Per la concezione teorica del socialismo
I.
Il problema della ricerca delle basi teoriche del socialismo appassiona attualmente non solo gli studiosi dei fenomeni sociali, ma anche molti militanti del nostro e di altri partiti, talché il trattarne non è opera di vana accademia, ma risponde ormai ad una necessità della nostra azione e della nostra propaganda. Tanto più se, invece di seguire i nostri contraddittori borghesi nel campo nebuloso dell'astrazione, noi cerchiamo di semplificare e rassodare le verità elementari che costituiscono il nucleo del pensiero socialista e di riaffermare in noi stessi e nei compagni quel tanto di coscienza e di "orientamento" teorico che è necessario per dare una direttiva non disordinata alla nostra azione e saperla difendere dagli attacchi avversari. Il pensiero dei socialisti è troppo insidiato da mille forme di opinioni e di sofismi borghesi, perché non sia indispensabile discuterne fra noi per migliorarlo, chiarirlo, e purificarlo sempre più, pur non avendo la pretesa di arrivare a chiuderlo nella forma scolastica di poche verità universali, che siano un sufficiente catechismo al militante socialista; e d'altra parte, senza sopraffare con l'ingombro di una preparazione pedantescamente teorica le necessità immediate dell'azione che si manifestano nella giovane milizia del socialismo.
Quello che ci occorre è non tanto un'analisi profondamente dettagliata della storia della società umana, dei difetti della sua presente organizzazione e del modo con cui avverrà la sua trasformazione, ma almeno un sistema di vedute generali che permetta ai nostri propagandisti di rispondere agli eventuali contraddittori, e di non cadere nei tranelli che questi possono tendere loro. Ricordiamoci sempre che non dobbiamo essere filosofi, ma uomini d'azione, e che i nostri ragionamenti non devono abbandonare il terreno della politica per seguire i ciarlatani della borghesia nei loro acrobatismi filosofici, destinati in genere a vendere frottole sotto l'apparenza di verità incomprensibili.
Non si deve credere che il dilagare recente delle polemiche di tendenza sia una conseguenza della mania di discutere che hanno alcuni socialisti intellettuali. La divergenza è più profonda, ed esiste, sia pure in termini meno precisi o meno adatti, in tutta l'attività proletaria e nella vita reale delle organizzazioni. Il proletariato è ancora alla ricerca del suo programma e non lo troverà definitivamente che dopo una lunga serie di lotte e inevitabili errori commessi nell'azione. Quelli che hanno paura delle tendenze e si qualificano socialisti senza "aggettivo" sono gente che non capisce nulla, o che vuole evitarsi seccature. L'aggettivo, perdio, è necessario non fosse altro che per distinguerci da certi "socialisti" che van pullulando, e che pretendono di mettere il socialismo d'accordo, a mo' d'esempio, con la religione e con la monarchia. E la discussione del metodo di azione non può farsi se non si ha una guida teorica del proprio pensiero, ricavata, come ben s'intende, dall'esame spassionato ed obiettivo dei fatti. Ma esiste — a nostro modo di vedere — una maniera errata di soddisfare a questo bisogno di "orientamento teorico". Ed è quella di coloro che vogliono prendere la questione da un punto di vista troppo "filosofico", cercando un posto al socialismo nel campo del pensiero filosofico borghese e nelle sue diverse scuole, accettando certe discussioni astratte che giovano solo a fare perdere il tempo e vagano fuori della semplice mentalità operaia.
Perché molti ritengono che la "filosofia" non sia socialista o borghese, né di alcun partito, ma sia qualcosa che sta al di fuori e al di sopra della vita sociale e politica, un campo in cui tutti possano incontrarsi e ragionare. E cercano in questo campo la giustificazione teorica del socialismo e della aspirazione di classe del proletariato.
