La nostra missione
Dopo il congresso di Bologna, dopo la lunga discussione svolta su questa nostra "Avanguardia" intorno alla misssione del movimento giovanile, sarebbe desiderabile che la nostra azione ricevesse un impulso nuovo e che, svolgendosi su di una direttiva concorde e, omogenea, portasse la nostra Federazione di giovani socialisti ad essere una forza attiva della vita sociale operante sulle linee ben tracciate della sua attività.
Vi era un desiderio comune nei discordi pareri agitati a Bologna: quello di definire, quello di precisare, di contornare un programma, di stabilire nettamente la nostra funzione, specie rispetto al P.S., problema così a lungo discusso e non ancora risolto. Molti deploravano a questo riguardo l'eccessiva indipendenza della Federazione dal Partito, talchè quella invadeva il campo di azione di questa, sostituendolo e qualche volta contrastando con essa, in modo di essere stato l'agente non ultimo dei suoi recenti cambiamenti di indirizzo. Pareva a questi che un fatto simile contraddicesse con la concezione incontroversa che il movimento giovanile ha lo scopo di preparare al Partito dei militi coscienti. Un organismo composto di individui il cui senso politico è in formazione non dovrebbe influire sull'organismo delle coscienze già formate e pronte all'azione del socialismo. Si reclamava quindi una maggiore sottomissione dei giovani al Partito adulto quale garanzia contro possibili errori che potesse commettere la nostra organizzazione non matura; si voleva disciplinare questi rapporti con norme burocratiche rigorose dal passaggio dall'uno all'altro movimento, si proponeva che la Federazione giovanile rinunziasse ad agire direttamente nel contrasto sociale, contentandosi di una azione indiretta di preparazione quasi scolastica, alla successiva azione di Partito dei suoi aderenti.
Noi crediamo invece che questa missione di preparazione va intesa più largamente. Essa è soprattutto una missione di rinnovamento continuo delle forze più vive del socialismo, un compenso alle perdite che il P.S., avanguardia del proletariato nella lotta di classe, riporta continuamente nei suoi urti contro la borghesia, alle defezioni aperte o celate, complete o incomplete, che vanno sostituite con elementi freschi, nuovi, giovani ma già provati ed esercitati alla lotta che si deve sostenere, pronti non solo a colmare i vuoti, ma anche adatti a correggere le debolezze inevitabili dei militanti invecchiati, esauriti e disillusi. E noi crediamo che sia nella natura del socialismo, della lotta di classe proletaria, questo modo che attinge le energie operatrici nella parte più viva, giovane ed eroica della società umana, lasciando andare senza subirne gran danno quell'elemento che si è disgregato e corrotto nei contatti violenti o attenuati con la classe avversaria. Tutta la nostra ardente ammirazione è per quelle vecchie figure di socialisti, per quelle anime sempre giovani che conservano nella tarda età la fiamma sempre vivida della fede, ma noi ci permettiamo sostenere che nessun movimento, come il socialismo può sopportare senza disfarsi l'abbandono dei capi o dei maestri di una volta.
E' vecchio il ritornello che si sentono dire tutti i giovani che hanno abbracciato il nostro ideale: sono idee che pesano con l'età! Quest'accusa, che è spesso collettiva, di leggerezza, preoccupa troppo alcuni compagni, che cercano il perchè ed il rimedio per un tale inconveniente. Si cerca la ricetta per tenere gli uomini attaccati al socialismo. E ce la propongono: per qualche tempo, prima di essere lanciate nella lotta, le reclute devono essere provate, convinte, esercitate a fondo, devono insomma pensare a farsi una cultura e nient'altro. Così si avrà la garanzia che non sbaglieranno, poi, nell'azione.
Noi non crediamo a questa terapeutica preventiva della cultura. Se questa c'è tanto meglio, ma noi crediamo che è per altra via che il socialismo conquisti i suoi seguaci, e che li conserva affascinati ed entusiasti, che ne ottiene i massimi sacrifici. Questa via stà "fuori dell'individuo" è nel fattore sociale, nell'ambiente, nel processo speciale di formazione dell'anima collettiva rivoluzionaria, che determinano talune condizioni reali (economiche):
e, allora, ricostruiamo.
