33. Militanti delle rivoluzioni (1)

Questa Lettera è tratta da due riunioni registrate il 5 e il 12 giugno 1992 a Torino. Essa è stata integrata con argomenti scaturiti da uno scambio di corrispondenza fra compagni e da successive riunioni tenute a Roma e Torre Annunziata dal 17 al 23 giugno 1996. La trattazione originaria partiva da uno spunto suggerito dall'articolo "Fiorite primavere del Capitale" di Amadeo Bordiga.

MILITANTI DELLE RIVOLUZIONI

DOVE SI DIMOSTRA COME IN TUTTE LE EPOCHE LA RIVOLUZIONE TROVI I SUOI STRUMENTI IN TUTTE LE CLASSI E SI ESPRIMA NON SOLO CON LA GUERRA SOCIALE MA ANCHE CON L'ACCUMULO DI CONOSCENZA E RISULTATI TEORICI CHE RIMANGONO PATRIMONIO DI TUTTA L'UMANITA'

Partiamo da Lenin

Tra gli sparsi militanti, i gruppi e i piccoli partiti che resistono nella rivendicazione del marxismo serpeggia un ricorrente quanto falso quesito: "che fare?" Ora, se è vero che la domanda è stata posta da un Lenin, è anche vero che egli non la poneva affatto a sé stesso come se fosse a corto di risposte. Lenin sapeva benissimo che cosa era un militante rivoluzionario bolscevico e da questo ne traeva inequivocabilmente che cosa questi dovesse fare. Erano le altre tendenze della socialdemocrazia russa che non sapevano che cosa fare, e non lo sapevano perché non sapevano che cosa essere. Di qui la lotta per la conquista dell'influenza sui militanti, di qui la necessità da parte di Lenin di spiegare che cosa questi fossero. Che cosa dovessero o potessero fare era una conseguenza della loro collocazione nella storia di quegli anni di rivoluzione.

La questione non è mai morta e ce la troviamo tra i piedi regolarmente. Un militante comunista veramente conquistato alla rivoluzione non andrà mai in giro sperduto a chiedere al prossimo: "che diavolo devo fare?". Se è militante comunista e rivoluzionario sa qual è l'obiettivo e qual è la strada per giungervi. Proprio per il fatto di essere conquistato alla rivoluzione non avrà neppure bisogno di un catalogo minuzioso di tutte le "specifiche situazioni" in cui potrebbe trovarsi ad agire e che non trova elencate nei sacri testi. Non avrà bisogno di qualche comitato centrale che lo imbocchi per sapere come comportarsi di fronte a situazioni "impreviste", perché non esistono situazioni tali da poter modificare l'azione dei comunisti da una settimana all'altra. Egli farà parte organicamente di una compagine di uomini che si muovono uniti sulla base di un programma al quale si aderisce non certo per sfizio intellettuale ma per spinte materiali. Farà suo quel programma sapendo che esso prevede una tattica non passibile di "scelta", quindi vincolante per centri e basi, capi e gregari, capìta e accettata da tutti non per sue qualità intrinseche ma perché dettata da situazioni geostoriche (e non da congressi!) coinvolgenti interi continenti e archi di tempo valutabili a mezzi secoli.

Ecco perché la domanda è sciocca se è rivolta a sé stessi, se la si interpreta come quesito cui bisogna cercare una risposta e non come un semplice strumento di didattica rivoluzionaria verso potenziali compagni provvisoriamente attirati da ambienti alla cui base il programma rivoluzionario non c'è.

E' quindi necessario definire che cos'è un militante della rivoluzione per poter sapere con certezza che cosa farà quando diventerà tale, cioè quando dalla rivoluzione sarà conquistato. Perché se questo passo avviene, allora siamo sicuri che egli farà quel che la rivoluzione richiede, ma è come dire che a questo punto non ha più importanza il "che cosa fa", basta e avanza la definizione di "che cosa egli è". E gli errori degli uomini e dei partiti? E i tradimenti? E la controrivoluzione? E i militanti che devono agire nella situazione attuale? Un momento, procediamo con calma, perché per capire le cose non serve partire dal fondo, dal risultato ultimo spiattellato dalla infetta cronaca dell'attimo cara al giornalismo e più cara ancora alla televisione in diretta, come dimostrato da infiniti dibattiti e da innumerevoli articoli e giornaletti intitolati, nella storia passata e recente, con la domanda di Lenin. Il militante comunista agisce sulla base di una storia che gli sta alle spalle e prima di tutto deve mettersi in sintonia con questa invece di agitarsi nel tentativo di riscoprire l'acqua calda per conto suo:

Tutti [...] si sono gettati sul punto di arrivo, anziché sul punto di partenza. è questo invece il fondamentale: vi è tutta una schiera di semisciocchi che vuol precipitarsi a ponzare il poi, e che bisogna poderosamente arginare e ributtare indietro a capire il prima, compito certo più agevole, e cui tuttavia non ce la fanno manco pe' sogno. Ognuno che non ha capito la pagina che ha davanti non resiste alla tentazione di voltarla per trovare lumi nella seguente, ed è così che la bestia diventa più bestia di prima. (1)

Siamo al capire il prima e non stiamo ancora parlando dell'individuo militante, ma del militante generico astratto quello, per intenderci, che non piace per nulla alla stragrande maggioranza degli attivisti, quello che non frequenta il gruppo x, non scrive sul giornale y e non dà volantini alla fabbrica z evitando così di fare discussioni infinite su ciò che lui stesso crede di essere. Faremo anche di peggio, appoggiandoci a nostri noti maestri: oseremo affermare che vi possono essere militanti della rivoluzione dappertutto, non solo nello schieramento proletario. Dell'individuo, quello che dice sempre "io" e che la Sinistra ha già sistemato una volta per tutte parleremo dopo e per ultimo parleremo del militante in carne ed ossa, quello che aderisce non solo al partito effimero ma anche al partito storico e viceversa, che cos'è e che cosa fa.

Definizione

La nostra corrente ha una storia di sessant'anni e non poteva non registrare le sconfitte che in questo arco di tempo hanno colpito il movimento operaio, traendone insegnamento. Incominciamo quindi con lo stabilire che cosa non è un militante della rivoluzione.

Il militante rivoluzionario non si caratterizza per la sua attività in un partito contingente o in un organismo immediato (Marx, Manifesto), anche se ovviamente egli avrà più probabilità di trovarsi ad agire in quell'ambito che da altre parti; troppe volte il rivoluzionario di professione leniniano è stato trasformato in un volgare attivista di partito, quest'ultimo inteso come apparato. L'esperienza dell'Internazionale e dei partiti che vi aderivano ha dimostrato che l'attivismo funzionale all'apparato diventa fine a sé stesso: si è attivi per essere ancora più attivi, per fare tessere, per essere in tanti, per riempire le casse del partito, per prendere più voti, per fare manifestazioni più numerose. Gli stessi scioperi sono stati strumentalizzati per fini di apparato, per "contare" di più nella società. I comunisti non possono "contare" niente in una società che vogliono distruggere. Ma l'insegnamento dell'Internazionale e della sua degenerazione va oltre all'esempio fornito dai partiti che la componevano. Anche nelle reazioni alla degenerazione dell'Internazionale, nelle opposizioni ad essa, si produssero altri tipi di patologie non meno deleterie quando si rivendicò il ritorno a pretese "libertà" o forme "democratiche", categorie per la cui "perdita" i veri comunisti non hanno mai versato una lacrima.

Il militante rivoluzionario non è un banale rivendicazionista. Se Baffo Stalin schiaccia la democrazia pur inneggiando ad essa, il comunista non rivendica la democrazia tradita. Se il fascismo vince contro il parlamentarismo, il comunista non si ritira sull'Aventino a rivendicare il libero parlamento. Se un certo meccanismo elettorale è un inganno per il proletariato, il comunista non rivendica un meccanismo più democratico, che non sia un inganno, perché esso non può esistere. Se il capitalismo elimina forza-lavoro dalle fabbriche attraverso l'automazione, il comunista non rivendica il diritto all'occupazione ma dichiara: "Era ora! Adesso pensiamo ad una società dove le macchine possano essere introdotte ovunque sia possibile, dove l'automazione massima si accompagni alla liberazione massima dal tempo di lavoro".

Il militante rivoluzionario non è chi ha una tessera o un'etichetta speciale da mostrare all'altrui curiosità. Non è chi contende spazio ad altri sullo stesso terreno. Non è chi appartiene ad una organizzazione migliore di altre cui occorra fare concorrenza. Non è chi fa lavoro missionario per conquistare corpi e spiriti alla causa (perché il comunista non ha una "missione" da compiere). Non è chi possiede verità che non siano a disposizione di tutti. Non è detto neppure che sappia di essere un militante rivoluzionario nel senso marxista al termine.

L'individuo che lotta confuso nella massa dei suoi compagni per un obiettivo che ognuno ritiene limitato alla soddisfazione di interessi contingenti, può non essere consapevole di partecipare ad un movimento dalle possibilità assolutamente sovversive. Anche lo scienziato che effettua una scoperta e compie una verifica secondo leggi in assoluto contrasto con l'ideologia borghese, in un certo senso milita nelle schiere della rivoluzione. E' uno dei temi più affascinanti del nostro patrimonio teorico: quando la borghesia, nel corso delle sue indagini sul mondo fisico, è costretta a vere e proprie capitolazioni ideologiche di fronte al marxismo, per noi la vecchia talpa ha scavato un altro buco nelle fondamenta della società borghese.

