L'unanimità
Uno degli argomenti più sfruttati dei sostenitori della guerra attuale è quello dell'unanimità di consenso e di entusiasmo che questa guerra ha destato, o meglio avrebbe secondo loro destato, nel nostro paese; cosa che li autorizza a concludere che la guerra era un bisogno della coscienza nazionale e che sarà apportatrice di bene, al di fuori di qualunque quistione economica, per i suoi effetti morali .
Questo ragionamento dei signori borghesi è falso ed è in mala fede. Falso perché l'unanimità non c'è stata, perché la coscienza nazionale, anche se esiste, non è stata consultata ma violentata; in malafede perché i veri sostenitori e fautori della guerra non hanno perduto di vista un istante il lato finanziario della quistione, anzi dell'affare: chi lo ha perduto di vista è stata purtroppo la classe lavoratrice, che non capisce di prestarsi al gioco della classe capitalistica.
Per dimostrare quanto abbiamo asserito, rifacciamoci alle origini del conflitto con la Turchia e cerchiamo di ricostruire il pensiero del paese di fronte alla progettata conquista, poi di fronte al (como) "fatto compiuto", dietro al quale si sono rifugiate tante coscienze tentennanti.
Quei tre o quattro grandi giornali che hanno lanciata la idea di occupare Tripoli, prima ancora di esporre il lato politico-economico della quistione si sono gettati avanti dicendo che la guerra era una cosa superiore ai partiti che dinanzi alla rivendicazione dell' amore nazionale (offeso da chi?) poteva avere una sola opinione, un solo atteggiamento, che chi avesse solo posta in dubbio l'opportunità della nuova conquista era condannato a priori come un traditore della patria.
Questa propaganda condotta con mezzi potentissimi ha avuto i suoi effetti. Essa non ha già creato nella maggioranza un'opinione favorevole, ma ha distrutto ogni opinione. I borghesi hanno seguito la corrente, a qualunque partito appartenessero: anche quei molti aggruppamenti di interessi borghesi che si vedevano seriamente danneggiati non hanno osato protestare. Quelli che avevano delle ragioni in contrario le hanno taciute; si dicevano già in viaggio le navi italiane, non era il momento di discutere, ma di tacere. La classe lavoratrice non ha capito: non ha osato chiedere di capire, sentendosi dire che la guerra si sottrae al controllo nazionale, i compagni nostri non hanno potuto o saputo renderla cosciente in tempo dei suoi veri interessi; e i proletari sono andati tranquillamente al macello. Noi avremmo dovuto dire alto e forte che l'unanimità era una chimera, che di partiti contrari alla guerra ce ne era uno: il nostro; che di partiti contrari alla conquista di Tripoli ce ne potevano essere altri, se ce ne fossero stati in Italia degni di questo nome. Ma le divergenze del pensiero borghese non derivano da profonde incompatibilità teoriche, ma da diversi sistemi di interessi, e svaniscono quando si tratta del loro fine comune: il sempre maggiore sfruttamento dei lavoratori. Come potevamo dir questo alle masse, se i nostri dirigenti erano stati fino allora gli alleati, diciamo pure gli ingenui servitori, di un governo borghese?
Abbiamo accennato alla coscienza nazionale, negando la sua affermazione favorevole alla guerra, infatti fino a pochi anni fa, a detta di quell'esiguo gruppo di pseudo-letterati che tentarono di destare in Italia un movimento nazionalista, il sentimento di patriottismo lasciava molto a desiderare. Quando nelle nostre Università scoppiarono improvvisamente le prime tempeste di fischi anti-austriaci, fu un coro di meraviglia. Chi se ne ricordava più di Francesco Giuseppe, chi pensava più a Trieste? Se ne era ricordata la borghesia ex-rivoluzionaria che tentava una via per paralizzare l'azione del proletariato, e arrestarne il cammino sulla via delle rivoluzioni sociali.
Ma il popolo rimase scettico. Possono veramente quei quattro nazionalisti pretendere di avere in pochi anni creata una corrente patriottica e bellicosa nel popolo italiano e sostenere che il popolo abbia votato la guerra attuale? Eh via, non prendiamoli tanto sul serio, questi azionisti dell'entusiasmo, che rimandano ai loro poeti le canzoni pagate a tanto la terzina, come si respingono le forniture di salame avariato! Lo scarsissimo seguito che le loro idee hanno nel nostro paese ci autorizza a dire che la loro propaganda è stata del tutto inefficace, e a sostenere che non hanno il diritto di pretendersi i portavoce della coscienza nazionale.
Ci diranno: E le dimostrazioni? E le feste di Jean Carrère? E le vendite del fiore tricolore? Non sono queste dimostrazioni spontanee del sentimento nazionale?
L'obiezione non ci spaventa. Abbiamo visto i caporioni di queste manifestazioni: erano sempre gli stessi. Il loro seguito si spiega facilmente: il nostro popolo accorre ovunque sente vociare: accorre in buona fede, signori della borghesia, quando gli parlate dei suoi fratelli feriti, quando gli mostrate la vittima di una prepotenza; ma la prova migliore della sua disgraziata incoscienza politica è questa appunto: che esso non capisce e non vede che i prepotenti e gli assassini sono quelli che lo commuovono in nome dei fratelli lontani, per strappargli il consenso ad un altro contributo di sangue.
Napoli
Da "L'Avanguardia" del 21 gennaio 1912.