Lettera del rappresentante della destra giovanile socialista a "L'Unità" e risposta della sinistra
Torino, 15 ottobre 1912.
Stimatissimo signor direttore,
mi permetta questi pochi appunti all'articolo del signor Pietro Silva sul Congresso Giovanile Socialista di Bologna. Ad altra volta il rispondere al quesito "se ci sono ancora nel Partito Socialista, in numero sufficiente, forze capaci di rinnovarsi e di rinnovare"; per ora noto alcune inesattezze, dovute al fatto che il Silva raccolse le sue impressioni dai resoconti dei giornali che, compresi quelli del Partito, sono stati proprio….. traditori verso il Congresso. È vero che l'Avanguardia Socialista minacciava di fischi quelli che volevano un movimento giovanile di preparazione, e ci chiamava (o sapiente insulto!) bidellini. Ma bisogna pur notare due cose:
1) che quel trafiletto era l'espressione personale di pochi guastati dall'ambiente romano, troppo impeciato di politica, e non della migliore; 2) che nessuno a l Congresso, vista la serietà dei nostri intendimenti, si azzardò a voler rimpicciolire una questione, che involgeva tutto quanto l'indirizzo del movimento giovanile, nelle formulette del destrismo e del rivoluzionarismo.
Debbo dichiarare che mai le mie parole, né quelle di molti altri che avevano le stesse convinzioni, furono accolte da quegli "ululati" di cui erroneamente parla la Giustizia. L'ordine del giorno "pro cultura" ebbe 2465 voti contro 2730: votazione che, mi pare, é abbastanza significativa, quando si consideri che influirono su di essa e l'affetto che lega i giovani al Vella, e preoccupazioni non del tutto sparite per le tendenze, e altri elementi estranei alla questione.
La discussione poi del 22 mattina, che passò quasi inosservata nei resoconti, sulla cultura, dimostrò che vi sono moltissimi giovani a cui non manca la visione chiara delle esigenze che i tempi in cui viviamo impongono al movimento giovanile. I discorsi di Casciani e di Barni, tra gli altri, in risposta a quello del relatore [della sinistra] (il solo dei congressisti giovani e vecchi che abbia saputo dare una impostazione teorica, logica, alle diffidenze verso l'opera di cultura) ebbero tale efficacia di persuasione che il relatore stesso dichiarò di accettarne i criteri, purché non venisse votato nessun ordine del giorno. Poiché il consenso del Congresso alle idee espresse dai giovani che desideravano portare il movimento nostro, per dir cosi, all'altezza dei tempi, fu tale che se avessimo avuto allora (eravamo al terzo giorno del Congresso) una votazione, la nostra corrente avrebbe avuto netta prevalenza.
Ma a noi importava non l'"ordine del giorno", ma la cosciente adesione di quei giovani che, ritornando alle proprie sezioni, avrebbero riportato dal Congresso una visione più ampia, più elevata dei doveri e delle responsabilità loro.
Ho scritto questi appunti per toglier l'impressione, che balzava netta dalla lettura dell'articolo del Silva, che i sostenitori dell'"opera di cultura" siano stati pochi isolati che abbian parlato tra l'ostilità della maggioranza; laddove essi trovarono subito una larghissima corrente favorevole ed ebbero i voti compatti delle regioni ove il movimento giovanile é più forte e più maturo: Piemonte, Reggiano, Parmense. Al Congresso non ci sentimmo soli: ebbimo modo anzi (e fu questo forse il maggior vantaggio, che naturalmente i resoconti giornalistici non potevano notare) di conoscerci e di affiatarci sul modo migliore per diffondere tra i giovani le nostre convinzioni.
"L'Unità", n 46 del 16-10-1912 [Titolo nostro]
Lettera del rappresentante della corrente di sinistra:
Napoli, 14 ottobre 1912.
Egregio signor direttore.
Confido che Ella vorrà concedermi poco spazio per rispondere ad un articolo di commento al recente Congresso Nazionale dei giovani socialisti, apparso sul suo interessante periodico.
