La guerra è già mondiale

"Abbiamo dunque le guerre I, II, III e IV mondiali, all'interno delle quali vengono combattute delle battaglie. Sulla base delle stesse determinazioni storiche possiamo anche stabilire una periodizzazione identica a partite dall'ascesa degli Stati Uniti verso il loro incontrastabile (attualmente) dominio mondiale. Fase I, pluri-imperialistica (dal 1898 al 1918); fase II, multipolare (dal 1919 al 1945); fase III, bipolare (dal 1948 al 1990). Dal 1991 in poi c'è stato il tentativo di una pax americanasull'intero pianeta […] Una delle battaglie della fase III è ancora in corso. Fu accesa dagli Stati Uniti 60 anni fa, in terra di Palestina." (n +1, n. 11 marzo 2003)

Una guerra strana

Quanto sta accadendo in Medioriente con l'attacco di Hamas ad Israele del 7 ottobre, non può essere slegato dal quadro geopolitico attuale, contraddistinto da un disordine crescente che consegue alla perdita di potenza del gendarme mondiale, gli Stati Uniti. Il Papa ha chiamato "Terza guerra mondiale a pezzi" il diffondersi dei conflitti bellici nel mondo, la rivista Limes l'ha definito "guerra grande", noi già nel 2003 "Guerra Mondiale", avendo ravvisato la Terza nella cosiddetta Guerra Fredda, nient'affatto secondaria per i milioni di morti che ha provocato.

Quella di Palestina è anche una guerra strana. I confini dei paesi mediorientali furono tracciati a tavolino dopo la Prima Guerra Mondiale da Francia e Gran Bretagna, e il conflitto israelo-palestinese si può datare proprio da quel periodo, con l'aumento significativo dell'immigrazione ebraica verso la Palestina. La corrente cui facciamo riferimento, la Sinistra Comunista "italiana", valutò positivamente l'impianto di un capitalismo moderno, tramite la creazione artificiosa dello Stato di Israele (1948), in un'area geostorica fino ad allora abitata da nomadi, contadini e artigiani. Il trapianto di elementi di capitalismo in Israele fece fare un passo in avanti a tutta l'area saltando un passaggio storico:

Israele rappresenta un vero e proprio trapianto di capitalismo moderno nelle plaghe desertiche della Palestina rimaste nell'abbandono per decine di secoli. La rivoluzione industriale capitalista vi ha raggiunto il limite estremo delle possibilità storiche, costituendo un esempio di rivoluzione borghese fino in fondo, dato che è assente ogni traccia dei preesistenti rapporti feudali." ("La crisi del Medio Oriente", il programma comunista, n. 20-21, 1955)

Il susseguirsi delle guerre israelo-palestinesi non è uno strascico ereditato dall'imperialismo dei vecchi paesi europei ma un moderno aspetto della generale guerra mondiale, basato principalmente sulla tipologia delle varie forme di guerra della nostra epoca, quasi tutte proxy war (guerre per procura).

Con l'attacco del 7 ottobre di Hamas contro Israele, la guerra pluridecennale in Palestina vede rompersi un equilibrio che durava da 70 anni: alla simmetria raggiunta da belligeranti che non riuscivano a mutare i rapporti di forza in una guerra che sembrava infinita è subentrata una situazione dinamica (asimmetrica) che costringerà Israele a cambiare strategia.

Le sue Forze Armate finora hanno costituito il deterrente principale che ha permesso il suddetto equilibrio, ma le modalità dell'attacco di Hamas richiederebbero una ristrutturazione che le metta in grado di rispondere alla rottura della simmetria. Ciò richiederebbe tempo.

È una questione "tecnica" ma d'importanza fondamentale. Infatti, Israele esercita una deterrenza

1) di tipo quantitativo: quella che era ed è ancora ottenuta con una struttura militare (e una dottrina classica) basata sul binomio aereo - carro armato. Essa si addice a belligeranti in possesso di forze simmetriche (vedi le guerre di Israele contro gli Stati, come l'Egitto e la Siria);

2) di tipo qualitativo: quella basata sulla differenza di armamento e di dottrina (è militarmente poco produttivo usare 10 carri armati da 60 tonnellate l'uno per stanare un cecchino);

3) di tipo politico: quella basata sul controllo delle popolazioni tramite reti di intelligence e terrorismo di stato.

Hamas ha rotto la situazione di deterrenza del 2° e 3° tipo.

Gli USA hanno sostenuto la nascita e la crescita di Israele al fine di stabilire una testa di ponte in Medioriente. Non hanno riprodotto lo schema delle vecchie potenze coloniali, ovvero non si sono appoggiate alle dinastie arabe per mantenere un controllo diretto del territorio, ma al contrario hanno finanziato e sostenuto la costituzione d'una moderna repubblica borghese che gli permettesse un dominio indiretto. Ai fini della propria politica di conservazione, l'America ha sbloccato rapporti sociali pietrificati, avviando in una zona economicamente arretrata la corsa all'industrializzazione.

