Perché i partiti socialisti hanno tradito il socialismo e la rivoluzione
discorso della scissione al congresso di Livorno del PSI (1921)

Pubblichiamo ampi stralci del vasto discorso della scissione, pronunciato da Bordiga il 19 gennaio 1921. Non è solo o tanto l'orazione illustrativa di una mozione, già svolta da Umberto Terracini, quanto l'analisi dei motivi internazionali, storici ed universali, che rendono necessaria la rottura con i riformisti. La valutazione è una "summa" ideologica e storica, che va al passato ed al presente (secondo un criterio che nella vecchiaia Bordiga chiamerà "filo del tempo"), per identificare, come ormai i principali storici hanno attestato, la volontà di scissione con la scelta della rivoluzione contro lo Stato borghese.

[...] Nella sua grande maggioranza il movimento socialista negli ultimi decenni che precedettero il 1914, aveva assunto quel carattere a voi ben noto che lo aveva condotto a travisare ed abbandonare la fondamentale dottrina marxista e la prassi rivoluzionaria che da quella dottrina scaturiva. Non fu certo caso, capriccio, vanità di uomini quello che determinò un indirizzo simile, ma furono gli stessi carátteri dello svolgersi del capitalismo. Noi avevamo la sinistra marxista, sempre difesa, anche nel seno della vecchia Internazionale; noi possedevamo fino dall'opera critica fondamentale di Marx e di Engels tutto quel bagaglio di dottrina che ci conduceva a prevedere la fine del inondo capitalistico in quella concezione dello sviluppo rivoluzionario che nel Manifesto dei comunísti è meravigliosamente compendiato. Ma questa previsione del modo con cui la società capitalista sarebbe scomparsa dalla storia dell'umanità, questa previsione tracciata storicamente, politicamente nel Manifesto dei comunisti, analizzata nei suoi dettagli nel Capitale, non era certamente uno schema freddo e semplice che senz'altro poteva realizzarsi e senz'altro avere la sua esplicazione.

Sí, il capitalismo, attraverso all'analisi che noi marxisti ne facevamo, appariva destinato a soccombere; lo sviluppo di certe sue intime contraddizioni appariva destinato a rimanere incapace di rappresentare piú oltre un certo punto, il sistema possibile di produzione di cui l'umanità poteva avvalersi. Ma nello stesso tempo il capitalismo e la società borghese elaboravano nel proprio seno degli elementi di conservazione, degli elementi di equilibrio alle condizioni della loro crisi, delle anti-tossíne che ogni organismo elabora per combattere le tossine che ne minano l'esistenza.

Ora, il movimento proletario nella seconda Internazionale andava a poco a poco verso questa fisionomia, anzi che essere il coeflìciente decisivo del rovesciamento del capitalismo. Nella lotta suprema fra la forza produttiva che avrebbe dovuto ribellarsi all'ingranaggio dei rapporti fra produttori e borghesi, e la classe padronale, attraverso il complicarsi della fase capitalistica della evoluzione del mondo borghese, si era fatto diventare il movimento proletario un coefficíente di equilibrio e di conservazione del regime borghese. In quanto che, abbandonandosi da un lato - e i due fatti sono insopprimibili nel campo dottrinario la critica fondamentale delle ideologie democratico-borghesi e piccolo-borghesi, che è il punto di partenza del marxismo, dall'altra parte non si veniva píú a creare l'antitesi fra il proletariato gerente di nuove ideologie, di nuove forze, di nuovi sistemi, di nuovi istituti, e tutto il meccanismo democratico proprio del sistema capitalistico: al posto di questa fondamentale antitesi rivoluzionaria veniva a sostituirsi una contraddicenza, un comparteggiamento fra il principio ideologico e il sistema rappresentativo della democrazia borghese, e la funzione del movimento proletario, inteso non ancora come lo slancio supremo e autoritario della classe verso il suo destino, ma come i piccoli tentativi di gruppi, di gruppetti e di categorie di impossessarsi di limitati interessi.