Ma veniamo alla definizione di che cosa è un militante della rivoluzione. Visto che una definizione precisa l'abbiamo già, leggiamola direttamente dalle nostre Tesi:

Le violente scintille che scoccarono tra i reofori della nostra dialettica ci hanno appreso che è compagno militante comunista e rivoluzionario chi ha saputo dimenticare, rinnegare, strapparsi dalla mente e dal cuore la classificazione in cui lo iscrisse l'anagrafe di questa società in putrefazione, e vede e confonde sé stesso in tutto l'arco millenario che lega l'ancestrale uomo tribale lottatore con le belve al membro della comunità futura, fraterna nell'armonia gioiosa dell'uomo sociale. (2)

Questa è una frase che viene citata spesso perché è bella, contiene quel tanto di carica che tocca i compagni nei centri nervosi più sensibili, ha un'apparente retorica che la eleva al rango di massima senza tempo e poi parla di armonia e di gioia, merci piuttosto rare nel mercato capitalistico attuale. Sembra che Amadeo si sia lasciato un po' andare alle emozioni, nel contesto di uno scritto in cui è rigorosamente, come al solito, posto il problema dell'unità di teoria e azione.

Questa frase non è un cedimento sentimentale, è un'arma. Immaginate, tra il '64 e il '65, una situazione in cui nel partito si manifesta una delle ricorrenti ondate di influenza della situazione controrivoluzionaria. Si rivendica un'attività incompatibile con i reali rapporti di forza; si rivendica una discussione che esula dai limiti imposti dal rifiuto dei principii e dei meccanismi della democrazia. Si formano gruppi di discussione che incominciano ad avere un'esistenza finalizzata a sostenere la discussione stessa. Si formano addirittura contrasti fra diversi personaggi i quali non hanno capito nulla a proposito di un partito che non può offrire carriere politiche. Insomma, per non farla lunga, si produce un po' di merda democratica con tutte le conseguenze del caso: si finirà con alcune rotture, per non chiamarle con il nome pomposo di scissioni.

Di fronte alla meschineria di comportamenti subumani indotti dalla società borghese, Amadeo fa partire il colpo dell'arma micidiale: più siete meschini e più vi sbatto in faccia l'universo intero, l'intero cammino della specie umana.

L'arte della comunicazione e la scienza

Proviamo a chiosare il passo alla luce di alcune cose che dovremmo già sapere riguardo ai condensati di Amadeo. Il reoforo è, genericamente, un filo metallico portatore di corrente elettrica. Se il filo viene interrotto i due capi si trasformano in elettrodi e, se la differenza di potenziale è sufficientemente alta rispetto al varco, gli atomi dell'aria liberano i loro elettroni (ionizzazione) e l'aria stessa perde le sue proprietà isolanti permettendo alla corrente di passare tra un elettrodo e l'altro. Scocca allora una scintilla (o un fulmine) con conseguenze luminose, acustiche, chimiche e termiche. Si tratta di una bella immagine per definire i salti di conoscenza resi possibili dalle differenze di potenziale dovute al movimento delle classi contrapposte. Ora, il fenomeno catastrofico (violente scintille) è il solo che ci fa apprendere come sia necessario, per il militante comunista e rivoluzionario, togliersi dalla testa le categorie che gli ha instillato questa società. Non è lo studio che può questo, non è la scuoletta di partito, non è la frequentazione della comunità dei compagni, non è la volontà individuale e non è l'intelligenza: sono le violente scintille. L'arco millenario lo conoscono anche i borghesi, ma essi sono orgogliosi di aver perso il senso della vita di specie, mentre l'uomo l'ha vissuta per milioni di anni e vi ritornerà, dopo la parentesi minima del salto produttivo e del processo di liberazione dal regno della necessità a quello della libertà. Libertà dal lavoro coatto, non libertà democratica. Libertà di vita, lavoro inteso come puro tempo di riproduzione della specie. Godimento della vita, non volgare "tempo libero" a cronometro, da dedicare al consumo di cibo e oggetti mercificati.

Solo chi ha saputo e potuto mettersi in riga con tutto l'arco dell'esistenza umana potrà non cadere più nelle piccole, ridicole, meschine lotte che coinvolgono l'individuo immaturo e che si svolgono quotidianamente anche nel partito che, al limite, dovrebbe esserne esente. Ma il testo citato non si riferisce solo all'arco millenario, si riferisce anche ad un arco di tempo a noi più vicino. Lo schiaffone di Amadeo si fa più diretto, meno esoterico. Solo chi saprà inserirsi in una continuità storica con le battaglie coerenti rispetto alla rivoluzione potrà riprendere il filo spezzato dalla peste opportunistica che rovinò il movimento facendolo precipitare nella controrivoluzione senza che neppure fosse possibile salvare "almeno il nerbo del suo partito storico". Bisogna rivendicare tutta la battaglia fisica, non solo i testi critici. Bisogna far proprio tutto il percorso, non solo il risultato ultimo o qualche parte dei risultati complessivi. La trasmissione del programma rivoluzionario al di sopra delle generazioni non è fatta solo di libri, ma neppure è fatta solo di metodo o applicazione della dottrina in maniera fedele e pedestre:

Il nuovo movimento non può attendere superuomini né avere Messia, ma si deve basare sul ravvivarsi di quanto può essere stato conservato attraverso lungo tempo, e la conservazione non può limitarsi all'insegnamento di tesi e alla ricerca di documenti, ma si serve anche di utensili vivi che formino una vecchia guardia e che confidino di dare una consegna incorrotta e possente ad una giovane guardia. (3)

La rivoluzione ha bisogno di utensili vivi

I vecchi compagni delle origini sono morti tutti. Gli eredi non si sono comportati secondo gli insegnamenti e ormai hanno dimostrato di non aver saputo e potuto raccogliere il testimone della staffetta storica. La giovane guardia (giovane di oggi) non c'è ancora e ciò dimostra un vuoto temporale. Il filo è quasi spezzato davvero, dobbiamo arrangiarci, contare sulle nostre sole forze. Del resto nessuno pensava che riprendere coerentemente il lavoro sarebbe stata un'impresa da nulla. Fortunatamente oggi ci siamo liberati di quella che il testo appena utilizzato, proprio nelle prime righe, chiama "cosiddetta questione della organizzazione interna del partito". In parte perché non abbiamo fondato un partito, in parte perché non abbiamo più bisogno di formalismi mutuati dal vecchio e abitudinario riferimento ai partiti dell'Internazionale. Le Tesi non sono riuscite a "convincere" i compagni di allora (infatti se ne andarono), il tempo e i fatti si sono incaricati di sgombrare il campo dagli ultimi ferrivecchi della democrazia, anche mascherata, come per esempio le gerarchie interne più o meno formalizzate. Quando il partito si formerà con la ripresa della lotta fra le classi, è da sperare che sia più facile, a questo punto, non ripetere gli errori passati; anche i disastri, anzi, soprattutto quelli, possono essere maestri.

Nessuno sarà mai militante della rivoluzione se continuerà a combinare disastri attraverso la difesa de suo Io; nessuno potrà svolgere quella che Amadeo, parlando in morte di Lenin, chiama la funzione del capo. Nelle società che ricordavano ancora l'armonia del comunismo primitivo anche se già statali e gerarchizzate, come l'Egitto antico, il capo non aveva potere, pur disponendo della possibilità di applicare una volontà senza limiti. Il faraone veniva designato con la stessa parola che voleva dire "servitore" (non c'era ancora la schiavitù), in quanto la sua funzione era quella di salvaguardare l'applicazione di un programma che si intendeva immutabile per l'eternità. Oggi qualunque ometto che si senta sfruculiare da qualcosa a livello ghiandolare vuole cambiare la storia con le sue proprie mani, a cominciare dal raddrizzamento individuale delle idee altrui. Il poveretto ha probabilmente letto e gustato la lettura del seguente passo, ma esso gli è passato sulla pelle senza minimamente toccarne l'inviolabile persona:

La storia la fanno gli uomini, soltanto che sanno assai poco perché la fanno e come la fanno. Ma in genere tutti i "patiti" dell'azione umana, e i dileggiatori di un preteso automatismo fatalista, da una parte sono quelli che accarezzano - nel proprio foro interiore - l'idea di avere nel corpicciuolo quel tale Uomo predestinato, dall'altra sono proprio quelli che nulla hanno capito e nulla possono; nemmeno intendere che la storia non guadagna o perde un decimo di secondo, sia che essi dormano come ghiri, sia che realizzino il sogno generoso di dimenarsi come ossessi. Con gelido cinismo e senza il minimo rimorso ad ogni esemplare superattivista più o meno autoconvinto di serissime funzioni, e ad ogni sinedrio di novatori e pilotatori del domani ripetiamo: "jateve a cuccà!". Siete impotenti anche a caricare la sveglia. (4)

La storia, quella che i suoi cultori scrivono con la maiuscola, se ne frega del dimenarsi delle molecole umane le quali, come in un gas riscaldato, premeranno sul futuro con una forza risultante dall'insieme del loro movimento. Con una analogia "informatica" diremo che solo un quid di informazione potrà generare ordine nelle molecole, e questo ordine non dipenderà da una molecola pensante ma dalla storia determinata delle molecole, dalla fisica rappresentanza del loro movimento verso il futuro. Questa fisica rappresentanza è il partito. Il partito è composto da individui che ne traggono collettivamente la coscienza del futuro della loro classe e dell'umanità intera. La rivoluzione e il partito hanno quindi bisogno di uomini in carne ed ossa, utensili vivi che si rendano conto del compito che si assumono. Ma chi li prepara, se la vecchia guardia non c'è più? I libri? Non c'è libro che non possa essere filtrato dal soggetto che lo legge. E la trasmissione dell'esperienza, il lavoro collettivo, la verifica con il passato, la proiezione nel futuro? Da dove sbucheranno i militanti futuri, se non esiste un punto di riferimento visibile che conduca al percorso non mistificato della Sinistra come abbiamo appena detto?

