La battaglia comunista per il congresso della Confederazione del Lavoro
Si avvicina il congresso della Confederazione Generale del Lavoro, che assume la più grande importanza per l'opera intrapresa dal Partito comunista nelle file del proletariato italiano. Disgraziatamente il brevissimo periodo di tempo che separa tale congresso da quello recente di Livorno, verso la preparazione del quale ha naturalmente dovuto gravitare in grandissima parte l'attività dei comunisti, impedisce che questi si possano adeguatamente preparare alla battaglia che si svolgerà asperrima, nella stessa città e nello stesso teatro, a poche settimane dalla scissione del Partito socialista.
Tuttavia un attivo manipolo di organizzatori aderenti al partito comunista, già confortato da consensi numerosissimi di organizzati e di organizzazioni, sta lavorando per stringere in un fascio, animato da chiare idee direttive e da fermi propositi, le forze sindacati che sono sulla piattaforma comunista, disposto ad una battaglia accanita contro l'imperante riformismo confederale ed anche contro l'anguilleggiante contegno dei massimalisti di ieri, oggi coalizzati sotto il bandierone unitario del PSI intorno alla politica controrivoluzionaria dei D'Aragona.
Naturalmente il giornale del partito comunista, anzi tutta la stampa comunista, contribuiranno largamente alla preparazione e alla polemica relative al congresso sindacale, e già noi abbiamo dedicati vari scritti all'importante argomento.
Vogliamo oggi illustrare quale sia la posizione di principio e di tattica dei comunisti dinanzi ai vari temi politici sindacali che dovranno essere affrontati dal congresso, ed intorno ai quali più aspro e netto dissenso tra le destre e la sinistra dovrà delinearsi.
Vi è una questione pregiudiziale. Lo statuto della Confederazione, come è ben noto, e come è caratteristico in tutti i paesi per questi grandi organismi dominati dalla pratica minimalistica, è così congegnato da garantire a priori la maggioranza in qualunque votazione a quella ristretta cricca costituita dall'aggruppamento dei dirigenti, ossia dei funzionari stipendiati delle più forti e numerose organizzazioni. Anzitutto vi è la nota questione del doppio voto, per Camere del Lavoro e per Federazioni di mestiere; e più che ogni altra cosa, per non soffermarci per ora sui dettagli di questo problema, l'invalsa tradizionale abitudine di delegare a rappresentanti delle varie organizzazioni i loro funzionari stipendiati, senza una qualsiasi preliminare consultazione degli organizzati intorno ai problemi sui quali il loro delegato dovrà per loro votare.
Tutto ciò porta alla conseguenza, che ai comunisti avrebbe dovuto esser lasciato il tempo e la possibilità di fare una prima campagna diretta allo scopo di richiamare l'attenzione delle masse sui compiti del congresso confederale, per ottenere che esse reclamassero di essere illuminate e di dar le loro deleghe a ragion veduta e a chi meglio rispecchiasse le opinioni e le prospettive prevalse a maggioranza in ciascuna organizzazione dopo una consultazione adeguata. Invece ciò non si potrà ottenere che in parte, e mentre è sicuro che la tesi comunista si affermerà vittoriosamente laddove vi sarà un dibattito serio ed esauriente, può facilmente prevedersi che la grandissima massa dei voti sarà gettata sulla bilancia dai soliti capeggiatori delle grandi organizzazioni, e soprattutto di certe federazioni di mestiere, che non si saranno nemmeno sognati di provocare da coloro pei quali voteranno una manifestazione qualsiasi del loro parere.
La riforma dello Statuto non potrà aversi, tutt'al più, che come una delle ultime decisioni del congresso stesso, e le votazioni quindi non si potranno fare che secondo le norme attuali.
Ma lasciamo a parte tutto questo e veniamo al merito delle questioni che verranno innanzi al congresso.