La vittoria delle rivoluzioni anticoloniali ha esteso la rete capitalistica al mondo intero sviluppando le basi del comunismo, ovvero il lavoro associato. Tutte le ultime rivoluzioni nazionali borghesi (Congo, Algeria, Angola, Mozambico) avevano carattere urbano ed erano improntate a metodi più proletari che contadini (scioperi generali). Il sostegno dei comunisti alle lotte di liberazione nazionale non era ideale ma pratico, finalizzato allo sviluppo dell'industria, del mercato interno e alla formazione di un proletariato combattivo, pronto a lottare per sé. Il ciclo di lotte anticoloniali si è chiuso da tempo, a metà degli anni Settanta, oggi rimane solo la lotta di classe contro il capitalismo, e il primo nemico contro cui scagliarsi è la propria borghesia, il proprio Stato.

La rivoluzione borghese in Palestina è già compiuta e ha segno israeliano, una seconda rivoluzione di segno palestinese non ha storia; è dunque impossibile la risoluzione della "questione palestinese" rimanendo all'interno dei rapporti sociali capitalistici, essa può essere risolta solo per mezzo di un sommovimento generale.

Un saggio di rivoluzione lo si è avuto con la Primavera araba: milioni di manifestanti si sono mossi contro lo stato di cose presente (miseria, disoccupazione, ecc.) in Tunisia, Egitto e Siria, ma anche in Palestina e Israele. È stata un'ondata di rivolta talmente potente che è arrivata fino in Europa e negli Stati Uniti portando alla nascita di Occupy Wall Street.

Superlager

Nel 2015 la popolazione palestinese era composta da circa 12 milioni di persone. Di queste, 5 milioni abitavano in Palestina (3 milioni in Cisgiordania e 2 nella Striscia di Gaza), 1,5 in Israele (cittadini arabi israeliani), 5,5 nei paesi arabi (soprattutto nei vicini Egitto, Giordania, Siria e Libano), e circa 700.000 nel resto del mondo. Vivono più Palestinesi al di fuori dalla Palestina che al suo interno. Non esiste, di conseguenza, una questione nazionale palestinese specifica in senso stretto dato che questa popolazione è da tempo internazionalizzata.

Una corrente politica all'interno di Israele ipotizza un esito drastico, con il trasferimento della popolazione palestinese in Giordania dandole così uno stato proprio ("Jordan is Palestine"). C'è chi sull'onda degli ultimi fatti ha riproposto il programma politico del generale israeliano Moshe Dayan (fine anni '70), ovvero il ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza e dalla Cisgiordania. Da notare che nel 2006 Isma'il Haniyeh, allora leader di Hamas, aveva detto: "Se Israele dichiarasse di dare ai palestinesi uno Stato e ridare loro tutti i loro diritti, allora saremmo pronti a riconoscerli". Il piano Dayan sarebbe tanto meno realizzabile alla luce della degenerazione dei rapporti tra Palestinesi e Israeliani, ma anche il sistema dei muri, delle recinzioni, dei posti di blocco, non è una soluzione duratura e comporta un enorme dispendio di energia.

Italia, Francia e Germania hanno presentato un piano al capo della diplomazia europea Josep Borrell nell'ottica di riuscire a trovare una soluzione definitiva alla questione palestinese, che potrebbe interessare anche gli USA: Israele non dovrebbe occupare in pianta stabile la Striscia di Gaza, il cui destino dovrebbe legarsi a quello della Cisgiordania ("soluzione globale") evitando in tal modo lo spostamento della popolazione palestinese da Gaza. Per arrivare a questo risultato bisognerebbe, secondo la proposta, insediare un'Autorità Palestinese che sia sostenuta dai paesi occidentali e che veda il coinvolgimento di quelli arabi. È però irrealistico pensare che gli abitanti della Striscia accettino un'Autorità Palestinese accompagnata dai carri armati israeliani.

La Striscia di Gaza è una prigione a cielo aperto: con una superficie di 360 kmq raggiunge una densità abitativa tra le più alte al mondo, 5.935 abitanti per kmq (in Italia sono 195 per kmq). La popolazione, metà della quale è minorenne, sopravvive grazie ai sussidi internazionali, ad un'economia dedita al piccolo commercio, e alla rete di sostegno internazionale di Hamas, organizzazione politico-militare islamista nata nel 1987, anno della prima Intifada, e legata al movimento dei Fratelli Musulmani. Va ricordato che Israele ha contribuito alla nascita stessa di Hamas allo scopo di sottrarre potenza e autorità all'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), così come ha fatto l'America in Afghanistan con i Talebani in chiave anti-URSS. In entrambi i casi queste forze si sono però rivoltate contro chi pretendeva di utilizzarle.

