Contro un equivoco. Il clerico-nazionalismo
Ad uso e consumo della grande armata bloccarda si è foggiato un nuovo spaventapasseri: il clerico-nazionalismo . I nazionalisti protestano contro questo appellativo insulso che non corrisponde a ciò che essi vorrebbero essere in realtà; ed hanno ragione. Non è proprio tirandola sulla sconnessa piattaforma dell'anticlericalismo convenzionale che si può discutere e criticare la dottrina nazionalista e il movimento poco più che esiguo che bene o male ne è l'espressione. Che i nazionalisti abbiano l'appoggio dei preti e dei cattolici è più che vero, ma ciò non basta, come ora vedremo meglio, a giustificare una equivoca confusione di due tendenze diversissime, tentata sol perchè si vuol sfuggire un terreno di discussione poco comodo per i piccoli filistei della democrazia, che mai s'arrischiano fuori della loro solita sfiatata retorica giacobina.
E l'appoggio elettorale dei cattolici non autorizza a quella confusione, perchè di questo passo, spigolando tra i 228 neo-onorevoli che quell'appoggio hanno ricevuto, dovremo parlare anche di clerico-radicalismo, clerico-repubblicanismo e via di seguito.
Poichè il movimento elettorale cattolico, fedele alla tattica del Lojola, preferisce rinunziare alla sua aperta battaglia per portarsi dovunque occorra far trionfare le correnti retrograde e anti-rivoluzionarie, benissimo impersonate a seconda dei casi dai campioni del nazionalismo come da quelli della democrazia massonica e giolittiana.
Ritorniamo dunque al nazionalismo, vecchio nostro nemico naturale che non da oggi i socialisti affrontano, e cerchiamo di chiarire la cosa.
Se si vuol parlare del nazionalismo inteso come partito, diciamo subito che non varrebbe la pena di occuparsene molto a lungo, poichè l'importanza dei pochi gruppetti di nazionalisti ufficiali che esistono oggi è molto scarsa.
Ma tuttavia questi gruppetti sono riusciti a sollevare intorno a sè molto scalpore perchè rappresentano una tendenza che ha radici intime nelle classi sociali oggi dominanti e preoccupate dell'avanzare del movimento operaio e socialista.
Si tratta di contrapporre alle tendenze internazionaliste che si diffondono sempre più nel proletariato man mano che questo accentua la sua fisionomia di classe ed ingaggia la lotta economica e politica contro la borghesia, un movimento tendente a soffocare la lotta delle classi rimettendo in valore il senso dell'unità nazionale e l'antagonismo con le nazionalità diverse.
La scuola nazionalista - ed è ovvio - non confessa che il tentativo di arrestare il diffondersi della lotta di classe viene fatto nell'esclusivo interesse della classe borghese, ma sostiene invece in linea generica che la lotta di classe è dannosa all'avvenire e al benessere sociale, e che il miglioramento economico e morale di tutti i ceti deve raggiungersi con uno sforzo concorde che tenda a rialzare la coscienza, la ricchezza e la potenza della Nazione.
E parte logicamente dalla negazione di quello che dice il Socialismo: nega cioè che la lotta di classe sia necessaria e che solo dall'accentuarsi di essa e dalla vittoria finale della classe oggi sottomessa si sprigionino le energie pel miglioramento continuo della umanità tutta.
La tendenza nazionalista nega quindi in linea generale, o meglio ignora l'esistenza, delle classi, come anche, in un certo senso, quella dei partiti politici. Combatte solo quei movimenti che le sembrano diretti a minuire il sentimento nazionale e non è pregiudizialmente cattolica o democratica, clericale o anticlericale. E' però sempre, per logica forza di cose, antisocialista.
Il nazionalismo accetta e rimette in valore tutte le ideologie che possono rinvigorire nelle masse il patriottismo allo stato acuto. Perciò esso non esita a scavar fuori le tradizioni dell'Impero Romano, dell'Italia Papale e del risorgimento nazionale, come affetta di avere vedute ultra-moderne sui problemi di indole economica che interessano le masse.
Da questo guazzabuglio abilmente rimpastato dai suoi letteratucoli il nazionalismo ha tratto fuori i motivi della grande ubbriacatura tripolina. Coll'esaltazione della guerra libica, esso ha inaugurato le sue gesta, ed è in certo modo riuscito a mettersi "al di sopra dei partiti". La guerra libica, pur essendo una affermazione di nazionalismo, raccoglieva i suoi fautori nelle più opposte sfumature politiche. Solo il partito socialista le fu irriducibilmente avverso ed iniziò la sua opera di critica assidua, di spietata demolizione della montatura nazionalista. Il proletariato ritrovò a poco a poco se stesso e in una indimenticabile campagna il socialismo fiaccò al suolo l'avversario che credeva soffocarlo. In questa battaglia nessuno fu al nostro fianco, e la democrazia non sentì contraddizione alcuna tra le sue finalità ed il movimento guerrafondaio voluto dal nazionalismo; intenta anch'essa a plaudire alla guerra e rendere accetti al popolo i funesti sacrifici di sangue e denaro fiancheggiata nell'opera vergognosa dalle falangi clericali.
Perchè non è forse la democrazia borghese patriottarda anch'essa nell'anima? Non è preoccupata di rappresentare il clericalismo sotto forma di un movimento contrario all'unità nazionale? Non è impastata di blaterazioni irredentistiche? Non vive di tradizioni militaresche, siano esse dinastiche o garibaldine? Non ha dimostrato di prestarsi a far da ruffiana al militarismo ed ai suoi conati imperialistici?
Donde sorge dunque questo antagonismo improvviso tra gli anticlericali e ... il nazionalismo?
Bisogna sventare l'equivoco. Il nazionalismo si può combattere solo in nome delle finalità internazionali del proletariato rivendicando la bellezza della lotta di classe che i senza-patria di tutto il mondo conducono contro la società presente, in nome del socialismo.
E' quella lotta di classe che il nazionalismo vuole soffocare, che la malafede democratica vuole assopire sostituendovi uno scialbo umanitarismo, è quella lotta di classe il nostro terreno di battaglia sul quale non temiamo di rintuzzare e preti, e nazionalisti, e democratici.
La lotta contro il nazionalismo l'abbiamo non da oggi ingaggiata. Non ci occorrono, per condurla a termine, gli equivoci appoggi di chi va alla caccia dei voti proletari. Contro la guerra il proletariato italiano ha pronunziata una memorabile condanna nelle ultime elezioni, col programma dell'intransigenza, e poco importa se in due collegi di Roma i campioni del nazionalismo per ogni dove fiaccato sono riusciti a sopraffare il minestrone bloccardo.
Li demoliremo presto o tardi da noi e colle nostre forze.
E agli ex complici del nazionalismo stesso che per rimettere in valore il trucco del loro anticlericalismo e le loro azioni elettorali ci offrono aiuti sospetti si dovrà rispondere non coi compiacenti silenzi e le sibilline riserve, ma gridando loro sul muso: indietro, buffoni!
Da "L'Avanguardia" del 23 novembre 1913