Direttive di azione sindacale del PC
1. Situazione internazionale sindacale
La sistemazione del movimento nei quadri internazionali dell'operaio italiano – problema a cui il Partito Comunista fin dal suo sorgere ha dedicato la massima attenzione – non è certo ancora raggiunta, né si può dire che abbia fatto grandi passi coi congressi nazionali della Confederazione del Lavoro e del Sindacato Ferrovieri. Non tutti i grandi organismi proletari italiani hanno ancora preso posizione chiara dinanzi al fondamentale dilemma: Mosca o Amsterdam? In seguito ai risultati del Congresso internazionale dei Sindacati rossi, si dovranno avere immancabilmente in Italia i congressi nazionali della Confederazione, dell'Unione Sindacale, del Sindacato Ferrovieri, e tutti questi organismi dovranno definire la loro posizione in base alle chiare basi organizzative poste a Mosca. Il Partito Comunista constata che le risultanze conosciute del Congresso Sindacale Internazionale, confermano la tattica da esso adottata in materia sindacale, e compendiata nell'appello lanciato tempo addietro per l'unificazione delle organizzazioni operaie italiane. Appena sarà ritornata la sua delegazione sindacale, il Partito Comunista convocherà un convegno sindacale per definire il suo lavoro circa la questione internazionale, e rivolgerà alle masse organizzate la sua parola circa l'atteggiamento da prendere nei congressi degli organismi nazionali operai.
2. L'offensiva dei dirigenti confederali contro i comunisti
Il Partito Comunista deve però dire la sua parola ai lavoratori e ai suoi membri, che militano nelle organizzazioni economiche, su vari problemi importantissimi del momento attuale, riflettenti soprattutto le direttive della massima organizzazione operaia italiana: la Confederazione Generale del Lavoro, nella quale i comunisti formano la forte e combattiva opposizione all'indirizzo dei dirigenti.
Nella recente riunione del Consiglio direttivo della Confederazione è stato adottato un deliberato che prelude all'apertura anche in Italia di una campagna, che i dirigenti dei sindacati ancora dominati dal riformismo hanno adottata in molti altri paesi, sentendosi feriti direttamente dalla tattica sindacale dei comunisti. Mentre questi sono per l'unità sindacale e il lavoro nell'interno dei sindacati contro i capi di destra, costoro minacciano di attuare la scissione operaia escludendo i comunisti dalle organizzazioni. Il Comitato Esecutivo confederale ha avuto i poteri d'attuare queste espulsioni di organizzazioni o di gruppi dall'organismo confederale.
Il chiaro obbiettivo dei mandarini della Confederazione, i quali si accorgono come la nostra offensiva faccia loro perdere terreno ogni giorno e prepari la liberazione del proletariato italiano dalla loro influenza addormentatrice, è di sabotare la formazione d'una maggioranza comunista nelle organizzazioni da loro dirette.
Il Partito Comunista raccoglie in pieno la sfida lanciatagli in tal modo da coloro ch'esso ritiene i peggiori nemici della causa proletaria. Esso conferma anzitutto pienamente e incondizionatamente, anche dinanzi alla situazione creata dal deliberato confederale, la sua tattica di rimanere nella Confederazione, e di lavorare per attrarvi tutte le organizzazioni di sinistra; e tale dichiarazione deve servire di norma a tutti i compagni, che dall'atteggiamento dei bonzi traessero l'avventata conclusione che convenga predisporsi alla scissione sindacale. I comunisti non se ne vogliono andare e non se ne andranno dalle file delle organizzazioni confederali. Essi dichiarano arbitrario ogni atto tendente ad escludere dalle file del sindacato, non chi ne violi la disciplina specifica nella lotta contro i capitalisti, ma chi nel seno di esso agiti date direttive e metodi di lotta politica proletaria. Se alcuno deve essere eliminato dalle file dell'organizzazione, è chi ne rinnega nel fatto il principio fondamentale della lotta di classe, e costui va cercato appunto tra coloro che hanno votato a Roma quel deliberato, di cui la stampa capitalista ampiamente e logicamente si è rallegrata.
Il Partito Comunista dichiara che i suoi aderenti lotteranno con tutti i mezzi, nessuno escluso, contro quello che deve essere ritenuto un atto arbitrario e un tentativo di sopraffazione, cioè contro lo sfratto anche di un solo comunista dalle file dell'organizzazione dei suoi compagni di lavoro.