Fortunatamente le violente scintille che ionizzano la materia tra gli elettrodi del nostro cervello agiscono anche a livello sociale. Non è la ragione o l'intelligenza che porta utensili alla rivoluzione, ma qualcosa di molto terra terra che chiamiamo spinta fisiologica e, un gradino appena un po' più su, interesse economico legato all'appartenenza di classe. Quando si muoveranno i piedi e gli stomaci si muoveranno anche i cervelli. Chi prima, chi dopo. E' fatale: anche nella storia dell'evoluzione umana il cervello si evolve per ultimo. Quando scoprirono il primo scheletro di ominide ben conservato (l'australopitecus afarensis femmina detto Lucy), lo scopritore rimase ben perplesso di fronte ad uno scheletro assolutamente simile al nostro con piantato sopra un cranio assolutamente arcaico. Lo scheletro aveva tre milioni e mezzo di anni: la contraddizione scaturiva dal fatto che finora si erano visti solo crani e i ricercatori, col rispettivo cranio imbottito di metafisica borghese, erano sicuri che a crani arcaici dovessero corrispondere altre ossa arcaiche. Invece non era vero. I nostri antenati erano come noi tre milioni e mezzo di anni fa, tranne il contenitore del cervello e quindi anche ovviamente il suo contenuto, il quale si è evoluto solo pochissimo tempo fa. L'uomo non è diventato ciò che è per via di un cervello superiore, come insegna l'idealismo, ma gli è cresciuta la potenza cerebrale solo perché prima c'è stata l'evoluzione dei piedi e dalle mani che gli hanno permesso di liberare la testa.

Gli idealisti privilegiano l'intelligenza rispetto alle caratteristiche "inferiori" come i sensi, l'intuito, l'istinto. Eppure nessuna rivoluzione, né scientifica né sociale, è mai avvenuta per via di intelligenza. La Sinistra ha detto molto sul tema ed è utile ritornarvi.

In memoria di un artista

Siamo rimasti tutti colpiti dalla scomparsa di Aldo Ratti e vorremmo ricordarlo proprio con qualche considerazione sull'istinto e sulla razionalità, sulla conoscenza e sulla militanza. Aldo era un vero "disadatto" del capitalismo. Era pittore ma non artista, dato che arte si sposa con mestiere da quando le Muse passarono dall'indistinta funzione di allietare gli uomini a quella di presiedere specifiche attività pagate. Era anni luce distante da qualsiasi problema di tipo pratico e la tecnica era una cosa che per lui sarebbe potuta non esistere. Adorava il cinema, ma certamente non lo metteva in relazione con le macchine da presa e da proiezione. Non possedeva una macchina nel senso di automobile, non aveva altre macchine, un televisore, una lavatrice o un giradischi in casa. A dire il vero non aveva neanche una casa, a meno di non chiamare così il posto dove dormiva e dipingeva. Il suo rifiuto del capitalismo era tanto viscerale che nessuno sarebbe mai riuscito a sfruttarlo. Certamente non era comunista nel senso scientifico del termine eppure...

Non è il momento e il luogo di fare grandi discorsi, sarebbero fuori luogo fra noi, ma Aldo era, a quasi ottant'anni, la persona più viva che avessimo conosciuto. Si faceva guidare esclusivamente dall'intuizione e dall'istinto, solo così si può spiegare la sua - diciamo - sopravvivenza in un mondo assolutamente ostile a chi non si lascia sfruttare. Aldo non ha mai lavorato per un capitalista, ma neppure per un mercante d'arte, pur essendo pittore. Gli uscivano dalle mani dei piccoli capolavori perché aveva un disegno e una pittura spontanei, anche se riflettevano una conoscenza profonda, non scolastica. A volte riprendeva un quadro e si intestardiva a razionalizzare la composizione secondo qualche canone che si metteva in testa, allora invariabilmente rovinava tutto, ghiacciava le forme, rendeva infantili i colori. Aveva una conoscenza dell'arte che molti storici e critici non hanno, eppure gli derivava quasi esclusivamente dallo studio delle immagini e non dei testi critici. Vedeva e sentiva la storia senza studiarla perché creava istintive relazioni tra le forme, il contenuto e le epoche.

Vedeva e sentiva il marxismo alla stessa maniera, e a volte se ne usciva con delle affermazioni d'ingenuità cosmica rispetto ai comuni canoni della politica. A ben vedere erano però processi di astrazione estrema e quindi una visione della realtà sgombrata dalle troppe chiacchiere. Per esempio riteneva il mondo diviso in due: da una parte i compagni, dall'altra tutto il resto. Solo che chiamava "compagno" chiunque non fosse, a suo giudizio, "fascista". Naturalmente era fascista chiunque fosse adagiato in questa società che egli non poteva proprio digerire. Il termine "fascista" non era quindi un prestito del lessico resistenziale, ma una contrazione poetica in cui rientrava tutto ciò che era del capitalismo. Come si vede, si tratta di un modo di vedere filologicamente corretto: il fascismo non è un ritorno all'indietro nella storia, ma il moderno modo di essere della società capitalistica. "Se vuoi essere progressista abbi il coraggio di essere fascista", dice un nostro testo, perché la sequenza nel tempo non è fascismo-democrazia-comunismo, bensì democrazia-fascismo-comunismo. Il fascismo è più "moderno" e quindi più "progressista" della democrazia.

Aldo aveva superato il progressismo, per questo avrebbe dato fastidio a molti di coloro che "sarebbero impotenti anche a caricare la sveglia"; per questo noi lo rivendichiamo come compagno sulla via del partito e della rivoluzione. Per il nostro atteggiamento ogni tanto salta fuori qualche fesso a dire che siamo di bocca buona. Oh, certo, questi bravi scienziati dell'ovvio misurano il tasso di "compagnità" in base a parametri "oggettivi", come la conoscenza dei sacri testi, il mestiere che uno fa, la disciplina al caporale o l'abilità di venditore di qualche prodotto della marxologia. Una trentina d'anni fa c'era gente intenta a gettare le basi del famigerato '68 chiedendosi: l'impiegato è un proletario? Può un capitalista che sfrutta essere comunista? Qual è veramente il lavoratore produttivo? Qualcuno è ancora lì a farsi le stesse domande, altri hanno ritenuto più produttivo fare carriera nel mondo così com'è. Bah, noi a tutti i cervelloni o ai furbastri preferiamo militanti come Aldo, che ci volete fare.

L'intuizione e l'istinto sono aspetti della natura individuale che non possono essere disgiunti dall'altro aspetto, la capacità razionale, l'intelligenza (non quella misurata dai test per il Q.I., ma quella che significa conoscere, distinguere, analizzare). Non si tratta di due estremi incompatibili, da una parte l'animalità, dall'altra la razionalità dell'uomo pensante, magari con la maiuscola. In fondo, all'origine, il termine intelligenza significava "capire prima di leggere"; in origine, quindi, istinto e razionalità erano la stessa cosa, come dimostra il trapasso nel linguaggio.

Intuizione evidente e deduzione necessaria

Non si può evidentemente in questo luogo ripercorrere l'importanza che ha avuto l'identità di intuizione e raziocinio, specie attraverso quella scienza delle origini che era la religione. Citiamo Cartesio come uno degli esponenti del passaggio necessario dalla concezione unitaria alla separazione di intuizione e conoscenza, ma ancora in relazione dialettica:

Non ci sono altre strade aperte agli uomini verso una conoscenza certa della verità se non l'intuizione evidente e la deduzione necessaria; Si vede anche in che cosa consistono (le) nature semplici (...) E' chiaro, con ciò, che l'intuizione si estende da una parte a tutte queste, dall'altra alla conoscenza dei legami necessari che esse hanno tra loro, infine a tutte le altre cose di cui l'intelletto constata con precisione che sono o in sé medesimo o nell'immaginazione. (5)

Intuizione evidente e deduzione necessaria. Cartesio è per l'evidenza che si presenta all'intelletto come una chiarezza folgorante che non ammette inferenza, cioè un processo logico per cui sia possibile derivare dalle premesse conclusioni conseguenti. Il processo logico frega l'osservatore perché lo induce a conclusioni che non possono essere dimostrate se non con l'osservazione stessa, mentre l'intuizione mette in moto ed è messa in moto da relazioni tra le cose e tra queste e l'intelletto. Induzione e deduzione vengono dopo l'intuizione. Sembra che Kant e i suoi discepoli non fossero d'accordo e che intendessero l'intuizione come una presentazione concreta della realtà "attualmente data", sulla quale si può ragionare, perché le cose contengono dei principii e occorre discutere sul modo della loro applicazione. Non ci schieriamo con l'uno o con l'altro, perché prendiamo entrambi e li incorporiamo nel basamento su cui fondiamo la nostra attuale conoscenza, ma certo che Cartesio ci piace di più perché la sua concezione si avvicina alla dialettica. All'anima del capostipite del razionalismo meccanicistico.