L'attacco partito da Gaza, chiamato Alluvione al-Aqsa, è stato preparato ed organizzato da Hamas (e altre organizzazioni minori come la Jihad Islamica palestinese), meticolosamente, sicuramente con l'aiuto di forze esterne. La prima parte dell'offensiva è stata diretta contro le infrastrutture elettroniche di Israele, per poi proseguire con l'accecamento dei punti di controllo ai confini tramite l'utilizzo di droni. I miliziani, dopo aver fatto saltare i famigerati muri di separazione tra Palestinesi e coloni israeliani, si sono aperti dei varchi e li hanno attraversati a bordo di motociclette, auto e pick-up. Allo stesso tempo, altri miliziani in parapendio e deltaplano sono entrati in profondità in territorio nemico attaccando anche caserme e facendo decine di prigionieri. Sono stati assaltati indistintamente villaggi, Kibbutz, caserme, persino raduni musicali. Per aggirare lo scudo antimissile israeliano (Iron Dome), è stato effettuato un massiccio lancio di missili, circa 4.000, con l'intento di confondere il più possibile il nemico saturando i suoi sistemi di intercettazione.

Come nei grandi complessi industriali si è prodotto il passaggio dalla pesantezza alla leggerezza con riflessi sia sulle macchine che sull'organizzazione, così nelle strutture militari della guerriglia i compiti, gli obiettivi e i metodi si snelliscono stravolgendo l'immagine dell'eroico combattente alla Che Guevara. Egli non è più un soldato-massa disciplinato a un esercito come il semplice ingranaggio di una macchina ma non è ancora il nodo di una rete "intelligente" che si auto-organizza. Perciò nella guerra d'oggi la ricerca della simmetria e dell'equilibrio necessiterebbe di una drastica svolta dottrinale sui due fronti:Tsahal (esercito) dovrebbe abbandonare la struttura corazzata "sovietica" congeniale alle battaglie campali (le forze armate dei maggiori paesi nel mondo si stanno avviando verso l'abbandono della dottrina aereo-carro-fanteria); e Hamas dovrebbe sviluppare l'efficacia del combattimento leggero a bassa emissione di disturbo elettromagnetico (la caratteristica più importante di questa guerra è il conseguimento della sorpresa nonostante l'area mediorientale sia la più grande concentrazione di intelligence elettronica del mondo).

Siamo di fronte a una svolta epocale. Nella guerra contemporanea organismi armati non-statali come Hamas, Hezbollah, ecc., agiscono contro attori statali. Non esistono più fronti chiari e definiti, tanto che ogni dichiarazione di guerra come si usava una volta suonerebbe ridicola. Il confine tra ambito militare e civile è sempre più sfumato, si pensi al complesso industriale bellico, composto anche da aziende private (vedi Starlink di SpaceX), da università e laboratori. Anche unosmartphone può trasformarsi in un'arma: un civile, infatti, può segnalare la presenza e la posizione del nemico e contribuire alla sua neutralizzazione.

Dunque, svolta epocale. Gli stessi segnali vengono da altri fronti, come quello della guerra russo-ucraina o quello della guerra in Yemen. In entrambi i casi situazioni completamente nuove hanno mostrato la necessità del cambiamento. Nel primo caso modifiche elettroniche modernissime apportate alle navi della flotta russa non sono state in grado di impedire l'affondamento di molte di esse, tra cui l'Ammiraglia, per mezzo di vecchi missili terra-mare. Nel secondo caso, missili terra-terra partiti dallo Yemen contro Israele sono stati intercettati e abbattuti dal sistema antimissilistico di una nave
americana.

La Sinistra Comunista "italiana" negli anni '50 notava che

L'imperialismo americano, con le sue portaerei, non monta la guardia soltanto alla propria sicurezza nazionale. Esso monta la guardia al privilegio capitalista in ogni parte del mondo."

Nell'articolo citato l'attenzione è posta sul controllo degli oceani per mezzo delle enormi navi da guerra americane; ora con l'avvento di droni terrestri, aerei e marini, questo privilegio è stato intaccato. La Turchia quest'anno ha inaugurato una nuova portaerei, la TCG Anadolu, definita la prima portadroni del mondo (ne può trasportare un centinaio). La Cina, che non può competere con gli USA per numero di portaerei, potrebbe decidere di dotarsi di più economiche portadroni.

Effetto sorpresa

Resta da capire come sia stato possibile che uno stato armato fino ai denti e con un apparato d'intelligence di primo ordine, Israele, sia stato colto alla sprovvista dall'azione di un non-stato, Hamas. Sicuramente una delle cause del tracollo di Israele il 7 ottobre è ascrivibile allo squilibrio nel dispiegamento di forze militari tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania. Inoltre, negli ultimi mesi la società israeliana è stata scossa da estesi movimenti di piazza contro la riforma della giustizia voluta dal governo di Benjamin Netanyahu, che ha prodotto una polarizzazione anche all'interno degli apparati statali, con prese di posizione ufficiali di parte del corpo diplomatico contro l'esecutivo in carica. Hamas ha approfittato di questo sbandamento per colpire.

