La situazione a Napoli fra la rivolta di ieri e quella di domani
Ci mandano da Napoli:
La storia dei conflitti tra popolo e polizia è sempre la stessa. Il Governo prepara l'eccidio: non è colpa sua se questo non riesce sempre abbastanza cruento.
Bisogna fissar bene i punti principali della cronaca napoletana di questi giorni, per comprendere la dolosa responsabilità del Governo e dei suoi dipendenti. Se si osa tanto nella città più popolosa e più turbolenta d'Italia, può arguirsi quel che si oserà nei piccoli borghi.
Napoli ha da dieci anni al Municipio i clericali. Costoro raccolsero l'eredità dei liberali, sgominati dai socialisti nel famoso processo Casale-Propaganda. Essi cominciarono col non fare né bene né male, poi cominciarono a rivelare una incapacità supina, finalmente misero da parte ogni scrupolo, e fecero assai meglio di quel che avevano osato i loro predecessori, i liberali, capitanati da Casale e da Summonte. Essi si sono serviti dell'assessorato per conquistare i collegi politici, hanno ficcati i loro clienti in tutti gl'impieghi, con buoni stipendi, hanno fatto contratti con le grandi società assuntrici, avvantaggiando queste ultime in modo impudente, han fatto regali di migliaia e migliaia di lire ad appaltatori notoriamente ladri, hanno in una parola, saccheggiato il Comune. Di questo passo, il Comune andava incontro al fallimento, e le autorità tutorie potevano preoccuparsene; ma essi le han tenute buone con una ininterrotta serie di manifestazioni patriottiche, monarchiche, tripoline, che han finito di dare il tracollo al Comune. Se taceva il Governo, non tacevano le casse però, che cigolavano invece per la ruggine. E a questo si è provveduto col falso. Si son fatti bilanci truffaldini, con un attivo fantastico ed un passivo reale, finche si è giunti con le spalle al muro, senza il denaro per pagare gli esecutori dei lavori pubblici, i maestri, gl'impiegati.
Allora si è dovuto provvedere. Ed è sorto il pactum sceleris tra Governo e Comune. Il Governo deve cominciare a rimettere a posto i soldi spesi per la guerra, e il comune che stava per dichiarare bancarotta, son ricorsi al mezzo unico di salvezza: un salasso al paese. Naturalmente, il Governo che aveva la minaccia dello scioglimento da far balenare, ad ogni istante, ha fatta la parte del camorrista. Dei nuovi dazi sulla fame, esso, che amministra ed incassa i dazi comunali di Napoli dietro un canone fisso, incamera ora i tre quarti. L'associazione per delinquere così costituita ha perpetrato il meditato delitto.
Ma ha fatto i conti senza il terzo, cioè senza il paese, sulla cui proverbiale pazienza faceva troppo assegnamento.
Sorge un comitato per protestare contro i nuovi dazi, e chiede di affiggere un innocuo manifesto. Il prefetto con un'aria allegra e un tono paternale, come parlasse a ragazzetti, manda tutti via, assicurandoli che il Governo non permette nulla. Si dice al questore che si accetterà qualsiasi modifica al manifesto, che si ridurrà alla forma più blanda, s'egli così vuole. Ma il questore risponde testualmente che non vuol neppure leggerlo, perché ha ordine di non permettere nessun manifesto. E' dunque la protesta cittadina che non si vuol sentire. E' chiaro. Si indice, senza manifesto, un comizio e un corteo, ma il prefetto vieta tutto. Dice che questi sono ordini precisi venuti da Roma. Dunque a Napoli, come nell'ultimo borgo, una geldra di amministratori disonesti può diventare pupilla del Governo, al punto che per essa può calpestarsi ogni legge e si può metter la mordacchia ad ogni voce molesta.
Il Comitato che fin qui aveva ceduto, naturalmente ha indetto comizio e corteo, ed ha pubblicamente lasciata all'autorità la responsabilità di quel che sarebbe avvenuto in caso di loro persistenza nei divieti illegali.
Il popolo napolitano, che era stato tassato, tartassato e imbavagliato, ha fatto il resto. Senza divieti, e senza sfoggio di armati, si sarebbe avuto un corteo e una solenne adunata di centomila persone in Piazza Municipio. Null'altro. Il Governo ha voluto vietare ciò ed ha avuta la degna risposta. Chi è stato qui, chi ha seguito nei particolari suddetti lo svolgersi degli avvenimenti plaude alla rivolta di ieri in tutti i suoi particolari. Non deplora nulla. Non c'è altro mezzo di protesta in questo paese. Le autorità considerano la libertà dei cittadini come quella dei propri servi. I giornali riducono a proporzioni ridicole tutte le manifestazioni che ad essi non piacciono. La gente assennata, che deplora gli eccessi, non muove un dito per evitarli quando sarebbe in tempo.
Abbiamo visto il sindaco ed il prefetto dondolar la pancia nell'opporre i divieti e nel difendere il decreto catenaccio, col sorriso negli occhi, se non sulle labbra. Poi li abbiamo visti pallidi, tremanti, cianotici, mentre in piazza dominava la furia devastatrice degli affamati. E abbiamo detto: - Benedetto furore, benedetta violenza della santa canaglia!
In tutti gli angoli della città, i poliziotti hanno estratte le rivoltelle. Ma non hanno tirato. Perché? Per paura. Se si fossero visti di fronte pochi contadini urlanti, ma innocui, avrebbero sparato. Ma avevano una folla innumerevole, già esasperata; una folla di uomini addestrati da molti anni alla resistenza di piazza; e dopo le prime aggressioni non hanno osato più.
Ma quel che non è avvenuto può ancora avvenire. L'agitazione continua. Gli operai e i popolani si aggruppano spontaneamente e percorrono le vie schiamazzando contro i dazi. Giovedì sera, in piazza del Mercato, si aduneranno nuovamente. L'esasperazione cresce, non sbollisce. Ci pensano i bottegai a farla crescere, perché profittando dell'aumento dei dazi raddoppiano i prezzi dei viveri.
Intanto le autorità non pensano a provvedere. E il Consiglio Comunale non può essere convocato, perché la convocazione sarà il segnale di un'altra rivolta. In questo stato di cose, il Governo non sa fare altro che ammucchiare uomini armati nella nostra città.
Che si vuol fare? Si vuole dare ai poliziotti la rivincita delle batoste avute il 3 febbraio?
Questa ostinazione del Governo a difendere il suo decreto rapinatore e la sua amministrazione ladra sperperatrice e insipiente è incomprensibile. E' una enorme provocazione. Ma è un gioco pericoloso. Napoli si muove di rado, ma quando si muove, impensierisce. E questa volta attraversa una crisi di miseria, di fame che dovrebbe impensierire tutti.
La città che ha avuto più danni dalla guerra, non doveva essere scelta per prima a pagare la taglia di guerra.
Sono stato il solo, a suonar la campana d'allarme sull' Avanti! da quindici giorni, preannunziando la rivolta, come preannunziai il decreto catenaccio. Gli altri giornali mostravano di non credere al pericolo. Ora dico che l'agitazione non è finita e che se il Governo non rinunzia alla sua pervicacia si potranno avere giornate più brutte di quella del 3 febbraio.
E spero di essere profeta.
Da "Avanti!" del 6 febbraio 1913.