Per la cultura socialista
L'Avanti! ha pubblicato giorni addietro l'interessante prefazione che il compagno Mussolini ha premesso alla sua traduzione del libro di Ch. Albert e J. Duchêne sul "socialismo rivoluzionario". Veramente Benito Mussolini ci aveva promesso qualche cosa di più, ossia le sue postille allo scritto dell'Albert, ed è un peccato che le sue occupazioni di partito non gli abbiano permesso questo più largo commento, appena abbozzato nelle grandi linee dalla pur ampia prefazione. Come egli fa appunto notare, il contenuto del libro è tale da suscitare larghe e fervide discussioni fra i compagni, ed è veramente da sperare che il libro sia letto ed apprezzato da tutti, ed in particolar modo dai giovani. La forma semplice e suggestiva con la quale è scritto, evitando pedanterie e teoricismi, è tale da renderlo accessibile a tutti i socialisti che appena si interessino dell'indirizzo del moderno movimento rivoluzionario, e la tesi che vi è sostenuta con calore e sincerità di fede merita l'attenzione e la riflessione di tutti i compagni.
L'autore si è prefisso lo scopo di analizzare le tattiche e le tendenze del movimento rivoluzionario odierno per rendersi ragione delle sue deficienze e trovare un programma che possa dare unità di principii ed intenti alle forze rivoluzionarie che oggi agiscono disgregate ed isolate per mancanza di una cosciente intesa.
Il problema della rivoluzione vi appare studiato e prospettato nella semplice luce di fatto possibile; anzi necessario, e forse immediato, e diviene un problema "concreto", per quanto vasto, al quale gli altri vanno subordinati come i mezzi al fine. Il concetto della trasformazione della società attuale non è più dunque un motivo per le tirate di comizio, come dicono i maniaci del "concretismo" riformista, ma diventa una questione che ogni militante deve considerare nei suoi aspetti di possibilità, anzi di realtà prossima e già latente nell'attuale stato di cose.
La critica dei metodi rivoluzionari fatta sotto questa luce riesce interessantissima in quanto che permette di trovare un terreno comune di discussione a quanti si propongono come meta l'abolizione del regime capitalistico al di fuori di ogni pregiudiziale tattica, cercando anzi di far risultare la tattica da adottare in comune dalle conclusioni di tale dibattito. Non che gli autori pretendano nel loro libro di averlo esaurito, ma essi lo hanno senza dubbio impostato in un modo chiarissimo e fecondo forse di benefici effetti restando aperto il campo alla libera discussione.
La critica, svolta in tal senso, delle tendenze anarchiche e sindacaliste ha una grande importanza. Si è troppo abituati a criticare quelle scuole dal punto di vista riformista - e borghese - di un onore sentimentale per i metodi basati sulla violenza, ed ispirandosi ai soliti dogmi della evoluzione, della educazione, della coltura delle masse o all'utopia di una rivoluzione legalitaria. Occorre mostrare invece le deficienze del movimento anarchico e sindacalista proprio dal punto di vista del raggiungimento del loro scopo rivoluzionario, al quale mancano molto spesso, come gli autori dimostrano, gli uni per eccesso di astrazione e gli altri per l'illusione che il sindacato basti a tutto, mentre il sindacato lasciato a se stesso finisce sempre collo sdrucciolare nel corporativismo egoistico.
Occupandosi del Partito Socialista - il Partito Unificato francese - il libro ne critica vivamente le premesse teoriche marxistiche e il metodo parlamentaristico. La critica del marxismo contenuta nel libro dell'Albert è tutt'altro che profonda e non è certo nuova. E' ispirata più che altro dalla evidente preoccupazione che le teorie del Marx e dei suoi seguaci abbiano ingenerato una specie di fatalismo al quale gli Autori attribuiscono in gran parte la colpa della fiacchezza rivoluzionaria nell'azione dei partiti socialisti. Secondo gli Autori le basi del socialismo non possono essere puramente economiche ma devon essere più vaste ed abbracciare la sfera delle tendenze ideali dell'umanità, verso un regime di eguaglianza e - di libertà - di democrazia insomma nel senso più alto della parola.
