Torna il flagello!
Essi vogliono, dunque, la rivincita.
Essi, i campioni del nazionalismo italiano, sono indignati per la clamorosa disfatta di Ettangi che ha squarciati tutti i veli delle menzogne ufficiali e giornalistiche. Non che a lor signori prema alcunché della pelle dei poveri caduti a centinaia, a cui anche noi mandiamo un commosso saluto, maledicendo ai loro veri assassini. Oh no! Al nazionalismo folle ed ubriaco occorre anzi altro sangue, a condizione che il patricidio possa essere sfruttato per rialzare le azioni in ribasso della gloria nazionale. Cadano pure a cento ed a mille i giovani figli del popolo purché i signori dell'Associazione nazionalista si possano sentir correre pelle-pelle quel brivido di squisita soddisfazione che soglion provare nel leggere i resoconti grandiosi degli episodi epici e i particolari dello scannamento e della strage.
Quel brivido di dolce emozione contiene la quintessenza del patriottismo. Pare che sia la manifestazione massima del sistema nervoso ben evoluto nella moderna gioventù intellettuale. E' analogo al dolce spasimo che fa loro raggiungere metà della faccia attorno al monocolo quando la chanteuse spinge mezzo palmo più sopra il gonnellino tricolore...
Son queste le sensazioni di ordine elevatissimo che la società borghese ha saputo sostituire dopo mill'anni di storia al ghigno feroce del cannibale che ghermiva per affamarlo il cranio reciso del nemico. Tolta però la differenza, che resta a sfavore di chi nell'ingenuità vigliacca del privilegio borghese, attende con malvagia ansietà di trovare nei giornali il titolo a lettere di scatola della nuova gesta e le cifre sempre più vaste delle perdite umane.
Si vuole andare fino alle ultime conseguenze dell'errore commesso colla spedizione a Tripoli. Il governo si lascia accecare dal desiderio di risollevare, con una azione militarmente clamorosa, le sorti della disgraziata impresa, di fronte al popolo che ne sopporta i carichi e le conseguenze.
Giolitti ha detto in piena Camera che accetta la sfida dei socialisti e si appella al paese. Egli vorrà dunque, per influire sull'opinione pubblica e scongiurare le ripercussioni politiche degli errori disastrosi e delle folli leggerezze commesse nel concepire e nel condurre questa guerra, inscenare di nuovo le parate di entusiasmi artificiali per le gesta africane?
Non crediamo che vi riuscirà. Intanto comincia col lavorare gesuiticamente nell'ombra, facendo partire le truppe a piccoli gruppi, alla chetichella o quasi, per concentrarle in Cirenaica ed iniziare una azione decisiva. A decine, a ventine il militarismo ha succhiato in questi giorni all'esausto popolo d'Italia altre migliaia di candidati alla morte.
Il Governo vuole la rivincita. Il nazionalismo la vuole. Lasciarsi battere come ad Ettangi dai soliti predoni! La pillola è troppo amara. Bisogna annientare e polverizzare le orde beduine. L'Italia deve affermarsi e incutere spavento ai ribelli. Che importa se ricominciano a fluire le tristi teorie di feriti negli ospedali delle nostre città? Che importa se altri cadaveri resteranno a marcire insepolti tra le sabbie abbandonate e sanguinose? Lo esige l'onore della bandiera...
Ricomincerà lo stillicidio di sangue e l'imperversare di frottole delle grandi gesta. Ma è difficile che i beduini offrano l'occasione di una battaglia campale, dopo il loro recente successo. Non si avrà la rivincita che sognano i nazionalisti, che permette di ripetere le sesquipedali corrispondenze e di ammazzare per telegrafo un numero di nemici approssimativamente quadruplo di quello dei combattenti.
La strombazzata estetica di questa guerra è anch'essa miserabile. E' una guerra di spie, di accoltellatori e di predoni. Tutto si gonfia da più di due anni in modo stomachevole. Il nostro esercito secondo i giornalisti fornisce episodi epici colla regolarità dell'apparecchio automatico nel quale si gettano due soldini. Tutto è grande, meno il sacrificio di sangue e di denaro che la stampa filistea trova ancora insufficiente. Tutto è bello; il brigantaggio coloniale è definito "la bella guerra". La guerra è sempre orribile. Ma questa è anche ridicola. Il brigantaggio del capitalismo europeo alle prese con quello dei predoni del deserto, ecco la fisionomia vera di questa impresa e di tutte le analoghe guerre coloniali.
Perché noi non dividiamo quella specie di ammirazione che alcuni hanno per gli arabi "difensori della loro patria". Troppo riteniamo vuota questa parola: patria. Si tratta di predoni che pescano nel torbido ed esercitano un mestiere. Equivalgono, a parte il coraggio, agli affaristi che hanno appoggiata la guerra e agli speculatori che ci vivono attorno, in Italia. Le vittime vere sono i poveri soldatini di tutte le specie che stentano e muoiono bestemmiando e maledicendo la guerra. Sono le madri che piangono a lacrime di sangue, è il proletariato italiano in preda alla disoccupazione e alla fame...
Mandiamo un triste saluto agli altri fratelli che partono in questi giorni. Non abbiamo saputo fare altro per essi.
Ce li hanno portati via a tradimento. E chi sa se la "rivincita" ce li restituirà...
Da "L'Avanguardia" del 22 giugno 1913. Firmato: Amadeo Bordiga