Per l'educazione rivoluzionaria della gioventù operaia
Rispondendo all'Unità
Nell'ultimo numero dell'Unità, l'interessante quindicinale di G. Salvemini, un articolo a firma "m. s." sull'oramai famoso ukase della direzione del partito ci accusa di impreparazione politica ed intellettuale e, dopo aver accennato con lieve ironia all'entusiasmo che noi mettiamo nella nostra azione, dice che l'Avanguardia è l'indice della nostra scarsa preparazione.
Ora, tanto in questo articolo dell'Unità, quanto in tutte le critiche venute da compagni più o meno autorevoli al nostro movimento, si scorge che ben pochi capiscono la vera natura e lo scopo dell'organizzazione giovanile. E' innegabile che la gioventù proletaria ha bisogno di educarsi alle lotte sociali e che lo scopo del nostro movimento è appunto tale preparazione. Ma è il metodo tutto speciale che noi seguiamo quello che gli adulti si ostinano a non comprendere.
Il punto di vista rivoluzionario nel problema dell'educazione ci divide necessariamente da tutte le teorie borghesi - clericali o ultra democratiche che la società moderna applica nell'educare i giovani, con quel costante insuccesso che nessun socialista vorrà negare. Essendo la scuola nelle mani della classe economicamente dominante, essa tende a formare le coscienze dei giovani secondo i dogmi fondamentali che saranno poi l'ostacolo maggiore alla propaganda rivoluzionaria.
Le idee religiose e metafisiche, i pregiudizi sociali su cui si impernia la cultura borghese costituiscono uno strato di pensieri difficilissimo a rompersi dalla critica posteriore. Mano mano che il capitalismo si afferma, e che il suo dominio sugli intellettuali e sugli insegnanti diviene più ferreo, si vede la scienza ufficiale rinnegare le conclusioni rivoluzionarie del metodo positivo e ritornarsene per vie contorte a quei dogmi che permettono di esaltare l'attuale società, dogmi che nulla hanno da invidiare a quelli dei preti. La scuola diviene un'arma temibile di conservazione e di reazione.
I rivoluzionari intellettuali diventano pochi, è bene, e debbono compiere entro se stessi un processo doloroso di critica spietata e di distruzione. Ma l'origine borghese della loro mentalità si rivela presto o tardi e li attrae irresistibilmente nell'orbita della coltura ufficiale.
Questo ci permette di asserire che non è con qualche riforma della scuola che si potranno educare le masse e prepararle ai loro destini. Non vogliamo qui dire che tutti gli insegnanti siano in malafede, ohibò, asseriamo solo che una legge economica determinata li costringe ad agire, anche inconsciamente, nell'interesse di chi li paga. Sta in questo la concezione "marxista" del problema dell'educazione popolare.
Ritornando a noi, lo scopo del movimento giovanile è di contrapporre alla scuola dei borghesi un organismo che formi le coscienze dei giovani proletari nel senso rivoluzionario. Ma vogliono gli adulti pretendere che noi copiamo i metodi perniciosi degli avversari per raggiungere la nostra finalità? Volete impiantare la "licenza" in scienze rivoluzionarie?
Convinti da buoni deterministi, leggete Engels, che il proletariato educa se stesso ad essere l'erede della fracida filosofia borghese ed il costruttore della società futura, e che questa educazione non gli scende dai sommi maestri che la democrazia tanto strombazza, ma gli viene dalle leggi economiche della sua azione di classe, noi diciamo audacemente che l'educazione del popolo si fa non tanto sui libri, quanto sul campo dell'azione.
Pur non trascurando la coltura teorica dei giovani, noi crediamo che la loro coscienza debba svilupparsi nel cimentarli alla lotta di classe che non ha bisogno di preparazioni filosofiche ma scaturisce viva e irresistibile dalle loro condizioni materiali.
E se così sentono questa azione meglio e con più entusiasmo di quelli che voi avete imbevuti di revisionismo e di riformismo (ahi! m'è scappata) vuol dire che il nostro metodo val meglio del vostro.
Noi giovani possiamo scrivere qualche corbelleria sull'Avanguardia, passi pure, ma transazioni non ne abbiamo mai fatte.
Ci volete fare la scuola, ma non siete proprio voi quelli a cui potremmo insegnare qualche cosa?
Da "L'Avanguardia" del 30 giugno 1912.