Il pensiero borghese moderno è tutto orientato verso l'idealismo, e rappresenta una reazione contro l'ateismo che professava la borghesia uscita dalla Rivoluzione Francese, e contro il materialismo in nome del quale il proletariato si prepara alla nuova rivoluzione che dovrà cambiare l'assetto economico della società borghese. Le forme del neo-idealismo dilagano e ci soffocano da ogni parte: vediamo risorgere il razionalismo e perfino il cristianesimo in certe forme filosofiche che senza dubbio Voltaire e Diderot credevano, più di cento anni fa, oltrepassate per sempre. Questo idealismo si accanisce particolarmente nella critica di quelle teorie materialiste più moderne che, volere o no, hanno formato la base del pensiero socialista. Ora noi crediamo che sia un errore lasciarsi trasportare da questa corrente idealista e permettere che essa si rifletta sul nostro pensiero di militanti socialisti. Appunto perciò neghiamo che sia necessario alle opinioni socialiste il riconoscimento dei filosofi secondo le teorie di moda nel mondo intellettuale.
Perché noi non crediamo alla filosofia, nel senso che siamo convinti che essa non ha alcuna influenza sugli avvenimenti e sul corso della storia umana, e se anche ne ha una, questa è una influenza indiretta e negativa che deve essere da noi contrastata.
Il pensiero marxista, la cui importanza anche attuale nel socialismo non può essere da alcuno posta in dubbio, aveva già superata la filosofia e svolta la critica più completa dell'idealismo. Il marxismo pose il socialismo sul terreno scientifico. Parleremo altra volta di questo. Ma qui vogliamo però rilevare che il pensiero socialista si era messo con Marx al di fuori della filosofia e quindi al sicuro da qualsiasi critica filosofica. Il materialismo storico poneva a base di tutte le manifestazioni intellettuali della società umana le condizioni materiali della produzione.
Il progresso dell'umanità è un effetto del sempre maggiore sviluppo dei mezzi di produzione e di scambio, da cui deriva tutta la evoluzione degli istituti politici, giuridici e delle manifestazioni del pensiero umano. Senza negare l'importanza, né tanto meno l'esistenza di questi fenomeni di ordine più complesso, il marxismo pone in luce il rapporto di causalità che fa derivare dal fatto economico trasportando nella scienza economica l'origine della scienza sociale. Il materialismo di Marx non esclude neanche — come molti credono erroneamente — che quei fenomeni derivati non possano reagire sull'assetto economico della società, e non distrugge affatto il valore del pensiero e del sentimento umano. Solo vede in questi prodotti del cervello, e quindi del corpo umano, un ordine di fenomeni successivi ai fenomeni economici e che da questi non si possono separare. L'idealismo invece in tutte le sue forme pretende di invertire questo processo e pone a base di tutti i fatti storici ed umani l'azione misteriosa dell'idea nel cervello degli uomini, ammettendo che questa Idea preesista in qualche modo alle cose e ai fatti del mondo reale. Questo idealismo filosofico pretende di essere l'espressione di un "bisogno dello spirito umano"...
Ma noi non possiamo seguirlo più oltre senza addentrarci in discussioni oziose. Noi osserviamo con Marx che ogni epoca ha avuto la sua "filosofia" che conveniva alla classe dominante. La filosofia, dall'ufficio di motrice della storia umana, è ridotta a quello assai meno onorevole di ruffiana delle classi al potere, compito che essa divide con le religioni di ogni natura. E' da questo punto di vista che osserviamo e critichiamo il ritorno presente della filosofia ufficiale alle fantasie idealiste. La classe borghese si è resa conto che, nelle sue origini rivoluzionarie, ha avuto troppa fretta di abbattere gli idoli e gli altari di ogni natura. La filosofia razionalista e il programma di eguaglianza e libertà con cui la borghesia si affacciava nella storia, non tardarono a venire in contrasto stridente colle leggi di sviluppo dell'economia capitalista, che formava i nuovi schiavi nella forma di lavoratori salariati, dopo aver proclamata in teoria la redenzione dell'umanità. Per giustificare questo stato di cose la borghesia ha dovuto retrocedere e riconoscere che non vi può essere dominio di classe che rinunzi, per legittimare se stesso, all'intervento misterioso di una religione, sia pure evoluta; e la borghesia, di fronte all'azione e al pensiero spietatamente demolitori del proletariato, è ridiventata "idealista". Noi socialisti non possiamo essere idealisti, in questo senso teorico della parola. Dobbiamo avere il coraggio di affrontare il problema sociale nella sua vera essenza economica e reale, sviscerando le contraddizioni profonde che si nascondono nel meccanismo dell'economia presente. E' in questo senso tutto realista che il socialismo è e deve essere materialista, checché dicano della morte del materialismo i professori di filosofia e gli innamorati di certi sdilinquimenti intellettuali della borghesia. Esiste una contraddizione profonda tra socialismo e idealismo. La tesi idealista, in quanto mette a base delle azioni umane un concetto astratto, una forza misteriosa e che, volere o no, sfugge all'analisi critica della mente umana, riconosce il concetto della "rivelazione", ossia l'esistenza di un individuo o di una minoranza privilegiata moralmente, che comunica alla umanità il volere di quella forza misteriosa, "superiore", e, quando occorra, lo impone. Siano i collegi di Auguri dei pagani, siano i profeti ebrei, gli apostoli cristiani, i santoni maomettani e anche le moderne scuole filosofico-politiche, ogni predicazione idealistica ha i suoi sacerdoti. Ogni idealismo divide la società umana in due classi, la minoranza che detta le norme, e la massa bruta che deve subirle senza discuterle. La concezione idealista esclude la libertà del pensiero...
