Replica di Bordiga al Congresso di Bologna del PSI - 1919
Sessione del 7 ottobre 1919
Abbiamo finalmente dinanzi a noi le conclusioni delle diverse frazioni. La frazione massimalista elezionista ha elaborato le proprie conclusioni che divergono in parte dal programma pubblicato dall'Avanti! sul quale le sezioni avevano votato. Io constato subito che gli sviluppi programmatici contenuti in quella elaborazione sono sostanzialmente gli stessi che sono contenuti nel programma da noi proposto sotto il nome di "Programma della frazione comunista astensionista". Io non mi addentro, perché non ne sarebbe assolutamente il caso, nell'esame di certi dettagli e di certi rilievi che possono differenziare i due programmi, né mi fermo sulla opportunità di dare al Partito un programma affrettatamente compilato in poche ore, dal momento che anche le parole, come dimostra la discussione sull'antico programma del '92, possono avere il loro valore allorché sono inserite in un documento di tale importanza per la vita e la storia del Partito.
Quindi dichiaro a nome dei compagni della frazione astensionista che, mentre il voto ci dividerà nettamente da tutti, poiché non è possibile pretendere da un Congresso che si facciano due votazioni, noi intendiamo che nel suo significato politico il nostro voto, per la parte programmatica contenuta nelle conclusioni della frazione massimalista elezionista, non si debba ritenere contraddicente con quelle conclusioni. [Applausi]
Il programma della frazione massimalista non parla affatto della tattica elettorale. Vi è una mozione che accompagna quel programma, così come una mozione accompagna il nostro. Soltanto che queste due mozioni divergono. E qui verrà la divergenza del voto. Le due mozioni divergono non soltanto per la questione elettorale, che tanto vi ha appassionato nel dibattito di due giorni: esse divergono su di un'altra questione sostanziale; quella della unità del Partito.
Da parte dei sostenitori del vecchio programma del 1892 di Genova, è stato detto che in fondo potrebbe rintracciarsi nella dizione letterale di quel programma la non esclusione del metodo rivoluzionario che forma oggetto del programma dei massimalisti; ma il Treves e gli altri rimproverano ai compagni della frazione massimalista elezionista appunto il contenuto esclusivo del loro programma fondato su quel metodo della conquista violenta del potere, che noi vorremmo rafforzato e suggellato ancora di più. Il programma di Genova del 1892 letteralmente potrebbe lasciare adito alla interpretazione rivoluzionaria, all'interpretazione dell'effettuazione della dittatura del proletariato; ma lucidamente il compagno Verdaro ha messo nella sua luce storica quel programma, ed ha dimostrato come in fondo esso sia impregnato del movimento socialdemocratico dal quale vuole, e per sempre, uscire il movimento della Terza Internazionale. E la esclusività contenuta ed affermata teoricamente nel programma Gennari, è affermata molto più chiaramente nella nostra mozione, in base alle conclusioni tattiche approvate dal Congresso di Mosca. Quella esclusività è il centro, è il nocciolo dell'affermazione politica e storica della Terza Internazionale e vuole segnare appunto la separazione definitiva dei due metodi: metodo socialdemocratico e metodo comunista, e segnare la condanna definitiva, nella coscienza del proletariato, dinanzi all'esperienza della storia, di quella teoria che per tanti anni insegnò che era possibile la penetrazione graduale, per la conquista del potere da parte del proletariato, negli organismi borghesi; che attraverso la maggioranza in questi organismi, con la presa di possesso di quel potere, potessero stabilirsi le condizioni per la trasformazione della società.
Noi vogliamo dunque non solo affermare il metodo nuovo, ma escludere il vecchio. Vogliamo ritornare alla genuina interpretazione marxista.