Perché il grande interesse di classe proletaria non può, non deve, non riuscirà mai a realizzarsi nei quadri del meccanismo politico presente. Se i supremi destini di tutta la classe proletaria non possono raggiungersi se non spazzando via le istituzioni politiche su cui il capitalismo basa il suo potere, esiste però una possibilità di conciliazione degli interessi immediati, contingenti, del gruppo o della categoria, con quelle soddisfazioni che si possono, sia pure illusoriamente, perseguire avvalendosi del meccanismo democratico, avvalendosi del diritto elettorale, avvalendosi di quel tanto di diritto che la società borghese deve riconoscere alle masse proletarie nella sua costituzione.

In questa seconda funzione che il socialismo aveva assunto, o compagni, nella seconda Internazionale, esso era divenuto un movinfento sindacale cooperativo di gruppi operai, per interessi immediati, su cui si allacciava perfettamente un movimento puramente clettoralistico, puramente socialdemocratico di conquista dei mandati elettivi nell'organismo rappresentativo borghese, allo 'scopo di portare innanzi la borghesia a lato di una classe destinata a combatterla e ad abbatterla.

Questo movimento, questo fenomeno storico, limitando l'ascendere rapidissimo del profitto capitalistico, servendo da fattore di equilibrio all'avidità di guadagno della classe borghese, compensava quel processo fatale di accentramento dei capitali, di accrescimento della miseria, di esasperazione dei rapporti capitalistici, compensava senza poterlo eliminare definitivamente, compensava questo processo e faceva sí che la società borghese potesse trovare equilibrio in quella sua intima contraddizione, propria delle funzioni del movimento proletario, propria delle funzioni della piú gran parte del movimento socialista della seconda Internazionale che aveva relegato le vecchie formule rivoluzionarie al posto di un freddo quadro su cui si lanciava qualche volta uno sguardo, e che si chiamava il programma massimo, ma che viceversa dedicava tutta la sua attività, tutta la sua prassi in quella relazione che aveva scritto per il suo programma minimo e che non rappresentava altro che dei gradini che il proletariato avrebbe dovuto percorrere a gradi. Orbene, questo movimento revisionista era caratterizzato da una dottrina e da una teoria che la storia ha dimostrato fallace. La concezione marxista pessimistica, catastrofica, rivoluzionaria, che diceva non essere possibile uscire pacificamente dal meccanismo dell'attuale società e che non era possibile evitare che la contraddizione del capitalismo conducesse ad una suprema battaglia rivoluzionaria fra le classi, questa previsione storica era sostituita dall'altra previsione; che invece il mondo capitalista si sarebbe gradualmente, lentamente, ma sicuramente modificato, accettando queste iniezioni di socialismo che si andavano facendo nelle diverse sue strutture fino a diventare, senza bisogno di questo urto supremo, senza bisogno di questo conflitto, di questa catastrofe, a diventare a poco a poco, a trasformarsi nella società socialista, nella società basata sulla socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio.

