Tregua d'armi
Ricordate? L'anno scorso - di questi giorni - conchiudendosi lo sciopero generale milanese di protesta contro la iniqua sentenza del giudice Allara, noi scrivemmo che quello non era che il preludio di una più vasta e possente sinfonia futura. Ad un anno di distanza il vaticinio si è realizzato. Lo sciopero generale si è svolto da lunedì a ieri sera e ha paralizzato quasi completamente la vita sociale italiana - qualora ferrovieri e marinai e operai dello Stato si fossero uniti al movimento la paralisi sarebbe stata assoluta. Lo sciopero generale di protesta contro l'eccidio di Ancona più che il preludio è stato "un momento" della sinfonia. Si comprende assai bene lo sbigottimento da cui sembra percossa l'opinione pubblica; si capisce la preoccupazione delle sfere dirigenti dinanzi ad una così fulminea esplosione dello sdegno proletario; ci si spiega anche l'atteggiamento incerto, anodino, ambiguo di certa democrazia e di certo riformismo salmodiante, fastidioso e monotono, le formule viete della collaborazione di classe, quando invece risorgono nell'animo proletario istinti battaglieri e aggressivi.
Che risveglio triste, per le classi dominanti italiane! Esse credevano o si illudevano di credere che la guerra libica avesse creato una "unanimità nazionale" all'estero e all'interno. Non più classi e lotte di classi - si diceva - e non più scioperi generali. Non c'è che una realtà: la Nazione, e in essa si annullano le classi e i loro antagonismi; i partiti e le loro ideologie. La guerra libica doveva segnare la fine del socialismo italiano. Questo si sperava, anche se non si diceva apertamente, ma giammai speranza più folle fu seguita da delusione più amara. Noi ricordiamo che all'indomani dello sciopero di Milano del giugno 1913, un giornale torinese, la Gazzetta del Popolo, avvertiva che qualcosa di nuovo stava fermentando e maturando fra le moltitudini popolari e che l'emigrazione, la disoccupazione, il disagio economico acutizzato dalla guerra avrebbero potuto condurre a violenti moti di piazza. Né s'ingannava. Lo sciopero generale che si è chiuso ieri sera è stato dal '70 ad oggi il moto di popolo più grave che abbia scosso la terza Italia. C'è stato - a paragone del '98 - un numero minore di morti, ma lo sciopero odierno supera in ampiezza e profondità le rivolte del maggio tragico. Il proletariato esiste ancora, dentro e contro la Nazione dei nazionalisti, e il Partito socialista è di esso proletariato l'espressione politica unica e dominante. Alla parola d'ordine lanciata dalla Direzione del Partito Socialista, un milione almeno di proletari - la cifra è certo della metà o di un terzo inferiore al vero - sono scesi ad occupare le strade e le piazze. Due elementi essenziali distinguono il recente sciopero generale da tutti i precedenti: l'estensione e la intensità. Lo sciopero è stato effettuato da un capo all'altro d'Italia: nelle grandi città e nelle piccole borgate; nei centri industriali e nelle p@iaghe agricole dove contadini e braccianti si sono stretti nel loro baluardi di classe; vi hanno partecipato tutte le categorie di operai: servizi pubblici non esclusi.
Ma ciò che conferisce una esemplare significazione al movimento è la sua intensità. Non è stato uno sciopero di difesa, ma di offesa. Lo sciopero ha avuto un carattere aggressivo. Le folle che un tempo non osavano nemmeno venire a contatto con la forza pubblica, stavolta hanno saputo resistere e battersi con un impeto non sperato. Qua e là, la moltitudine scioperante si è raccolta attorno alle barricate che i rimasticatori di una frase di Engels avevano, con una fretta che tradiva preoccupazioni oblique, se non la paura, relegato fra i cimeli delle romanticherie quarantottesche. Qua e là - sempre a denotare le tendenze del movimento - si sono assaltati i negozi degli armaioli; qua e là hanno fiammeggiato gli incendi e non già delle gabelle come nelle prime rivolte del Mezzogiorno; qua e là si sono invase le chiese e - soprattutto - un grido è stato lanciato, seguito da un tentativo: il grido di: al Quirinale! che dà di per sé solo uno strano rilievo agli avvenimenti. Una sola pagina grigia in queste giornate di fuoco e di sangue l'ha voluta scrivere la Confederazione Generale del Lavoro, decretando inopinatamente e arbitrariamente all'insaputa della Direzione del Partito la cessazione dello sciopero allo scoccare delle sacramentali quarantotto ore. Noi abbiamo definito un atto di "fellonia" tale decisione, e manteniamo il nostro giudizio riservandoci di ritornare prossimamente sulla questione. Altra pagina grigia è quella dei ferrovieri che si sono accorti dello sciopero dopo tre giorni, e se ne sono accorti per.... non scioperare. Anche su questo poco simpatico episodio converrà ritornare. Ma tutto ciò non turba, nelle sue linee grandiose, la bellezza del movimento.