E' stato giustamente detto che il nostro programma non contiene cose nuove; ma questo l'abbiamo dichiarato nella prima parte della nostra relazione, ed il compagno Gennari ha formulato, da parte sua, questa mia medesima affermazione. Noi non sosteniamo cose nuove, ma vogliamo il ritorno al socialismo classico marxista, che altri ha creduto trasformare in un metodo democratico, legalitario, evoluzionistico di emancipazione proletaria. Noi vogliamo affermare la divergenza di quelle due vie storiche: porre dinanzi al Partito Socialista Italiano il problema che si sono posto dinanzi altri partiti, che lo hanno risolto. Gli altri partiti e noi per primi dobbiamo risolvere nell'Europa occidentale capitalistica il problema di scegliere tra le due vie: abbandonare il metodo della conquista socialdemocratica per andare incontro alla lotta rivoluzionaria ed alla conquista rivoluzionaria del potere. [Applausi]
In questo metodo vi è la violenza. Tutti hanno illustrato il concetto della violenza. Io sono assai vicino ad un accenno fatto da Bombacci, che poi, nella passionale improvvisazione, l'ha trascurato. La violenza è di tutti e di tutto. E non parlo di temperamenti e delle persone, parlo dei movimenti delle collettività e delle folle. Tutti i movimenti economici e politici adottano il metodo della violenza.
Lazzari: Ma adottano anche l'opposizione!
Bordiga: Anche l'opposizione sotto garanzie particolari. Tutti adottano questo metodo, anche i fautori di quel socialismo dei placidi tramonti, tramontato - come diceva il compagno Graziadei - per sempre. Io non ho bisogno di farvi una lunga illustrazione storica. Ricordatevi le decise proposte di insurrezione quando pareva che l'Italia fosse per intervenire in guerra al fianco degli Imperi Centrali. Non si discusse affatto allora su quello che sarebbe successo. In piazza fino all'ultimo uomo! - si disse. [Applausi]
Ricordatevi quell'inverno, quando l'esercito nemico minacciava sul Grappa e sul Piave; non si esitò a seguire quel metodo, ad incitare i soldati a rispondere alla violenza con la violenza e a farsi massacrare fino all'ultimo uomo per la difesa della patria borghese. [Applausi]
E non han fatto altrettanto i campioni di questo metodo graduale, evoluzionistico, pacifista, in Germania? Coloro, ossia i revisionisti tedeschi, quando si è trattato di difendere contro l'avanzata della rivoluzione l'istituto borghese, hanno commesso le violenze canagliesche di Noske al quale più volte è andata la nostra imprecazione in questo Congresso. [Applausi]
L'altro giorno, in una simile occasione, per una crisi, per un conflitto che divideva le forze della borghesia italiana, la Camera del Lavoro di Milano proclamava l'insurrezione, la discesa in piazza, senza discutere, fino all'ultimo uomo.
Ebbene: in tutti questi casi non sono state studiate tutte le ipotesi; non è stata considerata con tanto impaccio l'eventualità di una sconfitta e l'inutile sacrificio, e non è stato guardato ai cannoni ed alle mitragliatrici che si schieravano contro lo slancio della folla. Perché? Perché, in questi casi, movimenti collettivi e politici che invocavano l'uso della violenza sentivano che quella violenza si svolgeva su un terreno non contraddittorio ai loro interessi di natura storica e politica; mentre all'avvicinarsi di quei grandi cataclismi della storia che per sempre condannano il metodo graduale di evoluzione e di collaborazione borghese, sorgono tutti i dubbi e le esitazioni sull'uso della violenza, poiché proprio allora il proletariato deve essere adoperato esclusivamente per sé, non per fare prevalere nella vita del mondo borghese una frazione contro un'altra. Il proletariato deve lottare per sé e soltanto per sé e cacciare lontano da sé tutti i sofismi, tutto l'armamentario che dovrebbe servire a trattenerlo dallo slancio finale. [Applausi]
Lazzari: E' giusto che sia così!
Bordiga: E' giusto. Non vogliamo la violenza per la violenza e l'insurrezione per l'insurrezione. E' giusto che venga considerato se è il momento di muovere all'assalto rivoluzionario. Ma vi sono momenti decisivi nella storia in cui la soluzione di questo problema si impone, come si imponeva ad altri movimenti aventi diverso contenuto programmatico, i quali, nei casi che ho accennati, in poche ore risolsero la necessità dell'impiego della forza.
