L'illusione elezionista
Da parecchi anni e si può dire anzi fìn da quando il Partito socialista si è costituito in partito a sé, staccandosi dalle altre frazioni democratiche con cui viveva commisto, ha svolto la sua azione politica seguendo il concetto teorico che la conquista dei pubblici poteri da parte del proletariato dovesse effettuarsi per virtù dell'azione elettorale.
Un calcolo abbastanza puerile, il quale pure ha affascinato e affascina ancora non pochi, faceva ritenere che, il giorno in cui si fosse ottenuto un vero suffragio universale, pel quale tutti avessero il diritto di voto, fatalmente la maggioranza delle assemblee legislative sarebbe stata costituita da rappresentanti socialisti.
I quali rappresentanti, o deputati socialisti che si voglia, riusciti a maggioranza, avrebbero poi con una brava legge tranquillamente spazzato via i poteri borghesi e con tutte le debite formalità legali si sarebbero in nome del proletariato impossessati del potere. Sotto questo affascinante miraggio ogni successo elettorale, specialmente l'acquisto di un nuovo seggio al parlamento, veniva in buona fede considerato e quindi esaltato come un nuovo passo innanzi verso la meta, come una novella pietra posta al grandioso edificio della conquista dei pubblici poteri da parte del proletariato.
Le cifre delle lotte elettorali permettevano con facilità a parecchi di fare l'ingrato mestiere di leggitori del futuro e di fissare la data precisa della scadenza della cambiale da pagarsi dalla borghesia verso il proletariato; a molti, la strana illusione di sentirsi più vicini al grande evento dell'affacciarsi del proletariato alla ribalta della storia, vero padrone del mondo, pel solo fatto di apprendere che alla camera dei deputati era pervenuto un Cabrini, un Bissolati, un Turati o un Ciccotti di più.
Povera rivoluzione proletaria in berretto da notte e pantofole con un tantino di reumatismo e qualche dente caduto!
La pratica dava continuamente delle delusioni incredibili.
Il regime borghese, malgrado lo sventramento e la imbottitura di questa pericolosa polpa rivoluzionaria pronta a scoppiare e capace di mandare in frantumi la vecchia crosta, non soffriva, anzi si rafforzava. I bollenti rivoluzionari nell'ambiente borghese parlamentare si ammansivano, si addomesticavano; dopo un poco di tempo l'uno di essi diveniva riformista, l'altro forcaiolo, il terzo ministro e così di seguito.
Il povero proletariato, almeno la parte più cosciente di esso, ha dovuto finire per convincersi che, quando a grandi stenti fosse riuscito in un paese a mandare in una assemblea legislativa la cifra fatale, ossia la metà più uno dei componenti di essa, tutti autentici fedeli suoi sostenitori, sarebbe rimasto ultimo con un buon palmo di naso. Quei formidabili rivoluzionari tutt'al più sarebbero capaci di regalargli una repubblica borghesissima di tipo americano o modello Ebert, che fonda la sua precaria forza di resistenza sull'assassinio.
E non potrebbe essere diversamente.
E' assolutamente paradossale la concezione che le attuali forme politiche, che furono create dalla borghesia per la propria dominazione di classe, possano proprio esse divenire gli organi di una funzione assolutamente opposta.
Se la borghesia dovette, abbattendo il vecchio regime, creare nuove forme statali, a maggior ragione dovrà fare ciò il proletariato.
Ben più profonda è la trasformazione sociale prodotta dalla conquista del potere del proletariato, che, abolendo la proprietà privata, distrugge automaticamente senz'altro la classe borghese costituita precisamente dai proprietari privati dei mezzi di produzione.
A regolare, organizzare, disciplinare i nuovi rapporti sociali fondati non più sul diritto di proprietà privata ma sulla associazione dei lavoratori, dovranno necessariamente sorgere nuovi istituti, adatti a queste funzioni così profondamente diverse da quelle che costituiscono i cardini dello Stato borghese.
Se l'immaturità politica, l'eredità delle idee democratiche infiltratesi nel pensiero di alcuni socialisti, se soprattutto la mancanza della realtà del potere, hanno permesso il formarsi e l'accreditarsi di concezioni così erronee, ora vi è la grande esperienza dei fatti che dovrebbe servire di insegnamento a tutti.
In Russia la dittatura del proletariato si afferma e vince abbattendo ogni organo borghese ed impedendo la formazione di nuovi organi da crearsi col medesimo meccanismo borghese dell'azione elettorale. L'assemblea costituente, risultato del suffragio elettorale, è stata combattuta dai bolscevichi in Russia prima con la propaganda, poi soppressa colla forza. In Germania, contro la costituente voluta dai socialborghesi Ebert e Scheidemann lottano gli spartachiani. Contro le proposte della Costituente formulate dalla Confederazione del lavoro e caldeggiate da alcuni deputati socialisti debbono insorgere i massimalisti italiani. La questione è tutt'altro che teorica; in mancanza della realtà del potere la teoria è la guida dell'azione.
La campagna elettorale si approssima.
Il Partito socialista deve stabilire se si debba ad essa partecipare e con quale programma.
Il proletariato non deve essere ingannato ed addormentato nella lotta elettorale; esso deve convincersi della nessuna efficacia rivoluzionaria delle conquiste dei seggi al parlamento e deve conoscere quale è la via da percorrere ed in quale senso può rendere utile il suo sforzo. Che se convenga avere dei deputati socialisti, dovrà una buona volta stabilire i limiti della azione e dei poteri di essi in seno al partito stesso.
Il partito non ha come suoi organi che le assemblee che deliberano, e la sua direzione che esegue e rende conto ogni anno del suo operato.
Il gruppo parlamentare come tale, cioè come gruppo, non esiste per il partito in quanto la qualità di deputato nel partito non esiste. Essa è qualità affatto borghese, si ottiene con voti non iscritti al partito, svolge una funzione estranea ad esso e destinata a sparire appena il partito fosse riuscito ad effettuare il suo programma massimo della conquista del potere.
La Direzione del partito, attingendo dalla fiducia del partito le proprie energie, deve affrontare le responsabilità che le competono eseguendo le deliberazioni del partito stesso, interpretandone fedelmente lo spirito, interpellandolo magari in qualche caso per referendum.
Non è ammissibile che la direzione, per deliberazioni che impegnano l'azione del partito, si rivolga per consiglio al gruppo parlamentare. Essa viene così implicitamente a riconoscere in esso un potere che non ha, una funzione che è affatto inesistente.
Questi rapporti è assolutamente indispensabile disciplinare ora, specie dopo l'ultimo ordine del giorno presentato al gruppo stesso da Turati, ordine del giorno affatto contrario alle direttive chiaramente manifestate dalla grande maggioranza del partito.
Se questa delimitazione di rapporti dovesse provocare nuove scissioni, tanto meglio.
Da "Il Soviet" del 9 febbraio 1919.