Queste diverse concezioni religiose e filosofiche, che pretendono di essere ispirate ai bisogni reali e morali di tutti gli uomini, essendo in verità dettate da una minoranza, finiscono col riflettere gli interessi immediati, economici di quella minoranza. Il "bisogno superiore dello spirito umano" si trasforma così nell'insaziata ingordigia di tutte le caste di sacerdoti di ogni genere, che nel corso della storia umana hanno sempre appoggiato i dominatori e i tiranni.
Non è veramente da escludere che un programma idealistico o religioso possa essere la piattaforma di una rivoluzione. Possiamo anche riconoscere che, ad esempio, il cristianesimo rifletteva i bisogni reali di una grande massa di oppressi e di sfruttati.
Ma queste rivendicazioni, quando sono perseguite attraverso un programma idealista o religioso e quindi sotto la guida autoritaria dei "rivelatori" del nuovo vero, preparano fatalmente la trasformazione dei liberatori di oggi nei tiranni di domani. Così avvenne per la chiesa romana e per tutte le altre confessioni "rivelate".
Il programma socialista, il programma rivoluzionario della classe proletaria, non può e non deve essere un programma idealista. Noi non abbiamo bisogno di scrivere in esso delle parole astratte che non significano niente e hanno finora significato una sanguinosa ironia:
Giustizia, Libertà, Eguaglianza... La rivoluzione socialista si compie in modo cosciente e non ha bisogno di mascherare il suo programma con formule astratte. Il problema della redenzione sociale è affrontato per la prima volta in termini reali, la soluzione non discende dal cielo o dalle elucubrazioni dei filosofi, ma è ricercata per la prima volta nelle basi logiche dell'assetto sociale, le condizioni economiche della produzione e dello scambio. Noi abbiamo un programma di fatto: l'abolizione della proprietà privata e del regime del salariato. Questo non vuol dire che il compito del socialismo si esaurisca dentro i limiti del fatto economico. Al contrario esso assorbe tutti i campi dell'attività umana fino ai più complessi né dimentica la soluzione dei problemi di ordine intellettuale e "morale".
Impostando sulla base dell'economia collettiva il problema del benessere sociale, il socialismo non intende affatto porre a base delle azioni umane l'individualismo economico e il volgare utilitarismo personale o di piccoli gruppi. La soluzione universale che il socialismo persegue, ottenuta per la prima volta nella storia mediante l'esame diretto delle condizioni di fatto in cui la società vive, esame compiuto col metodo del determinismo economico e non a mezzo di predicazioni misteriosamente astratte e accessibili a pochi, esige, per essere attuata, la rinuncia degli individui alle soluzioni parziali, immediate, egoistiche dei singoli ed isolati problemi economici.
Ecco che il materialismo socialista non esclude ciò che comunemente s'intende per "altruismo".
Mentre invece la borghesia, che è idealista e religiosa, organizza tutta la vita economica attuale sulla meccanica degli appetiti individuali, e adora in realtà un Dio solo: il profitto. Ogni concezione idealista è in conclusione un equivoco colossale voluto da una minoranza dominante o che desidera dominare.