Orbene, io non insisterò molto nel dimostrarvi come la guerra sia la dimostrazione della fallacia di questa dottrina. Non devo fare una conferenza di propaganda, né posso attardarmi a dimostrare come appunto la guerra, crisi suprema, ultima fase dell'imperialismo capitalistico, non faccia altro che riconfermare quella caratteristica che la dottrina di Marx aveva segnato alla crisi finale del regime borghese. Quindi, dinanzi alla guerra, il movimento si vide togliere dalla storia la possibilità di realizzare il suo programma. Quale fu il suo compito, quale fu il suo róle in una situazione di questo genere? E qui interviene anche a spiegarci questa situazione, che poi - come vedremo si ripete nell'episodio del dopo guerra: interviene a spiegarci che la nostra dottrina, il nostro metodo critico, non è la volontà di uomini; che non è la coscienza o il pensiero che dirigono la storia, ma sono forze piú complesse e piú profonde. Di modo che non era possibile attendere che queí revisionasti che avevano escluso la possibilità di un attacco rivoluzionario fra proletariato e borghesia, che avevano accarezzato l'illusione della rivoluzione pacifica e graduale del mondo capitalistico, che non solo doveva escludere la guerra di classe, ma escludere la stessa guerra fra Stato e Stato capitalistico; non era possibile dinanzi al fenomeno cosí grandioso, al suo esplodere, nonostante l'ammonimento venuto dall'ultimo congresso della seconda Internazionale, non era possibile che tutti costoro dicessero: "Abbiamo errato; le nostre teorie erano sbagliate e quindi siamo pronti a ritornare sui nostri passi." Ed è là che bisogna ritornare: all'antica via del metodo rivoluzionario, e bisogna quindi rifiutare di seguire la borghesia nella guerra, e bisogna piuttosto accettar quelle armi che essa porge ai proletari per adoperarle nell'urto rivoluzionario.

Questo non era possibile ed ecco anche perché quando parliamo del fenomeno che sono qui a trattarvi, seppure lo vogliamo dire - in mancanza di termine migliore che forse si troverà in qualunque lingua - fenomeno di opportunismo, non intendiamo fare una definizione di ordine etico e individuale: intendiamo parlare di un fenomeno superiore ad ogni volontà di coloro che erano alla testa del movimento proletario alla vigilia della guerra. Il campo sindacale da una parte, il campo parlamentare dah'altra erano i guidatori del meccanismo congegnato per raggiungere quell'effetto, per dare al proletariato quelle piccole soddisfazioni e quei piccoli miglioramenti e per arrivare a questo risultato avevano inevitabilmente dovuto poggiare la loro macchina in tale modo da essere in continuo contatto, con continua discussione, in continua transazione con la borghesia, in accordi continui nel campo sindacale che tendevano sempre piú a incanalarsi nella via della collaborazione politica, del possibilismo, di accordo nell'amministrazione stessa della pubblica cosa e nell'intervento stesso dei rappresentanti del proletariato nel meccanismo del potere governamentale borghese. Ecco perché non fu possibile nel 1914 arrestare questa macchina che pure il proletariato alimentava coi suoi sforzi, con la sua cassa, coi suoi sacrifici, con la sua azione, e qualche volta anche col suo sangue, perché anche allora eranvi episodi violenti della lotta di classe. Essa seguitò a girare ed i suoi dirigenti seguitavano a farle seguire lo stesso metodo non potendo alterarne il cammino fatale.

Ma questo meccanismo se veniva a perdere il suo obiettivo finale e la sua concezione teorica, non poteva perdere la sua prassi e la sua struttura meccanica, e poiché esso serviva all'equilibrio della borghesia, il fine, cioè la collaborazione, mancò perché la possibilità del riformismo mancava. Ma il fatto della collaborazione, superiore alla volontà di ognuno, restò, e quindi il Partito socialista e le organizzazioni proletarie delle piú grandi parti del mondo divennero i migliori strumenti che il capitalismo avesse potuto immaginare e desiderare per condurre le folle proletarie, senza resistere, al sacrificio della guerra nazionale. [Applausí] [...]

