dibattito" e messo in secondo piano la lotta politica condotta nei corridoi. Zinoviev (Gregorio il ballista, come lo chiamava Amadeo) sottolineava con enfasi che la nuova Internazionale avrebbe superato le tare democratiche del suo primo congresso:

"Che cos'era la Terza Internazionale alla sua costituzione nel marzo 1919? Niente più di un'associazione di propaganda; e ciò essa rimase durante tutto il suo primo anno. Ora noi vogliamo essere non un'associazione di propaganda, bensì un organismo di lotta del proletariato internazionale".[47]

E in una risoluzione ufficiale dell'IC si scriveva:

"L'Internazionale comunista proclama la causa della Russia sovietica come propria causa. Il proletariato internazionale non rinfodererà la spada finché la Russia sovietica non diverrà un anello in una federazione di repubbliche sovietiche di tutto il mondo". [48]

La rivoluzione e il suo dettato

Evidentemente la fiducia nelle armi della rivoluzione fu più forte delle pastette tipo parlamento: il II Congresso dell'IC diventò davvero "un culmine e un bivio", come disse la nostra corrente. Le relazioni cambiarono e divennero più adatte allo scenario che si profilava. Significative a questo proposito furono le Tesi sulla questione nazionale e coloniale (specie se messe a confronto con quelle che verranno redatte nell'anno successivo):

"Non ci si può limitare a riconoscere o proclamare l'avvicinamento dei lavoratori di tutti i paesi. È ormai necessario perseguire la realizzazione dell'unione più stretta di tutti i movimenti emancipatori nazionali e coloniali con la Russia dei Soviet, dando a questa unione delle forme corrispondenti al grado di evoluzione del movimento proletario fra il proletariato di ogni paese, o del ruolo emancipatore democratico borghese fra gli operai ed i contadini dei paesi arretrati e di nazionalità arretrata".[49]

E nelle Tesi supplementari il salto delle fasi è ancor più chiaro:

"Nel suo primo stadio, la rivoluzione nelle colonie deve avere un programma comportante riforme piccolo-borghesi come la divisione della terra. Ma non ne deriva necessariamente che la direzione della rivoluzione debba essere abbandonata alla democrazia borghese. Il partito proletario deve invece sviluppare una propaganda possente e sistematica in favore dei Soviet, e organizzare i soviet di contadini e operai. Questi dovranno lavorare in stretta collaborazione con le repubbliche sovietiche dei paesi capitalisti avanzati per raggiungere la vittoria finale sul capitalismo nel mondo intero. Così le masse dei paesi arretrati, condotte dal proletariato cosciente dei paesi capitalisti sviluppati, arriveranno al comunismo senza passare per le diverse tappe dell'evoluzione capitalista".[50]

Cadde completamente la proposta federativa dell'unione di partiti nazionali perché l'IC doveva diventare "un unico partito comunista con sezioni in di­versi paesi". Era indispensabile evitare l'errore della Seconda Internazionale che aveva tradito il centralismo della Prima. Mentre l'Armata Rossa travolgeva ogni resistenza e si avvicinava a Varsavia, i congressisti guadagnavano in lucidità: anche la recente tragedia frontista dell'Ungheria non si doveva ripetere.

Cadde la tolleranza nei confronti dei socialdemocratici che coabitavano con i comunisti in vari partiti socialisti d'Europa. Lenin volle scrivere personalmente 19 condizioni di ammissione, rese più severe da altre due proposte in assemblea:

"Il Congresso si è rifiutato di accogliere subito nell'IC i partiti che, usciti dalla II Internazionale, non hanno ancora espulso dalle loro file i rappresentanti autorevoli del social tradimento".[51]

Le "condizioni" erano in effetti drastiche, anche se disattese nel complesso della tattica frontista (quel "subito" è molto significativo). Una delle condizioni era stata proposta dalla nostra corrente; come rilevò Humbert Drosz, sotto la ragionevole esigenza di unità, si nascondevano scappatoie:

"La proposta di Bordiga di costringere i partiti ad espellere coloro che vo­tano contro il programma dell'Internazionale comunista è assolutamente utile per attuare una prima epurazione delle estreme destre. La parola scissione spaventa tutti gli opportunisti i quali pongono l'unità sopra ogni altra cosa. Questa prima epurazione sarà naturalmente incompleta ma essa è il primo passo per formare un partito genuinamente comunista".[52]

Lo schema è salvo: la guerra civile russa aveva prodotto il I Congresso dell'IC, quello descritto da Zinoviev; l'internazionalizzazione della guerra civile con l'avanzata su Varsavia aveva prodotto il II Congresso. Si può dire che, mentre l'Ottobre 1917 spingeva per la rivoluzione, il "Luglio 1920" era attratto dalla rivoluzione. Era l'Occidente che invocava per sé la rivoluzione scoppiata in Oriente. Eppure ci fu chi non capì. La forza risolutiva del contrattacco sovietico aveva stupito gli stessi comandanti dell'Armata Rossa. La via dell'Occidente era aperta e sguarnita, non ci si poteva fermare, nessuna rivoluzione lo fa, tende sempre ad andare fino in fondo.

Trotskij era politicamente contrario alla prosecuzione dell'attacco perché c'era il rischio di sollevare di nuovo le potenze occidentali contro la Russia; militarmente contrario perché conosceva bene lo stato degli armamenti e dei reparti dopo anni di guerra civile. Stalin lo era perché a suo dire le condizioni sociali in cui l'attacco avveniva non erano mature per l'insurrezione che avrebbe dovuto affiancare l'entrata in Varsaia. Occorreva rendersi conto del fatto che il retroterra delle battaglie contro i Bianchi e contro Pilsudski era territorio russo che la controrivoluzione occupava e che i Rossi andavano a "liberare", mentre in Polonia il retroterra era polacco e i russi, nemici secolari della Polonia andavano a occuparlo. Radek, che era nato e aveva lavorato in Polonia, sosteneva che il proletariato e soprattutto i contadini polacchi sarebbero stati contrari all'invasione. Lenin non condivideva questi giudizi e sostenne che gli operai polacchi sarebbero certamente insorti accogliendo con favore l'Armata Rossa, che era ormai a composizione internazionale e non esclusivamente russa. Quando si trattò di decidere, Trotskij non trovò appoggi e Stalin non insistette, quindi passò come al solito la linea di Lenin.

La fiducia di Lenin non era dettata dal caso, non era la prima volta che la rivoluzione veniva "esportata": l'Armata Rossa o comunque suoi reparti avevano appoggiato i comunisti locali in Finlandia, aiutato a realizzare le repubbliche sovietiche di Estonia, Lettonia, Georgia, perciò non mancavano precedenti. E poi la marcia su Varsavia coincideva con il II Congresso, che era certamente un centro di amplificazione dell'entusiasmo rivoluzionario diffuso dagli straordinari eventi militari.

Alla seduta d'apertura del Congresso persino Serrati aveva proposto un "indirizzo all'Armata Rossa" che esprimesse la speranza di un allargamento internazionale del reclutamento, in modo da realizzare "una delle principali forze della storia del mondo".