I rilievi del signor Pietro Silva, poco benevoli verso quella tendenza che, non solo per effetto di discorsi più e meno roboanti, ma per la ferma convinzione dei compagni intervenuti, ha prevalso nel Congresso, danno a credere che egli abbia seguito molto superficialmente le nostre discussioni e non conosca affatto le considerazioni in base alle quali ci dichiarammo dissenzienti dalla corrente d'idee del compagno A. Tasca, senza ulularlo (1), ma contrapponendo alle sue opinioni altri argomenti, frutto di studio e di esperienza del movimento non meno seri dei suoi. Noi non abbiamo dichiarato affatto la guerra alla cultura, noi non neghiamo che il socialismo attraversi oggi fra noi un periodo di crisi, noi non ci nascondiamo la necessità di studiarne le cause e trovare i mezzi adatti ad eliminarle, solo seguiamo in tutto questo una diversa valutazione.
Siamo più che mai d'accordo col Silva nel riconoscere le cause della crisi nel localismo e nel particolarismo, nelle tendenze di categoria che si delineano nel movimento operaio, nella mancanza di unità di intenti dei socialisti.
Ma non possiamo consentire col Tasca e col suo articolista nel risolvere il vasto problema con la formula semplicista "crisi di cultura". Più ancora, in questo li riteniamo in aperta contraddizione con se stessi.
Come non vedere che quel particolarismo ha dato invece luogo ad una vera e propria crisi di fede e di sentimento socialista? Se le masse cedono ad impulsi di categoria, se i gruppi locali seguono indirizzi discordi, è perché essi - nella eccessiva valutazione di problemi locali, corporativi, egoistici, - dimenticano la visione integrale delle finalità del socialismo. E le autonomie, che il Silva a giusta ragione critica, sono volute, caldeggiate, provocate non dai proletari, ma dagli intellettuali, che hanno concetti troppo ristretti dell'azione socialista derivati da specializzazione a cui essi si danno nello studiare problemi immediati e pratici, spinti da interessi locali ed egoistici che impediscono loro di sentire le necessità collettive, universali della classe lavoratrice.
Posta così la questione, noi vediamo la necessità di dare al movimento giovanile un indirizzo che rimedi a questa crisi di sentimento. E ne consegue che dobbiamo farne un movimento di argine vivacemente antiborghese, un vivaio di entusiasmi e di fede, né vogliamo disperdere energie preziose nel tentativo di rimediare, secondo metodi scolastici, a quello che è uno dei caratteri essenziali, incancellabili del regime del salariato: lo scarso livello della cultura operaia. Il partito cattolico, che spende milioni in questo campo, non ha potuto formare una cultura cattolica popolare.
Evidentemente noi dissentiamo su questo punto dalla tendenza rappresentata dal suo giornale. Riteniamo che la cultura operaia possa figurare nei programmi della democrazia, ma abbia scarso valore nel campo dell'azione sovversiva del socialismo.
Questo non vuol dire che noi rinneghiamo la cultura socialista. Al contrario, crediamo che l'unico modo d'incoraggiarla sia quello di lasciarla all'iniziativa individuale, senza chiuderla nel campo odioso del regime scolastico. E quella iniziativa può essere eccitata solo portando i giovani proletari nel vivo della lotta e del contrasto sociale, che sviluppa in essi il desiderio di rendersi più adatti alla battaglia.
Se la nostra Avanguardia assumesse indirizzo di cultura, dopo quattro numeri gli operai non la leggerebbero più. Ma i nostri giovani compagni la cercano e la amano oggi che vedono in essa un segnacolo di lotta, che ritrovano nelle nostre campagne tutta l'anima proletaria, con i suoi slanci e le sue rivolte.
Ci si potrà dire che l'entusiasmo senza la convinzione è poco duraturo. Ebbene questo è vero sempre, fuori che nel campo dei movimenti di classe. Nell'operaio socialista la convinzione è figlia dell'entusiasmo e del sentimento, e c'è qualche cosa che non lascia spegnere questo sentimento: la solidarietà istintiva degli sfruttati. Chi non ha più fiducia in questa e vuole sostituirla con la scuoletta teorica, lo studio, la coscienza dei problemi pratici, si trova, a creder nostro, malinconicamente fuori del socialismo.
(1) Il Tasca sarebbe stato zittito con frequenti ululati. Il termine espressivo fu usato in quella occasione dalla Giustizia, 24 settembre.