La situazione del Partito nel napoletano

Le nostre organizzazioni, sia economiche che politiche, attraversano un periodo di crisi. E questo ha permesso ad alcuni di asserire che la guerra attuale sia stata voluta dal Mezzogiorno, riversandone quasi la colpa sull'incoscienza del nostro proletariato, mentre la causa della nostra inerzia risiede solo nell'azione fiacca ed incerta degli organizzatori e dei capi.

Questi si sono lasciati indurre quasi dovunque ad adottare una politica bloccarda, di cui i funesti effetti si cominciano ora a notare. Coalizzati con i partiti anticlericali borghesi, non hanno potuto liberamente combattere la guerra tripolina, non hanno saputo trarne la forza di rompere ogni alleanza con la borghesia imperialista.

Rifacciamoci ai principii.

I mezzi di cui la classe dominante si serve per combattere l'emancipazione del proletariato sono svariatissimi, ma possono ridursi a tre forme di tattica: la tattica reazionaria, la nazionalista, e l'anticlericale.

Della prima è inutile parlare, dopo le prove che ha fatto tra noi nel 1898, e perché è stata quasi totalmente abbandonata dai borghesi illuminati; ma sono le altre due che minacciano oggi la compagine del nostro movimento. E, rimanendo in quella obiettività serena che dovrebbe distinguere il metodo socialista di studio dei fenomeni sociali, noi possiamo constatare che molti nostri compagni, deviando a poco a poco verso l'idealismo patriottico o quello massonico si rendono strumenti incoscienti del conservatorismo borghese.

La teoria della lotta di classe oppone alla concezione nazionalista, che vede il mondo diviso in parti i cui abitanti sono destinati a dilaniarsi con le guerre, la concezione socialista di chi vede invece la divisione di tutta la società umana in due parti: la sfruttata e la sfruttatrice. Il socialismo è perciò antipatriottico. Un sistema per ostacolarlo è il ridestare nelle masse il sentimento patriottico e nazionale, di qui la tattica dei nazionalisti.

Il socialismo si sforza di far penetrare la verità nella mente dei lavoratori, distruggendo ogni forma dogmatica, dal dogma religioso a quello economico, nello stesso momento. Ed ecco che la borghesia trova modo di deviare questa corrente rivoluzionaria associandosi alla classe dominata nella lotta contro il dogma chiesastico (che già contrastò le sue conquiste), e sperando così di sottrarre all'attenzione dei miseri il lato scottante del problema: questa è la tattica massonica.

Ora la rovina del nostro movimento in questi paesi è che molti di noi si lasciano trarre a fare dell'anticlericalismo massonico. Si vuole costituire, in un paese, una sezione socialista? Non si vanno a cercare gli operai per organizzarli sul terreno economico, ma si raccozzano gli studentelli di terza tecnica e si fa il Circolo Giordano Bruno, "tanto per cominciare piano piano".

Non si ha il coraggio di fare delle grandi manifestazioni proletarie? Si vanno a pregare i borghesi repubblicani o radicali perché vengano in piazza a sbraitare contro il Vaticano e ad inneggiare al "libero pensiero".

Ecco perché non si riesce ad organizzare i comizi contro l'impresa tripolina. Gli amici del blocco non permettono che si discuta della guerra. Sono una volta tanto d'accordo con i preti. E impongono il bavaglio ai socialisti, sempre in nome della libertà di pensiero.

Gli esempi si moltiplicano di giorno in giorno.

Ma a noi basterà parlare dell'ambiente di Napoli, che si riflette poi su tutti i paesi vicini.

A Napoli, un anno prima delle elezioni, si è formato il grande blocco amministrativo che va dai democratici di dubbia tradizione sarediana fino ai loro vigorosi avversari di ieri, i sindacalisti. Esso comprende la Borsa del lavoro (sindacalista) e la Sezione Socialista Napoletana.

Sono evidenti i mali effetti di questa politica: i socialisti di Napoli nulla hanno fatto contro la guerra, come non molto facevano per l'organizzazione. Più ancora: la regione di Napoli è ormai completamente fuori di ogni direttiva socialista e lo prova uno degli ultimi deliberati di assemblea, su cui vale la pena di fermarsi.

Si discuteva della condotta di un socio, il professor Angelo Corsaro, incolpato di avere partecipato alla dimostrazione per Jean Carrère, con la coccarda tricolore all'occhiello.

Il Corsaro si difese molto esplicitamente con le espressioni seguenti: "Che forse essere socialista significa annullare la propria nazionalità? Il socialismo è una dottrina politica, la nazionalità è una dottrina di natura. Il vessillo rosso deve indicare la ragione di parte, il tricolore la comune nazionalità".

L'assemblea poi, pur dichiarandosi contraria alla guerra, "vista la sincerità con cui il Corsaro aveva esposto le sue ragioni", passò all'ordine del giorno.

Noi rispettiamo la libertà di opinioni del Corsaro. Ci contentiamo di dire che esse sono diametralmente opposte ai principi del socialismo, e che l'assemblea che le approva ha perduto ogni diritto di affermarsi socialista.

Essere socialista per noi vuol dire rinunziare a tutte le false ideologie del mondo intellettuale borghese, anche alla propria nazionalità. Se per il lavoratore affamato basta il sentimento del suo disagio a dargli diritto di unirsi ai suoi compagni nella lotta per l'avvenire sociale, da un socialista cosciente e colto si deve esigere che esso non abbia rimpianti per tutto ciò che ha distrutto dentro di sé. E quando si sentono delle nostalgie per le forme dell'ideale borghese, dei fremiti per lo sventolio delle bandiere ufficiali, non si tenta di conciliare: si sceglie.

Ora bisogna che coloro che non hanno sentito questa necessità si convincano che il loro posto non è più in mezzo a noi.

E che, sinceramente, se ne vadano.

Portici.

Da "La Soffitta", giornale della frazione intransigente del Partito Socialista Italiano, del 4 marzo 1912. Firmato: Amadeo Bordiga.

Archivio storico 1911-1920