Inversione di tendenza

L'entusiasmo durò un mese. Il 16 agosto una robusta controffensiva polacca fermò l'Armata Rossa e pochi giorni dopo la respinse. Come sempre succede in questi casi i critici alzarono la cresta: tutta la campagna, a loro dire, era stato un errore militare. Fino a quel momento la rivoluzione aveva influenzato il suo partito; da Varsavia in poi, il partito influenzerà la rivoluzione. Non nel senso di quel "rovesciamento della prassi" che si verifica quando le determinazioni agenti sul partito lo portano ad avere influenza sulle masse ed esso può far valere il programma rivoluzionario, bensì nel senso di freno democratico e frontista, il contrario del concetto di "rivoluzione fino in fondo". Eppure si era giunti a un passo da quella rivoluzione che matura i propri obiettivi nel corso degli eventi: la saldatura fra la rivoluzione multipla d'Oriente e quella a contenuto puramente proletario d'Occidente avrebbe condotto il mondo in fermento sotto il segno comunista. Proprio le reazioni internazionali di fronte all'insospettata potenza dell'Armata Rossa avevano dimostrato che era politicamente e strategicamente valido l'assunto di partenza. Il 22 settembre Lenin dirà:

"L'avanzata del nostro esercito su Varsavia ha dimostrato inconfutabilmente che il centro di tutto il sistema dell'imperialismo mondiale, poggiante sul trattato di Versailles, si trova da qualche parte, in prossimità della capitale polacca. La Polonia, che è l'ultimo baluardo della lotta antibolscevica ed è interamente nelle mani dell'Intesa, costituisce un fattore così impor­tante di questo sistema che, quando l'Esercito rosso ha minacciato tale baluardo, tutto il si­stema ha cominciato a vacillare. La repubblica sovietica è diventata così un fattore di primaria importanza nella politica internazionale".[53]

In contrasto con questa "importanza", adesso veniva a mancare il fermento indotto dall'inusitata prospettiva di un'insurrezione europea. Partiti gli ultimi congressisti, la politica tradizionale, la lotta sul piano della democrazia riprese il sopravvento. Del resto non era mai passata realmente in secondo piano. La delegazione della Sinistra "italiana" fu l'unica forza politica che avrebbe potuto saldarsi con il bolscevismo, ma era arrivata al Congresso già con il marchio dell'estremismo. Così non poté fare molto a parte il chiarimento dei "Punti di adesione".[54]

All'epoca del Congresso, nonostante la stima dimostrata da Lenin nei suoi confronti, classificata fra i "malati infantili", la nostra corrente non riuscì a far valere il proprio programma, nemmeno nel clima dell'internazionalismo che la guerra polacca aveva indotto nel Congresso. Eppure era la forza che più aveva insistito per chiedere ciò che adesso, con una certa dose di opportunismo, tutti consideravano normale: un partito unico mondiale invece di una federazione internazionale di partiti nazionali (e al Congresso c'era chi badava alle lacrime patriottiche di Cachin); un'azione univoca contro l'opportunismo (e il Congresso aveva fatto il pieno di opportunisti); una definizione rigorosa della tattica (e al Congresso già si profilava l'improvvisazione come metodo per aderire alle "situazioni"). Nel 1920 l'identificazione del bolscevismo come "pianta di ogni clima" era ancora totale, non c'era motivo visibile di dubitare della tenuta dal punto di vista della teoria, pur messa sotto pressione. Ma certo anche negli anni precedenti serpeggiava all'interno della Sinistra una sfiducia totale rispetto alla possibilità che i partiti d'Occidente non si ponessero di fatto contro la rivoluzione in corso. Qui si interrompeva la sintonia con i bolscevichi. Bordiga ripeterà più volte in seguito che Lenin riponeva troppa fiducia nella socialdemocrazia o nel "comunismo" d'Occidente. E parlando del III Congresso dell'IC nel 1921, lo stesso anno in cui era nato il PCd'I, dichiarerà in una corrispondenza che molti credevano ancora in uno slancio rivoluzionario, mentre i fatti dimostravano che questo si stava estinguendo.[55] Mentre era a Mosca per il II Congresso, avrebbe dovuto ricevere una lettera spedita dall'Italia ma che fu intercettata dalla polizia. Il documento è firmato "G" e non è stato possibile risalire all'autore, ma è chiaro che egli è preoccupato quanto Bordiga della piega che stanno prendendo gli avvenimenti, se consiglia di lasciar perdere l'antielezionismo (che comunque non fu mai una questione di principio per la Sinistra) e di focalizzare l'attenzione sul ruolo dell'opportunismo socialdemocratico:

"Come già sai io non ritengo più che la rivoluzione proletaria sia così imminente come appariva agli inizi dell'anno scorso, quando Spartaco sembrava prossimo alla vittoria in Germania, e la repubblica dei consigli era proclamata in Baviera e in Ungheria (...) Ripeto: allo stato delle cose credo che non sia prevedibile né augurabile un movimento immediato. Il nostro compito urgente in Italia non può quindi essere altro che l'organizzazione, sia nel campo teorico che nel campo pratico, di un solido nucleo di avanguardia, che sia ben preparato quando l'ora suonerà. (...) Credo che costà tu dovresti manovrare così: accentuare, più che l'antielezionismo, la necessità di eliminare dal partito i social-democratici e opportunisti." [56]

Giuseppe Berti nelle sue memorie sottolinea indirettamente il passaggio dall'antiparlamentarismo alla lotta contro la socialdemocrazia, che nel caso della Sinistra Comunista "italiana", e non a caso dopo il II Congresso dell'IC, si configura come consigliato da Lenin, cioè con la netta scissione:

"Bordiga, dopo aver partecipato al II Congresso dell'IC (...) era arrivato alla conclusione che si poteva benissimo arrivare alla frazione comunista unificata, nella supposizione (...) che anche se la frazione comunista unificata fosse stata di una certa ampiezza gli astensionisti sarebbero riusciti a mantenerne le redini (...). Certo, Bordiga si rendeva conto che quella scelta comportava un notevole cambiamento dell'indirizzo che sino a quel momento aveva seguito la frazione astensionista e notevoli concessioni alle tesi di Lenin, ma era d'opinione che ricevere in Italia l'investitura di Lenin e dell'I.C. era un fatto così importante, un fatto che poteva avere un tale peso nel movimento operaio italiano, e nello sviluppo successivo della lotta rivoluzionaria da giustificare i sacrifici che il II Congresso imponeva. (...) Il bordighismo della frazione astensionista va distinto abbastanza nettamente dal bordighismo dei mesi e degli anni che seguono il II Congresso e che vedono la costituzione della frazione comunista unificata e, poi, del partito comunista." [57]

Sulla questione del parlamentarismo Bordiga era intervenuto al Congresso e Lenin gli aveva risposto abbastanza duramente. All'interno del PSI la frazione astensionista coincideva con la frazione comunista, e il cambiamento che Berti avverte non era certo dovuto a una qualche tattica per ingraziarsi Lenin. Con Lenin la Sinistra ebbe in quegli anni un dialogo piuttosto acceso e mai Bordiga abbassò i toni per convenienza politica. Era comunque falso che si potesse realmente "utilizzare" Lenin per avere più influenza sul proletariato italiano: l'abbandono della pregiudiziale antiparlamentarista, che peraltro sarebbe improprio chiamare a quel modo, era dovuto al fatto che combattere la reale potenza disfattista dei socialdemocratici di ogni risma doveva avere la priorità.

Terza parte. La rivoluzione armata

"Nel programma dell'Internazionale dobbiamo far posto alla defini­zione di questi principi militari. A questo scopo è necessario familiarizza­re profondamente i partiti comunisti dell'Europa Occidentale con l'Armata Rossa nella guerra del 1918-20. Data l'inevitabilità di una guerra civile su scala mondiale in un futuro assai prossimo, dobbiamo istituire lo stato maggiore generale della III In­ternazionale" (Mikhail Tukhacevski).

Sun Tzu e von Clausewitz

"Esportare la rivoluzione sulla punta delle baionette". La frase, poi ripetuta in senso soprattutto negativo, si diffonde durante la Rivoluzione Francese, volta in positivo da Napoleone che esporterà di fatto la rivoluzione in Europa. Ritorna in Russia adottata da coloro che vorrebbero opporsi alla marcia dell'Armata Rossa nel cuore dell'Europa. Un "triviale rigurgito" attuale la ricombina in "Non si esporta la democrazia ecc.". E come no: la guerra esiste proprio perché qualcuno tende ad esportare la propria visione del mondo (prosaicamente: i propri interessi) presso qualcun altro. La guerra è un fatto totale, non ammette debolezze. Tutt'al più, se i capi vincitori sono conseguenti e politicamente abili, serberanno buone relazioni con i vinti per gestire il dopo-vittoria. Finché la guerra dura, il suo obiettivo è la disfatta del nemico e le dottrine si adeguano allo scopo.

Sia Sun Tzu che von Clausewitz vanno certamente letti nel contesto della guerra nelle rispettive aree geostoriche, il primo nell'Antico Oriente del VI-V secolo a.C., il secondo nel contesto della guerra moderna, diciamo da Napoleone in poi; cercando però di tratteggiare una teoria della guerra entrambi sono costretti a estreme generalizzazioni senza tempo. Un po' come se trattassero l'argomento secondo la matematica teoria dei giochi.