La società presente in tutte le sue manifestazioni - parlo anche di quelle non rivoluzionarie - ha l'impronta dell'individualismo. Nonostante che le necessità della vita ed i mezzi di cui attualmente si dispone per soddisfarle (ossia i mezzi di produzione e di scambio) abbiano raggiunto tale stadio da rendere necessario una collaborazione sempre più intrecciata, la minoranza borghese ha interesse a conservare la costituzione individualistica della società, sebbene questa causi i disordini della produzione e l'insufficienza di questa ai bisogni della stragrande maggioranza (Marx).
L'egoismo economico produce una morale (intendiamo per morale un sistema di norme proposte o imposte dalla minoranza dominante), una morale di tipo egoista, tracciata di quell'umanitarismo e di quella filantropia che non sono che arti subdole per celarne la vera essenza, mezzi di difesa contro gli strappi che a quella morale tenta di fare la maggioranza oppressa.
Come la classe borghese vuole, per necessità della propria conservazione, il regime della libera concorrenza tra capitalisti, così avrebbe interesse a che la stessa concorrenza si svolgesse tra i salariati. Per quanto le è possibile la borghesia cerca quindi, col mezzo dell'educazione, che è suo monopolio, di riflettere sul proletariato la sua anima individualistica. E' chiaro però che questa educazione agisce in senso opposto alle tendenze storiche dell'evoluzione sociale. Per noi questa è riflesso dell'evoluzione dei mezzi di produzione, e siccome questi si perfezionano ed esigono sempre un maggiore accordo tra i produttori così riteniamo che anche le "forme sociali" si evolvano verso una maggiore intesa, collaborazione degli uomini.
Il concetto animalesco della concorrenza (lotta per la vita) viene attenuandosi mentre si delinea il principio di reciproco aiuto (Entr'aide di Kropotkine). Succede che la maggioranza sfruttata tende ad accelerare quell'evoluzione che la borghesia vorrebbe contrastare con la forza materiale e con l'educazione (freno morale).
(Se è permesso, senza essere fulminati dai culturisti, enunciare quest'idea, aggiungeremo che è un pregiudizio credere che la borghesia domini per mezzo dell'ignoranza: essa invece domina per mezzo della cultura, della sua cultura).
In parole semplici: l'operaio finisce per capire che gli conviene allearsi ai compagni, ed allargare sempre più questa cerchia di alleanza di sfruttati, e lottare contro i padroni. Fin qui appunto è la molla dell'egoismo che agisce. Ma è su questo atto economico che si costruisce tutta l'azione rivoluzionaria del proletariato contro la borghesia.
Si determina poi una tendenza ad una soluzione universale del problema. L'analisi del sistema attuale lo rivela cattivo. E sorge nella massa sfruttata l'dea del "socialismo". Aboliamo la proprietà privata, la libera concorrenza, e socializziamo i mezzi di produzione e di scambio. I fatti precipitano, per così dire, il pensiero dei lavoratori verso questa conclusione, e non per questo è meno sentita e meno voluta dai proletari socialisti.
E questo processo, che conduce l'operaio dall'ingresso nella lega al socialismo, che occorre esaminare.
Certo la cultura è utilissima in questa evoluzione. Ma è essa insufficiente a spiegarcela. In questo senso, che si può ben dimostrare, con l'analisi più minuta e scientifica, la certezza dell'avvento della società socialista e tutti i vantaggi che esso apporterà; ma ciò non basta ad ottenere che l'operaio vada incontro anche alla morte per poterla realizzare.
Per essere socialista non basta sapere, nè volere, che verrà il socialismo, occorre agire per affrettarlo, e porlo innanzi ad ogni cosa.
Ora in questo processo che va dall'atto egoistico ed utilitario fino all'idealismo (credo che riesca chiaro il senso in cui adoperiamo questo termine) entra il lato sentimentale: siamo obbligati a riconoscere una tendenza nell'uomo a sacrificarsi per gli altri, quando sa che gli altri si sacrificherebbero per lui, insomma si delinea un vero eroismo di classe.