La scienza come viene intesa oggi nasce dopo che istinto e intuizione hanno già una storia di milioni e milioni di anni. L'istinto è una componente materiale della lotta per la riproduzione della specie: è stata e rimane una componente fondamentale per la lotta di classe. Prima vengono l'istinto e l'intuizione, poi viene la scienza, non quella di oggi, che è inferiore allo stesso istinto, ma quella di domani, che unirà tutte le "categorie" che oggi la conoscenza borghese divide. Finché non vi sarà la nuova scienza, l'intuito e l'istinto saranno ancora alla base delle azioni umane come un qualcosa di separato, principalmente per quanto riguarda il movimento sociale.

L'istinto, nella definizione che compare nel testo Proprietà e Capitale (6), non è altro che il programma di salvaguardia della specie in quanto tale, è la registrazione genetica di quello che la stessa specie ha vissuto, e raggiunge la sua massima manifestazione quando si tratta di preservarne la futura possibilità di riproduzione da pericoli che sono stati registrai come conoscenza acquisita. L'individuo conserva l'istinto registrato attraverso migliaia di altri individui. Nemmeno nella riproduzione puramente biologica l'individuo è tale: ricordiamo quel passo dove viene affermato che un coniglio non può essere un coniglio se non nella concezione statica dell'osservatore che si ferma alla classificazione arcaica degli "oggetti"; il coniglio osservato nella sua storia non può che essere due conigli, maschio e femmina (e magari gli aggiungiamo la prole). La specie va intesa come riproduzione biologica prima ancora che produzione, quindi essa comprende l'individuo e il suo codice istintivo, mai il contrario, perché l'individuo senza la specie è nulla (7).

Rifiuto dei principii dati a priori

Dire intuizione è come dire istinto. Quando Amadeo parla di Galileo, Leibnitz, Newton, cioè dei grandi scienziati che hanno anticipato la rivoluzione borghese, proprio quando l'individuo non era ancora il becero individuo schizofrenico di oggi, li utilizza come una triade esemplificativa di idee che scaturiscono di colpo ad un certo punto della storia dell'umanità. Allo stesso modo parla di Marx. L'intuizione da cui si sviluppano le loro scoperte non è vista semplicemente come frutto del pensiero geniale ma come risultato cui giunge il lavoro sociale e perciò il cervello sociale. E' questo, e non l'individuo, che esprime sia le relazioni fra cose, sia le relazioni fra cose e pensiero, fenomeno che Cartesio già vedeva con la potenza dispensata da un periodo prerivoluzionario. Nessuno può dire che Galileo ha "inventato" il cannocchiale. Ma non solo perché da due o tre secoli circolavano vetri molati in vario modo, come curiosità o come utile oggetto per ingrandire. Non solo perché gli olandesi avevano fatto esperimenti con i vetri molati disposti in un certo modo. Neanche perché può darsi che il cannocchiale sia stato propriamente inventato da qualche sconosciuto in Italia verso la fine del '500. Galileo intuì che poteva utilizzare lenti e tubo non solo per giocare o far vedere gli orbi, o per venderli alla Serenissima che potesse guardare i Turchi da lontano. Galileo non ha inventato un tubo con delle lenti, oggetto che già esisteva: ha inventato quel cannocchiale che diventa simbolo di una rivoluzione. Lo inventa perché intuisce per primo che ne trarrà qualcosa di grande nel puntarlo al cielo proibito, luogo dove gli umani non potevano pretendere di trovare oggetti ma armonie prestabilite, ordini divini contrapposti al disordine terrestre, principii immanenti preposti a governare le anime. E, con un atto impensabile, blasfemo, fa compiere un salto formidabile alla conoscenza successiva dell'umanità. Conosciamo la data: era il 1609. Gli opuscoli galileiani, a dispetto dei gesuiti e della Chiesa tutta, per tutto il '600 influenzeranno la scienza dell'epoca, che vi avrebbe trovato non tanto le geniali scoperte, ma un nuovo rivoluzionario metodo.

Galileo non procede secondo i principii prestabiliti. Il principio immutabile è contrario alla scienza nella misura in cui nella scienza si introduce una dinamica storica che la rende passibile di trasformazione verso precisazioni migliori, verso nuovi gradini della conoscenza. Questa dinamica prima di Galileo non c'era. E non serve a nulla scagliarsi contro i preti che lo obbligarono all'abiura: essi difendevano una conoscenza acquisita, non erano beceri ignoranti, era il fior fiore dell'astronomia del tempo. Non c'era altra autorità all'epoca, tranne Keplero. Che cosa può infrangere il principio prestabilito se, appunto, la nostra conoscenza si basa sul fatto che esso è prestabilito? Galileo, a differenza di Keplero, aveva scarse conoscenze di ottica, all'epoca del cannocchiale. Keplero aveva progettato delle lenti molto efficienti che rimasero sulla carta come dimostrazione teorica; non gli venne mai in mente di costruirle e tantomeno di puntarle direttamente all'indirizzo di Dio. Chi ha infranto la vecchia scienza, l'intelligenza di Keplero o l'intuizione di Galileo?

Siamo tentati di rispondere a favore di Galileo, ma sarebbe sbagliato. La vecchia scienza è stata distrutta da Copernico, da Galileo, da Keplero, da tutti coloro che non si sono accontentati di un singolo aspetto dei problemi presi in esame. Galileo spezzò la staticità dei principii immutabili ma non cercò di immaginare fantasiosamente strade che scaturissero solo dal suo cervello. Per primo comprese la differenza che c'è fra fedeltà al principio teorico in sé e fedeltà alla fisica che quel principio teorico aveva voluto insegnare. Sentite questo passo:

Io mi rendo sicuro che, se Aristotele vedesse le novità scoperte novamente in cielo, dove egli affermò quello essere inalterabile ed immutabile, perché niuna alterazione vi si era sino allora veduta, indubitatamente egli direbbe ora il contrario; ché ben si raccoglie, che mentre ei dice il cielo inalterabile perché non vi si era veduta alterazione, direbbe ora essere alterabile perché alterazioni vi si scorgono. (8)

Se la scienza ha le caratteristiche dettate da Galileo, cioè non è inalterabile ma procede dinamicamente attraverso l'accettazione e il superamento di verità precedenti, ne consegue che il risultato scientifico di una determinata epoca non può essere dato da un solo intelletto, per quanto immenso possa essere, può essere dato solo da una quantità di scienziati che si alternano sui problemi, rinnovano il soggetto della ricerca accettando i risultati riguardo l'oggetto, superandoli o proiettandosi nel futuro. Lo stesso concetto verrà ripreso dagli illuministi e Laplace ripeterà che

le scienze si accrescono all'infinito mediante i lavori delle generazioni successive: la più perfetta opera genera nuove scoperte e così prepara delle opere che dovranno eclissarla. (9)

In questo modo lo scienziato classico diventa qualcos'altro, perché se viene ricercato quel che deve risultare dal lavoro collettivo, si ha bisogno di un programma per la collettività che lavora. Ma ogni programma che tende a demolire uno stato di cose esistente non è di per sé rivoluzionario? Un amico di Galileo, entusiasta gli scrive: "Dobbiamo ampliare senza limiti la nostra filosofica militia". E Galileo risponde:

Io [l'opera] l'ho scritta in vulgare perché ho bisogno che ogni persona la possi leggere (...) Io voglio ch'e' vegghino che la natura, sì come gli ha dato gli occhi per vedere l'opere sue, gli ha dato il cervello da poterle intendere e capire. (10)

La scienza scritta può essere trasmessa. Nessuno avrà bisogno di ripetere il percorso prassi-intuizione-scienza già effettuato, almeno fino al prossimo salto.

Bisogno di rivoluzione

Fermiamoci un attimo. Teniamo presente il collegamento tra il discorso che stiamo facendo su Galileo e che cos'è un militante della rivoluzione. Il fatto che un gruppo come il nostro stia facendo un discorso come questo, tenga riunioni con altri compagni in altre località, si sforzi di allargare l'ambito della ricerca e della discussione, si proponga addirittura di contribuire allo sviluppo del partito rivoluzionario, senza che nessuno obblighi in alcun modo i suoi componenti a lasciare altre attività, impegni nelle famiglie o nel lavoro ecc., significa solo due cose: o siamo pazzi o siamo spinti a questo da qualcosa che esula dalle scelte individuali di ognuno di noi. Abbiamo pochi collegamenti e quindi sappiamo poco su cosa stia succedendo da altre parti, in altre città: è però deterministicamente certo che sta succedendo qualcosa di simile dappertutto e ne abbiamo i segnali. Sopravvivono le più diverse rappresentanze del marxismo, ma stiamo assistendo al sorgere di una critica ad esse. Vi sono giovani che cercano soddisfazione al loro bisogno di un ritorno al marxismo, ma non trovano dove appoggiarsi per realizzare tale aspirazione. Naturalmente "militano" nei gruppi e nei partiti che trovano, ma si vede lontano un miglio che sono lì perché non c'è altro. Tutto sembra loro falso, ripetitivo, inquinato. E' impossibile che il lavoro cui sono stati portati alcuni compagni sia dovuto solo a cause ultraspecifiche locali, temporali o attitudinali; è altrettanto impossibile che prima o poi non si formi una scuola, una corrente che sia in grado di rispondere alle aspettative di altri compagni, di giovani, di persone che non sopportano più la routine capitalistica, come è stato giustamente rilevato negli ultimi incontri. Perché queste aspettative incominciano a non essere più pulsioni personali ma sintomi della polarizzazione delle molecole sociali. Forse sbagliamo nel nostro ottimismo, ma allora ci si spieghino i fatti: lo sfascio sociale che ha coinvolto mezzo miliardo di persone all'Est, la tabula rasa africana, la putrefazione sudamericana, la disgregazione sociale dappertutto, l'ascesso balcanico, l'Occidente capitalistico che ha perso la sua normalità e vive a suon di decreti economici, ma soprattutto la crescente consapevolezza della stessa borghesia rispetto ai limiti del capitalismo. Questi disastri non sono paragonabili alla guerra di Corea o a quella del Vietnam, alle tensioni per Suez o alla guerra congolese. Davvero pensiamo che tutto ciò sia senza effetti e che la futura critica materiale dell'esistente possa nascere solo nella testa di Tizio o Caio? Il percorso dei militanti della rivoluzione verso il partito della rivoluzione non può essere un fatto individuale, esattamente come il percorso della scienza non può passare attraverso un unico cervello.