Il socialismo così, pur distinguendosi nettamente ed opponendosi alla democrazia giacobina e borghese, sarebbe l'ultima espressione di una tendenza esistente fra gli uomini sino dalla formazione delle società umane, che nel momento presente, sotto la pressione di particolari circostanze anche economiche, si esplica nella tendenza alla rivoluzione proletaria per instaurare un regime di maggiore giustizia e libertà.
Questa opinione degli autori non ci sembra molto convincente. Noi crediamo modestamente - col Mussolini - che il marxismo non sia per nulla "fatalista". L'abbiamo spesso sostenuto, su queste colonne. Le forze morali e sentimentali del socialismo non si distruggono ammettendo le premesse del materialismo storico, anzi si dà ad esse in tal modo una base più solida che lasciandole vagare nella zona nebulosa delle "tendenze istintive". Il marxismo non "limita" la portata della rivoluzione ai soli fatti economici, ma stabilisce solo un rapporto di causalità, che a noi pare innegabile, tra la questione economica e la "questione sociale" nel solo intento di trovare più facilmente le vie risolutive reali della seconda.
Poi tutta la storia del socialismo marxista sta a negare l'accusa di fatalismo e di addormentamento. Tutte le transazioni alla lotta di classe che sono le vere cause dell'abbassamento del livello dello spirito rivoluzionario sono sostenute e giustificate cercando di rivedere i valori e le calunniate "formole" del marxismo. Il socialismo per la sua estensione, per il suo rapido incremento, per la sua universalità ha battuto di gran lunga tutti i movimenti storici basati su concetti idealistici o religiosi: Il materialismo anziché attenuare le sue attività ed energie morali gli ha dato una saldezza ed una coscienza nuova.
E' forse detto che chi conosce meglio la propria via debba camminare più adagio?
Noi anzi riteniamo che non convenga dare al socialismo quelle tradizioni troppo profonde che, facendolo apparire come una derivazione di opinioni e di tendenze borghesi - sia pure quando la borghesia rinnega e tradisce in parte queste tendenze - non giovano alla formazione di un netto spirito di classe nel proletariato poiché sottopongono in certo modo la situazione al controllo di certi postulati universali che, volere o no, sono comuni anche alla classe avversaria. Il Socialismo è e deve apparire un'idea nuova, non riattaccata alle tendenze della democrazia o a concezioni nebulose immanenti quasi nella storia al di sopra delle classi e dei loro conflitti e che possono sempre essere invocate a regolare o attenuare questi conflitti. In ciò, nell'indipendenza dalla coltura e dal pensiero borghese, noi vediamo proprio una forza "morale" e una garanzia per lo "spirito" rivoluzionario che l'Albert ritiene sia stato e sia danneggiato il marxismo.
Ma in fondo l'Albert si preoccupa di accettare i valori rivoluzionari così materialistici come idealistici per eliminare una causa di dissidio e per combattere certo socialismo economista e gelido che ignora il fervore dell'entusiasmo - socialismo che anche dal punto di vista del marxismo è deplorevole e condannabile.
Il libro affronta poi un'altra questione del più vivo interesse: quella della tattica parlamentare. Pur rifuggendo dai motivi sballati dell'astensionismo come viene predicato dagli anarchici, gli Autori affermano risolutamente che un partito socialista rivoluzionario dovrebbe essere antiparlamentare. Essi fanno un quadro molto nero dell'azione corruttrice del Parlamento sui militanti socialisti che vi sono mandati e dell'effetto disgregatore che esercita nel partito la tattica elettorale, dichiarandosene convinti avversari.
La questione appare della più grande importanza e bisogna riesaminarla sulla traccia seguita dall'Albert, ossia al di fuori delle pregiudiziali tattiche, dal punto di vista dello scopo rivoluzionario che il partito socialista si propone, quindi nei suoi aspetti massimalistici. E certo il modo con cui le lotte elettorali sono spesso svolte da partiti socialisti, o meglio da quegli aggregati equivoci ed informi che sorgono attorno ad essi durante la campagna elettorale, fornisce argomenti copiosissimi alla tesi antiparlamentare. La tattica elezionista, anche quando la si imposta sulle linee della lotta di classe - e non avviene quasi mai! - determina una zona di contatti continui con la borghesia. E' del resto una caratteristica comune a tutte le forme di azione. Non si può attaccare il nemico senza avvicinarlo, ed esporsi quindi ai pericoli delle diserzioni nel campo avverso, per corruzione o per viltà. Forse che l'azione sindacale è immune da questi fenomeni? Essa anzi presenta pericoli quasi di transazioni alla lotta di classe e al programma rivoluzionario, ai quali si attiene solo in certi casi fortunati. In genere le lotte economiche degenerano nella collaborazione più o meno larvata delle parti contendenti. La zona di contatto è in esse larghissima. Basta pensare a tutto il movimento corporativo e cooperativo diretto dai riformisti e a certi esempii edificanti dati di recente dal sindacalismo d'ogni paese! Eppure nessuno propone di rinunziare all'arma dello sciopero per non creare crumiri!
