Il picco dell'immobiliare cinese

La Cina è a rischio crack e il dissesto finanziario passa per le amministrazioni locali. È quanto scrive il Corriere della Sera in un articolo dello scorso settembre in cui rivela che le province cinesi avrebbero accumulato ingenti debiti per finanziare il settore immobiliare, che rappresenta un quarto del Prodotto Interno Lordo del paese. Il debito cinese ammonta a circa il 300% del PIL, 50.000 miliardi di euro; a questo vanno aggiunti i passivi relativi al governo delle province che, secondo il Corriere, ammontano a 8.000 miliardi di euro (9.200 per il FMI):

Entro fine anno andranno a scadenza obbligazioni per circa 329 miliardi di euro in capo alle amministrazioni locali. Cosa accadrebbe se non venissero rimborsate? La crisi immobiliare potrebbe allora propagarsi. Poco esposte all'industria delle costruzioni, infatti, le banche cinesi lo sono eccome al debito delle amministrazioni locali. Se anche quest'ultime dovessero andare in default, allora il pericolo di una Lehman Brothers in salsa asiatica diventerebbe più concreto. Il rischio cioè che lo scoppio della bolla immobiliare possa travolgere il sistema finanziario e poi l'economia reale cinese." ("Cina, il debito 'nascosto' che minaccia l'economia: le province esposte per 8.000 miliardi", Francesco Bertolino)

Alcuni economisti fanno notare che il sistema finanziario cinese è chiuso e perciò ritengono che le conseguenze dello scoppio di una bolla immobiliare rimarrebbero circoscritte all'interno dei confini nazionali. In realtà, i legami e le interconnessioni economiche e finanziarie della Cina hanno un respiro mondiale e le ripercussioni di un crack potrebbero scatenare un pericoloso effetto domino. I conglomerati immobiliari cinesi sono indebitati con Wall Street, e la Cina, dopo il Giappone, è il maggior acquirente di titoli di stato USA: una crisi finanziaria cinese avrebbe ricadute sul debito americano e su tutti i rapporti commerciali cinesi, ad esempio quelli con l'Unione Europea (Germania in primis), il suo principale partner commerciale. Come dice l'economista Larry Summers, il "superciclo del debito", che ha colpito gli Stati Uniti nel 2008 e qualche anno dopo l'Europa, sta ora per sferrare un duro colpo al Dragone.

Secondo il Wall Street Journal il boom cinese è finito da tempo. La domanda di nuove abitazioni nelle città ha raggiunto il picco ed ora ai problemi legati alla rendita si sommano quelli derivanti dalla disoccupazione giovanile, dall'invecchiamento della popolazione e dal calo degli investimenti esteri.

Al pari dei paesi di vecchio capitalismo, la Cina installa decine di migliaia di robot nelle fabbriche e investe massicciamente nel settore dell'Intelligenza Artificiale, gettando quindi le basi per nuove e più devastanti crisi. Come nota Marx, la crescita della composizionetecnica del capitale porta alla diminuzione relativa della produzione di plusvalore. Il gigante asiatico ha bruciato rapidamente le tappe capitalistiche, passando in pochi anni da una crescita impetuosa ad un altrettanto veloce declino.

Per correre ai ripari, il Partito Comunista Cinese ha rilanciato la parola d'ordine della "prosperità condivisa" (leggi ridistribuzione del reddito), puntando sulla ripresa dei consumi interni per favorire la crescita economica, così come suggerito dagli Americani. Le economie di Pechino e Washington sono legate a doppio filo, ognuna serve all'altra, e allo stesso tempo ognuna cerca di ritagliarsi i propri spazi a scapito dell'altra. Fatto normale in un sistema schizofrenico basato sulla socializzazione del lavoro e l'appropriazione privata.

Rivista n. 54