Discorso di Bordiga sul parlamentarismo al II Congresso dell'Internazionale Comunista
La frazione di sinistra del Partito Socialista Italiano è antiparlamentare per ragioni che non riguardano solo l'Italia, ma hanno un carattere generale.
Si tratta qui di una discussione di principio? Certamente no. In principio siamo tutti antiparlamentari, perché ripudiamo il parlamentarismo come mezzo di emancipazione del proletariato e come forma politica dello Stato proletario.
Gli anarchici sono antiparlamentari per principio, perché sono contro ogni delegazione di potere da un individuo a un altro. Antiparlamentari per principio sono anche i sindacalisti, avversari dell'azione politica del partito, che hanno una concezione del processo dell'emancipazione proletaria completamente diversa dalla nostra. Quanto a noi, il nostro antiparlamentarismo si riallaccia alla critica marxista della democrazia borghese. Non ripeterò qui gli argomenti del comunismo critico che smascherano la menzogna borghese dell'eguaglianza politica, posta al di sopra dell'ineguaglianza economica e della lotta di classe.
A base della nostra concezione sta l'idea di un processo storico nel quale la lotta di classe termina, dopo una violenta battaglia per la dittatura proletaria, con la liberazione del proletariato. Questa concezione teorica, esposta nel Manifesto dei Comunisti, ha trovato la sua prima realizzazione storica nella Rivoluzione Russa.
Un lungo periodo di tempo è trascorso fra questi due avvenimenti, e durante questo periodo lo sviluppo del mondo capitalistico è stato estremamente complesso. Il movimento marxista è degenerato in movimento socialdemocratico, creando un terreno di azione comune ai piccoli interessi corporativi di singoli gruppi operai e alla democrazia borghese. Questa degenerazione si è manifestata nello stesso tempo nei sindacati e nei partiti socialisti. Si dimenticò quasi completamente il dovere del partito di classe di parlare in nome dell'intera classe operaia e richiamarla ai suoi compiti storici rivoluzionari: si creò una ideologia del tutto diversa, senza nulla in comune col marxismo, che respingeva l'uso della violenza e abbandonava la dittatura del proletariato per sostituirle l'illusione di una trasformazione pacifica e democratica della società. La Rivoluzione Russa ha luminosamente riconfermato la teoria marxista, dimostrando la necessità del ricorso al metodo della lotta violenta e della istituzione della dittatura del proletariato. Ma le condizioni storiche in cui la Rivoluzione Russa si è sviluppata non assomigliano a quelle in cui la rivoluzione proletaria si svilupperà nei paesi democratici dell'Europa Occidentale e dell'America. La situazione in Russia ricorda piuttosto quella della Germania nel 1848, perché vi si sono svolte due rivoluzioni una dopo l'altra: la democratica e la proletaria. L'esperienza tattica della Rivoluzione Russa non può quindi essere trasferita agli altri paesi in cui la democrazia borghese funziona già da molto tempo e dove la crisi rivoluzionaria si risolverà nel passaggio diretto da questo regime politico alla dittatura del proletariato.
L'importanza marxista della Rivoluzione Russa è che la sua fase finale (scioglimento dell'Assemblea Costituente e presa del potere ad opera dei Soviet) poté essere combattuta e difesa solo sulla base del marxismo, e diede vita a un nuovo movimento internazionale: quello dell'Internazionale Comunista, che ruppe definitivamente i ponti con la socialdemocrazia, vergognosamente fallita durante la guerra. Per l'Europa Occidentale, il problema rivoluzionario impone prima di tutto la necessità di uscire dai limiti della democrazia borghese, di mostrare che la pretesa della borghesia che ogni lotta politica debba svolgersi nel quadro del meccanismo parlamentare è una menzogna, e che la lotta deve essere portata su un nuovo terreno, quello dell'azione diretta rivoluzionaria per la conquista del potere. A questo fine occorre una nuova organizzazione tecnica del partito, cioè una organizzazione storicamente nuova. Questa organizzazione è realizzata dal Partito Comunista, che, come è detto nelle tesi del CE sui compiti del partito, è suscitato "dall'epoca della lotta diretta per la dittatura del proletariato" (tesi 4).