Com'è ovvio, gli eserciti sono stati rivoluzionati nei vari passaggi epocali, ma hanno mantenuto un carattere dualistico invariante per millenni: un nucleo di fanteria più o meno statico coadiuvato da ali di cavalleria dinamiche. L'artiglieria, per quanto micidiale, non è stata un'arma decisiva finché non è diventata semovente. Anche la parte dinamica poteva non essere decisiva, tanto che ad esempio per secoli il potente impero romano la utilizzò in modo marginale pur essendo un'arma elitaria: nel periodo repubblicano, la legione era composta da 5.000 fanti e 300 cavalieri. Questi ultimi combattevano con un'armatura molto leggera e all'occasione scendevano da cavallo per dare man forte ai fanti. Del resto non potevano rappresentare una forza d'urto mobile come nei secoli successivi perché non era ancora conosciuta la staffa, che permetterà al cavaliere di rimanere in arcione anche nella mischia. La Rivoluzione Francese e il periodo napoleonico portano delle novità per quanto riguarda la dinamica: la fanteria disposta in colonna si muove più rapidamente, la cavalleria raggiunge il massimo dell'efficacia nel rompere i ranghi avversari e l'artiglieria prodotta in serie è più leggera e facilmente dislocabile. Sun Tzu ragiona in base a una visione dinamica della guerra, von Clausewitz ragiona in base a grandi eserciti che si affrontano in battaglie decisive manovrando pesantemente su determinati fronti. È diventato quasi un luogo comune attribuire al generale cinese un'intelligenza della guerra (tanto onore al comandante che vince senza combattere) e al filosofo prussiano una teoria della guerra totale decisa dalla forza (la guerra tende sempre all'estremo). Una tale semplificazione è alquanto arbitraria perché von Clausewitz non è meno attento di Sun Tzu alle variabili dinamiche della guerra, e può aiutarci a capire che cosa successe al tempo della Prima Guerra Mondiale e della Rivoluzione in Europa.

L'affinamento tecnico degli armamenti aveva già prodotto nuove dottrine militari per cui, di fronte al fucile a retrocarica, al cannone ad anima rigata, alla mitragliatrice, al telegrafo, alle ferrovie e infine ai mezzi di trasporto auto-mobili era stata teorizzata la "guerra di movimento". Così in effetti iniziò la Prima Guerra Mondiale. Che però, dopo un breve inizio coerente con la nuova dottrina, si impantanò in trincea a causa dell'insufficiente comprensione della potenza che si sarebbe potuta sviluppare con il coordinamento di tali mezzi. La guerra del 14-18 finì senza che si riuscissero ad adottare le innovazioni tecniche e dottrinali che già erano state proposte e in parte realizzate (ad esempio il carro armato e il suo utilizzo sul campo). Solo in Russia la guerra continuò come guerra civile e, dato che essa era un'espressione dello scontro rivoluzionario in atto, finì per rivoluzionare sé stessa.

La rivoluzione è movimento

Sun Tzu e von Clausewitz possono dunque essere utilizzati per capire meglio ciò che la Rivoluzione d'Ottobre scombussolò nelle dottrine militari allora dominanti. Se prescindiamo dalle rispettive epoche e ci soffermiamo sull'invarianza millenaria del dualismo fanteria/cavalleria, ci rendiamo conto immediatamente che nel corso della Prima Guerra Mondiale esistevano già gli elementi tecnici della rivoluzione militare, ma non furono presi in considerazione, per cui ad essi successe ciò che è sempre successo allo sviluppo della forza produttiva sociale bloccato dalla persistenza della vecchia società. Né Sun Tzu, né von Clausewitz potevano ovviamente inventare di sana pianta una dottrina militare. Entrambi si basavano sulle modalità di combattimento delle loro rispettive epoche e arrivarono alla stessa conclusione dei teorici moderni della guerra, che nel 1920 era già da un pezzo condotta con mezzi di locomozione a motore, ferrovie e telegrafi. Entrambi cercarono di evitare la guerra di posizione, che è poi una guerra di logoramento sia oggi che duemilacinquecento anni fa.[58] L'autore antico privilegia il lavoro di raccolta delle informazioni per trarre indicazioni su efficaci attacchi non frontali onde limitare le proprie perdite e imporre al nemico un atteggiamento passivo; l'autore moderno privilegia la minuziosa preparazione per concentrare la forza in un punto decisivo e ottenere lo stesso risultato. In entrambi i casi la mobilità è essenziale:

"Quando scendi in campo, sii rapido come il vento, indecifrabile come una nuvola, mobile come una tempesta" (cap. VII-13)…; "La velocità è l'essenza della guerra. Cogli i vantaggi dall'impreparazione del nemico; marcia su strade imprevedibili e colpisci là dove non ha preso precauzioni".[59]

Von Clausewitz dedica molto spazio alla mobilità:

"1) la fanteria è la più indipendente delle armi; 2) l'artiglieria è assolutamente incapace di indipendenza; 3) la fanteria è l'arma più importate nel complesso di più armi; 4) la cavalleria è quella di cui si può fare maggiormente a meno; 5) il complesso coordinato delle tre armi conferisce la massima potenza… Nel combattimento ravvicinato l'essenza della difesa consiste nel rimanere fermi sulle proprie posizioni; l'essenza dell'attacco è invece il movimento. La cavalleria è completamente inabile alla difesa, mentre è particolarmente adatta all'attacco. La fanteria, pur avendo le qualità per la difesa del terreno, non è del tutto priva di mobilità… ma in un esercito è la cavalleria che amplifica il principio di mobilità… La cavalleria è l'arma del movimento e delle grandi decisioni".[60]

Secondo von Clausewitz la cavalleria, cioè fino alla Prima Guerra Mondiale l'arma per eccellenza della mobilità, è quella di cui si può fare maggiormente a meno, ma ben coordinata alle altre armi diventa l'arma delle grandi soluzioni decisive. L'armata zarista aveva 300.000 cavalleggeri, ma nella guerra di trincea non servivano a molto. Ora, immaginiamo una situazione in cui una rivoluzione sconvolga lo stato di cose esistente; in cui le sue forze armate siano attaccate su una quindicina di fronti da eserciti della reazione; in cui potenti paesi controrivoluzionari intervengano sia direttamente che con enormi quantità di armi. Può il nuovo stato arroccarsi su di un territorio che non ha risorse sufficienti per resistere a lungo in difesa, cioè in una guerra di logoramento condotta con forze impari? Evidentemente no. Ogni rivoluzione è un attacco alle condizioni esistenti, non può adottare in campo militare una strategia di difesa. E infatti non l'adotta. In Russia l'esercito rivoluzionario, contrariamente a quanto era successo nella guerra mondiale appena terminata, diventa estremamente mobile. È una condizione materiale, anche a causa della mancanza di mezzi e di una eredità pesante: l'immensa e anacronistica cavalleria, che l'Armata Rossa condivide con i suoi nemici. Nessuno teorizza la mobilità, la si introduce e basta. Dopo, alla fine della guerra civile, verrà la razionalizzazione di ciò che la rivoluzione ha compiuto. Ma nel frattempo la società nuova è all'attacco e vince su quella vecchia stravolgendo completamente tremila anni di dottrine militari basate sul dualismo fanteria/cavalleria. Pur avendo poche forze motorizzate, l'Armata Rossa si comporta come se ne avesse molte usando ciò che capita per esasperare la mobilità: prima di tutto i treni; poi il sistema di comunicazioni, le leggendarie marce forzate e, naturalmente, la cavalleria, anacronistica ma riconsiderata per l'uso massiccio nelle grandi pianure. Infine l'equipaggiamento leggero, con l'eliminazione di tutto ciò che fino a quel momento aveva rallentato gli eserciti: la logistica pesante e, in parte, l'artiglieria, quest'ultima sostituita da reparti di mitraglieri mobili dotati di tachanka, un carro leggero con sospensioni a molle su cui è montata una mitragliatrice, un insieme mobile molto versatile su terreno accidentato.