E noi diciamo, ed ecco dove viene la questione dell'unità del Partito: che avverrà della compagine del Partito quando verrà il determinato momento? Perché tutti saranno per la violenza, ma non tutti dalla stessa parte. Ecco il problema che prospettiamo dinanzi al Partito Socialista Italiano; e, poiché parecchie volte si è accennato all'Ungheria comunista, gloriosamente caduta, parecchie volte si è accennato all'insuccesso di altri movimenti, come il movimento bavarese, e ne sono state prospettate diverse cause di alto valore politico, io vi ricordo che è stato forse dimenticato il fatto più saliente: che i governi comunisti di Baviera e di Ungheria avevano nel loro seno rappresentanti del Partito Socialdemocratico. Orbene, questi elementi nel governo bavarese erano sempre inclini verso il governo maggioritario di Berlino e furono cagione di debolezza per le sorti della rivoluzione comunista di Baviera. Chi veramente era d'accordo con l'intesa per la restaurazione ungherese? Erano i socialdemocratici che formarono il primo governo, al quale fu poi imposto, in sostituzione, malgrado Versailles... [applausi], il governo dell'arciduca. E questo fu imposto con la forza delle baionette rumene che la democratica Francia, la democratica Inghilterra e la democratica America cercarono di arrestare, perché per loro era sufficiente aver sostituito al regime comunista il dominio della socialdemocrazia.
Ecco la situazione qual è, e Lenin nella sua logica (qui è stato detto che Lenin è illogico, come altra volta Carlo Marx) in un telegramma ammonitore faceva le sue riserve sulla costituzione del nuovo Governo ungherese in cui era annunziata la fusione dei comunisti e dei socialdemocratici.
E purtroppo la causa precipua, che il Congresso ha dimenticato quasi, dell'insuccesso ungherese, è stata questa: non essersi messo in tempo, in luce netta, quel metodo ch'è il patrimonio della Terza Internazionale, è cioè la separazione assoluta delle due tendenze fra cui non vi può essere forma di collaborazione. Al momento decisivo della sua storia, la borghesia non si difende attraverso partiti borghesi. Sarebbe spazzata via. Essa si difende attraverso i campioni del metodo socialdemocratico nell'ultima battaglia contro l'avanzare della rivoluzione. E' questo il problema che portiamo dinanzi a questo Congresso. Cosa è avvenuto in Russia? La rivoluzione russa è stata opera del proletariato. Ma è avvenuta quando il proletariato ha potuto stringersi attorno ad un metodo preciso, esclusivo, netto e sicuro. E non era nemmeno il metodo di un partito, ma di una frazione che attraverso una linea di ferrea intransigenza arrivò a raccogliere tanta concordia di forze e di intenti attorno ai capisaldi del suo programma. E appunto perché quella frazione era depositaria di un programma e di una concezione degli avvenimenti storici, che coincideva con la realtà, tutte le altre forze caddero dinanzi ad essa, la verità del programma dei bolscevichi venne presto vista e le folle accorsero attorno alla loro bandiera. [Applausi]
Ecco perché noi vogliamo l'esclusiva. Ecco perché la nostra mozione contiene una dichiarazione di incompatibilità dettata da Lenin a Mosca, incompatibilità del permanere nel Partito socialista e comunista (perché non è questione di nomi ma di fatti) di quegli elementi che credono ancora all'efficacia del metodo socialdemocratico e negano la violenza, non in teoria, ma applicata nel momento storico in cui il proletariato strappa dalle mani della borghesia il potere politico. Se non si stabilisce questa incompatibilità, tra noi una situazione terribile si determinerà al momento dell'azione. Non è forse possibile anticipare questa situazione: il Congresso non la sente e noi siamo abbastanza marxisti per accorgercene. Crediamo però di non avere inutilmente portato dinanzi a voi questo problema. Nel nostro concetto, l'unico modo di anticipare quel momento decisivo, l'unico modo di risolvere quel terribile problema dell'imminente domani, è quello di tagliare ogni punto di contatto fra i due metodi, fra il criterio comunista e il criterio socialdemocratico, metodi fra i quali invece si è voluto gettare un ponte, che io auguro che la realtà venga a spezzare per sempre per fare posto all'avanzata delle classi lavoratrici. [Applausi]