Allora la rivoluzione troverà i suoi strumenti, i suoi utensili vivi attraverso l'agitarsi molecolare nel quale, non abbiamo dubbi, sarà presente un filo rosso attorno al quale avverrà la polarizzazione. I militanti saranno buttati nella mischia senza riguardo, come in tutte le rivoluzioni. Ci saranno unioni e spaccature, tempeste in bicchieri d'acqua come quelle già viste e poi tempeste vere che forse non riusciamo neanche a immaginare, uragani che innalzeranno o spazzeranno via senza tanti complimenti individui che poi per ancora molto tempo penseranno di essere "vittoriosi" o "sconfitti", in un modo o nell'altro di essere stati individuali fattori di storia. E occorreranno generazioni per annullare questo effetto pernicioso delle società classiste.

Frutti del cervello sociale

Ritorniamo a Galileo. Sappiamo che egli non provò mai a costruire una struttura filosofica intorno alle sue ricerche. Neppure cercò di definire filosoficamente che cos'è una teoria scientifica, a differenza dei suoi contemporanei, come Keplero, che traeva dal platonismo rinascimentale la garanzia della verità in modo ancora mistico (perciò le sue lenti, che sarebbero state più perfette rispetto a quelle di Galileo, non furono puntate al cielo).

La grande differenza che Galileo osserva tra filosofia e scienza è che la scienza si occupa di fenomeni limitati che possono essere estesi ad altri rami della conoscenza, ad altri fenomeni, solo nella misura in cui essi possono essere verificati. Nella scienza ogni enunciato deve trovare conferma prima di essere accettato ed esteso. Per la filosofia le cose non stanno così. Essa è universale per sua natura e i suoi enunciati non hanno bisogno di una prova specifica. Galileo non rifiuta la filosofia, ma in pratica non sente la necessità di ricorrervi. L'errore degli aristotelici non fu tanto quello di riferirsi ad Aristotele per duemila anni come se non fossero trascorsi. Fu quello di pretendere che ogni nuova scoperta fosse adattata ai canoni aristotelici, obbligando a contorsioni mostruose ogni tentativo razionale di spiegazione. Galileo non si sentì avversario di Aristotele, ma il vero prosecutore dei suoi insegnamenti alla luce delle nuove scoperte. Dimostrò così che la scienza è un fatto collettivo, mentre la filosofia tende ad essere individuale, nonostante dia luogo a scuole e non possa in fondo che subìre anch'essa il corso della storia.

Possiamo quindi affermare che il militante rivoluzionario Galileo ha posto per primo tutti gli elementi della rivoluzione epistemologica che porterà ai nuovi gradini della conoscenza. Ma possiamo anche affermare che egli ha potuto far questo perché ha spezzato una volta per sempre la barriera che divideva il processo storico reale dal processo della conoscenza stessa.

In fondo Galileo ha ricostruito la continuità perduta per duemila anni, ha messo in relazione la scienza degli antichi greci con quella moderna, non rinnegando la prima, ma inglobandola in un risultato più elevato. Continuità, relazione e unione attraverso un arco di tempo di duemila anni fra concezioni scientifiche concepite dinamicamente, significa riconoscere che il mondo fisico risponde alle leggi della dialettica e che gli uomini, non essendo estranei al mondo fisico, alla natura, ne sono anch'essi soggetti.

In Galileo si percepisce chiaramente la concezione di continuità, la dialettica di una scienza che, spezzando i vincoli in cui era stata obbligata, si rivela come una cosa viva, capace di svilupparsi al di là del singolo individuo che compie la sua ricerca, al di là del tempo e delle generazioni. Oggi noi diciamo con tutta naturalezza che gli scopritori della geometria non euclidea sono i continuatori di Euclide e non suoi avversari, come diciamo che gli scopritori della meccanica relativistica non negano Newton ma ne sono i continuatori anche loro malgrado. Al tempo di Galileo queste sarebbero state eresie, anche perché il materialismo che egli introduceva nei processi della conoscenza dei fatti della natura toglieva valore alla mistica della Chiesa. Quando il militante della rivoluzione, consapevole o meno, viene proiettato sulla scena storica, non può fare a meno di sconvolgere le idee esistenti anche se non lo vuole. E' dimostrato, infatti, che l'accusa segreta sostenuta dai gesuiti della controriforma contro lo scienziato non si basava tanto sulla sua concezione cosmologica quanto sul suo neo-atomismo materialistico, in grado di minare il dogma dell'eucaristia (11).

Veramente Galileo seppe stapparsi dalla mente e dal cuore la classificazione in cui l'iscrisse l'anagrafe della società in cui viveva. Non hanno importanza l'abiura, i tentennamenti, le speranze mal riposte. La sua opera ci è giunta, salvata dai suoi discepoli, come ci sono giunte le opere di coloro che la pelle non l'avevano salvata e sono stati bruciati. Segno che vi è qualcosa di più forte delle inquisizioni ad agire sulla storia, chiamiamolo partito. Nell'ambito di questo partito tutti i risultati di ogni Galileo seguono percorsi per nulla lineari, non fanno parte di processi graduali, giungono di colpo come rivelazioni. Il materialista di oggi non si stupisce affatto di fronte all'accumulo di conoscenza che l'umanità ad un certo punto si trova a dover rendere esplicito attraverso un utensile vivo, si chiami Siddharta, Cristo o Maometto, oppure Aristotele, Galileo o Einstein. Negli scorci storici importanti in cui l'umanità è pronta per il cambiamento, le idee (chiamate così finora ma noi preferiamo chiamarli programmi) si presentano in modo immediato, improvvisamente come se fossero illuminazioni dovute agli dei o al genio individuale. Sono invece il prodotto dell'intuizione, dell'istinto, sono la registrazione collettiva dei fatti che si servono degli individui perché non c'è altro modo di espanderne la conoscenza, o forse non c'è stato finora; la rivoluzione sarà davvero anonima e tremenda, finalmente vittoriosa, se saprà fare a meno di passare attraverso i geni o i messia.

L'istinto e l'intuizione non sono legati al numero di circonvoluzioni del cervello o a neuroni particolari, al numero delle cellule o al peso specifico della materia grigia. Essi sono il frutto di tutto ciò che viene maturato precedentemente e che l'individuo assorbe intorno a sé, quando addirittura non gli viene impresso a livello genetico, ipotesi che per ora è confermata solo per gli istinti primordiali. Quando c'è un cambiamento in corso ecco che il cervello sociale, improvvisamente, condensa tutta questa esperienza storica, religiosa, tecnica o scientifica (noi non facciamo differenza tra i termini) e la mette a disposizione della specie attraverso uno dei suoi componenti, diventato ricettivo attraverso il suo cervello individuale, quello strumento che l'evoluzione e le rivoluzioni mandano avanti dall'ultimo posto. Ciò vale per Aristotele, per Galileo, per Newton, per Napoleone e per tutti coloro che compaiono sulle enciclopedie come grandi uomini, benefattori dell'umanità o geni del male, con tutta la loro grande sapienza, intelligenza o forza di comando.

A volte va di moda lo sport di atteggiarsi ad "alternativi" e cimentarsi con la dissacrazione dei miti. Ma tale sport non è che l'altra faccia della medaglia del mito stesso. Non si sostituisce la concezione battilocchiesca (12) della storia con quella altrettanto battilocchiesca della sminuizione personalizzata del personaggio. Chiunque può trarre, dalla storia personale del grande Galileo, episodi per nulla edificanti con i quali demolire l'uomo e "dimostrare" che ha vissuto in modo inconseguente al suo genio. Brecht, per esempio, non si sottrae al vezzo di presentarci un Galileo "minimalista". E chi non si è cimentato con le stranezze di Newton, padre della scienza moderna, ma compilatore di opere di alchimia e di teologia in quantità superiore a quelle scientifiche?