Le battaglie in un contesto con ampi spazi sono per L'Armata Rossa una "scuola di guerra" formidabile. La scarsezza delle risorse per il movimento e, in contrasto, gli amplissimi spazi da coprire velocemente, inducono una percezione dello scontro completamente diversa da quella indotta dalla guerra di posizione nel contesto europeo. Questa percezione "alterata" dello spazio in cui vanno dislocate forze mobili produce una prima, grande trasformazione dottrinale: la guerra è caratterizzata dal movimento. In passato ciò era evidente solo in parte, dati i mezzi disponibili; ma con i mezzi moderni il movimento diventa essenziale, e mediante il movimento la forza quantitativa si moltiplica e diventa qualitativa. Nella sola battaglia di Verdun un milione di soldati morì in trincea maciullato da fermo o durante attacchi forzatamente limitati. Una forza mobile introduce un fattore di moltiplicazione: un numero di soldati dieci volte inferiore può controllare più spazio nello stesso tempo, in fondo è la formula della velocità (v=s/t). Per ottenere questo risultato occorre ripensare la struttura degli eserciti, e fino alla guerra civile russa ciò non era dato per scontato. Due fattori diventano fondamentali oltre alla velocità: il comando centralizzato e di conseguenza le linee di comunicazione. Paradossalmente, la carenza di mezzi motorizzati viene compensata dall'esuberante cavalleria zarista. Estremamente mobile, ridiventa arma decisiva per attacchi sui fianchi e per vanificare i trinceramenti. La guerra diviene "fluida", come diranno i teorici successivi che sostituiranno i cavalli con mezzi meccanici. Il minor dispendio di uomini sul campo permette la costituzione di riserve, sia per mettere in sicurezza le retrovie, sia per il ricambio negli attacchi. Infine la linea di comando centralizzata permette una visione univoca delle operazioni in corso, e di conseguenza un alto grado di astrazione per modellizzare il teatro delle operazioni, diventato molto vasto in confronto al numero di soldati impegnati.

Le perdite materiali subite con la sconfitta di Varsavia, mostrano la composizione delle risorse militari di cui l'Armata Rossa disponeva: 1.200 mitragliatrici, 20.000 cavalli e solo 200 cannoni da campo. L'esercito polacco era molto meglio equipaggiato, possedeva un'aviazione e poteva mettere in campo qualche decina di carri armati francesi. Tutti gli studiosi di cose militari sono concordi nell'attribuire la sconfitta più ad errori di comando che non a condizioni materiali sul campo. Sono state compiute analisi minuziose sui movimenti dei reparti e sull'utilizzo delle risorse. La conclusione è senza appello: la condotta del comando fu ineccepibile, con alterne vicende, fino alle porte di Varsavia. Qui l'esercito polacco riuscì a nascondere i propri movimenti, ma ciò non poteva di per sé cambiare le sorti della guerra, come invece successe. Mancò invece un coordinamento delle forze sovietiche. L'ordine di attaccare Varsavia era stato approvato dal Comitato Centrale del partito comunista su proposta di Lenin. Il grosso dell'Armata Rossa si doveva posizionare nelle vicinanze della zona nord della capitale polacca. Una parte avrebbe puntato verso la Prussia orientale, e il resto dell'esercito avrebbe attaccato da Sud-ovest lungo quattro direttrici. Tutta la guerra era sotto il comando del giovane Tukhacevski. Il comandante del fronte sud-occidentale Egorov e il responsabile del Consiglio militare rivoluzionario Stalin rifiutarono di mettersi agli ordini del comandante generale. Questi si appellò al Comando supremo (Kamenev) e riuscì a farsi raggiungere da altre armate, ma anche queste, al comando di Budienny e Voroscilov rifiutarono di obbedire agli ordini. L'insubordinazione dei quattro comandanti risultò gravissima e nessuno è mai riuscito a capire come fosse possibile sabotare la vittoria con ciò che questo significava per la prospettiva rivoluzionaria. Trotskij sospettò che si trattasse di stupide questioni di prestigio nei confronti di Tukhacevski, che aveva dato prova di essere un ottimo comandante ma che all'epoca aveva solo 27 anni (Stalin ne aveva 42).

Il partito bolscevico non ebbe la forza di analizzare fino in fondo i fattori della sconfitta. Lenin sapeva bene, però, che non si trattava semplicemente di andare a cercarli nella condotta militare, e non si stancava di ripetere che durante la guerra civile ogni membro del Comitato Centrale aveva dovuto integrare politica e strategia, pur senza essere uno stratega. E la strategia doveva essere subordinata alla politica. Naturalmente se la politica difettava, la strategia ne subiva le conseguenze.

Nel già citato intervento al Comitato Centrale vi è un passo che forse spiega come mai questo documento sia andato "perduto" in epoca stalinista. Lenin cerca di dare una spiegazione a un fatto apparentemente inspiegabile dal momento che l'Armata Rossa aveva ricevuto l'ordine di sovietizzare la Polonia. La missione era così grandiosa che non poteva essere messa in discussione "in corso d'opera". Arrivati ad occupare la città che sarebbe stata l'avamposto del comando, si sarebbe ancora potuta introdurre qualche variante nel piano d'attacco, ma una volta scatenata la forza d'invasione, bisognava assolutamente obbedire agli ordini. "Ma se tu, rispettabile Commissario del Popolo alla guerra, non esegui quanto è stato deciso, verrai licenziato o spedito in prigione". Il documento fu ritrovato nel 1992 dopo il crollo dell'URSS. Si tratta di un resoconto stenografico non rivisto da Lenin, assai confuso per quanto riguarda i riferimenti ma chiarissimo sulle responsabilità: vi si dice che Stalin (Commissario del Popolo alla guerra) non ha obbedito agli ordini e andrebbe licenziato o imprigionato.[61]

Lenin non difende l'ordine d'invasione che egli stesso aveva dato: riconosce che attestarsi sulla linea Curzon poteva essere una valida alternativa strategica e politica. Ma bisognava dirlo prima, non sabotare la vittoria a portata di mano con una insubordinazione che non solo metteva in pericolo i reparti avanzanti su Varsavia, ma anche il fronte Sud, dove Vrangel, attestato in Crimea, rappresentava l'ultimo pericoloso strascico della guerra civile. Non sapremo forse mai esattamente i particolari della gravissima insubordinazione di Stalin, Egorov, Budienny e Voroscilov, ma è doveroso cercarne il significato. Che in fondo non è così difficile da individuare: il miglior modo che ha la controrivoluzione di agire è inserire qualcuno nello schieramento della rivoluzione. Stalin è uno dei personaggi che s'erano opposti all'insurrezione nel 1917. Il terrore di fronte alla rivoluzione che avanza aggredisce sempre chi della rivoluzione non fa parte. Ecco perché, dice Lenin nel suo intervento, non possiamo indagare oltre e chiudiamo la partita. Diversamente, metteremmo in crisi tutto il partito, proprio adesso che c'è il pericolo di un riflusso della rivoluzione e abbiamo altro da fare.

La borghesia impara dalla rivoluzione

Dopo la sconfitta Tukhacevski fu criticato aspramente ma riuscì a far valere la propria esperienza e autorità per rimanere al comando. Si disse che aveva trascurato le retrovie e le linee di rifornimento, che non era sincronizzato con il comando supremo e che aveva ammassato le truppe nella zona a nord di Varsavia lasciando uno spazio che il nemico aveva sfruttato per la propria riorganizzazione. Alla luce delle dottrine militari correnti all'epoca questi rilievi potevano mettere in evidenza falle reali nel piano militare, ma con il senno di poi, quando gli eserciti occidentali studiarono quella guerra e impararono da essa, di tutte queste falle, se c'erano davvero, nessuna fu decisiva, nemmeno il presunto risveglio del sentimento nazionale degli operai polacchi. Dirà Tukhacevski:

"Tutti i discorsi sul risveglio del sentimento nazionale nella classe operaia polacca in connessione con la nostra offensiva sono semplice­mente conseguenza della nostra sconfitta… Non possono esserci dubbi sul fatto che se noi fossimo stati vittoriosi sulla Vistola, i fuochi della rivoluzione avrebbero raggiunto l'intero continente".[62]

D'altra parte neanche l'insieme delle condizioni materiali può dare una spiegazione della disfatta, soprattutto se pensiamo alla grande capacità di combattimento dimostrata dall'Armata Rossa contro le armate bianche, e che si dimostrerà intatta dopo Varsavia, nell'ultima campagna contro la reazione, cioè quella contro l'armata di Vrangel arroccata in Crimea. Edward Carr giudica magistrale la campagna contro Vrangel. Evidentemente fu tesaurizzata l'esperienza fornita dalla guerra polacca. La sconfitta dell'Armata Rossa in marcia per conquistare Varsavia ed "esportare" la rivoluzione in Europa in realtà non fu dovuta tanto ai gravi errori umani (a parte l'ovvia considerazione che gli uomini sono protagonisti della loro storia anche se non la plasmano a loro piacimento) quanto al mancato congiungimento fra situazione sociale e modalità con le quali fu condotta la guerra. Mentre Tukhacevski, Lenin e pochi altri avevano una visione mondiale e dinamica del corso rivoluzionario, tutti i rappresentanti dei "marxismi", riformisti, ortodossi o sinistri, pur essendo influenzati dagli eventi internazionali, avevano una visione locale e statica. Ciò si riflette anche nella dottrina militare scaturita dalla guerra civile russa e dalla incredibile marcia su Varsavia. Gli esperti militari sono concordi nel considerare il nuovo modo di combattere dell'Armata Rossa come risultato forzoso della mancanza di mezzi e di organizzazione: a differenza di quanto era successo nella I Guerra Mondiale (guerra di posizione e grandi masse di soldati disposti su un fronte) i comandanti russi sarebbero stati costretti a sfruttare al meglio piccoli reparti mobili per colpire il nemico nei suoi punti deboli.