Lo smacco subito da Tel Aviv non ha precedenti: in tutti i conflitti con il mondo islamico, non sono mai stati uccisi così tanti cittadini israeliani in un solo giorno. Inoltre, non si era mai verificata finora una penetrazione territoriale così profonda da parte di forze nemiche. L'esecutivo ha risposto dichiarando lo "stato di allerta di guerra", circondando la Striscia di Gaza e impedendo ogni tipo di rifornimento alimentare, tagliando acqua, elettricità, gas, bombardando pesantemente tutta l'area, colpendo le strutture militari nemiche, ma soprattutto i civili.

Israele è in guerra da sempre, essendo circondato da molti milioni di islamici, ma questa situazione di conflitto permanente non è accettata da tutti come naturale: al suo interno è nato un movimento di riservisti (Refusenik) che rifiutano di prestare servizio nei territori occupati, di reprimere la popolazione palestinese e di partecipare ai rastrellamenti di massa; molti di loro vengono messi in carcere. Durante le grandi manifestazioni contro la riforma della giustizia, migliaia di riservisti si sono schierati contro il governo annunciando che avrebbero respinto la chiamata dell'esercito.

L'assenza di prospettiva per il futuro fa sì che, nonostante la condizione di belligeranza perenne, ogni fondamentalismo abbia la necessità del suo opposto per legittimare la sua esistenza. Per quanto la popolazione della Striscia sia quella che versa nelle condizioni peggiori, è fondamentale evitare la tentazione partigianesca a favore di uno qualsiasi degli attori nazionali coinvolti. Quello palestinese è un popolo moderno, con ampie stratificazioni di classe, un proletariato internazionalizzato e combattivo, Hamas e le organizzazioni che lo controllano sono in realtà un elemento reazionario che lo precipita verso l'agricoltura dell'orto, l'economia dell'artigiano e la finanza dell'usuraio.

Guerra generalizzata

In un mondo sempre più out of control, le guerre tendono a generalizzarsi alimentandosi a vicenda. Se la Russia si è permessa di invadere l'Ucraina è perché ha valutato di avere delle chance di vittoria. Le cause di quell'attacco sono i mutati equilibri mondiali, le conseguenze una destabilizzazione di quello che resta dell'ordine internazionale.

In Israele, il conflitto dura da decenni e la perdita di forza da parte degli USA apre la possibilità ad altre potenze di giocare le proprie carte. L'attacco del 7 ottobre ha messo in crisi gli accordi di Abramo tra Israele, Arabia Saudita e Stati Uniti, che serviva agli Americani per disimpegnarsi progressivamente dal Medio Oriente e concentrarsi sul quadrante dell'Indo-Pacifico.

Qatar (alleato della Turchia) e Iran (finanziatore di Hezbollah) sono tra i maggiori sostenitori di Hamas, e guardano con sospetto all'asse Tel Aviv-Riyad. Dietro l'attacco di Hamas, tra l'altro, si può intravedere la volontà dell'Iran di contenere i successi acquisiti nella regione dal rivale turco, allo scopo di indebolirne la cooperazione con Israele. La Turchia con una presenza ormai consolidata in Siria e in Libia tende a porsi come "fulcro dinamico" nella regione. L'offensiva di Hamas e la violenta reazione che ne è seguita hanno costretto il governo turco ad adottare una retorica antisionista e a raffreddare almeno formalmente i rapporti con Israele.

La Siria è da anni in pieno marasma sociale: il 5 ottobre ha subito un attacco per mezzo di droni a una caserma militare ad Homs, che ha causato 110 morti; nessuno ha rivendicato l'azione. Il 1° ottobre ad Ankara c'è stata un'esplosione davanti al ministero dell'Interno; da mesi i Turchi attaccano le postazioni del PKK e degli indipendentisti Curdi nel Rojava, nel Nord-Est della Siria. Gli Houthi dallo Yemen hanno lanciato missili contro Israele (intercettati e abbattuti dalle navi americane), come abbiamo visto; l'Iran esporta petrolio in Cina e fornisce droni alla Russia che ha accolto un alto rappresentante di Hamas dopo il 7 ottobre.

L'apertura di un nuovo fronte di guerra che tiene impegnati gli Americani non è una cosa sgradita alla Russia. L'Iran è presente oltre che in Libano, anche in Siria e Iraq tramite milizie sciite che hanno attaccato basi americane presenti in loco. La Russia ha stabilito una testa di ponte in Siria, ha una base navale a Tartus e alcune basi aeree nel paese come quella di Hmeimim a Latakia, e sta negoziando con il generale Khalifa Haftar la costruzione di una base navale a Tobruk, in Libia. I mercenari della Wagner sono presenti sia in Medio Oriente che nell'Africa subsahariana, dove una serie di colpi di stato ha compromesso l'influenza francese nell'area.