Il primo meccanismo borghese che dev'essere distrutto prima di passare all'edificazione economica del comunismo, prima ancora di sostituire al vecchio apparato di governo lo Stato proletario, è proprio il parlamento. La democrazia borghese agisce fra le masse come un mezzo di difesa indiretta, mentre l'apparato esecutivo dello Stato è pronto a far uso dei mezzi della violenza diretta non appena gli ultimi tentativi di attirare il proletariato sul terreno della legalità democratica siano falliti.
E' quindi di capitale importanza smascherare questo gioco della borghesia e mostrare alle masse tutta la doppiezza del parlamentarismo borghese.
La pratica dei partiti socialisti tradizionali aveva prodotto nelle file del proletariato, già prima della guerra mondiale, una reazione antiparlamentare: la reazione sindacalista-anarchica, che negava ogni valore all'azione politica per concentrare l'attività del proletariato sul terreno delle organizzazioni economiche, diffondendo la falsa idea che non possa esistere attività politica al di fuori dell'attività elettorale e parlamentare. A questa illusione non meno che all'illusione socialdemocratica è necessario reagire, perché essa è ben lontana dal vero metodo rivoluzionario e porta il proletariato su una falsa via nel corso della sua lotta di emancipazione.
La massima chiarezza è necessaria nella propaganda; bisogna dare alle masse delle parole d'ordine semplici ed efficaci. Partendo dai principii marxisti, noi proponiamo che, nei paesi in cui il regime democratico è da lungo tempo sviluppato, l'agitazione per la dittatura del proletariato si basi sul boicottaggio delle elezioni e degli organi democratici borghesi. La grande importanza che si dà in pratica all'attività elettorale comporta un doppio pericolo: da un lato, dà l'impressione che sia questa l'azione essenziale; dall'altro, assorbe tutte le energie e le risorse del partito, portando all'abbandono quasi completo del lavoro negli altri settori del movimento.
I socialdemocratici non sono i soli a dare una grande importanza alle elezioni: le stesse tesi proposte dall'Esecutivo dicono che è utile servirsi nelle campagne elettorali di tutte le azioni di massa e di tutti i mezzi di agitazione (tesi 15). Ora l'organizzazione del partito che esercita l'attività elettorale riveste un carattere tecnico del tutto particolare e nettamente contrastante con il carattere dell'organizzazione che conduce la lotta rivoluzionaria legale ed illegale. Il partito diviene un ingranaggio di comitati elettorali che si occupano esclusivamente della preparazione e della mobilitazione degli elettori. E, se si tratta di un vecchio partito socialdemocratico che passa al movimento comunista, si corre il rischio - di cui si hanno già numerosi esempi - di proseguire nell'attività parlamentare così come la si praticava in passato.
Per quanto concerne le tesi presentate e difese dai relatori, osserverò che esse sono precedute da un'introduzione storica, con la prima parte della quale sono quasi completamente d'accordo. Vi si dice che la I Internazionale si serviva del parlamentarismo a fini di agitazione, critica e propaganda. In seguito, nella II Internazionale, si manifestò l'azione corruttrice del parlamentarismo, che portò al riformismo e alla collaborazione di classe. L'introduzione ne conclude che la III Internazionale deve tornare alla tattica parlamentare della I per distruggere il parlamento dall'interno. Ma la III Internazionale, se accetta la stessa dottrina della I, deve, tenuto conto della grande diversità delle condizioni storiche, servirsi di tutt'altra tattica, e non partecipare alla democrazia borghese.