Ecco perché la rivoluzione proletaria non deve rivestirsi di questo carattere idealistico. Anche se essa è voluta da una minoranza, si compirà però nell'interesse della classe che rappresenta la maggioranza enorme del genere umano, e all'indomani di essa le classi spariranno dalla storia.
Nella poderosa concezione di Marx, colla attuale società finisce il periodo della preistoria umana e delle rivoluzioni incoscienti. Per la prima volta è posto il problema di sottomettere alla ragione umana le enormi forze produttive di cui si dispone. Risolto il problema basilare, fondamentale, nei suoi cardini economici, si ricostruirà sulle nuove basi una società in cui lo sviluppo intellettuale ed "etico" dell'uomo potrà veramente compirsi, dopo aver spezzate le catene che oggi lo ostacolano. Impostato nella realtà, il problema dell'attuazione del socialismo non è una concezione idealistica. Checché ne dicano certi critici velenosi, il socialismo che non è monopolio di nessuno, il socialismo che non ha chiese e non ha sacerdoti non è, non deve, non vuole essere né una religione, né un idealismo filosofico. Occorre però risolvere un equivoco: si dà comunemente alla parola idealismo un significato tutto diverso da quello in cui lo abbiamo fin qui adoperato. Noi abbiamo criticato l'idealismo inteso come tendenza o scuola filosofica, come metodo di concepire l'attività e la storia umana. Ma alcuni intendono per idealismo la condizione psicologica di chi lotta e si sacrifica per uno scopo non personale e non immediato, ma lontano e collettivo. In questo senso, che non è esatto, anche il socialismo è un ideale, ossia uno scopo che non si può toccare con le mani; e anche i materialisti possono essere detti "idealisti"!
Ma adoperare in questo senso la parola, significa mettersi al di fuori dell'antinomia esistente fra i termini materialista e idealista, come dice Federico Engels, di cui riporteremo per concludere, e per dimostrare che la nostra non è una interpretazione arbitraria delle teorie del materialismo storico, un vivace passo polemico:
"Il filisteo con la parola materialismo intende l'ingordigia, l'ubriachezza, la libidine, la sete dell'oro, la spilorceria, la manipolazione del profitto, la truffa in borsa, in breve tutti i vizi crapulosi ai quali egli si abbandona di nascosto; per idealismo intende la fede nella virtù, nell'amore del prossimo, in una società migliore, insomma tutto ciò che egli posa ad amare dinanzi al mondo, ma a cui non crede affatto, altro che nel momento della bancarotta e durante gli attacchi del male, che fatalmente seguono ai suoi abituali eccessi materialisti".(1)
II.
Nel mio articolo precedente su queste colonne io affermai la necessità di un orientamento teorico nei militanti socialisti, sostenendo che questo orientamento teorico debba stabilirsi al di fuori e contro i dettami della cultura ufficiale borghese, basandosi sulle nozioni della vita economica generale della classe lavoratrice e su di una interpretazione realistica di essa, guardandosi dagli inganni del pensiero borghese e particolarmente delle forme idealistiche di questo, destinate in genere a distrarre l'attenzione del proletariato da quei problemi economici che esso tende a risolvere con la soppressione violenta del dominio di classe. Questi idealismi — è ormai chiaro il significato in cui usiamo ripetutamente questo termine — sono il culto di Dio, della Patria, della Giustizia, e di simili paroloni scritti coll'iniziale maiuscola. Dicevamo anche come il socialismo scientifico di Marx contenesse la critica di tutta questa filosofia di cui fa pompa la classe borghese, e come in esso il programma del proletariato, basandosi sulla spiegazione materialistica della storia, assumesse un carattere di fatto e si svolgesse sul terreno della lotta economica.
