Vecchia storia!
Una situazione prodottasi già parecchie volte in Italia si è in questi giorni rinnovata: la mancata rivoluzione. Lo sciopero dei postelegrafici e quello dei ferrovieri (che sembra chiudersi nel momento in cui scriviamo) si sono svolti senza trascinarsi dietro in un più largo e profondo movimento il proletariato italiano.
Udiamo già brontolare la tempesta di recriminazioni polemiche che scoppierà tra poco contro i dirigenti degli organismi politici e sindacali che "hanno lasciato sfuggire l'occasione", come già fecero nella settimana rossa, dopo Caporetto, dopo il saccheggio dell'Avanti!, durante i moti per il caroviveri e negli ultimi scioperi generali di dicembre.
Ora, mentre noi dissentiamo profondamente dall'indirizzo tanto della Confederazione del Lavoro - che fa apertamente opera di riconciliazione tra le classi - quanto del Partito Socialista - che vive di strane e deplorevoli esitazioni affondando sempre più nelle sabbie mobili del parlamentarismo -, vogliamo dire subito che non siamo affatto sul terreno di quelle proteste piuttosto puerili di ingenui rivoluzionali delusi in una apocalittica aspettazione.
Tanto gli elementi anarcoidi che ripetono con un tono di cronico e stereotipato malumore simili critiche, quanto i dirigenti dei grandi organismi proletari sempre preoccupati e circospetti nel prendere decisioni, ci sembrano molto fuori dalla via della preparazione rivoluzionaria.
La rivoluzione in Italia si vuol farla in troppi. Si pretende di condurre a convergere su di un programma rivoluzionario, o piuttosto soltanto di azione insurrezionale, movimenti così disparati come sono gli anarchici, i sindacalisti, i massimalisti del Partito, i riformisti confederali e parlamentari.
Pare anzi che coloro che più ci tengono a passare per estremisti, sol perché sono fanatici di un'azione purchessia, vogliano, per soddisfare le loro impazienze, chiamare in campo alleati anche più bastardi, come i repubblicani e forse perfino gli elementi che fan capo a Giulietti e a D'Annunzio! È la rivoluzione da operetta a base di personaggi e gesti sensazionali, adatti a soddisfare il senso retorico e melodrammatico degli italiani.
Noi - che siamo stati ostinatamente scambiati per i fautori dell'immediatismo insurrezionale incosciente e capriccioso - ripetiamo cosa già molte volte detta affermando che le condizioni del successo rivoluzionario sono riposte non già negli affasciamenti e nella confusione, ma nella precisa delineazione e differenziazione dei partiti, dei programmi e dei metodi tattici.
La soluzione di queste continue crisi, che si esauriscono in rampogne vuote e sterili tra gente che non si è ancora accorta di non poter collaborare, sta nella formazione di un organismo politico rivoluzionario unico ed omogeneo che assuma ed accentri la direzione tattica della battaglia rivoluzionaria a cui il proletariato italiano sta per essere chiamato dalla storia, che si svolge incurante delle gesticolazioni piccolo-borghesi dei troppi "rivoluzionari" che il dopoguerra ha fatto germinare tra noi.
Da il "Soviet" del 1 febbraio 1920.