Noi lo constatiamo con un po' di quella gioia legittima con la quale l'artefice contempla la sua creazione. Se il proletariato d'Italia - oggi - va formandosi una nuova psicologia; se il proletariato d'Italia - oggi - si presenta sulla scena politica con una nuova individualità più libera e insofferente; se un movimento - come l'odierno - è stato possibile con quella rapidità e simultaneità che hanno atterrito l'opinione pubblica borghese, lo si deve - non è peccato d'orgoglio l'affermarlo - a questo nostro giornale, che quotidianamente reca la sua parola agli sfruttati d'Italia, e all'opera complessa di tutto il Partito socialista. Ah, sì, lo sappiamo bene che ci sono altri coefficienti che rendono possibili tali esplosioni, ma sarebbe assurdo eliminare dal numero dei coefficienti la nostra predicazione e la nostra azione. Noi rivendichiamo apertamente la nostra parte di responsabilità negli avvenimenti e nella situazione politica che si va delineando. Noi comprendiamo dinanzi a una situazione che diventerà sempre più difficile le pene e i tremori del riformismo e della democrazia. L'ipocrisia dell'uno e dell'altra ci fanno pietà. Riformisti e democratici dovevano votare contro la mozione Calda e dovevano sentire il pudore di stringersi attorno a Salandra. Se radicali e riformisti credono di cattivarsi le nostre simpatie con la loro insincerità, s'ingannano. Se credono di disarmarci con la loro auspicata concentrazione delle sinistre, sbagliano di grosso. Se credono subdolamente di riabilitare la politica giolittiana, scoprono il loro piccolo gioco. L'on. Salandra, liberale-conservatore, e l'on. Sacchi che gli vota contro si equivalgono, per noi, perfettamente. Una politica di realizzazioni riformiste - quale viene sognata dai nuovi e vecchi postulanti al potere - sarebbe impotente, anche ammettendo che si svolgesse in condizioni favorevoli ad attenuare gli antagonismi di classe perché nostra funzione e nostro scopo è appunto quello di accelerare fino al possibile il ritmo di questi antagonismi, di esasperarli, sino a che l'antitesi fondamentale della società borghese si risolva, attraverso l'atto fatalmente rivoluzionario nella sintesi liberatrice del socialismo. Se - puta caso - invece dell'on. Salandra ci fosse stato l'on. Bissolati alla Presidenza del Consiglio, noi avremmo cercato che lo sciopero generale di protesta fosse ancor più violento e decisamente insurrezionale. La nostra posizione è dunque chiara e la nostra logica implacabile. Da ieri sera è cominciato un altro periodo di tregua sociale. Breve o lungo non sappiamo. Ne profitteremo per continuare nella nostra multiforme attività socialista, per consolidare i nostri organismi politici, per reclutare nuovi operai nelle organizzazioni economiche, per raggiungere altre posizioni nei Comuni e nelle province, per preparare insomma un numero sempre maggiore di condizioni morali e materiali favorevoli al nostro movimento; cosicché quando batterà nuovamente la diana rossa, il proletariato si ritrovi sveglio, pronto e deciso al più grande sacrificio e alla più grande e decisiva battaglia.
Alle vittime che sono cadute in questi giorni nelle piazze d'Italia, ai proletari che sono scesi in campo per attestare la loro solidarietà coi caduti ed a gridare la loro protesta contro gli assassini, noi inviamo - da queste colonne - il nostro fraterno saluto augurale al grido: W il socialismo! W la rivoluzione sociale!
Da L' "Avanti!" del 12 giugno 1914. Firmato: Mussolini