La grande concezione di Marx è stata calunniata dai suoi avversari e anche dai suoi fautori. Si è voluto sostenere che riconoscere nel fattore economico l'origine della vita sociale dell'umanità, equivaleva a limitare la questione sociale a un solo lato di essa; si è preteso che il marxismo riducesse tutto all'azione degli egoismi utilitari e che in esso l'individuo divenisse un automa, un pezzo della macchina che trasforma automaticamente le condizioni economiche nella storia sociale. Che questa interpretazione balorda del determinismo socialista la diano i borghesi, in nome della "dignità dello spirito umano" e di simili frottole, ci fa poco danno. E' facile mostrare che essi fanno questa critica per garantire la propria borsa e che parlano in nome di un preteso idealismo mentre sono sollecitati più che mai dalla molla economica. Così, anzi, prendiamo nuovo elemento di dimostrazione per la nostra tesi. Ma è spiacevole che ci siano dei socialisti i quali — per non aver compreso bene il significato del materialismo socialista — per un bisogno morboso di scimmiottare l'intellettualismo borghese — per un falso atteggiamento psicologico che fa cercar loro una opinione che dia la fragile eleganza del paradosso anziché la forza scheletrica della realtà — e forse perché non sentono la sintesi universale delle sofferenze e delle ribellioni proletarie — si trovano a disagio nella rude e possente concezione anti-idealistica di Marx, e pretendono che essa limiti l'estetica del pensiero socialista.
L'estetica del pensiero possiamo lasciarla a chi possiede quella della carnagione rotonda e ben nutrita, e ignora le deformazioni fisiologiche a cui il lavoro eccessivo condanna l'umanità che produce. Il nostro pensiero di rivoluzionari è un grande atto di sincerità, contro tutto il pensiero politico della borghesia che è falsificazione e speculazione. Contro il pensiero venduto del prete, che ingrassa dicendo all'affamato: aspetta un'altra vita; contro il pensiero venduto del nazionalista, che deruba l'affamato dicendogli: rendiamo forte la patria e tu starai meglio; contro il pensiero anguillesco venduto della democrazia, che vuole "l'elevazione delle classi povere, quando saranno educate e redente dalla ignoranza", sapendo che così essa viene rinviata sine die; contro questo colossale lavorio di menzogna noi opponiamo la grande leva della verità. Noi dobbiamo strappare al proletariato le bende idealistiche e dirgli non "ascoltaci", ma "guardati intorno".
Egli guarderà e vedrà il suo posto nella lotta delle classi; e la sua fame, quando egli saprà che non vi rimedieranno mai né Dio né la patria né la buona volontà pelosa dei "democratici", lo spingerà a cercare e a stringere la mano del compagno... La sua cultura socialista si compirà presto e arriverà presto alla sua completa sintesi: la solidarietà e, occorrendo, il sacrificio per la causa comune. Lo stesso sviluppo che avviene nella teoria marxista, là dove tutti vogliono vedere la contraddizione: i borghesi per poterne negare le conseguenze nefaste per loro; alcuni socialisti per potersi servire di altre premesse più... eleganti.
Se vogliamo, il proletariato, dopo questo esame del suo problema economico che lo induce a convincersi che questo si immedesima col problema collettivo, diventa il difensore dell'utile collettivo anche contro l'utile proprio, da cui è partito. Diventa eroe. Ma non alla maniera tradizionale. Gli eroi della religione e del patriottismo sono esseri anormali, fanatici, isterici, ubriachi, innamorati del proprio io...
Le vittime della lotta di classe non cadono per il bel gesto, ma per... la cosciente necessità di risolvere il problema economico e di riempirsi il ventre. I cavalieri dell'ideale al tanto per cento possono rivolgersi alle tradizioni del passato e trovare formole più eleganti:
"Dio lo vuole", o "per la patria e per il re"!
Ma a noi stessi e al proletariato, noi non daremo mai la cultura dei manuali storici e letterari scritti sulla falsariga ufficiale... Bisogna disfarsi di un monte di porcherie retoriche e letterarie che ci ammorbano, e che purtroppo infiorano spesso i discorsi dei nostri propagandisti. Bisogna convincersi che tutte quelle frasi "nobilissime" sono l'etichetta sotto cui vuol passare l'ingordigia di classe della borghesia, il suo "ideale del tanto per cento". Siamo intesi, amico Toscani, qual sia l'idealismo che io avverso?
Il socialismo dunque teoricamente è in contrasto con la filosofia idealistica. Con Marx esso è divenuto scientifico...