Da molti compagni ho inteso che essi vogliono fare un ultimo esperimento. Ebbene, sia. Serrati però ha detto che noi siamo fuori della realtà. Non è una obiezione nuova, compagno Serrati, che mi trovo di fronte, ma è la prima volta che essa non viene, al tempo stesso, rivolta a te e alle tue direttive. Fuori della realtà, ci hanno detto sempre tutti, ma la realtà poi non ha mancato di riconfermare la nostra dottrina ed il nostro metodo. Ma il compagno Serrati ha dato qui, con argomentazione poderosa, la dimostrazione che oggi la realtà è la rivoluzione. E se la realtà è la rivoluzione e nella rivoluzione la realtà, perché noi, che solo in essa vogliamo credere, siamo, compagno Serrati, fuori dalla realtà? Io pongo questa domanda. Si veda dov'è la contraddizione. Noi siamo fra le due realtà, e Graziadei lo disse nella sua acuta distinzione fra periodo rivoluzionario e momento rivoluzionario. Tutti riconoscono che siamo nel periodo rivoluzionario, ma il momento non è venuto. Il momento non è venuto, ma tuttavia è per esso che bisogna provvedere. Vi sono momenti in cui la realtà si trasforma, e si è fra due realtà e questo momento, caro Serrati, è quello in cui tieni ancora un piede sull'altra riva. Vi sono dei momenti nella storia in cui i partiti, le folle, tagliano i ponti alle proprie spalle per lottare e vincere senza esitazioni. [Applausi]
Vi è la possibilità che dopo aver tagliato questi ponti non giunga il momento della battaglia e dobbiamo ritornare sui nostri passi e trovarci senza ponti. E questa è la difesa della rappresentanza parlamentare. Ebbene: permettetemi a mia volta un ragionamento schematico. Se esiste una possibilità contro mille di realizzare la conquista col metodo comunista, che cosa importa di perdere la catena di tutti i successi socialdemocratici? Il compagno Bombacci ha adoperato un altro paragone. Tu, permettimi compagno Bombacci, dici che andrai in parlamento per demolire la casa che già minaccia di cadere. Io completo in questo senso il tuo paragone: la casa si demolisce in due modi, o sostituendo pezzo per pezzo tutte le sue parti senza causarne il crollo disastroso, ed allora si può operare al di dentro. O facendo crollare la casa con una mina, ed allora si sta fuori per non restare sotto le macerie dopo aver posto la mina. [Applausi] Un esercito, compagni, può avere un Pietro Micca, ma guai per quell'esercito che avesse uno stato maggiore di Pietro Micca. Oh! Altro che auto-evirazione: sarebbe il suicidio!
Che cosa avverrà - permettetemi che io sviluppi ancora un poco il paragone - allorquando i nostri amici e compagni saranno entrati nella casa col loro mandato di demolizione? Cominceranno a riflettere che è più logico, ora che si è dentro, il metodo di cambiare un pezzo alla volta, e a poco a poco saranno ripresi nelle spire del riformismo e della collaborazione borghese. [Applausi]
Quel metodo fu giusto una volta perché si trattava di criticare il mondo borghese ed il capitalismo: oggi che ci schieriamo di fronte ad esso col programma dell'ultima battaglia, quel metodo non può essere più adottato. Esso è transazione ed equivoco. Eppure esso oggi deve sopravvivere per volontà di questo Congresso. Può essere logico e marxista che sopravviva, ma noi lo abbiamo voluto fìn da adesso denunciare e, ripeto, non inutile compito è stato il nostro, compagni!