La rete di alleanze e contro-alleanze è sempre più aggrovigliata e quella che potrebbe scoppiare nell'area mediorientale è una guerra di tutti contro tutti. Non c'è mai un aggredito o un aggressore, la realtà è più sfumata, tutti gli attori in campo utilizzano la compellence, ovvero cercano di spingere l'avversario a compiere atti funzionali alla propria strategia. Il locale ha immediatamente dei riflessi globali.

Ogni stato elabora i propri wargame, che vengono prontamente aggiornati in base alle mosse del nemico. Essendo a disposizione degli eserciti sistemi di Intelligenza Artificiale per la simulazione delle operazioni militari, sul campo di battaglia tutti sono costretti a adoperare gli stessi algoritmi. Il biologico si incontra con l'artificiale e da questa fusione nasce un organismo ibrido che sta prendendo il sopravvento nell'industria come nella guerra.

La stabilità degli USA dipende da quella del resto del mondo e viceversa: se crollasse il fronte interno americano, le conseguenze sarebbero catastrofiche. Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitry Medvedev ha recentemente dichiarato: "Cosa può fermare la passione maniacale dell'America nello scatenare conflitti ovunque sul pianeta? A quanto pare, solo una guerra civile negli Stati Uniti". È una dichiarazione non priva di fondamento: l'America è il peggiore nemico di sé stesso. Lo aveva chiaramente dimostrato il disfattismo messo in atto dai giovani durante la guerra in
Vietnam, consistente in decine di migliaia di renitenti alla leva e 10.000 disertori.

Nel libro Blowback (Contraccolpo), l'autore Chalmers Johnson afferma che il ventunesimo secolo sarà quello in cui gli Stati Uniti raccoglieranno i risentimenti globali causati dalla loro proiezione militare ai quattro angoli del mondo. La massima espansione dell'impero americano corrisponderebbe dunque all'inizio del suo tracollo.

Il giornalista Federico Rampini, sostenitore convinto della democrazia a stelle e strisce, dalle pagine del Corriere della Sera scrive: "Quello che stiamo vivendo è solo un assaggio del mondo post-americano". In effetti, è diminuita la capacità dissuasiva americana, e con ciò sono aumentati gli spazi di manovra per altri attori geopolitici. Il fronte ucraino e quello mediorientale fanno oggettivamente parte di un'unica offensiva diretta contro gli interessi americani. Gli Stati Uniti sono in guerra con il resto del mondo perché devono impedire che questo li scalzi dalla loro posizione direntier globale: è solo grazie all'egemonia del dollaro, difesa da centinaia di basi militari, che essi rastrellano del plusvalore prodotto altrove.

Chi mette in discussione questo potere, quello del dollaro, mette a rischio la sopravvivenza stessa degli USA, e perciò dev'essere neutralizzato (ricordiamo che l'Iraq pagò a caro prezzo il proposito di vendere il petrolio in euro). Oltre allo scontro interno agli apparati americani, esiste un sentimento diffuso di rifiuto della guerra che è testimoniato dalla difficoltà di reclutamento delle forze armate, proprio mentre i fronti aperti aumentano: Ucraina, Medioriente e, all'orizzonte, il Mar Cinese e Taiwan.

A livello strategico la vera minaccia per gli USA è rappresentata dalla Cina: l'Indo-Pacifico è l'oggetto del contendere tra le due superpotenze, necessarie l'una all'altra ma allo stesso tempo sempre più ostili.

Scelte obbligate

Il potere di deterrenza di Israele nel Medio Oriente e quello globale degli USA sono strettamente legati. Israele è una potenza regionale in una difficile situazione. Senza l'aiuto degli Stati Uniti semplicemente non potrebbe esistere. La Marina americana ha inviato due portaerei nel Mediterraneo orientale per lanciare un segnale chiaro agli attori ostili, a cominciare dall'Iran. La guerra in corso in Medioriente sarà la cartina di tornasole del peso di Israele nell'area, ma anche di quello dell'America nel mondo.

Israele è stato messo con le spalle al muro da Hamas e non ha potuto fare altro che accettare la compellence che gli è stata mossa. Deve dimostrare di essere ancora quella temuta macchina da guerra che era un tempo, anche a costo di massacrare decine di migliaia di civili e radere al suolo Gaza. Gli Americani consigliano prudenza all'alleato senza però ostacolarlo (anch'essi non sono liberi di fare quello che vogliono!). Prendendo per buona l'ipotesi che Israele riuscisse a conquistare la Striscia ed eliminare l'infrastruttura militare e logistica di Hamas, rimarrebbe il problema della gestione della situazione sul campo, a meno che il progetto non sia proprio l'espulsione definitiva della popolazione palestinese dalla Striscia, anche se non è chiaro quale potrebbe essere la sua destinazione.

