Mentre si prepara la "spedizione pacificatrice"
Ancora due parole
Il socialismo rivoluzionario riconosce che, in un determinato momento storico, per ragioni che qui è superfluo ripetere, l'urto fra le due classi sociali assume gli aspetti della guerra civile. Questa, ch'è guerra combattuta con tutte le armi, si manifesta dapprima episodica, come cozzo di pattuglie le quali aumentano di numero e moltiplicano la loro attività e la loro asprezza aggressiva. C'è taluni che vogliono dettare norme cavalleresche nella guerra combattuta. Come tali iniziative siano infantili e lontane dalla realtà che si vive angosciamene sul campo dell'azione, l'esperienza bellica dimostra, e lo dimostra anche l'esperienza delle rivoluzioni passate e recenti.
Distinguere la violenza collettiva dalla violenza individuale in guerra vuol dire cavillare intorno alla possibilità di un combattimento dal quale possa essere bandita la violenza individuale; e – al più spesso – significa non voler combattere la guerra. Si è apertamente contro la guerra civile, e cioè si nega la lotta di classe (giacché non è socialisticamente ammissibile la lotta di classe che non giunga – per le ragioni stesse che la originano – alla guerra civile); allora si ha il dovere di chiaramente parlare al proletariato, come troppe volte hanno fatto gli uomini della destra socialista. Ma se si accede alla necessità storica della guerra civile, si deve accettare questa con tutte le intemperanze che l'accompagnano, pur domandandone, attraverso una disciplina politica, l'indirizzo e prevedendone gli sbocchi.
È difficile stabilire quale sia la "violenza per la rivoluzione" e la "violenza per la violenza". Soltanto pochi malati possono definirsi esteti della violenza, ma il proletariato che è – generalmente – sano, adopera una violenza cosciente, determinata da alcune situazioni storiche ed economiche che noi sappiamo.
Il proletariato toscano che al fronte aveva fama di pusillanimità e che dette una forte percentuale di diserzione, è oggi quello che meglio combatte contro le bande bianche. Può dirsi forse che questo proletariato sia violento per amore della violenza?
Noi comunisti affermammo da qualche anno – e l'affermazione trovò consenso in tutte le tendenze che vivono sotto la bandiera del Partito Socialista Italiano, giacché non era essa una nostra opinione personale – che la situazione internazionale apertasi con lo scoppiare della guerra europea è una situazione chiaramente rivoluzionaria. La Rivoluzione russa nacque da tale situazione e apre l'era delle rivoluzioni proletarie. Tali affermazioni suffragate dalla critica dei fatti che si svolsero e si svolgono nel mondo furono – sino a ieri – patrimonio della polemica del Partito Socialista Italiano. Usciti dal Partito Socialista Italiano noi ci proponiamo di trarre, dai motivi storici che accelerano la crisi dell'economia borghese e dalle esperienze delle rivoluzioni proletarie vittoriose e vinte, le conclusioni di ordine tattico, le quali ci dicono che il proletariato non può risolvere gli angosciosi problemi del suo presente e del suo divenire se non impossessandosi del potere politico e che il possesso del potere politico non può che avvenire violentemente. Il concetto della dittatura del proletariato, che oggi è un fatto in una grande nazione, non è che un mezzo per distruggere a poco a poco i residui di capitalismo che il potere proletario porta seco e permette a questo di iniziare il trasferimento della proprietà individuale alla collettività. Questi concetti sono popolari, ormai, sebbene non siano più ribaditi nella stampa e nella propaganda del Partito Socialista Italiano.
Noi quindi abbiamo una linea logica di principio e di tattica, e non ci si può sorprendere in contraddizione.
Siamo perciò vivamente sorpresi allorché leggiamo sull'Avanti! parole come queste:
"Il neonato Partito Comunista può nascondersi dietro di noi, la sua stessa dappochezza, la stessa sua mancanza d'istituti formati e di organismi in pieno sviluppo, gli permettono di fare la voce grossa e di appiattarsi alle nostre spalle, godendo così il doppio privilegio di indicare noi al bersaglio del nemico comune, e di farsi bello, dinanzi alla folla, di una opposizione che esso compie soltanto in quanto ha trovato in noi i suoi gerenti responsabili. La sua forza in fine dei conti è come la forza dei fascisti: è fatta d'irresponsabilità. Quando non si ha nulla da perdere, quando il babbo ricco pensa alle spese, si può fare anche la voce grossa!".
Queste parole sono davvero atroci per la malafede cui sono ispirate. È troppo facile ai nostri avversari socialdemocratici tacciar d'incompetenza, d'incoerenza, di eccessiva vivacità polemica: ma noi non sappiamo davvero contenerci dinanzi a manifestazioni così evidenti d'impudenza.