Ecco tutto un altro lato della quistione da svolgere. Noi accettiamo il punto di vista marxistico che possa esistere una "scienza" sociale basata sull'economia (basata, non ridotta!). Crediamo possibile ricavare leggi sufficientemente esatte e formulare previsioni molto generali.
Però riconosciamo che i seguaci del Marx sono andati troppo oltre. E non per difetto del metodo, ma per mancanza di elementi su cui esercitarlo. Engels diceva che le basi della scienza del socialismo erano gettate, e non restava che da svilupparle nei dettagli... Può il pensiero proletario assumersi il carico enorme di questo sviluppo teorico completo?(2)
Ecco il problema. Rispondendo di sì noi forse ricadremmo nella filosofia e nella metafisica "positivista" dopo esser riusciti a sottrarci a quella idealista. Faremmo nuovamente dipendere l'azione proletaria dall'intellettualismo borghese, o per lo meno chiederemmo ancora a questo il riconoscimento formale di quella. Chiederemmo l'assurdo.
Perché noi riteniamo che la "scienza" attuale non meriti più fede di quanta ne abbiamo attribuita alla filosofia. Crediamo che a quello sviluppo scientifico del socialismo manchi la possibilità di avere gli elementi scientifici genuini, poiché la "scienza" borghese pensa a falsificarli a tempo.
Abbiamo forse oltraggiata un'altra deità, la signora Scienza? Non ci importa. Alla scienza vera, come somma dei portati, delle ricerche e dell'attività umana, noi possiamo credere, ma non riteniamo possibile la sua esistenza nella società attuale minata dal principio della concorrenza economica e della caccia al profitto individuale.
Urtiamo così un altro pregiudizio comune, quello della superiorità del mondo scientifico. Si credono oggi indiscutibili le decisioni delle accademie, come nel medioevo quelle delle sacrestie. Eppure sarebbe necessario un libro e non un articolo per svelare un poco i retroscena miserabili e mercantili della scienza! Il dilettantismo più incosciente, le più audaci ciurmerie, le più vili prepotenze delle minoranze dominanti, trovano con facilità la garanzia dell'etichetta scientifica. Sarebbe lungo documentare. Accenniamo di volo alle migliaia di brevetti industriali soffocati dalla concorrenza perché dannosi ai monopoli affaristici, mentre spesso rappresentano un alleviamento delle pene dell'operaio; ricordiamo il sistema del lavoro "scientifico" dell'ingegnere aguzzino Taylor, di cui si parla in questi giorni; l'antropologia scientifica del professore-poliziotto Ottolenghi.
La scienza borghese è anch'essa al pari della filosofia un ammasso di frottole. Il socialismo scientifico non può respirare questa atmosfera di menzogna.
Le sue deduzioni possono fallire e anche cedere ai pettegolezzi della critica, perché si devono trarre dalle statistiche falsificate dagli Stati borghesi, e devono chiedere alla scienza ufficiale tutti i necessari elementi di fatto.
Ma la concezione socialista nelle sue grandi linee non cade per questo. Le diatribe scolastiche di filosofi o di scienziati non l'hanno uccisa. I fatti lo ricordano, anche recentemente.
Gli scioperi colossali in Inghilterra, in America, in Belgio, in Ungheria, le ultime magnifiche affermazioni dell'Internazionale...
Può darsi che il proletariato non abbia sempre il tempo di sottrarsi al lavoro che lo opprime per dimostrare con la penna e la parola la ferrea verità del pensiero socialista, ma esso sta facendo vedere in modo memorabile come possa abbandonare quel lavoro quando voglia dare la prova della sua forza nell'azione concorde che lo condurrà al socialismo.
Carlo Marx lo aveva detto: "I filosofi non han fatto che spiegare il mondo, ora bisogna cambiarlo".(3)
Da "L'Avanguardia" del 13 aprile 1913.
Note
(1) F. Engels, Ludwig Feuerbach e il punto d'approdo della filosofia classica tedesca.
(2) F. Engels, Socialismo utopistico e socialismo scientifico, Firenze, 1903, p. 37.
(3) K. Marx, Tesi su Feuerbach, in K. Marx-F. Engels, Opere, Roma, V, 1972, pp. 3-5.