Ma questa è una mezza verità. In fondo è vero che la guerra civile aveva aperto 15 "fronti" contemporaneamente, e con le forze a disposizione non si poteva che agire velocemente e in profondità per non permettere l'arroccamento a un nemico che disponeva di mezzi, uomini e di un retroterra rappresentato dalle maggiori potenze imperialiste. La ragione principale della inspiegabile sconfitta fu che, contrariamente a quanto pensava la maggior parte dei protagonisti dell'epoca, l'Armata Rossa, in quanto strumento della rivoluzione, non si stava muovendo in difesa del territorio "rosso" ma era costantemente all'attacco contro il territorio… capitalista. Lo scontro "titanico" era fra modi di produzione. Per questa ragione affiorava la santità del passato contro la scienza del futuro. La rivoluzione sconvolgeva davvero l'universo umano; altrimenti non sarebbero spiegabili le mappe dell'iniziale, terribile ripiegamento su Mosca e poi quelle del contrattacco e dell'avanzata su tutti i "fronti", compreso quello polacco.

Tukhacevski non concepiva affatto la guerra mobile in profondità come ripiego in carenza di mezzi e uomini. Egli considerava la tecnica militare rossa come frutto della guerra moderna, alimentata nelle retrovie dall'industria, e capace di adoperare al meglio ciò che l'industria produce. Egli definiva "offensive" le forze sovietiche, non entro il quadro di una "dottrina" particolare ma perché così è sul terreno, dove anzi, l'industria moderna ha sgombrato il campo dalle dottrine:

"La moderna condotta di guerra comporta la concentrazione delle forze necessarie a sferrare un colpo [al nemico] e infliggergli continui e ininterrotti colpi attraverso un'area estremamente profonda. […] La battaglia nelle moderne operazioni militari evolve in una serie di battaglie non solo lungo un fronte ma anche in profondità fino al momento in cui il nemico è distrutto e annichilito da un colpo finale oppure quando le forze offensive sono esauste".[63]

La caratteristica dell'attacco è la mobilità, ecco perché l'Armata Rossa utilizzò al massimo delle loro possibilità i mezzi mobili, soprattutto la cavalleria, anacronismo nell'epoca che già aveva sperimentato i reparti corazzati, ma ancora utile a rinforzare le operazioni della propria fanteria con cariche volte a scompaginare quella nemica. Ciò permetteva a Budiennny di esagerare un po' con l'efficacia dell'arma di cui era comandante:

"Se avessi avuto i trecentomila cavalleggeri dell'armata zarista, avrei calpestato l'intera Polonia e avremmo attraversato rumorosamente le piazze di Parigi prima della fine dell'estate".

Le ferrovie che partivano a raggiera dalle grandi città non solo trasportavano le truppe nelle zone di combattimento, ma anche artiglieria, munizioni e soprattutto le famose autoblindo, al riparo delle quali avanzava la fanteria mobile per entrare in profondità nelle difese bianche.

Tukhacevski fu fucilato nel 1937 con altri responsabili militari dopo i famosi processi. Le sue ricerche sulla "battaglia in profondità" furono abbandonate. E la prova che non si era capita la lezione rivoluzionaria ci viene offerta dalla strategia stalinista nella II Guerra Mondiale: essa prevedeva la difesa del territorio come quella dell'esercito zarista contro Napoleone. Solo negli anni '80 del secolo scorso, l'esercito dell'URSS adotterà finalmente la strategia della guerra mobile (deep combat) come risposta a quella analoga adottata dagli Stati Uniti (airland battle). Entrambe le potenze erano in ritardo di qualche decennio rispetto per esempio alla Germania, il cui Stato Maggiore aveva studiato e adottato la nuova tecnica militare facendone la base per la "guerra lampo" (Blitzkrieg). Per Tukhacevski "deep combat" significava il contrario di "deep defense", la strategia adottata dallo stato maggiore stalinista ma che risale all'Impero Romano da Diocleziano in poi (sinteticamente: arretrare lasciando avanzare il nemico in profondità per accerchiarlo e distruggerlo). La difesa permette una robusta risposta agli attacchi, ma non può far parte di una situazione rivoluzionaria. La difesa subentra quando retrocede la rivoluzione, e allora occorre valutare se è meglio difendere un territorio assediato o salvare il partito rivoluzionario.

Trotskij, in un memorabile articolo contro i teorici della "dottrina militare proletaria" fa notare come sia assurdo teorizzare la guerra di movimento senza collocare quest'ultima in un contesto realistico. Proprio mentre organizza l'Armata Rossa esaltandone le capacità di movimento, egli condanna la tendenza anarco-democratica a immaginare piccoli reparti autonomi estremamente mobili in grado di attaccare e sottrarsi non solo al contrattacco, ma a un coordinamento centralizzato. Non esiste una dottrina militare proletaria, dice in sintesi, esiste il modo migliore per fare la guerra nel contesto politico e con le risorse esistenti. La mobilità dev'essere il risultato di un sistema ben organizzato e non deve andare a discapito della potenza. La Russia sovietica ha come nemici eserciti numerosi e ben armati che agiscono per procura, alimentati dalle potenze dell'Intesa. L'esercito dello stato proletario non può adottare centralmente dottrine di guerriglia, anche se nella fattispecie della guerra civile possono essere utili bande irregolari che si prestino a missioni di sabotaggio ecc.:

"Tutta l'arte della nostra edificazione militare (e non soltanto militare) nella Russia sovietica consiste nel coordinare le tendenze internazionali rivoluzionarie e offensive dell'avanguardia proletaria con le tendenze rivoluzionarie difensive delle masse contadine e anche di ampi strati della stessa classe operaia. Questa combinazione è adeguata ad ogni situazione internazionale. Spiegandola agli elementi più avanzati dell'esercito insegniamo loro nello stesso tempo a coordinare nel modo migliore la difensiva e l'offensiva, non solo nel senso strategico del termine ma anche nel senso rivoluzionario e storico… Nel suo libro Tukhacevski sottolinea che, nel corso della guerra civile, la difesa non aveva, o quasi mai poteva avere, stabilità di posizione. Egli ne deduce giustamente che, in circostanze di quel genere, la difesa deve avere assolutamente un carattere attivo e di manovra quanto l'offensiva. È falso fino all'idiozia pretendere che l'esercito sia addestrato secondo l'impiego, o per l'attacco o per la difesa. In realtà l'esercito deve essere addestrato per combattere e vincere".[64]

Il soldato politico

Come abbiamo visto, però, la maggior parte dei bolscevichi non era d'accordo neanche con il pragmatismo rivoluzionario che suggeriva un nuovo modo di fare la guerra. Non solo i comandanti ex zaristi, ma anche i giovani commissari che li affiancavano erano contrari alle singole azioni veloci di annientamento locale, coordinate nello stesso tempo in un'armata possente. La mentalità corrente era ancora quella legata al concetto di guerra come azione continua, fatta di operazioni in sequenza graduale, condotte da una massa di soldati. Oppure, all'opposto, la guerriglia. Più importante ancora, molti non avevano capito che il soldato dell'Armata Rossa era un "soldato politico", un fattore importante della rivoluzione e non una molecola della generale carne da cannone (lo capirà bene lo Stato Maggiore tedesco politicizzando la Wehrmacht, che divenne la più potente macchina da guerra mai esistita in proporzione al territorio nazionale).