Dunque, compagni, quando si determina il problema (9 come deve il proletariato liquidare l'eredità della gucrra,"- il revisioniamo, con maggior ragione che altrove, effettivamente poteva sostenersi in Russia perché era l'unico paese ove la forma democratica della rivoluzione poteva essere affermata dal punto di vista socialista, poteva sostenersi anche in presenza della necessità di lasciare funzionare per qualche tempo una costituzione politica di ordine parlamentare e democratico. Ma anche lí, nel paese dove meno avrebbe dovuto avvenire e dove è avvenuta, contro le condizioni locali, per effetto di una condizione universale, l'eredità storica della situazione di guerra ha fatto sí che quando il proletariato russo si è trovato di fronte al problema della massima realizzazione della conquista del potere, dell'abbattimento di quegli istituti democratici che erano appena nati; anche lí il movimento proletario si è diviso, anche li sono stati i seguaci delle dottrine socialdemocratiche e riformaste, i capi politici del proletariato, i quali hanno detto: "No, non è questa la prospettiva, non questo l'avvenire. Non può il proletariato russo arrivare a questo. No. Anche senza negare che si debba giungere in Russia alla dittatura del proletariato, perché questo problema lo ha meglio elaborato il movimento socialista russo che quello degli altri paesi." E dimostrarono prima, nelle conferenze internazionali durante la guerra, a Zimmerwald ed a Kíenthal, ove convennero molti socialisti contrari alla guerra per diverse ragioni. Ma, come dicevo, fu la sinistra della Russia bolscevica che pose con piú grande chiarezza la tesi: non bastava deprecare la guerra come si potevano deprecare una volta le nequizie del capitalismo, ma bisognava dichiarare che la parola d'ordine da lanciare alle masse era questa: dalla guerra nazionale degli Stati alla guerra civile del proletariato. [Applausi]

In Russia, dunque, compagni, avvenne perfettamente, con assoluta analogia, lo stesso fenomeno di questo movimento riformista, menscevico, socialdemocratico, dinanzi al momento supremo in cui ormai il proletariato, poggiandosi sul nuovo istituto, impadronendosi delle armi che l'esercito e la marina avevano nelle loro mani, ingaggiava la battaglia suprema per la conquista del potere. In quel momento il menscevismo non disse: "Le mie teorie falliscono, quello che credevo impossibile nella Russia di oggi è invece realtà imminente di domani perché già il proletariato è in piedi, infiammato da questa parola d'ordine della conquista del potere." Esso non disse questo perché queste conversioni non sono possibili, perché aveva nelle sue mani una struttura, un meccanismo che doveva seguitare a girare come aveva girato fino allora, funzionando a fianco di Kerensky e Martoff, seguitando ad esplicare la sua prassi di collaborazione borghese. E quando Lenin si levò di fronte a Kerensky, i menscevíchi non scelsero, ma andarono con Kerensky e andarono con la causa della borghesia contro la causa della rivoluzione. [Applausi]

Io voglio sorpassare le analoghe constatazioni che si possono fare ove si tratti delle altre rivoluzioni comuniste non trionfate, come la rivoluzione russa, ma fallite. Voglio appena accennare che queste esperienze di ordine storico ven-,ono confermate soprattutto da quelle rivoluzioni che si sono arrestate alla fase socialdemocratica capeggiata dai riformisti. In quanto anche essi sono per la presa del potere, ma essi vogliono andare senza il preventivo attacco violento alle istituzioni attuali e quindi senza nessuna forza che permetta loro come primo atto la sostituzione del proletariato alla borghesia, di prendere questo meccanismo giuridico, militare, poliziottesco e spazzarlo e buttarlo via in rottami come quello di un ordigno che nella storia abbia fatto il suo tempo, per lasciare il posto all'irrompere di altro istituto.

Essi questo non vogliono credere possibile. Essi non credono che il proletariato possa gestire il potere solo dopo aver spezzato la macchina gestita dai suoi oppressori: essi credono che esso possa usufruire degli stessi ordigni che oggi il proletariato si trova dinanzi quando attacca i privilegi della minoranza borghese.