Noi siamo ben lontani dall'avere di quel processo evolutivo la gretta concezione che ne hanno i sindacalisti e gli anarchici individualistici, che lo riducono ad una meccanica degli appetiti egoistici dell'uomo, che non farebbe che scegliere tra diverse convenienze economiche. Essi ricadono nella concezione borghese del "do ut des", e sono lontanissimi dal socialismo, inteso come trasformazione integrale del regime economico e dei valori dei rapporti sociali.
Si badi che qui è quasi ovvio per gli avversari tentare di chiuderci nella contraddizione. Se noi sosteniamo che la base di ogni fatto sociale è nell'assetto materiale economico della produzione, secondo il marxismo, come poi parliamo di idealismo e di eroismo di classe? Se noi annunziamo il socialismo come risultato necessario dell'evoluzione delle forme di produzione, perchè poi lo predichiamo come atto di volontà delle masse lavoratrici? I nostri avversari non sanno mai se accusarci di materialismo o di idealismo, si danno ad una critica pedante del socialismo marxista e di fronte alla marcia dell'esercito proletario che non esita e non si arresta per le loro elucubrazioni filosofiche... pagate, si riducono a dire indispettiti che "il socialismo è una religione".
Ora il marxismo non ha mai detto che gli uomini siano delle marionette automatiche. Solo esso deduce, dall'esame della storia, dei rapporti strettissimi tra il fatto economico - collettivo - e l'assetto sociale.
Come poi in ciascun individuo si determini questo rapporto di cause ed effetto tra il suo bisogno economico ed la sua azione politica, non è possibile determinarlo.
Vi possono essere forme di rapporto incosciente, cosciente, semicosciente. Il materialismo storico stabilisce delle leggi generali studiando le collettività umane e le loro strutture.
D'altra parte il nostro determinismo - e qui sta la soluzione dell'apparente contraddizione - va concepito in modo evolutivo. L'uomo si evolve anche nel senso di acquistare una sempre maggiore coscienza delle azioni sociali. Oggi ancora la volontà e la ragione umana non governano la produzione, ma domani, attuato il socialismo, gli uomini prenderanno la direzione del grande meccanismo economico, sottraendolo a certe leggi brutali conseguenza dell'assurdo ordinamento capitalistico (Marx).
Noi abbiamo dunque diritto di dire che se non tutto, una parte del proletariato può essere oggi cosciente della trasformazione che essa prepara. Questa minoranza, il proletariato socialista del mondo, ha il suo "idealismo" ben chiaro, di fronte a tutti gli inganni della cultura borghese. Quel suo "idealismo" scaturisce dalla logica semplice e terribile dei fatti, e a poco a poco educa e solleva quella minoranza ad essere un'avanguardia precorritrice della nuova umanità.
Entro se stessa quella minoranza distrugge - faticosamente, dolorosamente - le conseguenze del nefasto "individualismo" in tutte le sue forme e contrappone alla borghesia invigliacchita per la sua necessaria decadenza, un ambiente nuovo, vergine, libero, eroico. Anche la borghesia ha le sue tradizioni di eroismo di classe. Ma sono ormai oltrepassate dalla storia. La parte "colta" dell'umanità va alla deriva della sua degenerazione multiforme, destinata a cedere l'autorità usurpata sotto l'urto di quella minoranza proletaria che ingrossa ogni giorno.
Quella minoranza eroica è ciò che noi abbiamo come concetto ideale del P.S. Ma questo è ancora troppo inquinato di borghesia - occorre ripetere la diagnosi? - e deve rinnovarsi, rinnovarsi di forze eroiche.
E' il movimento giovanile che deve darle. E deve dare dei lottatori, non dei causidici, e se deve pensare alla coltura, deve prima sottrarsi alla metafisica individualistica borghese nelle sue mille forme (anche in quelle che si dicono scientifiche) e per seguire quella coltura della lotta di classe che Engels auspicò al proletariato tedesco, riconoscendovi la ferrea dialettica socialista, che è una sintesi di pensiero e di fatto in cui resta stritolato tutto il ciarpame filosofico delle cattedre borghesi.
Da "L'Avanguardia" del 2 febbraio 1913.