Per la rivoluzione comunista il concetto di "soldato politico" è essenziale perché non è possibile separare l'ambito politico da quello militare: il clima insurrezionale in molti paesi d'Europa e il fatto che durante l'avanzata in Polonia si susseguissero forti scioperi che dovevano impedire l'invio di aiuti a Pilsudski facevano sì che campo militare e campo sociale si saldassero. Non c'era più distinzione fra soldato con il fucile e soldato che usa l'arma dello sciopero. Del resto che cosa erano le Guardie Rosse, milizie operaie organizzate da Trotskij, se non soldati politici? La natura di tutta la concezione militare (dottrina non è forse il termine corretto) scaturita dalla rivoluzione russa è squisitamente politica. Del resto è evidente: se ogni aspetto della rivoluzione è un riflesso dello scontro fra modi di produzione, il territorio in cui cambia il potere di classe non può e non deve arroccarsi in difesa. E comunque, se anche si trattasse di difesa, non potrebbe essere certo di tipo passivo (nessuna rivoluzione può sopportare una guerra d'attrito). Quindi in che cosa consistette la pretesa "follia" di Thukhacevski sulla guerra "esportata"? Se accettiamo che la rivoluzione è un fatto che tende a coinvolgere il mondo, l'Armata Rossa si caratterizza per essere strumento offensivo, estremamente mobile, quindi estremamente meccanizzato.

Alla luce della condotta di guerra Tukhacevski si era dimostrato più realista dei realisti che gli davano del folle. Lenin fu d'accordo nell'ordinare l'attacco a Varsavia senza preoccuparsi troppo delle dottrine consolidate che prevedevano gradualità e attenzione alle regole sulle linee di rifornimento ecc. Tutto doveva essere gettato nella battaglia, troppo importante era la posta in gioco. Come abbiamo visto, l'ordine venne sabotato dai rappresentanti della rivoluzione formale: il Consiglio militare rivoluzionario presieduto da Stalin, che rifiutò di mettersi agli ordini di Tukhacevski accampando ragioni logistiche, aveva ragione secondo le regole. Tukhacevski spostò ugualmente le armate muovendole su Varsavia e questa volta "ebbe ragione" la cavalleria di Budienny a rifiutare gli ordini: s'è mai vista la cavalleria utilizzata in un assedio? Ma fu impedita così l'unificazione delle forze per il colpo decisivo. Una rivoluzione non è mai la condizione migliore per il rispetto delle regole.

Non sappiamo se le ragioni accampate dagli insubordinati fossero davvero le regole ricordate: le ricaviamo dalle analisi degli esperti e possono essere ragionevolmente quelle autentiche. In ogni caso, sul campo di battaglia l'esercito polacco imparò velocemente la lezione e copiò dal nemico. Cambiò tattica, e invece di disporre la massa delle sue forze in linea per la difesa di Varsavia, frazionò le armate in piccole unità mobili, distrusse ferrovie e telegrafi per impedire la mobilità dei Rossi e passò all'attacco. Il comando russo, senza informazioni sulla reale consistenza e dislocazione dell'esercito polacco fu preso alla sprovvista e fu costretto a schierare i propri reparti in difesa, tra l'altro mentre scendeva una fittissima nebbia.

Fu un disastro. Approfittando dell'impegno dell'Armata Rossa in Polonia, Vrangel attaccò dalla Crimea verso Nord distruggendo le truppe inviate a fronteggiarlo. La sconfitta militare fu tremenda, anche se dal punto di vista geopolitico la Polonia non riuscì ad avvantaggiarsi della vittoria. L'Armata Rossa perse fra morti (5.000), feriti e prigionieri circa 100.000 uomini. La concezione rivoluzionaria della guerra fu sconfitta ed entrò come dottrina nelle scuole militari della borghesia. La "Grande Guerra Patriottica" del 1941-45 ritornò alle dottrine pre-rivoluzione della difesa in massa e ciò costò all'URSS 20 milioni di morti, causati soprattutto da un esercito tedesco che aveva adottato la metodica di Tukhacevski (il Blitzkrieg).

Ogni valutazione della teoria illustrata in "Rivoluzione dall'esterno" e soprattutto in scritti successivi, quando verrà introdotta la componente motorizzata, meccanizzata e corazzata, non può prescindere dal fatto che la rivoluzione russa ha prodotto per la prima volta il concetto di "guerra infinita", non nel senso beceroamericano di impegno costante in difesa e per l'esportazione della democrazia ma come effettiva necessità per la rivoluzione comunista. Per la prima volta Tukhacevski fissa il dato di fatto che ogni rivoluzione sfocia in guerra civile e che perciò, siccome sarà una guerra civile mondiale, occorre preparare uno stato maggiore e un esercito mondiali, permanenti:

"Nel programma dell'Internazionale dobbiamo far posto alla defini­zione di questi principi militari. A questo scopo è necessario familiarizza­re profondamente i partiti comunisti dell'Europa Occidentale con l'Armata Rossa nella guerra del 1918-20. Data l'inevitabilità di una guerra civile su scala mondiale in un futuro assai prossimo, dobbiamo istituire lo stato maggiore generale della III In­ternazionale. Missione dello stato maggiore: studiare in anticipo le forze e i mezzi degli avversari in una futura guerra civile combattuta in paesi ancora dominati dal capitalismo. Per evitare le difficoltà che abbiamo incontrato nella creazione della nostra Armata Rossa, e gli errori dovuti all'inesperienza, è indispensabile elaborare in anticipo una piano per la mobilitazione della classe operaia, addestrare in anticipo ufficiali rossi proletari, preparare in anticipo co­mandanti militari del livello superiore e ufficiali di stato maggiore. La guerra civile mondiale non deve coglierci completamente di sorpresa. La classe operaia deve essere addestrata a combatterla, in modo che appena pre­se le armi possa essere rapidamente organizzata in un'Armata Rossa regolare".[65]

Ovviamente allora c'era l'Internazionale che poteva organizzarsi allo scopo, oggi una proposizione di questo tipo non avrebbe senso. Ma nel frattempo la guerra civile endemica e tendenzialmente mondiale è sotto ai nostri occhi. Si dice che non si può esportare la rivoluzione sulla punta delle baionette, che l'esercito rivoluzionario ha diversa natura rispetto a quello borghese, che la rivoluzione ha i piedi per terra e rifugge l'avventurismo, che la rivoluzione sociale non è questione di dottrina militare, ecc. ecc. Notiamo intanto che la guerra in Polonia è stata persa quando la condotta delle operazioni è sfuggita dalle mani della rivoluzione ed è stata affidata alle mani della politica di stato. Di fatto si può facilmente dimostrare che poteva essere vinta, con conseguenze incalcolabili.

Note

[1] PCInt., Storia della Sinistra Comunista, vol. II, pag. 545.

[2]"Voglio rilasciare qualche proclama rivoluzionario ai popoli e poi chiudere la partita"; Trotzky, La mia vita, Mondadori. Di lì a pochi anni il ministro degli esteri Cicerin, alla Conferenza Economica Internazionale di Genova, nell'aprile 1922, in frac, cilindro e guanti, partecipava al ricevimento che la casa reale aveva offerto a tutte le rappresentanze diplomatiche e scambiava brindisi con gli astanti, fra i quali un arcivescovo.

[3]Adam B. Ulam, Storia della politica estera sovietica, Rizzoli. Oltre a intervenire direttamente con i propri soldati, l'Intesa finanziava e armava la controrivoluzione.

[4] Die Kommunistische Internationale, n. 1, agosto 1919. Articolo di Zinoviev.

[5] In un "opuscolo del 1918" citato da Lenin nelle prime pagine del discorso su L'imposta in natura, 1921.

[6] Con un minimo di attenzione, e filtrando l'esoterismo di moda, il fenomeno cosmista è facilmente documentabile navigando in rete, soprattutto per ricavarne la bibliografia.

[7] Il termine Ataman è composto da ata (turco, significa padre) e da etman (polacco, significa comandante). Un tempo era l'appellativo di un capo-nazione cosacco, nel periodo in questione quello di un capo militare.