Le diplomazie sono attive per scongiurare l'allargamento del conflitto, ma la volontà degli stati non può far girare all'indietro la ruota della storia. Le regole del wargame sono di tipo cibernetico (se/allora), e nessuno può sfuggire a questo rigido determinismo. Al momento non si vedono segnali di disfattismo all'interno della Striscia, non ci sono alternative, è più probabile che si incrini il fronte interno di Israele, da mesi alle prese con manifestazioni antigovernative. "Israele contro Israele" titolava il numero 3/23 diLimes , descrivendo un paese in crisi politica, demografica, economica, ecc. Nel corso degli anni la società israeliana si è strutturata in componenti differenziate: accanto a un'organizzazione sociale laica, simile a quella delle metropoli occidentali, aumenta il fondamentalismo religioso. Gli ultraortodossi sono esentati dal servizio militare, hanno consistenti riduzioni fiscali e sono economicamente improduttivi. Il 20% della popolazione di Israele è arabo ed essendo nato all'interno dei confini dello stato, è comunque israeliano. In quale relazione di cittadinanza si trova non rientrando né nell'identità etnica né in quella religiosa? Quelli riportati sono solo alcuni esempi di ciò che il Marx dei Grundrisse ha sintetizzato con la definizione "forme antitetiche dell'unità sociale".

Lo Stato d'Israele rischia tutto in questo conflitto, in passato è sempre riuscito a risolvere in breve tempo le guerre che l'hanno coinvolto, mentre quella in corso si prospetta di lunga durata. Non può permettersi errori, non ha la possibilità di ritirarsi date le ridotte dimensioni del suo territorio. Tsahal sembra essere l'unica forza ad avere ancora la possibilità di essere credibile agli occhi della società israeliana, e potrebbe essere costretto ad assumere un ruolo centrale anche in ambito politico. Il fattore tempo è decisivo: la chiamata al fronte dei riservisti ha svuotato fabbriche e uffici e ha messo in difficoltà l'economia israeliana, complice anche il congelamento del settore turistico. Quasi il 10% della forza lavoro è al fronte, e una percentuale alta dei riservisti lavora nel settore hi-tech che contribuisce al 18% del PIL. Ricordiamo che Israele è uno dei paesi dove le disuguaglianze economiche sono tra le più marcate al mondo.

Generale assenza di strategia

Qual è il piano di Hamas? Non si possono comprendere le ragioni dell'attacco dell'organizzazione politico-militare islamista slegandole dal complesso scacchiere mediorientale in cui essa opera. L'azione del 7 ottobre ha costretto tutti, stati, partiti e organizzazioni a prendere posizione e stendere programmi sulla propria collocazione geopolitica. Ma quale possibilità c'è che nasca un movimento diverso da quello dei Fratelli Musulmani che da secoli influenza senza troppo comparire le popolazioni dell'area? Hamas punta alla generalizzazione dello scontro in un ambiente fortemente polarizzato intorno a una religione che è ancora un sistema di vita. E la vita stessa diventa un'arma il cui sacrificio è funzionale alla sopravvivenza della comunità.

Israele accusa l'organizzazione islamista di aver collocato le proprie postazioni sotto gli ospedali e di utilizzare le ambulanze (puntualmente bersagliate) per gli spostamenti. La città di Gaza è stata isolata dal resto della Striscia, che è stata divisa in due; gruppi di incursori israeliani sono penetrati all'interno della città da Nord compiendo operazioni mirate. Più andrà avanti l'offensiva e più moriranno civili palestinesi e soldati israeliani.

Uno degli obiettivi delle Forze di difesa israeliane (IDF) è stanare i miliziani di Hamas, per mezzo della suddivisione della Striscia in griglie, in cui un settore viene isolato e poi attaccato, per passare al successivo. Il sottosuolo di Gaza è attraversato da una vasta rete di tunnel, che non sono di facile individuazione. Israele ha cercato di mappare tale rete utilizzando un sistema di Intelligenza Artificiale per ricostruire attraverso le traiettorie che compiono i missili le postazioni di lancio.

Nel 2006, dopo la vittoria alle elezioni legislative palestinesi e la successiva rottura con Al Fatah, Hamas ha preso il controllo della Striscia, preparandosi ad un conflitto prolungato, rifornendosi di armi (droni, missili anticarro, ecc.), imparando tattiche di guerriglia urbana e studiando i mezzi del nemico. I sistemi tecnologici israeliani installati sui carri armati consentono all'equipaggio di perlustrare l'ambiente circostante, e filmati in tempo reale dai droni danno una visione dall'alto del campo di battaglia. Grazie all'esperienza maturata nelle precedenti guerre, l'IDF ha ammodernato i mezzi corazzati ma i soldati, prima o poi, sono costretti ad uscire allo scoperto per bonificare il territorio. Hamas ha studiato la guerra in Ucraina, e utilizza piccoli droni commerciali per lanciare granate anticarro.