Ogni tentativo in questo senso venga dai nostri compagni – evitando ogni possibile fatto compiuto che possa stabilirsi nel senso delle imposizioni dei dirigenti confederali, come consegne di qualsiasi genere, rinunzia ai diritti sociali, ecc. – comunicato di urgenza al Comitato Sindacale Comunista locale e centrale, che darà le particolari disposizioni del caso. Restino intanto stabilite queste poche fondamentali direttive pratiche.
Se l'espulso è un organizzato, tutti gli organizzati comunisti lo sosterranno, esigendo che l'espulsione si discuta nell'assemblea della Lega e boicottando ogni adunanza da cui lo si voglia escludere, con tutti i mezzi possibili.
Se l'espulso è un organizzatore, sia esso funzionario locale o delle Federazioni nazionali, i compagni organizzati chiederanno il pronunziato dell'organizzazione locale, proporranno che l'organizzatore venga riconfermato ed in caso estremo adotteranno il boicottaggio, in tutte le forme, del suo sostituto.
Se si volesse escludere un'intiera organizzazione locale, essa si rifiuterà con tutti i mezzi di evacuare i locali sociali, e con l'appoggio delle altre organizzazioni comuniste interverrà a tutte le riunioni e congressi a cui ha diritto di rappresentanza, sotto pena di boicottaggio in tutte le forme dello svolgimento di dette adunanze.
Ulteriori misure potranno essere caso per caso indicate dai Comitati Sindacali Comunisti. La massima pubblicità sarà data dalla stampa del partito agili episodi di questa lotta, additando al disprezzo dei lavoratori coscienti le gesta reazionarie dei capi sindacali su questo terreno.
3. La politica di "pacificazione" dei dirigenti confederali
I comunisti restano nella Confederazione, e vi restano per esercitare a fondo la loro funzione di spietata critica alla politica dei dirigenti. Nessuna occasione deve essere trascurata per invitare le masse a disapprovare le trattative e gli accordi coi fascisti, che per i comunisti hanno valore di tradimento della causa proletaria. Dovunque gli organizzati e organizzatori comunisti dichiareranno e spiegheranno chiaramente che la Confederazione del Lavoro non può e non deve, disciplinarmente impegnare i suoi iscritti a direttive d'ordine politico, che potrebbero risultare dalle sue intese con coloro che finora hanno impunemente posto a sacco le sedi proletarie. Se la Confederazione è "alleata" al Partito Socialista, lasci a quest'ultimo la cura di dirigere in questo campo l'attività di quegli organizzati che sono iscritti o simpatizzanti socialisti. In realtà i dirigenti confederali, che nell'ultima loro riunione si sono espressamente occupati perfino della politica parlamentare, sono diventati i dittatori dello stesso Partito Socialista, che stanno trasformando in un partito laburista legato alla loro politica di collaborazione e di corporativismo. I comunisti, che restano nella Confederazione, vi stanno per spezzare questa politica rovinosa e per liberare le masse da questa dittatura controrivoluzionaria, lavorando alla penetrazione dello spirito comunista nei sindacati. Malgrado gli atteggiamenti dei dirigenti confederali, i comunisti contano sull'ausilio dei lavoratori organizzati nella lotta aperta contro le bande della reazione. Questa parola dev'essere portata in tutte le adunanze proletarie.
4. Crisi economica e disoccupazione
Una direttiva unica deve essere data alla propaganda ed all'azione dei comunisti in questo campo. La critica più aspra dev'essere opposta all'indirizzo sancito in materia dagli organi confederali, e dev'essere denunziata la loro acquiescenza alle imposizioni dei capitalisti. La chiusura delle aziende, l'insufficienza delle provvidenze governative in materia di sussidi e di concessioni di lavori pubblici, l'illusione di poter ottenere più efficaci interventi dello Stato per via parlamentare e collaborazionista, come si propongono i dirigenti confederali, l'arrendevolezza di questi dinanzi all'offensiva dei padroni contro i concordati conquistati dai lavoratori, sono tutti elementi che devono essere messi da noi nella loro vera luce, spiegando che, secondo la nostra tattica rivoluzionaria, una soluzione radicale di questi problemi non esiste che nella conquista del potere da parte del proletariato, che la evidente insolubilità di essi deve essere utilizzata per condurre appunto le masse a questa convinzione ed intensificare tra esse la preparazione rivoluzionaria, mentre i riformisti, per evitate questo, illudono i lavoratori affermando che esista la possibilità di migliorare le difficoltà della crisi presente nell'ambito del regime attuale. È importante mostrare che i dirigenti confederali, con tale politica, mentre nulla realizzano di concretamente utile alle masse, pongono la loro tesi collaborazionista e pacifista non solo al disopra dell'interesse della rivoluzione, ma anche contro gli interessi immediati dei lavoratori, rinunziando, per non turbare le loro manovre e intese politiche con gruppi borghesi, all'impiego della forza sindacale del proletariato, per la battaglia contro l'offensiva padronale, che potrebbe venire ingaggiata quando si fosse veramente decisi a spingerla a fondo, sul terreno politico. Ciò sarà possibile solo sloggiando i disfattisti dalla dirigenza delle masse proletarie organizzate; e questi argomenti devono venire impiegati per attrarre i più larghi strati dei lavoratori nella lotta contro i dirigenti confederali.