Noi abbiamo il diritto di chiedere ai nostri perfidi nemici della socialdemocrazia:a) in quale occasione il Partito Comunista d'Italia si nascose dietro le ampie spalle del Partito Socialista Italiano? Già dai giorni che precedettero il Congresso di Livorno noi separammo dinanzi alle masse le nostre dalle responsabilità controrivoluzionarie del Partito Socialista Italiano; e molte volte abbiamo assunte le responsabilità che ci spettavano. Non abbiamo mai persa l'occasione per dire il nostro pensiero anche quando non era "igienico" essere sinceri. Ed oggi chi è che si mantiene sulla breccia solo contro un mondo di nemici tra i quali vediamo i nostri compagni di ieri? Ah, no, non è onesto mentire così spudoratamente! Noi, anzi, preghiamo i nostri ex compagni di dichiarare pubblicamente che tutte le responsabilità dell'educazione rivoluzionaria del proletariato spettano a noi comunisti: noi gradiremo dai socialdemocratici questo atto di onestà e di sincerità. Per conto nostro noi li rassicuriamo che noi ripeteremo sempre che essi nessuna colpa hanno dello stato convulso in cui vivono il proletariato e la borghesia; che essi sono contro ogni violenza, che essi combattono il comunismo come si combatte un avversario, che essi sono disposti alla sincera pacificazione con il fascismo il cui terrore antisocialista fu dovuto ad un equivoco frutto d'ignoranza nei dirigenti del fascismo italiano. Se anche fossimo stati poco chiari fino a ieri – ci sembra di no – speriamo oggi con questa nostra dichiarazione della quale preghiamo i socialdemocratici di prendere atto;
b) che la nostra forza sia fatta d'irresponsabilità, questo lo contestiamo in nome dell'intelligenza. Modestia a parte, ma i dirigenti socialisti sono indegni di occupare i posti che occupano. Non bastano cinquanta o sessant'anni di età per avere il diritto di dirigere le masse. Con questo criterio l'onorevole Paolo Boselli potrebbe essere un ottimo segretario del Partito Socialista Italiano. Occorre preparazione, lucidità mentale, ed un poco almeno di passione. L'idea vuole essere amata perdutamente. Noi abbiamo molto radicato il senso della responsabilità ed il Serrati varie volte ha dovuto constatare che qualcuno fra noi ha ben piantata la testa sulle spalle.
c) Sì, è vero: noi non abbiamo nulla da perdere ma non c'è contraddizione fra questa affermazione e l'altra che spesso ci accade di sentire, che cioè noi siamo dei volgari arrivisti e magari degli accaparratori di stipendi? Noi sappiamo che quest'ultima accusa schizza incosciente dal furore polemico! Se fossimo rimasti nel Partito Socialista Italiano, lo dicano sinceramente i capi socialisti, avremmo potuto sperare qualche facile gloria ed anche qualche… "posto". Noi accettiamo, perché rispondente al vero, l'affermazione più recente: "noi comunisti non abbiamo nulla da perdere". Potremmo allargare il concetto e ripetere con Marx "il proletariato non ha nulla da perdere, con la sua rivoluzione, fuorché le proprie catene". È dunque per il timore di perdere qualcosa che i socialisti (molti di essi) paventano la rivoluzione proletaria. Ciò dice chiaramente che il Partito Socialista non è il partito della classe lavoratrice. È vero?
La malignità poi del "babbo ricco" che pensa alle "spese" è cattiva. Papà si è impoverito per pagare i vizi dei nostri fratellastri scioperati. E dire che papà avrebbe tanto bisogno di un poco d'aiuto, di un poco, di un poco di cuore! Ma questo è un argomento assai spinoso: soltanto chi vive in mezzo a noi può conoscere i sacrifici che si compiono.
C'è un'altra cattiveria nelle parole socialiste: "Noi comunisti facciamo la voce grossa" e basta …
Rispondano i nostri morti, i nostri esuli i nostri affamati all'insulto banale e stupido. E se tuttora non chiaramente può delinearsi il sacrificio dei comunisti italiani per l'equivoco che fascisti e socialisti han generato, domani – per merito di queste stesse due correnti politiche – il nostro piccolo "neonato" partito si erigerà come una figura sanguinante, sola, eroica, illuminata dal sorriso della gioia di aver tenuto alta e forte, in una prova d'amore sublime la bandiera sbrindellata e sanguinante della Rivoluzione proletaria.
Fonte | Il Comunista n. 46 del 31 luglio 1921 | ||
---|---|---|---|
Autore | Non firmato | ||
Archivio n+1 | Copia dattiloscritta | Rif. | |
Livello di controllo | Rilettura X | Confr. Orig. | Rev. critica |