Ormai il drone è diventato una delle armi principali. Sia a Gaza che in Ucraina l'utilizzo di aeromobili a pilotaggio remoto è stata la grande novità: costano poco, non hanno bisogno di un pilota all'interno, possono colpire il nemico ma anche perlustrare. Unico neo: i segnali elettronici emessi dai velivoli possono essere intercettati, e l'artiglieria ad alta precisione può colpire chi li manovra. Nel novembre del 2020, nella guerra del Nagorno-Karabakh, l'esercito azerbaigiano impiegò massicciamente i droni; tutti gli eserciti ne presero nota, aggiornando tecniche e strategie di guerra. Questi dispositivi possono essere guidati anche con un visore da decine di chilometri di distanza; il pilota è come un gamer alle prese con un videogioco.

Oggi l'obiettivo non è solo distruggere le armi e i mezzi del nemico, ma prenderne il controllo; ed è proprio quello di perdere il controllo il rischio che si corre quando le macchine sono gestite da remoto. Da qualche anno è emerso il problema delle armi autonome (i cosiddetti "killer robots" o LAWS) in grado di decidere quando e cosa colpire, e l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la prima risoluzione incentrata sulla "necessità urgente per la comunità internazionale di affrontare le sfide e le preoccupazioni sollevate dai sistemi di armi autonome".

La singolarità storica è vicina, viviamo una transizione tra due ere, e il conflitto in corso appare come un grande test delle capacità belliche dei maggiori paesi e del loro sistema industriale. Mark Milley, capo dello stato maggiore congiunto degli Stati Uniti, ha dichiarato che un terzo delle forze armate avanzate diventerà robotico entro i prossimi 15 anni, confermando che la tendenza in atto è quella del fronteggiarsi di sistemi d'arma dotati di
intelligenza.

Il conflitto in Ucraina è entrato in una fase di stallo a causa della simmetria che si è stabilita in termini di armamenti, lo sostiene il generale ucraino Valery Zaluzhny, comandante in capo delle forze armate di Kiev, in un'intervista a The Economist, in cui afferma che per sbloccare la situazione occorrerebbe un enorme salto tecnologico. Zaluzhny descrive un campo di battaglia in cui i moderni sensori, in dotazione sia all'Ucraina che alla Russia, possono identificare una qualsiasi concentrazione di forze. A suo avviso, l'unico modo per rompere questa simmetria è attraverso l'innovazione nel campo dei droni, della guerra elettronica, delle attrezzature per lo sminamento e nell'uso della robotica. Ma l'Ucraina non può fare da sola quanto richiede la situazione, ha bisogno del sostegno finanziario e militare occidentale, che però non durerà in eterno, soprattutto alla luce del fallimento della controffensiva di primavera.

Kiev sta affrontando una enorme carenza di uomini e di munizioni. Secondo The Economist, la Russia ha sparato 10 milioni di proiettili in un anno. L'America sta aumentando la fabbricazione di proiettili di artiglieria da 155 mm, ma la sua produzione nel 2025 sarà probabilmente inferiore a quella della Russia nel 2024. Michael Kofman del Carnegie Endowment for International Peace, un think-tank americano, calcola che l'Ucraina ha sparato qualcosa come 220.000-240.000 proiettili di grosso calibro (152 mm e 155 mm) al mese durante la scorsa estate.

Rispetto all'Ucraina la Russia ha un vantaggio: necessita solo indirettamente di aiuti esterni, e si è arroccata sulla difensiva, inoltre il suo territorio non è campo di battaglia. Come nota lo storico militare Gastone Breccia, il vantaggio tattico russo è supportato da una logica strategica ferrea.

Comunità illusorie e comunità umana

Hamas e Hezbollah sono organizzazioni politico-militari-religiose, ma rappresentano anche delle reti di welfare. Non sono gruppi autonomi, sono proxy-warrior, perseguono interessi capitalistici e sono legati a forze statali (il Dipartimento di Stato americano stima che la Repubblica islamica fornisca cento milioni di dollari l'anno ai gruppi islamici palestinesi). I finanziamenti che ricevono sono poi investiti nei circuiti della finanza internazionale, anche attraverso il mercato delle criptovalute. Si tratta di comunità illusorie, surrogati di aggregazione basate su un senso di appartenenza che non sfugge alle dinamiche alienanti di questa società (fenomeni che abbiamo descritto nell'articolo "Una vita senza senso", n+1, n. 18, ottobre 2005). Tali organizzazioni, ibride, rispondono a precise determinazioni materiali: si sviluppano sull'onda della perdita di energia degli Stati.