E frutti del cervello bacato

La nostra (della Sinistra) teoria del battilocchio vale in positivo e in negativo. Qui entriamo in un campo che è peculiare della Sinistra. "Peculiare?" Ma non abbiamo sempre detto che la Sinistra rappresenta la continuità con il marxismo? Che può esserci di peculiare, che poi significa di proprietà, cioè distinto, diverso, in chi vuole rappresentare continuità, identità? A parte il fatto che abbiamo appena parlato di continuità in una certa accezione storico-scientifica, vediamo come si può essere peculiari e nello stesso tempo continuatori: non vogliamo essere così anche noi? Non vogliamo che si formino nuove generazioni di militanti all'altezza dei risultati raggiunti dalla Sinistra? Conosciamo un personaggio tipico del paesaggio universitario, conferenziere e saggista a tempo perso, che si autodefinisce "filosofo marxista" e cerca di sputtanare la Sinistra tutte le volte che parla. Lo fa, vedete un po' com'è originale, inchinandosi a certi aspetti della sua teoria e criticandola per la sua pratica. Vecchia storia. Una delle cose che sembra non andargli proprio giù anche dal punto di vista dottrinale è la teoria del battilocchio. In realtà non è una "teoria", ma che volete farci, lui la chiama così. Dice che in Marx non esiste nulla di simile, quindi nel corpo dottrinale della Sinistra vi sarebbero elementi non marxisti, quegli stessi elementi che avrebbero determinato la sconfitta politica della corrente e del partito. Nel caso specifico la "teoria" del battilocchio sarebbe la prova che in Bordiga non è risolta la questione della volontà, cioè il rapporto teoria-prassi.

Che in Marx non esista nulla di simile è semplicemente una penosa bugia. Che in Marx non sia sviluppato il tema come lo è nella Sinistra può darsi, ma anche se così fosse non avrebbe nessuna importanza. Quel che importa è che in Marx l'individuo è abbattuto dal suo piedistallo mistico non meno che nelle opere di Bordiga. Ecco un esempio qualsiasi:

Come avviene che, a dispetto delle persone, gli interessi personali si evolvono sempre fino a diventare interessi di classe, interessi collettivi, i quali si rendono indipendenti di fronte alle persone singole, e nel rendersi indipendenti assumono la forma di interessi generali, come tali entrano in opposizione con gli individui reali? [...] Come avviene che nell'ambito di questa trasformazione degli interessi personali in interessi indipendenti di classe la condotta personale dell'individuo [...] si trasforma in rapporti sociali, in una serie di potenze che lo determinano, lo subordinano e quindi appaiono nella rappresentazione come potenze 'sante'? Se Sancio avesse capito una buona volta il fatto che nell'ambito di certi modi di produzione, i quali naturalmente non dipendono dalla volontà, si pongono al di sopra dell'uomo delle potenze pratiche sempre estranee, indipendenti non solo dall'individuo isolato ma dalla stessa totalità degli uomini, allora [...] sarebbe disceso dal regno della speculazione in quello della realtà, da ciò che gli uomini si immaginano a ciò che sono, da ciò che si rappresentano al modo come agiscono e devono agire in circostanze determinate. Ciò che gli appare come prodotto del pensiero, lo avrebbe compreso come prodotto della vita. (13)

Il legame stretto tra questa impostazione materialistica di come si inserisce l'individuo nella società e la cosiddetta teoria del battilocchio può non essere avvertito dal "filosofo marxista", ma c'è e lo rivendichiamo. Non c'è nessun altro che abbia dato questa impostazione al problema e l'abbia sviluppato a fondo. Possiamo trovare altri passi, naturalmente, in Marx ed Engels, possiamo trovare dei riferimenti in Lenin per esempio nel suo Materialismo ed empiriocriticismo, ma solo la Sinistra ha avuto la possibilità di portare alle estreme conseguenze questo tema. Perché? Ma perché solo nel nostro secolo l'individualismo si è spinto fino ai limiti dell'aberrazione, vera patologia sociale.

Se il culto dell'individuo è fenomeno antico, solo recentemente esso è degenerato. Max Stirner si attirò i fulmini di Marx ed Engels dicendo che "La specie è niente e se il singolo si innalza al di sopra delle barriere della sua individualità, lo fa proprio come singolo; egli esiste solo innalzandosi, esiste solo non restando ciò che è, altrimenti sarebbe finito, morto" (14). La specie è niente e l'individuo è tutto: sembra di prendere in esame non l'ideologia tedesca ma l'ideologia moderna universale, quella della pubblicità televisiva che fa leva sull'egoismo e sul culto della persona. Ma la persona moderna che cos'è se non l'obiettivo della fregatura universale del consumo di merci? La specie potrebbe fare a meno del novantanove per cento dei consumi indotti dal vulcano produttivo capitalistico. Nella sua produzione e riproduzione la specie è stata parca per milioni di anni e rifuggirà nuovamente dall'inutile, dal bisogno artificioso, quando avrà sottomesso le forze produttive utilizzando l'altissima tecnologia per sé e non per il Capitale. E a proposito di riproduzione Marx risponde a Stirner:

Dato che in Stirner gli uomini non sono più determinati dal mondo esterno, né spinti a produrre dall'urto meccanico del bisogno, e in generale l'urto meccanico, compreso quindi anche l'atto sessuale, ha perduto la sua efficacia, possono aver continuato ad esistere solo per miracolo. (15)

Il culto parossistico dell'Io raggiunge l'apice a cavallo tra i due secoli, quando la grande borghesia, affaccendata nell'accumulazione strepitosa, lascia alle mezze classi il compito di esprimere le forme filosofiche, politiche, sociologiche e letterarie specifiche di questa vera e propria infezione. E l'individualismo poco a poco da eroico si fa negativo. Il poetico superuomo di un D'Annunzio precede la paura di una civiltà dell'uomo-massa negatrice della libertà individuale profetizzata da Ortega y Gasset (16); la ricerca della solitaria chiusura in un "nido" lontano dagli sconquassi del mondo moderno idealizzata da Pascoli diventa in Proust un'estenuante lotta fra un Io onnisciente che scrive e il suo omologo angosciato e frammentato che compare nello scritto. Anche le propaggini tarde di un esistenzialismo alla Sartre non sono che differenti riproposizioni dello stesso mito: la possibilità di realizzazione piena dell'individuo singolo e unico al di sopra o al di fuori della storia. Mentre il capitalismo porta a compimento la socializzazione del lavoro e la distribuzione su scala mondiale di prodotti industriali locali mettendo a nudo la vacuità delle pretese dell'individuo e dei suoi diritti nelle trincee tritacarne della Prima Guerra Mondiale, viene cantata la potenza poetica dell'Unico stirneriano (17); mentre nascono organizzazioni statali sempre più accentrate, autoritarie e potenti, mentre l'individuo diventa mero strumento atomizzato al servizio di un'economia troppo grande per gli stessi stati nazionali, il battilocchio liberale e anarcoide scava nel profondo dei sentimenti della sacra persona non avvedendosi che la contraddizione gli fa scoppiare il corpo e il cervello, come succede a Proust, che si autoreclude in stanze rivestite con pannelli di sughero per isolarsi dal mondo esterno.

E' naturale che proprio la Sinistra si sia dovuta occupare particolarmente di questa intossicazione della materia grigia. Neanche un Lenin, interprete rivoluzionario di un arco storico a cavallo di due secoli comprendente tre modi di produzione (18), pur combattendo contro forze che mandavano in ebollizione come niente i migliori cervelli, conobbe e combatté degenerazioni neuroniche individualiste come le attuali. Egli non fu ancora costretto a raccogliere materiale apposito per combattere il morbo. Solo in Occidente, e più tardi, questa operazione sarà necessaria. Se è così, occorre sottolinearne le determinanti.

Lenin e i militi della rivoluzione borghese

E comunque anche Lenin non scherza. Se pur non scrive articoli o libri appositamente contro la malattia del battilocchio (ricordiamo che tale malattia può manifestarsi direttamente o essere attribuita agli eroi e ai mostri) egli la tratta nel contesto della sua opera. L'individualismo è un atteggiamento sociale del cervello singolo, ma è risultato di fatti materiali, di rapporti fra persone, di necessarie codificazioni dei comportamenti in una sovrastruttura ideologica. E quindi neppure Lenin inventa: cambia la forma dell'esposizione (ma il dato fondamentale è presente, come in Marx, come in Amadeo), organizza il materiale di altri, parte criticandolo e parte adducendolo a sostegno del materialismo. Accomunando i "moderni positivisti" al vescovo Berkeley critica per noi anche i postmoderni esistenzialisti che non conosceva ancora. Critica ferocemente tutti quanti chiamando a testimone il materialista rivoluzionario Diderot:

Si chiamano idealisti i filosofi che, avendo coscienza soltanto della loro esistenza e dell'esistenza delle sensazioni che si succedono in loro, non ammettono nient'altro. Stravagante sistema che, a mio avviso, può esser nato soltanto in un cieco; sistema che, a vergogna dell'intelletto umano e della filosofia, è il più difficile da confutare, quantunque sia il più assurdo. (19)

Siamo nel 1769. Diderot lancia una bomba atomica contro il dualismo tra materia e spirito, argomento che non ha convinto la stragrande maggioranza della popolazione dell'attuale pianeta, compresi quasi tutti i sedicenti comunisti. La questione è la più difficile da spiegare perché l'individuo se la porta dentro e non vuole e non può rinunciarvi. A meno di non cadere in una tensione estrema fra autodifesa in quanto individuo in lotta per la sua propria esistenza e autodifesa in quanto molecola della specie che si sottomette all'interesse di essa. Sono le rivoluzioni che uccidono l'individuo e lanciano alla ribalta la difesa della specie. Diderot sceglie D'Alembert, un altro enciclopedista, come interlocutore che pone problemi. Gli chiede se non pensa che un clavicembalo, dotato di sensibilità e memoria, possa riprendere da solo le arie che vengono eseguite sui suoi tasti. D'Alembert ironizza chiedendo se per caso tale clavicembalo non possa avere anche la facoltà di nutrire sé stesso e di riprodursi in tanti clavicembalini. Diderot, in un affondo memorabile, tira in ballo l'uovo:

E' con esso che si abbattono tutte le scuole di teologia e tutti i templi della terra. Che cos'è quest'uovo? Una massa insensibile prima che il germe vi sia introdotto. E dopo che il germe vi è stato introdotto, che cos'è? Una massa insensibile, perché questo germe non è, a sua volta, che un fluido inerte e rudimentale. In che modo questa massa passerà a un'altra organizzazione, alla sensibilità, alla vita? Per mezzo del calore. Chi produrrà il calore? Il movimento. (20)

Diderot non poteva sapere che il "fluido" fertilizzante e l'uovo sono cellule viventi, ma il ragionamento è valido lo stesso semplicemente spostando a monte l'osservazione degli elementi che compongono le cellule. O si suppone, egli dice, che in qualche momento del processo vitale si inserisce un elemento nascosto, del quale non si sa se è materiale, se occupa spazio, se è creato apposta (ma allora bisogna dimostrarlo con elementi comprensibili, dire di dove viene a sua volta) oppure non c'è santo che tenga,

bisogna fare una semplice ipotesi che spiega tutto, cioè che la sensibilità è una proprietà generale della materia o un prodotto della sua organizzazione. (21)

E, subito dopo, Lenin riporta il passo fondamentale in cui Diderot dimostra che erano pronte le condizioni storiche per l'esistenza del materialismo storico e dialettico. Il clavicembalo che suona da solo non ripete sempre la stessa musica? Come può variarla? Come si stabilisce una corrispondenza fra due clavicembali che suonano, se essi ripetono quel che noi gli abbiamo strimpellato sulla tastiera?

Lo strumento sensibile, o l'animale, ha sperimentato che emettendo questo o quel suono, si produceva un dato effetto fuori di lui, che altri strumenti sensibili simili a lui, o altri animali, si avvicinavano, si allontanavano, chiedevano, offrivano, ferivano, accarezzavano, e tutti questi effetti, nella sua memoria e in quella degli altri, si sono legati alla formazione di questi suoni; e notate che nei rapporti fra gli uomini non vi sono che dei rumori e delle azioni. E per dare al mio sistema tutta la sua forza, notate anche che esso è soggetto alla stessa difficoltà insormontabile prospettata da Berkeley per negare l'esistenza dei corpi. In un momento di delirio il clavicembalo sensibile ha creduto di essere l'unico clavicembalo esistente al mondo e che tutta l'armonia dell'Universo si producesse in lui. (22)

Come si può notare c'è tutto. L'organizzazione della materia produce altra organizzazione a mezzo delle relazioni che si stabiliscono. L'effetto è ottenuto sul piano del linguaggio con l'unione in coppie degli opposti (avvicinare-allontanare, ferire-accarezzare). Il sistema porta, di per sé, alla nascita del "delirio" per cui la naturalezza e l'automatismo delle relazioni vengono rimosse a favore di un pensiero individuale che porta il singolo clavicembalo a credere di essere il fattore dell'armonia dell'universo invece di esserne il prodotto.

Diderot era certamente un militante della rivoluzione che si stava avvicinando. Era coerente e consapevole? Agiva specificamente per rovesciare il potere feudale? E D'Alembert, che si ritirava dal lavoro per l'Enciclopedia perché poco remunerativo? E tutti gli altri? La nuova rivoluzione aveva bisogno del suo manifesto, ma nessuno si era neppure sognato di scriverlo. Esso si scrisse da sé, attirando nella sua orbita i militanti adatti. Tra i redattori, oltre ai due citati, c'erano personaggi per nulla omogenei, c'erano Quesnay, Turgot, d'Holbach, Montesquieu, Voltaire, Rousseau, ma il risultato finale dei loro scritti non fu una rassegna dei singoli pensieri bensì un corpo possente sulla tecnica e il lavoro dell'epoca, cui l'ideologia si piegava. L'Encyclopedie era nata come semplice traduzione dall'inglese di un'enciclopedia esistente di due volumi. Nel volgere di pochi anni, fra impedimenti vari (Diderot fu imprigionato e la pubblicazione sospesa per empietà, ripresa e infine proibita mentre veniva messa all'indice dal papa Clemente XIII), essa vide la luce in una clandestinità tollerata solo perché era diventata un'impresa commerciale, il cui fallimento avrebbe danneggiato molti borghesi, e diventò effettivamente, come qualcuno l'aveva definita, "una macchina da guerra contro il vecchio regime".

I militanti che oggi lavorano per la rivoluzione non possono ancora produrre la loro Enciclopedia, ma solo dei semilavorati che altri militanti porteranno a compimento o utilizzeranno per ulteriori elaborazioni. I tempi per le grandi sistemazioni sono quelli dei balzi storici, della maturità anche sociale delle condizioni rivoluzionarie, non i tempi plumbei in cui viviamo. Quindi nessuno si monti la testa sul fatto che oggi sia possibile la scoperta di qualche genio che conduca il movimento verso lidi più luminosi. Oggi è soltanto permesso produrre anonimamente materiale più o meno grezzo che serva per "tirare innanzi" e preparare le necessariamente piccole forze per tempi migliori (23).

Le enciclopedie verranno, ma produrre i semilavorati che servono per temprare noi stessi e forgiare nuovi militanti non significa produrre approssimazioni dilettantesche. Il militante si forma nella misura in cui impara anche a non essere approssimativo, a non parlare per sentito dire o addirittura, come fanno troppi, solo per far prendere aria ai denti. Amadeo, in apertura di una riunione, annunciò che "si vanno organizzando movimenti simili al nostro in alcuni paesi d'Europa" e che il problema della lingua, sommato a quello del linguaggio in senso lato, poteva diventare grave. I compagni non si capiscono se sono nello stesso partito, figuriamoci se sono distanti geograficamente, politicamente e linguisticamente. In un mondo non più abituato al rigore ma alle improvvisazioni da sketch televisivo, occorreva riportare la discussione su un corpo di tesi definitive che rappresentasse una "base inderogabile di adesione al partito e di agitazione esterna"; ma tale corpo di tesi doveva uscire simultaneamente almeno in quattro lingue con il supporto di un "dizionario del linguaggio marxista", perché "la parte linguistica è fondamentale per raggiungere una unanime chiarezza" (24).

La nostra enciclopedia è per ora nel Manifesto e nel Capitale, ma siamo sicuri che ne verrà scritta una grandiosa quando la rivoluzione imporrà, con il suo premere sulla storia, l'unificazione di tutte le scienze prevista da Marx. Chi la scriverà? Proletari proiettati sulla scena o transfughi delle classi ora dominanti? Non importa. Del resto anche i rivoluzionari che scrissero il manifesto della rivoluzione borghese non erano tutti borghesi. E ben pochi borghesi militarono nella rivoluzione stessa. Erano per questo meno rivoluzionari? Questo è un altro concetto che la Sinistra ha dovuto ribadire con forza (25). Nessuno acquista il biglietto per assistere allo spettacolo della rivoluzione. La partecipazione al lavoro di partito non garantisce il posto in prima fila. La rivoluzione è come la scienza: gli individui sono in relazione tra loro attraverso il partito storico e attraverso ciò che si tramandano, non attraverso il loro individuale agire. La rivoluzione, quindi, come abbiamo osservato parlando di Galileo, è un processo collettivo, e la sua volontà si manifesta non attraverso capi che hanno capito ma attraverso l'organismo collettivo che sarà il partito, depositario dell'intero processo.

Tutte le rivoluzioni registrano il sistema di relazioni che forma una fitta rete attraverso e al di là degli individui. I cristiani diventano un corpo unico attraverso la fede, attraverso il legame con un dio unico che non è più oggetto di opinione ma dato programmatico invariante, cioè che non dà più luogo nel tempo a figliazioni e parentele come nei pantheon precedenti. I cristiani diventano partito organico attraverso la loro chiesa che li unisce anche fisicamente in una rete di relazioni sostenute da una liturgia precisa e immutabile. I barbari che formeranno la base del feudalesimo in Europa stabiliscono una rete di relazioni parentali fra gruppi umani dando vita alle dinastie, mentre sopravvive il ricordo di una rete di relazioni più propriamente biologica quando il feudatario semina figli attraverso l'atavica regola del diritto alla prima notte. Sembra che i borghesi non stabiliscano altro che una rete di interessi venali, ma Marx mostra che danno vita inconsapevolmente alla più grande rivoluzione della storia passata: la socializzazione del lavoro e del suo prodotto. Le merci non sono tali solo perché contengono una data quantità di tempo di lavoro e materie prime. Il valore, e specificamente il valore di scambio, non è una proprietà assoluta delle cose prodotte, ma il loro modo di presentarsi come rete di rapporti in un certo ordine sociale. Gli oggetti diventano merci non per virtù di un nome che ricevono o per il fatto che si scambiano, bensì per virtù di un dato sistema di rapporti fra gli uomini che le producono e le consumano.