Anzitutto il congresso del proletariato organizzato italiano, che si aduna ben 7 anni dopo il congresso precedente, dovrà esaminare e giudicare l'opera svolta dalla Confederazione in un periodo così lungo e di così tremenda importanza storica, sottoponendo alla sua critica l'indirizzo politico e sindacale seguito in complesse vicende. È una discussione che i comunisti affronteranno in pieno e sulla quale, come è ovvio, proporranno una risoluzione di completo dissenso dall'indirizzo politico e sindacale, teorico e pratico, sempre seguito dai riformisti che sono alla testa della Confederazione e quindi di disapprovazione e sconfessione della loro opera passata. Una esauriente critica di questa, attraverso i più importanti episodi della lotta di classe in Italia, diretta durante e dopo la guerra, dovrà essere svolta dai rappresentanti della tendenza comunista, documentando come la Confederazione generale del lavoro vada classificata tra le grandi organizzazioni economiche proletarie, pletoricamente cresciute di numero dopo la guerra, che per la loro podagrosa struttura, per essere nelle mani di uomini e di gruppi che politicamente rappresentano le dottrine, le tendenze riformistiche, collaborazioniste, socialdemocratiche, servono mirabilmente al gioco controrivoluzionario della borghesia. Ciò dovrà essere dimostrato rammentando il contegno della Confederazione prima della guerra, quando segui con enorme riluttanza l'intransigenza adottata dal partito, mantenendo contatti anche elettorali con uomini e partiti avversi, ed anche con rinnegati del socialismo, e stroncò e svalutò ogni movimento che tendesse a trascendere il lento cammino delle conquiste dei soliti piccoli miglioramenti, usando ed abusando di contatti e contratti con tutti gli organi dello Stato borghese per brigar concessioni; durante la guerra, quando ostentò di affiancare il partito socialista nella sua politica neutralista, ma in realtà gravitò con tutte le sue forze dalla parte di quell'ala destra che morse sempre i freni dell'opposizione alla guerra, non dissimulando il suo socialpatriottismo che solo speciali condizioni resero dissimile da quello di altri paesi, e fece opera pratica (essa Confederazione) di collaborazione colla borghesia nelle sue interne esigenze di guerra, partecipando ai comitati di organizzazione civile e mobilitazione industriale; dopo la guerra, quando si schierò apertamente contro l'adesione alle direttive della rivoluzione russa e della Terza Internazionale, accettando il famoso patto d'alleanza col partito, ma sol per funzionare in realtà come un altro partito, attraverso complicità della rappresentanza parlamentare del proletariato, contrapponendo un suo programma politico, una sua propaganda politica al programma e alla propaganda massimalista; facendo al massimalismo alleato il gioco abilissimo di fingere di seguirlo disciplinata per silurarlo in tutte le azioni col suo ostruzionismo implacabile, e cantargli quindi in tutti i toni le sue deficienze ed i suoi fallimenti, giungendo cosi al risultato brillante – per la controrivoluzione – che molti quasi massimalisti della prima ora oggi volgono precipitosamente a destra, convinti che le direttive in un primo slancio abbracciate abbian fallito, quando non quelle, ma la decennale pratica riformistica e socialdemocratica è stata purtroppo sperimentata nel dopoguerra dal proletariato italiano, e quella è fallita, ossia si è rivelata antirivoluzionaria.
Tutto questo deve esser detto e sarà detto con chiaro senso critico marxistico, in modo che giunga alla rude anima proletaria, e avvalendosi largamente di quanto hanno in mille occasioni detto e scritto anche molti di coloro che oggi sono al fianco dei capi confederali e che li difenderanno come esponenti del loro partito - di quel partito che è finalmente prigioniero del riformismo sindacale e parlamentare, ma senza che nella trappola sia caduto il proletariato italiano, che dall'opera e dalla battaglia dei comunisti deve essere tratto fuori dall'insidia e dal pericolo.
Passando dal giudizio sul passato ai programmi d'azione per l'avvenire, il congresso confederale affronterà, tra gli altri temi minori, due grandi problemi politici tra loro strettamente connessi: i rapporti internazionali e i rapporti col partito socialista.