[8] Su Prometeo n. 4 del 1924 vi è un lungo articolo di Bordiga sulla questione nazionale; egli risponde a Radek, che aveva affermato esistere una questione nazionale tedesca da difendere a causa dell'oppressione esercitata per mezzo del trattato di Versailles.

[9] Edward Carr, La rivoluzione bolscevica, Einaudi, pag. 1000.

[10] Su Wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Ferdynand_Ossendowski) vi è una voce abbastanza esauriente.

[11] Il cosmismo influenzò, anche in tempi relativamente recenti, rivoluzionari e reazionari, artisti e scienziati come Aleksandr Bogdanov, Anatoli Lunaciarski, Konstantin Ziolkowsky, Vladimir Vernadski, Andrei Platonov, Maksim Gorki, Yuri Gagarin, Vasili Kandinsky, Osip Mandel'stam, Aleksandr Scriabin, ecc. rimanendo confinato in Russia. La teosofia (Helena Petrovna Blavatsky), che in parte esprimeva contenuti analoghi, si diffuse invece nel mondo. Ritroviamo ancora oggi alcuni atteggiamenti nei confronti della conoscenza e della vita quotidiana nella corrente New Age, nella letteratura, nella filosofia e nel cinema odierni (Conrad, Guenon, Evola, Coppola, Zerzan, Galli, Capra, Rifkin, Bookchin, Ruesch, Tognoli, ecc.).

[12] Molti particolari si trovano sul docu-romanzo di Michel Ragon, La memoria dei vinti. Dalla banda Bonnot al Sessantotto, Jaka Book.

[13] Ricorda Bordiga: "Lenin intervenne di persona affinché un rappresentante della frazione comunista astensionista partecipasse al secondo Congresso Mondiale". In O preparazione rivoluzionaria o preparazione elettorale, Milano, Edizioni Il Programma Comunista.

[14] Giuseppe Berti, Appunti e ricordi, i primi dieci anni di vita del Partito Comunista Italiano, documenti inediti dell'Archivio Angelo Tasca, Annali Feltrinelli vol. VIII.

[15] Il Soviet n. 14, 16 maggio 1920.

[16] La situazione in Germania e il movimento comunista, "Il Soviet" 11 luglio 1920.

[17] I delegati dell'USPD arriveranno con Paul Levi del KPD il 18 luglio.

[18] Marcel Cachin, Carnets 1906-1947, Tome II 1917-1920, Paris, CNRS Editions, 1993.

[19] Scriverà la Balabanoff: "Per l'ammissione dei partiti nella nuova Internazionale non si teneva alcun conto del loro atteggiamento nel passato."

[20] Helmut Konig, Lenin e il socialismo italiano, Firenze, Vallecchi editore.

[21] Rapporto sulla situazione internazionale e sui compiti fondamentali dell'Internazionale Comunista, 19 luglio 1920. Opere, vol. 31.

[22] Effettivamente nel dicembre del 1920 l'Armata Rossa raggiunse il massimo degli effettivi: 5,3 milioni di uomini. Cfr. Vladimir Antonov-Ovseenko, La formation de l'Armée Rouge, L'Internationale Communiste (fotocopia dell'originale, senza numero).

[23] Engels in India, Cina, Russia, Il Saggiatore.

[24] Riportato da Vladimir Antonov-Ovseenko in: La formation de l'Armée Rouge, L'Internationale communiste cit.

[25] Le Temps, 25 dicembre 1919.

[26] Cit. in: Piero Melograni, Il mito della rivoluzione mondiale, Laterza.

[27] Enrico Serra, "L'Italia e il riconoscimento della Russia sovietica", Affari Esteri, Anno VI n. 23, 1974.

[28] Questa idea fissa di Radek si manifesterà ancora, alcuni anni dopo, e Bordiga sarà costretto a riprendere il tema con il già citato articolo "Il comunismo e la questione nazionale" pubblicato su Prometeo n. 4 del 1924.

[29] Lenin, Discorso agli uomini dell'Armata Rossa in partenza per il fronte polacco, 5 maggio 1920. Editori Riuniti, Opere complete vol. 31.

[30] Andreina De Clementi, Amadeo Bordiga, Torino, Einaudi.

[31] Lenin e l'astensionismo, "Il Soviet" 1 febbraio 1920.

[32] La tattica indiretta fu aspramente criticata dalla nostra corrente con le Tesi di Roma, (Rassegna comunista del gennaio 1922).

[33] Cfr. Considerazioni sull'organica attività del partito quando la situazione è storicamente sfavorevole: "La corretta trasmissione di quella tradizione al di sopra delle generazioni… non può essere ridotta a quella di testi critici, e al solo metodo di impiegare la dottrina del partito comunista in maniera aderente e fedele ai classici, ma deve riferirsi alla battaglia di classe che la Sinistra marxista (non intendiamo limitare il richiamo alla sola regione italiana) impiantò e condusse nella lotta reale più accesa negli anni dopo il 1919 e che fu spezzata, più che dal rapporto di forze con la classe nemica, dal vincolo di dipendenza da un centro che degenerava".

[34] Le tendenze della Terza Internazionale, "Il Soviet", n. 15 del 23 maggio 1920.

[35] Cachin era ben conosciuto dai rivoluzionari italiani per il suo acceso interventismo nella prima guerra mondiale e per essere stato uno dei finanziatori di Mussolini nel suo passaggio all'interventismo. Cachin era già stato in Russia nell'aprile-maggio 1917, dopo la rivoluzione di febbraio, ma quella volta al fianco di Plechanov nell'incitare l'esercito russo a riprendere l'offensiva contro gli Imperi centrali e nell'accusare i bolscevichi di essere agenti tedeschi.

[36] Si intende la Strasburgo liberata dai tedeschi durante la Prima Guerra Mondiale.

[37] ACS, CPC, Fascicolo Bordiga, Roma 26 maggio 1936.

[38] Rapporto al I Congresso dei Cosacchi lavoratori, 1 marzo 1920, Opere, vol. 30. Si tratta di un testo importante perché in esso Lenin traccia un riepilogo della situazione internazionale dal punto di vista dei rapporti fra Russia e Intesa. Una pagina è dedicata al lavorio diplomatico e militare nei confronti della Polonia, che l'Intesa cerca di scagliare contro la Russia pagando milioni e inviando ogni giorno treni carichi di armi.

[39] Riportato in: Branko Lazitch e Milorad Drachkovitch, Lenin and the Comintern, vol. I, Stanford California, Hoover Institution press, 1972.

[40] Margarete Buber Neumann, Da Potsdam a Mosca, Milano, Il Saggiatore, 1966, pag. 84

[41] Rapporto politico del Comitato Centrale alla IX Conferenza del Partito Comunista di Russia (22 settembre 1920). Pubblicato dall'Associazione Pietro Tresso www.aptresso.org

[42] Rapporto politico del Comitato Centrale… cit.

[43] Rapporto politico del Comitato Centrale alla IX Conferenza del Partito Comunista di Russia (22 settembre 1920), Opere, vol. 31.

[44] Citato da Edward Carr, La Rivoluzione bolscevica, Einaudi.

[45] Citato da Edward Carr, La rivoluzione bolscevica.

[46] Victor Serge, Carnets, Massari editore.

[47] Citato da Edward Carr, La rivoluzione bolscevica.

[48] Citato da Edward Carr, La rivoluzione bolscevica.

[49] "Rapporto sulla questione nazionale e coloniale", 26 luglio 1920, Opere, vol. 31.

[50] "Tesi supplementari sulla questione nazionale e coloniale votate dal II Congresso dell'IC", Il programma comunista n. 21 del 1961.

[51] Lenin, "Il Secondo Congresso dell'IC", discorso di chiusura. Opere, vol. 31.

[52] Edward Carr, La rivoluzione Bolscevica, Einaudi.

[53] Discorso alla IX Conferenza del Partito Comunista di Russia, Opere, vol. 31.

