Tendenza #antiwork

Francesca Coin - Le grandi dimissioni. Il nuovo rifiuto del lavoro e il tempo di riprenderci la vita. Einaudi 2023, pagg. 288, euro 17,50

Il saggio di Francesca Coin è un'analisi sul cambiamento della percezione del lavoro e, più in generale, della società su di esso basata. Su questa rubrica abbiamo già recensito testi sulla fine del lavoro, sull'automazione e sulla "disoccupazione tecnologica"; il libro di Coin è qualcosa di diverso: è il primo pubblicato in Italia che prende in esame la nuova tendenza in corso della disaffezione verso il lavoro.

Il fenomeno è esploso negli USA in seguito alla pandemia di Covid-19: nel 2021, 48 milioni di lavoratori americani hanno deciso di licenziarsi, nel 2022 il numero è salito a 50 milioni e mezzo. In Italia, nel 2021 sono stati in 2 milioni a lasciare il posto di lavoro, l'anno seguente ha visto il bis con un numero di dimissionari di poco maggiore. Anche in Cina, nello stesso periodo, è scattato qualcosa nelle teste, soprattutto dei più giovani, che ha portato alla nascita di "movimenti" come "Tang ping" ("sdraiarsi") e "Let it rot" ("lascialo marcire"). Nota Coin nel suo testo: "In India come in Cina, da mesi si è diffusa una controcultura che mette in discussione l'etica del lavoro e l'obbligo al lavoro salariato".

Studiare e fare sacrifici per poi ritrovarsi disoccupati o precari a vita produce sentimenti di certo non positivi verso il capitalismo. Il lavoro scarseggia e le paghe sono da fame, e allora tanto vale "stare sdraiati", dicono i giovani cinesi, e non adoperarsi per prolungare l'agonia del sistema. L'ondata di rifiuto del lavoro non è un movimento (almeno per adesso), e non è nemmeno un fenomeno chiaro, ad esempio se messo a confronto con la recente mobilitazione operaia nel settore automobilistico statunitense: chi incrocia le braccia rivendica un obiettivo collettivo da raggiungere, chi si licenzia lo fa individualmente, con l'unica motivazione esplicita di non farcela più. Non ci sono quindi rivendicazioni e non c'è organizzazione, però il fenomeno ha già fatto molto parlare di sé dando vita a diversi canali social, di cui Coin ricorda il più famoso, la pagina "Antiwork" su Reddit che conta quasi tre milioni di membri:

"Di fatto, r/antiwork parla di lavoratrici e lavoratori che si dimettono dopo essere stati sfruttati in modo cinico per anni. Racconta l'impatto dannoso che un lavoro dequalificato, sottopagato, precario, afflitto da continui tagli al personale, da un carico di mansioni troppo elevato e da una cultura tossica ha sulla salute e sulle relazioni. Spiega che i salari sono aumentati del 5 per cento in quarant'anni, mentre i profitti aziendali si sono centuplicati."

Nel mondo sta crescendo un sentimento anti-lavoro che mette in discussione, nei fatti, le vetuste ideologie lavoriste di matrice ordinovista, fascista e socialdemocratica. Sembrano lontani i tempi in cui gli operai si arrampicavano sui tetti o si incatenavano ai cancelli della fabbrica per attirare l'attenzione dei media; adesso, appena possono, abbandonano il lavoro. Il teorico del diritto all'ozio Paul Lafargue farebbe i salti di gioia nell'apprendere queste notizie, al contrario di alcuni "rivoluzionari" d'oggi che invece snobbano "antiwork" et similia perché non si appellano alla dittatura del proletariato, formula magica che, una volta pronunciata, tutto risolverebbe.