Dicevo che abbiamo avuto dei governi socialdemocratici. Badate, non solo in collaborazione coi partiti borghesi, ma anche dei governi fondati su parlamenti socialisti alla unanimità meno uno o meno due, come nell'Ucraina e nella Georgia, e come in altri paesi in modo meno evidente. Si è visto cosí nella maniera piú grande il fallimento della socialdemocrazia, perché non solo questi paesi non hanno realizzato ciò che, fra mille ostacoli, la dittatura del proletariato ha realizzato in Russia, nella costituzione economica su pure basi marxiste, contro qualunque menzogna borghese; non solo non hanno realizzato nemmeno quella loro tesi storica che Terracini ha ben spiegato; ma non hanno neppure potuto confermare la loro dichiarazione che può il proletariato andare al potere per le vie democratiche evitando la dittatura e la violenza, evitando la violenza di libertà e di diritto di pensiero e di agitazione perché i loro governi hanno avuto bisogno di dittatura, di violenza, di soppressione dell'altrui libertà. Ma come si è verificato questo? Mentre nella dittatura dei Soviety russi chi giace sotto la dittatura stessa, chi subisce anche gli orrori del terrore rosso ed è calcolato nemico della causa del proletariato, è la classe degli sfruttatori, privata dei suoi antichi diritti e privilegi, che cerca insidiare le conquiste della rivoluzione; in questi paesi, invece, si esercita la dittatura, si esercita la violenza, si applica il terrore, contro i proletari, contro i comunisti. [Applausi]

Ecco dunque, compagni, le due alternative che la storia moncìiale oggi presenta: dittatura borghese o dittatura proletaria. Ma qquviene la funzione della scuola intermedia che dice "avanti" ai proletari, ma senza dittatura e senza violenza. La sua funzione è segnata nella storia al di là della volontà e della sua coscienza, e cioè di essere l'ultima gerente della dittatura borghese contro la rivoluzione proletaria. Quindi, compagni, abbiamo cercato piú che ricordare i casi in antitesi, di stabilire quali siano i sintomi preventivi di questo pericolo il quale è nelle file, anche oggi, del movimento proletario. Abbiamo cercato di vedere il carattere di questo movimento perché oggi che su tutto il mondo, per effetto del valore socialista prodotto dalla guerra e dalla rivoluzione russa, per iniziativa e legittimo onore dei compagni del grande Partito marxista e rivoluzionario di Russia ' oggi che si ricostituisce un nuovo ordigno di lotta e di riscossa del proletariato, bisogna ricostruirlo con criteri antitetici e opposti; bisogna evitare che esso possa ancora correre il rischio di diventare un meccanismo di conservazíone e di equilibrio capitalistico anziché diventare arma ben temprata che nel pugno del gigante proletario servirà a sorpassare le ultime resistenze del mondo attuale.

E quindi, compagni, ecco il problema dinanzi a cui l'Internazionale comunista s'è trovata in quanto che nel disgregarsi dei vecchi partiti della seconda Internazionale, nella impossibilità per essi di riprendere il loro compito di prima della guerra perché troppo clamorosamente erano stati disonorati dinanzi alla grande massa proletaria, ecco che si verifica il fatto che taluni di questi partiti cercano di entrare nella terza Internazionale e verso il principio dell'anno scorso in parecchi congressi alcuni partiti sostanzialmente socialdemocratici abbandonano la seconda Internazionale riservandosi di entrare nella terza. E allora, o compagni, dinanzi a questo principale problema, il comitato esecutivo della Internazionale comunista convocò il congresso di Mosca. Si trattava di identificare questo pericolo, di vedere quali sono i suoi caratteri, di assodare quali sono le norme con cui si possa guardarsene, di fare la diagnosi e trovare la cura di questa malattia opportunista che minaccia di incancrenire il pericoloso movimento proletario, che minaccia di penetrare nelle stesse file della nuova Internazionale che si costituisce. E allora, attraverso il materiale di critica che il pensiero comunista marxista ha opposto non da oggi, ma da prima della guerra, dalle note polemiche di allora fra la sinistra rivoluzionaria e la destra riformista, da tutto questo materiale si trassero le prime basi per l'identificazione del pericolo riformista.

E poiché credo che questo congresso darà qualche cosa ancora per l'esperienza internazionale di questa lotta, voglio ricordare quali sono i caratteristici argomenti che gli opportunisti invocano, allo scopo di vedere dove essi siano in Italia, se essi siano ancora in Italia, come bisogna liberare il movimento e quale monito venga dal risultato di questo congresso, e, in questo senso, quale sarà la conseguenza, in tutto quanto il movimento comunista del proletariato internazionale.