[54] D'altra parte era ancora in un partito che era esattamente come rappresentato dalla "scelta" degli invitati. Dirà retrospettivamente Bordiga: "È giusto quanto avete detto, che Livorno [cioè la fondazione del Partito Comunista d'Italia ndr] fu un compromesso. È giusto quanto dice Lenin nell'Infantilismo (sic) che è formula fessa quella di: siamo contro qualunque compromesso: in varie occasioni ho chiarito: siamo contro i compromessi quando è fisicamente assodato e certo che ne usciamo fregati, come la storia ha confermato per i fronti unici di partiti, i governi operai, le fusioni etc. Il quesito è se si poteva e doveva evitare il compromesso Livorno, o meglio Imola (frazione). Non lo credo. Partecipanti al compromesso erano, fin da Mosca, giugno 1920: 1) Frazione astensionista; 2) ala sinistra direzione massimalista del PSI, Gennari (che poteva andare), Bombacci (che già era dubbio allora); 3) Federazione giovanile (Polano, poco serio anche allora); 4) Qualche altro defezionista sinistro (Misiano, vedi sopra); 5) i torinesi, assenti a Mosca, per i quali riferii io (vedi libro Rosmer) in tinte rosee. Piacquero ai russi perché, sebbene zoppi in dottrina, li credettero legati alle masse, e vicini a prendere la maggioranza del PSI, con l'Avanti! che io, con rabbia di Zinovieff, riuscii a non prendere. Si doveva rifiutare questo assemblage? Si doveva a Bologna 1919 coi 3500 voti astensionisti rompere e andare a Mosca? Forse in tal caso sarebbe andato a Mosca fin da allora Serrati coi suoi e il grosso del marcio. Comunque è possibile opinare che si doveva rompere prima". Lettera a Romeo Ceglia, Napoli, 30 agosto 1956.

[55] "Tra venti anni la alternativa tra guerra imperialista mondiale e rivoluzione. Ma non si deve intendere (come ho scritto altre volte) che dopo la guerra verrà la rivoluzione, piano che ci ha mentito nel 1945 (per chi ci credeva, non certo io; e del resto è noto che mi si accusa che nemmeno ci credevo nell'altro dopoguerra [1919], né in Italia né in Europa). Lettera a Ceglia, Napoli 5 gennaio 1957.

[56] Citata in: Piero Melograni, Lenin e la prospettiva rivoluzionaria in Italia, "Mondoperaio", n. 5, maggio 1978.

[57] Giuseppe Berti, Appunti e ricordi, cit.

[58] Von Clausewitz si avvale di una curiosa dialettica che gli permette di generalizzare le proprie osservazioni e, nello stesso tempo, di confutarle nella misura in cui una condizione ritenuta negativa può tramutarsi in positiva purché sia voluta e applicata nel rispetto di condizioni particolari. Così lo schieramento in difesa è oggettivamente più robusto e richiede meno soldati rispetto all'attacco, ma se le condizioni dello scontro producono mobilità, sensibilità al logoramento o anche solo caduta del morale, ecco che la difesa può tramutarsi in trappola.

[59] Sun Zu, L'arte della guerra, Mondadori, cap. IX-29.

[60] Karl von Clausrwitz, Della Guerra, Mondadori, Libro 5, cap. 4.

[61] "Dal momento che il Comitato Centrale aveva fissato la linea politica, dal momento che aveva deciso la posizione che doveva essere adottata da tutti gli organismi sovietici, dal momento che aveva definito i limiti oltre i quali il nostro comando non poteva agire: 'Avete stabilito l'obiettivo di contribuire alla sovietizzazione [della Polonia], di oltrepassare la frontiera etnografica e di creare una frontiera con la Germania. Dal luogo in cui ci trovavamo, da Bialystok, la strategia avrebbe potuto essere cambiata e la no­stra situazione e i nostri compiti strategici modificati'. Si sarebbe potuto arguire che gli stra­teghi [non] avrebbero dovuto consacrarsi al conseguimento di quell'obiettivo. Ma le chiac­chiere, i moventi e i sentimenti sono una cosa, e le decisioni un'altra. 'Si può discutere, ma se tu, rispettabile Commissario del Popolo, non esegui quanto è stato deciso, verrai licenziato o spedito in prigione'. Se non fossimo stati consapevoli di questo, saremmo andati in pezzi molto tempo fa. Qui la strategia fornisce forse una chiave di comprensione, e cioè: 'Noi non avevamo la forza per condurre quell'offensiva, e se, dopo essere avanzati per 50 o 180 verste, e dopo es­serci fermati a quel punto, ci fossimo arrestati alla Polonia etnografica, avremmo conseguito una vittoria reale e sicura, e se ci fossimo fermati allora, adesso avremmo certamente avuto la pace, una pace assolutamente vittoriosa, mantenendo tutta la nostra reputazione e tutta la no­stra influenza nella politica internazionale'. Può darsi che sia stato commesso un errore stra­tegico. Questi sono i limiti fondamentali dei possibili errori, attorno ai quali, naturalmente, ruotava il pensiero del Comitato Centrale. Ecco perché nel Comitato Centrale è prevalsa l'opinione che, no, non creeremo una com­missione per studiare le condizioni dell'offensiva e della ritirata. Ci mancano le forze per stu­diare questa questione. Adesso abbiamo un gran numero di altri problemi che esigono delle soluzioni immediate. Non possiamo destinare a quel compito nessuna forza, neppure di second'ordine".

[62] Edward Carr, La rivoluzione bolscevica, Einaudi.

[63] Michail Tukhacevski, "La guerra dall'esterno", articolo presentato con una lunga prefazione redazionale ("Il socialismo esportato"), Il Manifesto n. 2-3 del 1969.

[64] "Dottrina militare o dottrinarismo pseudo-militare", in Come si arma la rivoluzione, Newton Compton.

[65] Lettera al presidente dell'IC Zinoviev (luglio 1920).

La Stampa del 7 agosto 1920 (Archivio storico)La Stampa del 7 agosto 1920 (Archivio storico).

"Gli ufficiali russi non portano alcun distintivo ma solo l'uniforme. I commissari civili indossano l'abito borghese. Gli ufficiali hanno assicurato che essi hanno ordini severi di rispettare il confine tedesco e hanno dichiarato che nonostante le trattative di armistizio essi intendono avanzare. Sono decisi ad occupare Varsavia; vogliono anzi andare fino al confine tedesco del 1914 poiché essi considerano il territorio di Posen come territorio tedesco e non polacco. Il giornalista ha chiesto anche se nell'esercito russo si contino anche soldati e ufficiali tedeschi. Gli fu risposto che nel loro reggimento non si trovavano né soldati né ufficiali tedeschi ma che in altri reparti vi sono tanto soldati che ufficiali tedeschi. Questo "esercito di straccioni" è tuttavia straordinariamente disciplinato. Il giornalista deve riconoscere che questi soldati coperti di stracci sono dei soldati valorosi. Gli ufficiali sono provvisti di poteri disciplinari molto ampi e così pure i commissari civili, i quali tuttavia servono solo alla sorveglianza degli ufficiali. È abbastanza significativo il fatto che quando l'esercito russo ha lasciato Cralevo, gli abitanti della città non hanno avuto a lamentarsi di nessun atto di violenza. I viveri comprati dalle truppe sono stati pagati con rubli sovietici. Le truppe non hanno compiuto nessun saccheggio e non sarebbero entrate altro che in un negozio di pane. Il giornalista crede che una delle cause principali della vittoria russa deve cercarsi nel fatto che i russi debbono avanzare se non vogliono morire di fame. Essi non ricevono dall'interno nessun approvvigionamento e devono pensarci essi stessi. Il giornalista conclude affermando che il governo russo, come pure l'esercito, sembrano pronti a concludere la pace, ma vi sarebbe sempre la questione molto discutibile se l'esercito possa mantenere ancora la sua disciplina se ricevesse l'ordine di ritirarsi… Per quanto riguarda l'opinione in Germania, il ministro degli esteri tedesco Simon pubblica sulla Deutsche Allgemeine Zeitung un articolo programmatico sul bolscevismo… La natura tedesca non sarebbe bolscevica. Le idee comuniste avrebbero trovato eco nelle organizzazioni popolari solo in seguito all'indebolimento delle popolazioni provocato da malattie e dal blocco. Ogni tentativo di introduzione violenta del bolscevismo in Germania urterebbe contro una resistenza compatta. La Germania non può partecipare alla crociata dell'Europa occidentale contro il bolscevismo, né alla guerra santa del bolscevismo contro l'Europa".

La Stampa, 4 agosto 1920. Archivio storico.

Rivista n. 39