Lo sciopero di Milano

La Camera del Lavoro e la sezione socialista milanesi in occasione dello sciopero dei metallurgici hanno scritto una pagina dolorosamente antipatica nella storia del nostro movimento operaio e socialista. Solo l' "Avanti!" ha salvato il buon nome del Partito Socialista, sostenendo coraggiosamente la causa dei lavoratori in lotta, pur non risparmiando la critica ai metodi chiassosi dei sindacalisti che, come al solito, hanno colto l'occasione per fare delle rumorose demagogie e sfogare i vecchi rancori personali con i dirigenti delle organizzazioni riformistiche.

Sembra disgraziatamente che il Partito anche dopo la vittoria dei rivoluzionari non voglia interessarsi e compenetrarsi della necessità di premere sulle organizzazioni proletarie per dare ad esse una direttiva più conforme alla vera lotta di classe; sembra che i socialisti, tutti preoccupati della preparazione elettorale (ahi!), non si preoccupino del fatto che la vita sindacale del proletariato fra noi è oggi fiacca, amorfa ed incolore, e che la sua più alta manifestazione è il settimanale scambio di improperi fra le due "coteries" di organizzatori. In questo modo si seguita a tollerare, dopo l'espulsione di Cabrini, Bonomi e compagni, quella collaborazione di classe nel campo sindacale e in quello della cooperazione che è stata, molto più della corruzione parlamentare, la causa prima del fenomeno Bissolati.

Si dà anche agio così ai sindacalisti di rimettere in circolazione i soliti cliché contro l'azione politica del Partito e di prendere le pose di campioni e monopolizzatori della lotta di classe e dell'azione rivoluzionaria; anche quando, come assai ben nota l' "Avanti!", adottano in pratica gli stessi metodi dei riformisti.

Infatti una fondamentale distinzione tra i due metodi non esiste. C'è solo la rivalità e lo scambio di improperi che abbiamo rilevato. In fondo si trova lo stesso fatto: che l'azione proletaria ridotta alla manifestazione sindacale puramente economica, è insurrezionale, se vogliamo, fino ad un certo punto, ma si addormenta quando si è raggiunto quel determinato livello di vantaggi conquistati, e che, in ultima analisi, non riescono ad intaccare le basi istituzionali del regime economico capitalistico, anzi ne costituiscono un fenomeno sostanziale e quasi necessario. Il principio di una rivoluzione nelle forme sociali della produzione, pur trovando innegabilmente la sua logica base nei primi movimenti operai diretti al miglioramento immediato, deve svolgersi e completarsi in un piano superiore all'ambiente sindacale. E' qui che scaturisce la necessità di un partito politico rivoluzionario di classe. Occorre dire che politico non significa soltanto elettorale?

L'azione sindacale è indispensabile all'ascensione proletaria, purché affermi nello svolgere le sue tappe parziali la tendenza al fine politico, sostenuto sul terreno politico dal Partito di classe. Il Partito dev'essere dunque l'acceleratore dei movimenti operai nel senso rivoluzionario e dovrebbe dare vita e colore all'azione operaia, che per se stessa non è rivoluzionaria nel modo automatico sostenuto dai sindacalisti, e che non deve essere grettamente neutrale come i riformisti pretendono.

Ma sembra che la gran parte del Partito veda la cosa sotto il punto di vista contrario. Il Partito sarebbe un'accolta di brava gente, calma e riflessiva, che pondera e discute, ed infrena quando occorre le ... impazienze proletarie; pesa la convenienza degli scioperi e ne fa il preventivo , e intanto calma i più turbolenti e pensa a educarli e civilizzarli promettendo loro uno straccetto di rivoluzione nel secolo millesimo.

Questo atteggiamento è la parodia del socialismo e della sua missione e serve solo a mettere sul piedistallo gli arruffoni del sindacalismo e le loro roboanti declamazioni sul "carattere conservatore dell'azione di Partito". Noi siamo lieti che l'opinione espressa su queste colonne dal Baldoni e da altri giovani socialisti coincida in massima con le nostre vedute. Né coi riformisti né coi sindacalisti, sul terreno dell'organizzazione. Vogliamo che le organizzazioni divengano socialiste, e non finiscano di affogare nella morta gora dell'apoliticismo. Nel momento grave che è seguito all'impresa libica, mentre il capitalismo contrattacca l'organizzazione operaia approfittando della disoccupazione che dilaga, l'attenzione nostra, che non è tutta assorbita nella baraonda elettorale, deve convergere su questi conflitti economici, spesso provocati dalla borghesia in barba ai preventivi , per incoraggiare il proletariato a difendere con ogni mezzo e senza limitazioni pacifiste le sue leghe, il suo partito, ed il suo avvenire di classe.

Il Treves ritiene che occorre ripiegare e raddolcire la opposizione economica intensificando quella politica. La formula è per lo meno equivoca, come tutte le distorsioni. Equivale a lasciare andare tutte le organizzazioni proletarie al linciaggio del capitalismo affarista e consorziato. Noi abbiamo seguito da vicino la sconfitta di una delle recenti agitazioni, che ha dovuto piegare dopo una resistenza inaudita, eroica. In questo momento il capitalismo è forte. Sfuggirà tutti i preventivi riformistici e le rodomontate sindacalistiche; e non gli si risponde che accentuando la difesa collettiva di classe. Raddolcire nulla, dunque, ma colorire e rinvigorire politicamente la resistenza economica, intensificare l'una e l'altra forma di opposizione che, nella loro armonia, danno la delineazione precisa della lotta di classe preparatrice del socialismo.

Noi crediamo che i giovani socialisti debbano battere questa strada.

Da "L'Avanguardia" del 15 giugno 1913.

Archivio storico 1911-1920