Anche la prima parte delle tesi che seguono non è affatto in contrasto con le idee da me sostenute. La divergenza comincia solo là dove si parla della utilizzazione delle campagne elettorali e della tribuna parlamentare per azioni di massa. Noi non respingiamo il parlamentarismo perché si tratta di un mezzo legale. Ma non si può proporne l'impiego allo stesso titolo della stampa, della libertà di riunione, ecc. Qui, si tratta di mezzi di azione; là, di un istituto borghese che deve essere sostituito dagli istituti proletari dei Consigli operai. Noi non pensiamo affatto di privarci, dopo la rivoluzione, della stampa, della propaganda ecc., ma contiamo invece d'infrangere l'apparato democratico e di sostituirlo con la dittatura del proletariato.
Noi non avanziamo neppure il solito argomento dei "capi". Non si può far a meno di capi. Sappiamo benissimo, e l'abbiamo sempre detto agli anarchici fin da prima della guerra, che non basta rinunciare al parlamentarismo per fare a meno dei capi. Avremo sempre bisogno di propagandisti, di giornalisti ecc. Alla rivoluzione è necessario un partito centralizzato che diriga l'azione proletaria, ed è evidente che a questo partito occorrono anche dei capi. Ma, come il ruolo del partito, così il ruolo dei capi non ha nulla in comune con la tradizionale prassi socialdemocratica. Il partito dirige l'azione proletaria nel senso che prende su di sé il lavoro più pericoloso e che esige i maggiori sacrifici. I capi del partito non sono soltanto i capi della rivoluzione vittoriosa; sono essi che, in caso di disfatta, cadranno per primi sotto i colpi del nemico. La loro posizione è affatto diversa da quella dei capi parlamentari che prendono i posti più vantaggiosi nella società borghese.
Ci si dice: anche dalla tribuna parlamentare si può fare della propaganda. A questo risponderò con un argomento un po'... infantile: ciò che si dice dalla tribuna parlamentare è ripetuto nella stampa; se si tratta della stampa borghese, tutto è presentato in una falsa luce; se si tratta della nostra, allora è inutile passare dalla tribuna parlamentare per poi stampare ciò che si è detto.
Gli esempi forniti dai relatori non intaccano minimamente le nostre tesi. Liebknecht ha agito nel Reichstag in un'epoca in cui riconoscevamo la possibilità dell'azione parlamentare, tanto più che allora non si trattava di sanzionare il parlamentarismo, ma di dedicarsi alla critica del potere borghese. Ma, se mettessimo su un piatto della bilancia Liebknecht, Hoeglund e gli altri esempi, poco numerosi, di attività rivoluzionaria in parlamento, e sull'altro tutta la serie di tradimenti dei socialdemocratici, il risultato sarebbe quanto mai sfavorevole al "parlamentarismo rivoluzionario".
L'attività parlamentare dei bolscevichi nella Duma, nel Preparlamento di Kerenski, nell'Assemblea Costituente si esercitò in condizioni completamente diverse da quelle in cui noi proponiamo l'abbandono della tattica parlamentare, e non tornerò sulla differenza fra lo sviluppo della Rivoluzione Russa e lo sviluppo che presenteranno le rivoluzioni negli altri paesi borghesi.
Tanto meno accetto l'idea della conquista con mezzi elettorali delle istituzioni comunali borghesi. E' un problema estremamente importante, che non si deve passare sotto silenzio.
Anch'io penso che ci si debba servire delle campagne elettorali per l'agitazione e la propaganda della rivoluzione comunista, ma questa agitazione sarà tanto più efficace, quanto più energicamente noi predicheremo alle masse il boicottaggio delle elezioni borghesi. D'altronde, non si capisce in che cosa potrà consistere il lavoro di distruzione che i comunisti sarebbero in grado di svolgere in parlamento. Il relatore ci presenta a questo proposito lo schema di un regolamento sull'azione dei comunisti nel parlamento borghese. Questo, se mi è permesso dirlo, è pura utopia. Non si riuscirà mai ad organizzare un'attività parlamentare che contraddica ai principii stessi del parlamentarismo ed esca dai limiti del regolamento parlamentare.