Qui sarà compito dei compagni del nostro partito fare una completa ed efficace esposizione di quelli che sono i metodi sindacali propugnati dai comunisti. Il partito comunista d'Italia possiede di questi problemi una chiara e concorde visione poiché da una parte esso si pone sul terreno marxistico della valutazione della questione sindacale, dall'altro accetta non solo per disciplina ma anche per intimo convincimento le soluzioni tracciate dal II Congresso della Terza Internazionale. Infatti se dinanzi ad altri problemi che quel congresso esaminò gli elementi che oggi costituiscono il nostro partito comunista presero diversi atteggiamenti, salvo a riconoscere la incondizionata disciplina alle decisioni del Congresso, nella questione sindacale l'accordo fu completo: non esisteva e non esiste nel movimento comunista italiano una tendenza di opposizione ai criteri sindacali delle tesi di Mosca – come esisteva in molti altri paesi, specie in Germania – quindi noi ci troviamo nelle migliori condizioni per fare una magnifica, cosciente affermazione delle direttive della Internazionale comunista in un grande congresso sindacale, cosa che avrà grande ripercussione nelle file del movimento proletario internazionale, ed agli effetti della soluzione dei problemi che si collegano alla costituzione della Terza Internazionale sindacale.
Noi ci riserviamo di ritornare in dettaglio su queste interessanti questioni e di pubblicare ampiamente i risultati degli studi che al proposito hanno intrapreso, d'accordo col partito, i compagni che si incaricano della preparazione comunista al congresso confederale. Per il momento li prospettiamo in brevi sintesi.
Secondo il metodo marxista i rapporti tra sindacati e partito sono fissati in modo che il partito politico, rivoluzionario, di classe, che comprende gli elementi meglio coscienti e preparati idealmente e materialmente, deve dirigere in tutta l'opera rivoluzionaria i sindacati operai, nei quali si raggruppano masse molto più vaste e preparate a forme meno avanzate di lotta: il partito per assolvere il suo compito deve avere stretta omogeneità di programma ed assoluta intransigenza di metodo, attirando nelle sue file i proletari man mano che divengono maturi per la lotta rivoluzionaria. Il sindacato non potrebbe da solo sostituire il partito e condurre la lotta rivoluzionaria proletaria, ma d'altra parte il partito, per svolgere la sua preparazione, ha bisogno che i sindacati esistano, e comprendano la più grande massa proletaria nella quale il partito può e deve svolgere il suo lavoro.
Dinanzi al fatto storico della degenerazione del movimento proletario, dell'essere caduti partiti e sindacati in mano ad elementi piccolo borghesi e socialpacifisti, la reazione che ha condotto alla ricostituzione del movimento rivoluzionario nella Terza Internazionale si svolge nel senso di spezzare i vecchi partiti per dar luogo a partiti comunisti costituiti sulla base del programma e dell'azione rivoluzionaria, ma non di spezzare i sindacati. Risolto il problema storico della costituzione del partito comunista, la lotta contro il riformismo nei sindacati viene condotta dall'interno; sulla base del disciplinamento da parte del partito politico di tutta l'azione degli organizzati e degli organizzatori comunisti, a mezzo di gruppi comunisti formati in ogni sindacato, con l'obiettivo di abbattere i capi e conquistare al partito l'adesione dei sindacati e la loro totale direzione, attraverso quella sistematica disciplina e non attraverso speciali patti d'alleanza basati sulla parità di diritti tra sindacati e partito, concetto questo del tutto socialdemocratico.
Le proposte dei comunisti quindi al congresso confederale non tendono e non possono tendere in nessuna eventualità, anche in quella che la Confederazione restasse nelle mani di capi ancora peggiori degli attuali, a scinderla in due organismi, per poter subito avere un organismo sindacale dipendente dal partito. È solo per basse finalità polemiche che i riformisti e gli unitari ci attribuiscono l'intento di voler scindere la Confederazione, cosa che contrasterebbe con tutto il nostro criterio teorico e tattico e colle tesi di Mosca. Resteremo, ma resteremo appunto perché è questo per noi il miglior metodo per uccidere il riformismo, per debellare i controrivoluzionari che oggi dirigono le organizzazioni del proletariato italiano, colla complicità di tanti massimalisti di ieri, ed è metodo [disfattista] quello di allontanarsi dalla massa, lasciando i riformisti meglio arbitri di asservirli alla loro politica.