Per la questione dei disoccupati, il Partito Comunista lancerà tra breve un apposito appello. Dal nostro punto di vista questa diviene una questione squisitamente politica. Si deve svolgere la critica dei palliativi che propongono i riformisti. Lo Stato borghese, cui essi si rivolgono, non può provvedere alla tragica situazione delle falle dei senza lavoro che con misure inefficaci e aventi carattere di una grama beneficenza. Dal punto di vista di classe, una sola soluzione può essere agitata, il principio della sostituzione del sussidio con la corresponsione dell'intiero salario al disoccupato legittimo in ragione del numero dei membri della sua famiglia. Questo principio, stadio elementare verso l'economia socialista, mentre è incompatibile con l'esistenza del potere borghese, sarebbe una realizzazione immediata del potere proletario, che intaccando a fondo i privilegi del capitale, stabilirebbe l'eliminazione di qualunque disparità di trattamento tra i lavoratori, sulla base dell'obbligo sociale del lavoro.
5. Tattica nelle agitazioni economiche
I riformisti son soliti ad avvalersi di un argomento specioso contro i nostri compagni che lavorano nei sindacati, quello cioè che noi non avremmo la possibilità di fare, e non faremmo in realtà, nei conflitti sindacali, nulla di praticamente diverso da essi. Bisogna rispondere che i comunisti non si sognano di negare le conquiste contingenti della lotta sindacale nel campo della contrattazione delle condizioni di lavoro, che non escludono che sia problema tattico da risolversi volta per volta quello della convenienza di accettare o meno le proposte dei padroni, di spingere ad oltranza o di arrestare ad un certo limite gli scioperi. Né i comunisti pretendono di possedere una ricetta per vincere infallibilmente le agitazioni di carattere economico. Ciò che li distingue dai riformisti e dai socialdemocratici, è la propaganda rivoluzionaria che essi traggono occasione di esplicare da ogni episodio della lotta economica, il loro costante sforzo di creare nei lavoratori una coscienza politica e di classe. Inoltre i comunisti devono provare che il fatto che i grandi centri della rete dell'organizzazione proletaria siano in mano ad amici larvati della borghesia o ad avversari della preparazione rivoluzionaria, che considerano come il massimo pericolo l'allagarsi delle agitazioni ed il loro invertire tutta la vita sociale e politica del paese, lega le mani ai lavoratori organizzati e ai loro organizzatori anche dove questi seguono le direttive comuniste. Siccome i comunisti sanno di non poter realizzare i loro scopi se le grandi masse sono ancora dominate dall'influsso dei capi sindacali, essi considerano al primo piano della loro lotta rivoluzionaria la necessità di sloggiare costoro, posizione per posizione, dalla organizzazione proletaria.
Tutta l'attività sindacale dei comunisti si basa su questa constatazione: che nell'epoca attuale di convulsionaria crisi del regime borghese non è più sufficiente la semplice attività tradizionale dei sindacati, che vedono la loro azione divenire sempre più difficile man mano che la crisi si inasprisce. Per affrontare i problemi della vita quotidiana operaia, occorre poter controllare nel suo insieme il funzionamento della macchina economica, per concretare le misure che possono combattere le conseguenze del suo dissesto. È illusorio che l'attuale sistema politico porga al proletariato il mezzo di esercitare una qualsiasi influenza sull'andamento di questi fenomeni, da cui pur dipendono le sue sorti e le sue condizioni di esistenza; e tutti i problemi si riducono a quello unico di sostituirsi, con un grande sforzo rivoluzionario di tutto il proletariato, alla classe dei suoi sfruttatori che, detenendo il potere, impediscono qualunque mitigazione delle dolorose conseguenze del capitalismo, in quanto impediscono ogni limitazione dei privilegi dei capitalisti.
I sindacati devono quindi divenire le falangi dell'esercito rivoluzionario, imbevendosi dello spirito politico comunista, e lottare, inquadrati dal partito di classe, per la conquista del potere, per la realizzazione della dittatura proletaria.
Il Comitato Esecutivo
Il Comitato Sindacale
Da "Il Comunista" del 7 agosto 1921.