Vi dicevo che il movimento revisionista era caratterizzato da quelle pratiche su cui non occorre insistere, tutte corporatíve nella economia, tutte elettorali nella politica; ma esso era caratterizzato anche da certe sue tesi favorite. [...]

Un argomento caratteristico? Io ne ricorderò alcuni anche perché non voglio tediarvi. Il modo di considerare da parte del riformismo il problema della rivoluzione. Allorquando alla vigilia della guerra, il problema non era all'ordine del giorno della storia, non stava dinanzi a noi, quando anche allora abbiamo parlato di programma rivoluzionario e di tendenza rivoluzionaria si era perché noi dicevamo: Sí, non è possibile fare la rivoluzione oggi, non esistono tutte le condizioni di forza proletaria che possano permettere questo supremo urto, ma bisogna tuttavia fare la propaganda in mezzo al proletariato della necessità di questa evoluzione, bisogna dire che in ogni episodio, in ogni lotta egli non risolve nulla, ma acquista un'esperienza di piú, che questo attuale meccanismo sociale non offre uno spiraglio di luce per il suo avvenire se non si spezza e si disperde per fissare lo sguardo nel cielo aperto. Questa questione fu invece sempre girata dal riformismo ed è una vecchia polemica dei nostri congressi. Fu girata col dire che dal momento che la rivoluzione non è possibile, perché distruggere? "Noi, essi dicono, siamo dei realizzatori, siamo dei pratici, vogliamo dire alle masse ciò che possono fare oggi, non quello che potrebbero fare domani." E con questo sofisma del valutare le condizioni contingenti si combatteva la nostra tesi intransigente. Perché si diceva: Come fate a dire che non si debbano fare blocchi elettorali, che non si deve fare collaborazione di classe? Oggi non bisogna farli, ma domani la situazione cambierà; sarà un'altra, chi sa quale potrà essere. E di ciò il riformismo non aveva la sua visione storica: aveva dovuto abbandonare quella antica visione schematica, ma potentemente rivoluzionaria in questo suo programma che il marxismo aveva tracciato. Esso aveva messo sulla sua bandiera la famosa formula di Bernstein: "Il fine è nulla, il movimento è tutto." R la prassi quotidiana che comporta la conquista di qualche cosa nel campo economico, di fare scioperi ed elezioni. Tutto ciò è fine a sé stesso e non occorre avere mete. Il proletariato non sa che farsene. Ed è curiosissimo, compagni, come su un altro problema si equivochi fondamentalmente, quando cioè si chiama noi volontaristi. Ma volontaristi siete stati voi che avete accusato di eccessivo determiniamo, che degenerava nel fatalismo, quella affermazione che l'azione di allora non era nulla e tutto doveva riporsi nel fine lontano che doveva condurci alla aspettativa negativa del massimalismo storico, mentre voi conducevate il proletariato ad una trasformazione meno profonda della trasformazíone effettiva dei rapporti nella società esistente.

Se vi furono due revisioni volontaristiche del determiniamo marxista che davano per il riformismo la interesistenza della legge storica e della volontà umana, queste due revisioni furono tutte e due contro di noi. Cosí la revisione dei riformisti come quella dei sindacalisti. Mentre invece la sinistra marxísta diceva già allora che bisognava abituare il proletariato a guardare lontano perché la situazione storica non gli dava la possibilità di agire. E l'ostacolo maggiore alla attuazione della rivoluzione proletaria, non è dato dalla volontà di azione del proletariato, ma dallo stesso bagaglio delle sue dottrine, dallo stesso metodo critico; mentre invece noi diciamo che oggi, in questo dopoguerra, la volontà del proletariato coincide con l'atto supremo con cui esso deve superare la struttura del mondo capitalistico. [Applausi]