Grazie, Vladimiro: e ora leggiamo anche il resto

Occorre insistere, perché molti che oggi si definiscono militanti rivoluzionari sono più indietro dei filosofi dell'antichità classica e dei rivoluzionari borghesi del '700.

Posiamo Materialismo ed empiriocriticismo da cui abbiamo tratto i passi citati e prendiamo l'originale di Diderot. Vediamo che la borghesia non compie solo una rivoluzione politica sull'onda delle forze produttive erompenti, ma anche una rivoluzione nel campo della conoscenza. Diderot scrive Il sogno di d'Alembert più per sé stesso e per qualche amico che per la diffusione. Quando gli giunse tra le mani e lo lesse, D'Alembert s'infuriò e ingiunse all'ex collaboratore e amico di bruciarlo, cosa che lui fece. Si salvò una copia giunta a Caterina di Russia che aveva comprato la biblioteca del gran materialista. Evidentemente D'Alembert non riuscì a reggere l'enormità del contenuto. Oltre al passo citato da Lenin Diderot scrive che l'uomo non è che organizzazione di materia e che il pensiero non è che una vibrazione della materia di cui l'uomo si compone. Il ragno secerne il filo della sua tela ed essa è materia del ragno e viceversa, serve per nutrirlo, vibra quando un insetto vi si impiglia, forma un tutto con esso, col ragno che accorre e con la natura circostante. Così uno sciame d'api. Così l'uomo. Egli si forma con organi che sono "sviluppi di una rete che si forma, cresce, si estende, getta una moltitudine di fili impercettibili" la cui sensibilità si estende fino ai confini dell'universo.

Possiamo fare a meno di assimilare la sensibilità del militante rivoluzionario a quella della sua rete di fili invisibili che tasta l'universo? Possiamo essere più indietro di questi nostri precursori rivoluzionari? Dobbiamo essere più avanti, perdere l'ingenuità dell'infanzia del materialismo e introdurre la scienza della sua maturità. Essa viene raggiunta non appena la critica alla filosofia permette di coniugare il materialismo con la storia in divenire e la dialettica, ma la pietra angolare della funzione dell'individuo nella storia e nelle rivoluzioni è posata al tempo di Diderot una volta per sempre.

La relazione tra gli individui, come nell'esempio del ragno unito a quello dello sciame d'api, fa sì che non vi sia soluzione di continuità tra gli atomi o le cellule che compongono l'uomo il quale è a sua volta una cellula di un insieme più grande. L'individuo è sempre lo stesso eppure le sue cellule cambiano, come un convento in cui entrano ed escono frati, ma ognuno di essi ne trova cento a riceverlo e quindi il convento rimane lo stesso nel tempo. L'individuo è effimero, mentre la specie è eterna attraverso il ricambio dei singoli, fino a subìre anch'essa qualche cambiamento "in milioni di secoli". Ma se intendiamo il tempo in questi termini anche l'intero mondo non è che cambiamento continuo, e la stessa Terra non è che un atomo nell'universo e gli atomi che si agitano su un atomo più grande fanno ridere col loro Io meschino:

O vanità dei nostri pensieri! o povertà della gloria delle nostre opere! o miseria! o meschinità delle nostre vedute!... Chissà in quale istante ci troviamo della successione di queste generazioni animali? Chissà se questo bipede deformato, che misura solo quattro piedi d'altezza, che anche nei pressi del polo chiamano uomo, e che non tarderebbe a perdere questo nome se solo si deformasse un po' di più, non è l'immagine di una specie che va scomparendo?... Il prodigio è la vita, è la sensibilità; e questo prodigio non è più un prodigio... Da quando ho visto la materia inerte passare allo stato sensibile, nulla deve più stupirmi... Avete di fronte due grandi fenomeni: il passaggio dallo stato di inerzia allo stato di sensibilità e le generazioni spontanee; vi debbono bastare; traetene giuste conseguenze... guardatevi dal sofisma dell'effimero. (26)

Che cos'è il sofisma dell'effimero? Chiede uno dei dialoganti sentendo il delirio. L'altro dialogante, il saggio dottor Bordeu, risponde categorico: "E' quello di un essere passeggero che crede nell'immutabilità delle cose". Se non vi corre un brivido lungo i percorsi nervosi dell'organismo avete qualcosa che non funziona. Non solo l'essere passeggero crede nell'immutabilità delle cose ancora oggi, ma la classe che ha compiuto la grande rivoluzione, effimera quanto gl'individui che la compongono, crede fermamente nell'immutabilità, nell'eternità della sua propria formazione economica e sociale. La rivoluzione proletaria ha incominciato a darsi strumenti prima che si scoprisse l'esistenza del proletariato come classe. E diamo il colpo finale all'individuo con le parole del grande anticipatore della teoria marxista del battilocchio:

Non c'è nessuna qualità di cui ogni essere non sia partecipe... ed è la proporzione più o meno grande di questa qualità che ce la fa attribuire ad un essere ed escludere da un altro... E voi parlate di individui, poveri filosofi! Lasciate stare i vostri individui; rispondetemi. Esiste in natura un atomo rigorosamente uguale a un altro?... No... Non ammettete che in natura tutto è concatenato e che è impossibile che vi sia un vuoto nella catena? Cosa volete dire, allora con i vostri individui? Non ne esistono affatto, no, non ne esistono affatto... E voi parlate di essenze, poveri filosofi! Lasciate stare le vostre essenze... Che cos'è un essere?... la somma di un certo numero di tendenze... Posso forse essere altro che una tendenza?... No, vado verso un termine... E le specie?... Le specie sono solo tendenze che vanno verso un termine comune che è proprio ad esse... E la vita?... La vita, un seguito di azioni e reazioni... Da vivo agisco e reagisco in massa... da morto, agisco e reagisco in molecole... Quindi non muoio affatto?... No, senza dubbio, non muoio affatto, in quel senso, né io né qualsiasi altra cosa... Nascere, vivere, trapassare, significa cambiare forma... (27)

Se non fossimo obbligati a tener conto delle date e delle condizioni sociali, ci sarebbe da pensare che non solo le rivoluzioni si creano i loro militanti sul momento ma che esse riescono anche a trovarli tanto anticipatamente da far valere il loro pensiero per due trapassi storici. Diderot è più vicino al materialismo nostro che al positivismo della borghesia.

Note

(1) Dialogato con Stalin, Giornata prima, paragrafo "Domani e ieri".

(2) "Considerazioni sull'organica attività di partito quando la situazione generale è storicamente sfavorevole", punto 11, pubblicato su Il Programma Comunista n. 2 del 1965.

(3) Ibid., punto 14.

(4) "Raddrizzare le gambe ai cani", pubblicato su Battaglia Comunista n. 11 del 1952.

(5) Riportato da A. Lalande, Dizionario di filosofia, voce "Intuizione".

(6) Cap. XVII, Utopia, scienza, azione.

(7) A. Bordiga, Fattori di razza e nazione, cap. "Individuo e specie", Ed. Quad. Int.

(8) L. Geymonat, Galileo Galilei, Einaudi, pag. 277.

(9) Ibid. pag. 278.

(10) Ibid.

(11) Cfr. P. Redondi, Galileo eretico, Einaudi, pagg. 428-29.

(12) I nostri lettori dovrebbero già sapere che cos'è il Battilocchio; rimandiamo eventuali nuovi lettori al testo di Bordiga Il battilocchio nella storia, dove c'è la definizione: a Napoli "E' un tipo che richiama l'attenzione e nello stesso tempo rivela la sua assoluta vuotaggine" ecc.

(13) K. Marx, F. Engels, L'ideologia tedesca, Editori Riuniti, Opere complete, vol. V pag. 242.

(14) Ibid., pag. 250.

(15) Ibid., pag. 182.

(16) Scrittore-filosofo. Scrisse La ribellione delle masse (1930), un tentativo di ibridare socialismo e liberalismo per ridare all'individuo priorità rispetto alla crescente massificazione.

(17) Sarebbe stato piuttosto arduo raccontare le delizie dell'Io al milione e duecentomila uomini uccisi in massa nella sola battaglia della Somme.

(18) Volendo anche quattro: in Russia erano presenti resti delle comunità primitive, resti di dispotismo asiatico, forme feudali e moderno capitalismo.

(19) Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo, in Opere complete, Editori Riuniti, vol. 14 pag. 32.

(20) Ibid. pag. 33.

(21) Ibid.

(22) Ibid. pag 34.

(23) Cfr. su Il Programma comunista n. 8 del 1960 la premessa a Rivoluzioni storiche della specie che vive, opera e conosce.

(24) Il Programma comunista n. 23 del 1960, "Insegnamenti del passato ecc." Introduzione ai temi, Marxismo e conoscenza umana. Nel testo il lavoro sul dizionario si dà come "a buon punto", ma esso non vide mai la luce. Le tesi invece furono elaborate e oggi sono raccolte insieme con quelle dell'anteguerra nel volume In difesa della continuità del programma comunista, disponibile presso i Quad. Int.

(25) Cfr. "Fiorite primavere del Capitale", in Il Programma comunista n. 4 del 1953. Ora in Dialogato con Stalin, ed. Quad. Int.

(26) D. Diderot, Il sogno di d'Alembert, Sellerio, pag. 42-43. I puntini di sospensione forniscono la sintassi del delirio e sono quasi tutti nel testo originale.

(27) Ibid. pag. 48-49.

Lettere ai compagni