Partito socialista e organizzazione operai
Nel suo penultimo fascicolo, la Confederazione del Lavoro contiene un accenno assai risentito ai "supersocialisti" che "denigrano il movimento operaio". Noi marxisti ci sentiamo tanto lontani da quei tali supersocialisti, che non solo non crediamo che l'aspra censura si rivolga a noi, ma anzi la condividiamo e non troveremmo termini sufficientemente energici per designare chi veramente meritasse d'essere annoverato fra i "supersocialisti" come reo di un deprezzamento del movimento operaio. Pur tuttavia – e forse appunto per questo – ci sembra non superfluo tornare sull'argomento. In tutto ciò che riguarda la diagnosi del male fatta dal Serrati, e l'identità del nostro atteggiamento verso il riformismo come verso il sindacalismo, due "teorie" e due tattiche ugualmente lontane dalla teoria e dalla tattica del socialismo marxista, cioè del socialismo rivoluzionario, di classe, e quindi implicitamente intransigente – noi non abbiamo nulla da togliere a ciò che già scrisse il Serrati. Piuttosto vorremmo aggiungere qualche cosa in merito ai rapporti fra il partito e le organizzazioni economiche.
Ha ragione la Confederazione del Lavoro quando dice che chi è marxista non può deprezzare il movimento operaio. Non può deprezzarlo perché lo comprende, non essendo il materialismo storico altro che "la luce teorica portata sul movimento proletario". Il passaggio del socialismo dall'utopia alla scienza consiste appunto nel metodo adottato da chi si accinge a comprendere e risolvere la questione sociale, consiste nell'applicazione del criterio della causalità ai fenomeni della vita sociale. E come il socialismo scientifico dimostra perché il proletariato organizzato in partito di classe è chiamato ad essere l'artefice della rivoluzione sociale, così pure esso ci spiega implicitamente perché il proletariato è oggi quello che è, e non potrebbe non esserlo. I critici del movimento operaio cadono spesso in un grossolano errore quando giudicano le masse alla loro stregua personale, dimenticando l'enorme differenza psicologica che non può non esistere fra i singoli ribelli appartenenti alla borghesia o alla piccola borghesia, e i lavoratori quali esponenti della classe degli sfruttati. Sono diverse le vie che conducono al socialismo gli uni e gli altri. I pochi intellettuali che abbandonano la borghesia per passare al socialismo vi riescono mercé gli studi, mercé una ribellione individuale contro le ingiustizie, i privilegi, e alla loro mente non riesce difficile concepire il passaggio dalla società basata sul privilegio alla società socialista.
Si tratta, come abbiamo già detto, di eccezioni, di individui che per una ragione o l'altra abbandonano gli interessi e l'ideologia della classe in cui sono nati. Non così facile è la trasformazione mentale di una classe come il proletariato in cui l'inferiorità e le dipendenze economiche, la mancanza di cultura, la difficoltà di concepire il lato generale di un problema, hanno creato quella rassegnazione e quella indifferenza verso le ingiustizie e le disuguaglianze sociali, che solo la grande industria, la necessità di organizzarsi per difendere i propri interessi e la educazione socialista possono definitivamente sradicare. Se si tiene conto delle condizioni sociali e quindi anche morali e intellettuali in cui vivono le masse, non si ha secondo noi il diritto di meravigliarsi delle prove di egoismo o d'indifferenza che manifestano alcune organizzazioni di mestiere, ma bisogna meravigliarsi che non succeda di peggio.
Secondo noi il primo dovere dell'intellettuale che vuoi servire la causa del proletariato è quello di spogliarsi della propria psicologia borghese e procurare d'immedesimarsi con la psicologia del proletariato. La borghesia come classe non ci potrebbe riuscire – i singoli transfughi della borghesia compenetrati della serietà del compito che si assumono e della modestia di ciò che possono dare al movimento proletario possono raggiungere questo scopo, basta che studino e osservino e disciplinino il proprio pensiero e la propria azione e li immedesimino col pensiero e con la azione del proletariato quale classe che dallo stato di asservimento deve, poco per volta, con sforzo eroico, superando quotidianamente innumeri ostacoli intimi ed esteriori, arrivare alla consapevolezza dei propri diritti, alla comprensione dei nessi sociali, alla convinzione che una società basata sulla uguaglianza dei diritti e dei doveri di tutti i cittadini, sostituirà l'attuale organizzazione sociale.