Il capitalismo, come ogni modo di produzione e come qualsiasi organismo, ha il suo ciclo di nascita, crescita e morte, nella sua fase discendente la sua forza viene meno. L'inceppamento dei meccanismi di valorizzazione si riflette su tutto l'insieme delle relazioni economiche, sociali, politiche provocando la destrutturazione dell'intero sistema. Ogni componente entra in collisione con gli altri. In questa dinamica caotica la religione è una risposta "irrazionale" al crescere del disagio sociale. Il ritorno del fondamentalismo religioso rende tangibili due aspetti relativi alla fase morente di questo modo di produzione. Il capitalismo non ha risolto nessuna delle sue contraddizioni, le ha sempre spostate a un livello superiore, ingigantendole. Quindi la religione, un elemento fondante della sua storia, non è mai stata superata: nella fase progressiva il capitalismo l'ha relegata in posizione subordinata, oggi riemerge come disperato tentativo di salvare l'unità sociale, finendo però di essere un moltiplicatore di caos. La religione è uno degli ultimi tentativi di fare blocco attorno a elementi identitari interclassisti.

La dissoluzione degli apparati statali è un fenomeno che ha delle conseguenze pratiche, non solo per le forze che si richiamano al passato, ma anche e soprattutto per quelle che si richiamano al futuro. Per inquadrare l'argomento, come al solito, bisogna partire dai classici: Lenin in Stato e rivoluzione (cap. IV), citando Engels, afferma che la Comune di Parigi non era più uno stato nel senso stretto della parola perché essa non doveva opprimere la maggioranza della popolazione, ma una minoranza (gli sfruttatori). Se la Comune si fosse consolidata, le tracce dello Stato si sarebbero "estinte": essa non avrebbe avuto bisogno di "abolirne" le istituzioni, queste avrebbero semplicemente cessato di funzionare.

In altri testi, Lenin ricorda che alla data del 1917 la borghesia non era ancora sviluppata in Russia, mentre il proletariato, seppur minoritario, era storicamente in grado di farsi carico dei compiti borghesi: di qui la concezione della doppia rivoluzione, borghese e proletaria allo stesso tempo. Oggi il mondo è completamente cambiato, il capitalismo si è globalizzato, le reti hanno reso il Pianeta sempre più piccolo. Dopo la fine delle rivoluzioni multiple, non è più valida la parola d'ordine dell'appoggio dei comunisti ai moti democratici e indipendentistici, come s'è visto. La consegna oggi è nettissima ed è disfattismo tout court, ovvero rifiuto totale di farsi intruppare nei fronti borghesi. Non si può essere coerentemente contro la guerra senza essere anticapitalisti e viceversa. E la guerra oggi porta alla minaccia sempre più frequente da parte delle grandi potenze di adoperare l'arma nucleare.

È sicuro che, in seguito alla disgregazione degli apparati statali, e anche dei surrogati di comunità che hanno come obiettivo la difesa dallo status quo, si svilupperanno degli organismi di mutuo-aiuto proiettati nel futuro. Occupy Wall Street (OWS) ha dimostrato che si può andare oltre l'aspetto sindacale e "politico", dotandosi di strutture come le mense comuni, le biblioteche, i media center, luoghi sicuri per il "99%". Durante l'uragano Sandy, che ha colpito la costa est degli Stati Uniti, OWS diede vita ad una grande prova organizzativa, prendendo il posto della protezione civile. Ad Oakland, il movimento Occupy si è richiamato all'esperienza della Comune.

Ci sono potenti accelerazioni in corso. Nasceranno nuove forme, adatte alla situazione sociale che si sta delineando.

Note

  • [1] La Sinistra Comunista "italiana" ha lasciato materiale utile per capire il retroterra storico degli avvenimenti in corso, a partire da articoli come "Le Alsazie-Lorene del Medio Oriente" (1955), "La crisi del Medio Oriente" (1955), "Il terremotato Medio Oriente" (1956).
  • [2] "Il vicolo cieco palestinese", n+1, n. 5 settembre 2001.
  • [3] "L'imperialismo delle portaerei", Il programma comunista n. 2, 1957.
  • [4] "Dal fronte interno israeliano", n+1, n. 7 marzo 2002.
  • [5] "L'Europa virtuale e i nuovi attrattori d'Eurasia: la Turchia come fulcro dinamico", n+1, n. 23 giugno 2008.
  • [6] "L'importanza del movimento americano contro la guerra", n+1, n. 10 dicembre 2002.
  • [7] The Economist, "Israeli soldiers fight to reach Hamas's headquarters", 6 novembre 2023.
  • [8] The Economist, "Trenches and tech on Ukraine's southern front", 29 ottobre 2023.
  • [9] The Economist , "Ukraine's commander-in-chief on the breakthrough he needs to beat Russia", 1° novembre 2023.
  • [10] The Economist, "From Gaza to Ukraine, wars and crises are piling up", 13 novembre 2023.
  • [11] The Economist, "Ukraine's new enemy: war fatigue in the West", 27 novembre 2023.
  • [12] Limes, "Ucraina, la guerra dei droni: il volto nuovo della battaglia". Puntata registrata il 24 luglio 2023: https://www.youtube.com/watch?v=C3LrqRs411E
  • [13] "Pressione 'razziale' del contadiname, pressione classista dei popoli colorati", il programma comunista n. 14, 1953.

Rivista n. 54