Nel saggio, Coin afferma che la tendenza in corso rappresenta i prodromi di uno "scontro di classe non dichiarato", non riconosciuto né da chi lo pratica né da sindacati e partiti. Riguardo ciò, cita l'ex segretario americano del Lavoro, Robert Reich, che in un articolo sul Guardian si domandava se le "grandi dimissioni" non fossero una sorta di sciopero generale non ufficiale:

"Si potrebbe dire che i lavoratori abbiano proclamato uno sciopero generale nazionale finché non otterranno salari e condizioni di lavoro migliori. Nessuno lo chiama sciopero generale. Ma in modo disorganizzato è collegato agli scioperi organizzati che stanno scoppiando in tutto il Paese: le troupe televisive e cinematografiche di Hollywood, i lavoratori della John Deere, i minatori dell'Alabama, gli operai della Nabisco, i lavoratori della Kellogg's, gli infermieri della California, gli operatori sanitari di Buffalo. Disorganizzati o organizzati, i lavoratori americani hanno ora una leva di contrattazione per stare meglio."

In realtà sta avvenendo qualcosa di più profondo: l'illusione che questo sistema produca benessere per tutti sta scomparendo. In mancanza di un'organizzazione immediata territoriale all'altezza della situazione, i salariati reagiscono come possono. Coin intuisce che "qualcosa si è rotto" , ma non riesce a capire cosa. La aiutiamo: si tratta della crisi della legge del valore. Cosa vuol dire? Il capitale si valorizza di meno e quindi deve necessariamente aumentare la produttività del lavoro, di qui il fenomeno dello schiavismo di ritorno, ovvero del lavoro non retribuito (stage, tirocini, ecc.).

Un altro indice della crescente disaffezione verso un sistema che produce povertà per i più è il recente boom dei furti nei supermercati americani e inglesi. Non si tratta del ritorno dell'esproprio proletario di gruppettara memoria, alle spalle non c'è un'organizzazione politica e neppure un'ideologia, si tratta di azioni che nascono spontaneamente dalla struttura materiale di una società che vede sempre più ricchezza ad un polo e sempre più miseria all'altro.

Il capitalismo è il peggior nemico di sé stesso, lo diciamo spesso, ma questa affermazione non è una battuta, ha delle conseguenze pratiche. Nei paesi di vecchia industrializzazione la transizione da un'economia manifatturiera ad una basata sui servizi è stato il primo passo verso la smaterializzazione delle merci; il secondo è stato l'ingresso di robot e intelligenza artificiale nelle aziende, che sta comportando la "smaterializzazione" dei lavoratori. Il sistema ha messo milioni di senza-riserve con le spalle al muro, ha ridotto i cuscinetti che attutivano lo scontro, ora è costretto a fare i conti con una situazione senza sbocchi, dato che l'erogazione di redditi di cittadinanza e sussidi ai disoccupati è solo un lenitivo.

Quando questo sentimento "antiwork" prenderà coscienza di sé stesso, c'è da credere che non si perderà più tempo con il reclamare diritti e con le rivendicazioni entro questa società, ma si passerà ad un livello superiore di lotta.

Non c'è nulla di particolare da inventare per risvegliare la lotta di classe, occorre semmai sintonizzarsi con il "movimento reale", che nella sua marcia verso il futuro abbatte tutti gli ostacoli che si trova di fronte.

La lotta contro il lavoro salariato è tutt'uno con la storia del movimento operaio delle origini, travolto dalla controrivoluzione demo-fascio-stalinista che ha costruito sul lavoro un culto (vedi articoli di questa rivista sulla "socializzazione). Il proletariato con le sue organizzazioni è stato inglobato nello Stato, gli sono state promesse delle guarentigie, ed esso ha accettato come naturale lo sfruttamento. Adesso che tutte le garanzie stanno andando in fumo, è cominciata "l'epoca dell'infedeltà" verso il lavoro: non è ancora un divorzio ma ci sono tutte le premesse perché ciò avvenga. Il vecchio mondo sta crollando a pezzi, in molti cominciano a rendersene conto, così come hanno dimostrato le piazze francesi in lotta contro l'aumento dell'età di pensionamento al grido di "i ricchi ci rubano il tempo per vivere".

"Oggi liberare la vita dal lavoro è un'urgenza esistenziale", scrive Coin. Non male come conclusione di un saggio sociologico dal taglio, tutto sommato, riformista.

Rivista n. 54