Ed ora, due parole sugli argomenti presentati dal compagno Lenin nel suo opuscolo sul "comunismo di sinistra". Io credo che non si possa giudicare la nostra tattica antiparlamentare alla stessa stregua di quella che preconizza l'uscita dai sindacati. Il sindacato è sempre, anche se corrotto, un centro operaio. Uscire dal sindacato socialdemocratico è condividere la concezione di quei sindacalisti che vorrebbero costituire un organo di lotta rivoluzionaria di tipo non politico ma economico. E' questo, dal punto di vista marxista, un errore che non ha nulla a che vedere con gli argomenti sui quali poggia il nostro antiparlamentarismo. Le tesi dichiarano del resto che per il movimento comunista la questione del parlamentarismo è secondaria, mentre non lo è altrettanto la questione dei sindacati.
Io credo che dalla opposizione all'attività parlamentare non sia lecito dedurre un giudizio definitivo su singoli compagni o partiti comunisti. Il compagno Lenin nel suo interessante lavoro espone la tattica comunista propugnando un'azione molto agile, corrispondente assai bene a un'analisi attenta e rigorosa del mondo borghese, e propone di applicare a questa analisi nei paesi capitalistici i dati dell'esperienza della Rivoluzione Russa. Egli sostiene anche la necessità di tener conto nel più alto grado delle differenze tra i diversi paesi. Non discuterò questo metodo. Osserverò soltanto che un movimento comunista nei paesi democratici occidentali esige una tattica molto più diretta di quella che fu necessaria alla Rivoluzione Russa.
Il compagno Lenin ci accusa di voler scartare il problema dell'azione comunista in parlamento perché la sua soluzione ci appare troppo difficile, e di preconizzare invece la tattica antiparlamentare perché implica uno sforzo minore. Noi siamo perfettamente d'accordo che i compiti della rivoluzione proletaria sono molto complessi e molto ardui. Ma siamo convinti che, dopo di aver risolto come ci si propone il problema dell'azione parlamentare, gli altri problemi, molto più importanti, ci resteranno sulle braccia, e la loro soluzione non sarà certo così semplice. Appunto per questo proponiamo di concentrare la maggior parte delle energie del movimento comunista su un terreno d'azione molto più importante di quello del parlamento. E ciò non perché le difficoltà ci spaventino. Osserviamo soltanto che i parlamentari opportunisti, che adottano una tattica di più comoda applicazione, non sono perciò meno assorbiti dalla attività parlamentare, e ne concludiamo che, per risolvere il problema del parlamentarismo comunista secondo le tesi del relatore, occorreranno sforzi decuplicati, e al movimento resteranno minori risorse ed energie per l'azione veramente rivoluzionaria.
Nell'evoluzione del mondo borghese, le tappe che si devono necessariamente percorrere, anche dopo la rivoluzione, nel passaggio economico dal capitalismo al comunismo, non si traspongono sul terreno politico. Il passaggio del potere dagli sfruttatori agli sfruttati porta con sé un cambiamento istantaneo dell'apparato rappresentativo. Il parlamentarismo borghese deve essere sostituito dal sistema dei Consigli operai.
La vecchia maschera democratica che tende a celare la lotta di classe deve essere strappata perché si possa passare all'azione rivoluzionaria diretta.
E' questo, in sintesi, il nostro punto di vista sul parlamentarismo, punto di vista che collima in tutto e per tutto col metodo rivoluzionario marxista. Posso concludere con una considerazione che ci è comune col compagno Bucharin: questa questione non può e non deve dar luogo ad una scissione nel movimento marxista. Se l'IC decide di assumersi la creazione di un parlamentarismo comunista, noi ci sottoporremo alla sua decisione. Non crediamo che ci si riesca, ma dichiariamo che non faremo nulla per far fallire quest'opera.
E io mi auguro che il prossimo congresso dell'IC non abbia a discutere sui risultati dell'azione parlamentare, ma piuttosto a registrare le vittorie della rivoluzione comunista in un gran numero di paesi. Se ciò non sarà possibile, auguro al compagno Bucharin di poterci presentare un bilancio meno triste del parlamentarismo comunista di quello col quale ha dovuto oggi cominciare il suo rapporto.
2 agosto 1920
Da "Rassegna Comunista" n. 8 del 1921