Quindi due punti sostanziali ci dividono dalla frazione massimalista elezionista: il concetto dell'unità del Partito, che noi vogliamo infrangere, e l'altro punto della partecipazione elettorale. Il compagno Bombacci ha avuto slanci sentimentali per la parte del Partito che noi vogliamo ripudiare, e io ho ammirato come ardeva entro di lui la fiamma che anima e sospinge al più alto impeto della nostra battaglia; ma non condivido il suo sentimentalismo. Il sentimento può essere colpevole. Nei momenti dell'azione bisogna passarvi sopra. Si possono riconoscere in uomini e in gruppi utili funzioni, ma si può anche dichiarare che queste funzioni si compiono fuori dei quadri delle nostre forze politiche. Noi non diciamo che certe funzionalità della società borghese siano oggi già finite; diciamo che il Partito Comunista esiste per questo suo preciso e specifico compito storico: realizzare il comunismo. E quando l'ora si avvicina, il Partito si prepara ad arrivare alle condizioni che meglio possano mettere in grado di affrontare il supremo cimento, e non si preoccupa dell'intrinseco valore degli altri movimenti.
Quindi, compagni, ecco perché col nostro voto noi resteremo distanti dai compagni della frazione massimalista.
Non ho volontà di scendere ancora un po' nella pratica, perché vedo che dovrei dire cose troppo spiacevoli se volessi fare una disamina pratica delle conseguenze elettorali. Altri compagni l'hanno fatta e voi vi addentrerete in questa discussione nel comma successivo quando si tratterà di discutere le modalità e le garanzie della azione elettorale.
Noi dal canto nostro non possiamo scendere su tal terreno perché denunziamo l'incoerenza del metodo e non la maggiore o minore corruttibilità degli uomini, e perché siamo convinti che si elaborerà una soluzione equivoca del problema dell'unità del Partito. Vi sarà una minoranza che resterà in esso e a cui si negherà di ricevere i mandati elettorali. Io non parlo della minoranza nostra, parlo dell'altra. [Denegazione di Serrati] Se a questo criterio si rinuncia, tanto di guadagnato: anche per un articolo del nostro statuto non devono esservi esclusioni perché quando il Partito si prepara a presentarsi alle lotte per le cariche pubbliche, tutti i cittadini del Partito hanno uguali diritti di essere designati a quei mandati. [Applausi]
Noi vorremmo invece che il problema fosse risolto altrimenti. Vorremmo che fosse escluso dal Partito chi non accetta il programma di domani, quello che voi medesimi avete stampato e distribuito al Congresso stamani. La logica, la necessità stessa vuole che possano esservi minoranze disciplinate ad una mozione, ad un ordine del giorno deliberato dal Congresso, ma non ammette che nel Partito siano tollerati coloro che negano il programma. Ecco perché dovrebbe, per la selezione del Partito, bastare la vostra formulazione teorica, ma non basterà. E' facile prevedere che non basterà, non solo perché non avete voluto, ma perché effettivamente non c'era la possibilità che bastasse quella affermazione nella situazione attuale, dal momento che avete deciso di ingolfarvi nella azione elettorale.
La conclusione sarà questa: che da questo Congresso uscirà vincitrice una grande frazione elezionista che condurrà il Partito alla imminente battaglia. Ora, compagni, l'ora è tarda e non voglio tediarvi. Il partito vuole nella sua maggioranza andare a questa battaglia, ed esso vi andrà. Noi siamo fermamente convinti che questa battaglia rappresenta una condizione di inferiorità di fronte alle esigenze dell'azione rivoluzionaria, di fronte alla nostra adesione alla Terza Internazionale. Noi una volta tanto facciamo i profeti (e ci auguriamo di essere falsi profeti) prevedendo che queste forze, che andranno unite al cimento elettorale dovranno domani scindersi su un altro terreno. Ebbene, quando questa crisi verrà, questa crisi che la nostra affermazione dottrinale non ha valso a precipitare, valga almeno un augurio: che essa non attraversi le supreme fortune del proletariato, non attraversi le vie grandiose della rivoluzione sociale. [Applausi]
Dal "Resoconto stenografico del XVI Congresso del PSI", ed. L'Avanti!, 1920.