La organizzazione internazionale sindacale che vive al fianco della Seconda Internazionale politica, non meno di questa ha tradito ed è stata dispersa dagli avvenimenti. Si può anzi dire che il suo naufragio nei gorghi della collaborazione borghese è stato ancor più vergognoso. Tuttavia mentre la Seconda Internazionale politica è definitivamente battuta, e si può considerare che più non esista dinanzi al rigoglieggiare della Terza Internazionale comunista, gli elementi socialdemocratici che sono la lunga mano della borghesia sperano ancora di mantenersi in sella nel campo sindacale, ed organizzano, nell'Ufficio e Segretariato di Amsterdam, una Internazionale Sindacale asservita al riformismo, anzi alla politica borghese reazionaria della "Lega delle nazioni".
La Internazionale comunista ha già da tempo presa l'iniziativa di strappare la direzione del movimento economico proletario a quell'organismo controrivoluzionario, attraverso la costituzione di un Consiglio Internazionale dei sindacati rossi, strettamente collegato agli organi centrali della Internazionale politica. Giusta la convenzione con cui a Mosca si costituiva tale Consiglio, e giuste le decisioni prese in merito dal Congresso della Internazionale, a questo organismo internazionale aderiscono le confederazioni sindacali nazionali che hanno indirizzo comunista, e sotto per le tesi della dittatura proletaria e della rivoluzione sovietista - ed aderiscono anche le minoranze comuniste di organismi sindacali nazionali diretti da socialdemocratici. Mentre tali minoranze non devono uscire, per le ragioni generali di tattica che abbiamo esposte, dai rispettivi organismi nazionali, le confederazioni nazionali guadagnate dai comunisti, nell'aderire a Mosca, devono senz'altro staccarsi da Amsterdam.
Da parte dei riformisti confederali italiani, e dei vari Serrati che lor tengono bordone, si tenta di imbrogliare le carte sostenendo la possibilità di aderire a Mosca e ad Amsterdam contemporaneamente, ma questo non è che un trucco volgare, a disperdere il quale riprodurremo, se sarà necessario, tutta la documentazione già data sulla nostra stampa anche prima del Congresso di Livorno. Bisogna porre nettamente ai lavoratori organizzati italiani il dilemma: o con Amsterdam o con Mosca. Bisogna mostrare quanto sia assurda la insidiosa supposizione che sia al prossimo congresso internazionale dei sindacati rossi, sia al terzo congresso della Internazionale, si possa tornare sopra a queste decisioni, per riprendere in considerazione i fuorusciti politici e sindacali italiani.
Se, come è probabile, la maggioranza si pronunciasse per Amsterdam, la minoranza comunista della Confederazione dovrà darsi una organizzazione propria, per proseguire il lavoro nell'interno della Confederazione, e per intervenire con tutto il bagaglio del suo programma nettamente comunista alla riunione internazionale dei Sindacati Rossi.
Per quanto riguarda i rapporti col partito politico proletario, è evidente che i comunisti dovran proporre il ritiro della adesione al Partito socialista, e, come logica conseguenza della proposta di adesione a Mosca, l'adesione al Partito Comunista d'Italia, sezione della Internazionale Comunista. Una soluzione intermedia non esiste né potrebbe esistere. I comunisti che sono nella Confederazione si conteranno sulla proposta di adesione al loro partito, e non prenderanno menomamente in considerazione alcuna altra proposta od espediente.
Il problema dei rapporti col partito si presenta parallelamente a quello dei rapporti colla Internazionale. O col Partito Comunista d'Italia e colla Terza Internazionale sindacale e politica, o col partito socialista rifo-unitario e coll'Internazionale gialla di Amsterdam. Anche se il Congresso rispondesse con questa seconda parola, noi proseguiremo la lotta, certi che le masse proletarie sono con Mosca, sono con noi, sono per la lotta a fondo contro le manovre controrivoluzionarie del riformismo, e, con esse e con Mosca, la vittoria arriderà alla nostra bandiera.
Fonte | Il Comunista n. 4 del 10 novembre 1921 | ||
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