Tutto ciò che circonda il lavoratore e ciò che si cerca di inculcargli tende a mantenere e sviluppare l'egoismo, la rassegnazione, l'indifferenza verso le ingiustizie sociali. La lotta per l'esistenza, la sfrenata concorrenza fra affamati, la necessità di vendere al meno peggio degli offerenti la propria forza del lavoro, il timore di rimanere disoccupato, la costante preoccupazione economica, l'impossibilità di elevare il proprio pensiero al disopra delle contese per il pezzo di pane, l'autorità esercitata dai superiori, l'educazione religiosa e militarista, ecco l'ambiente in cui si svolge la vita delle masse, senza rilevare l'influenza deleteria del lavoro estenuante, della sistematica denutrizione, dell'alcoolismo e di innumeri altri fattori che deprimono e opprimono la classe lavoratrice.
Non si può accusare di egoismo e di mancanza di slancio rivoluzionario chi non sente nemmeno lo stimolo di migliorare le proprie condizioni, non sente né ribellione né malcontento, non difende neppure i più elementari diritti individuali. Procurare di sviluppare nel proletariato l'aspirazione alla più assoluta libertà e uguaglianza sociali, a renderlo intollerante verso qualsiasi ingiustizia, è dovere elementarissimo di ogni socialista, ma a nessuno spetta il diritto di esigere che il proletariato sia oggi come un giorno diventerà.
Volere questo vuoi dire fare astrazione dalle condizioni in cui esso vive, vuol dire creare delle utopie, ed ogni utopia è secondo noi una aspirazione piccolo borghese, non già la manifestazione di una volontà fattiva, che è tale perché sa comprendere gli ostacoli, e li affronta per sormontarli.
Il proletariato non ha più bisogno di utopie perché la realtà storica che esso crea contiene nel proprio seno la soluzione più ardita e rivoluzionaria, e addita la via che conduce a questa soluzione.
Ciò che non si sarebbe potuto raggiungere con nessun altro mezzo viene realizzato mercé la grande industria. Essa spinge il proletariato all'organizzazione, gli antagonismi che essa crea suscitano il malcontento nelle masse e le spingono all'unione. Il primo stimolo alla formazione della coscienza di classe è sempre d'indole egoista. E' tale dal punto di vista soggettivo, cessa di esserlo quando si consideri il risultato oggettivo degli sforzi individuali di migliorare le proprie condizioni. Questo risultato è utile a tutta la classe lavoratrice, lo sforzo individuale si converte in sforzo collettivo, l'egoismo diventa altruismo, perché poco per volta diventa sempre più chiaro agli occhi dei singoli che la causa loro è la causa comune di tutti gli sfruttati. Quando il proletariato acquista questa consapevolezza esso compie tutti i giorni degli atti di eroismo, modesti nella forma ma rivoluzionari nella sostanza, e tutta 1'odierna lotta di classe è una pagina sublime di idealismo, tanto più sublime poiché essa viene compiuta dai più umili e dai più rassegnati.
Le organizzazioni professionali rappresentano il primo gradino nello sviluppo della coscienza di classe che prepara il proletariato al socialismo. Esse reclutano tutti i lavoratori che senza ancora essere socialisti mirano a migliorare le proprie condizioni. Dovere del partito socialista è di secondare con tutte le forze la organizzazione economica delle masse. Dovere altrettanto elementare ed urgente è di far sì che, parallelamente all'organizzazione dei lavoratori nei sindacati di mestiere, si faccia un'intensa propaganda socialista perché la solidarietà di tutti gli sfruttati, l'aspirazione alla totale emancipazione da tutte le catene venga sentita sempre più imperiosamente dalle masse e che ciò che oggi è sogno ardito di pochi precursori diventi domani desiderio cosciente delle moltitudini.
Da "Avanti!" del 30 gennaio 1913.