Non esistono forse altre forme di azione che offrono contatti pericolosi?
C'è un'altra zona di contatto in cui si portano frequentissimamente anche gli anarchici, così pudicamente compresi di orrore per il Parlamento, voglio dire il movimento per la coltura popolare nel quale si va a braccetto con la democrazia più stinta senza pensare che anche così si scolorisce il pensiero e la tattica socialista.
Quindi il Partito rivoluzionario che vagheggia L'Albert se volesse sfuggire a tutti gli inquinamenti dovrebbe rinunziare a ogni forma di azione. L'Albert si duole che l'azione parlamentare soffochi ogni altra attività e sostiene che adotta l'elezionismo vuol dire dargli fatalmente il primo posto nell'azione del Partito. Non può negarsi che i fatti sembrano dargli ragione. Ma non potrebbe un partito rivoluzionario, liberato da ogni scoria, resistere a queste esagerazioni senza rinunziare per questo all'azione elettorale? Vi sono molte e molte ragioni che militano in favore di questa: primissima la necessità di combattere l'apoliticismo operaio che è un male gravissimo per la causa della rivoluzione. Azione politica non vuol dire solo azione elettorale, su questo non v'è discussione. Ma non sarebbe la propaganda politica resa enormemente difficile dall'astensione elettorale?
Non si lascerebbe buon gioco al politicantismo equivoco della democrazia borghese che ci sottrarrebbe le organizzazioni operaie non del tutto mature? Son interrogativi gravissimi ma il vantaggio sta nell'averli posti, come già abbiamo notato, su di un terreno comune: l'interesse della causa rivoluzionaria: Si tratta di vedere se il parlamentarismo giova o no al programma massimo del socialismo. Siamo dunque a mille miglia dall'argomentazione riformistica, senza per questo negare, come l'Albert spesso nota, l'importanza delle lotte per i vantaggi immediati, in quanto sono un punto di partenza e di appoggio, e perché in nessun modo si dia alla conquista di tali vantaggi il valore di "risultati" e di punti di arrivo.
La parte che tratta dell'organizzazione del nuovo partito "più rivoluzionario e più socialista del partito unificato" è notevolissima. Questo Partito si proporrebbe lo studio del problema concreto di una rivoluzione sociale non solo per la parte demolitrice, ma anche per quella costruttiva. Questa visione originale dell'azione di un Partito di classe è svolta magnificamente negli ultimi capitoli che non si riassumono. Basti accennare ad un altro lato nuovo della questione visto dagli Autori: lo studio del piano di ricostruzione della società futura, e la confutazione del concetto che di essa non debba parlarsi per non cadere nell'utopismo, concetto quasi universalmente oggi accettato dai propagandisti del socialismo.
Se veramente un partito fondato su queste basi potesse costituirsi, si avrebbe un innegabile impulso all'azione socialista, nel vero senso della parola. Proclamando nettamente la preparazione al metodo insurrezionale esso si libererebbe automaticamente dalla zavorra riformistica e dagli umanitari lacrimosi che formano la massa grigia platonica del partito socialista. Affrontando risolutamente la lotta esso diverrebbe l'oggetto delle persecuzioni borghesi, e così si libererebbe dalla zavorra marcia dei politicanti e degli arrivisti di mestiere. L'efficacia della sua azione verrebbe così centuplicata. Sarebbe proprio necessaria la rinunzia all'azione parlamentare per raggiungere una tale epurazione? Noi non lo crediamo, ma occorre riconoscere che il problema va ancora studiato profondamente e vagliato e confrontato coi fatti, per trovare la soluzione socialista.
Da L'Avanguardia del 13 luglio 1913