Non vi sarebbero queste condizioni rivoluzionarie? Interessanti anche qui gli argomenti del revisioniamo. Interessantissimi. Non ci sono perché l'economia capitalistica è misera. Voi però nel vostro formulario marxista non potete avere dimenticato una asserzione: che cioè allorché una società nuova nasce, 'significa che tutte le sue condizioni sono maturate nel senso della società antica, che il proletariato potrà iniziare l'atto rivoluzionario che conduce al comunismo quando sarà completa la evoluzione della forma economica e storica del mondo borghese. Ebbene: è strano, ma per il riformismo si era lontani da questa situazione nel 1914 perché l'economia capitalistica era troppo florida, troppo civile, lasciava perdere qualche briciola del suo banchetto sulle folle proletarie, e adesso che esistono le condizioni inverse, che il meccanismo capitalista non va piú e cagiona la carestia, la miseria e la sofferenza del proletariato di tutto il mondo, oggi si dice che la macchina è troppo sconquassata perché se ne possa prendere possesso. [Approvazioni] Senza una dottrina, senza una idea, ma con questo metodo quotidiano di affrontare la situazione contingente, quest'arte diligente offriva sempre la sua contraddizione al proletariato con risposte che meglio dovevano allontanare ogni volontà ed ogni energia rivoluzionaria. [Applausi]

Anche nell'internazionalismo le varie nazioni hanno capovolto le tesi. Vi ricordate q ' uando durante la guerra noi ci opponevamo alla formula "Né aderire né sabotare la guerra," ed eravamo invece, sia pure in teoria soltanto, per la stessa formula bolscevica di sabotare la guerra borghese? Quando certi moti del proletariato nel 191'7 e nel 1918 facevano intravedere la possibilità di risolverla in un'azione contro lo Stato borghese, voi la ricordate l'obiezione dei nostri destri? Rivoluzione sí, ma in tutti i paesi nello stesso momento perché altrimenti si fa la causa di una borghesia contro quella di altre borghesie. Oggi invece che la rivoluzione è cominciata e da tre anni il proletariato russo è in piedi e da solo difende le sue sorti, oggi che la rivoluzione è minacciata, noi dobbiamo attendere perché là vi sono state le condizioni, qui le condizioni non sono ancora mature. [Applausi]

E vengo all'argomento principe, appunto questo: la differenza di ambiente. Nessuno di noi contesta che la rivoluzione possa essere atto dello stesso istante in tutti i paesi. Ma veniamo alla questione delle diifferenze nazionali che Marx ha affermato e che nella terza Internazionale noi, suoi gregari modestissimi, non ci sognammo di negare. Il secondo congresso della terza Internazionale sapeva molto bene della esistenza di questo problema della differenza ambientale, ma non da questo ha concluso nell'assoluta autonomia dei partiti nazionali. I-Ia ammesso una certa autonomia. Voi avete citato anche questo. t vero. Ma vediamo in quale modo le risoluzioni del II congresso di Mosca si applicano a questo problema della direzione di insieme dell'azione internazionale proletaria e della differenza di esigenze che l'azione può presentare in un paese anziché in un altro.

Due ordini di tesi ci ha dato il congresso di Mosca; tesi sulle condizioni di ammissione che devono appunto garantire che non entri nella terza Internazionale alcun partito opportunistico non comunista, e tesi sui compiti principali della Internazionale comunista. E in queste seconde tesi - e ne esiste una serie per ciascun paese - sono vagliate le differenti condizioni dei diversi paesi. P- nelle prime tesi che, non i russi, ma tutti i comunisti di tutti i paesi, hanno voluto scrivere, hanno scritto, in modo forse non perfettissimo - secondo me non perfetto perché avrebbero dovuto essere ancora piú aspri - quanto vi era di internazionale nel processo di organizzazione nel nuovo movímento, quanto deve dovunque servire a differenziare le forze che vengono sulla piattaforma del comunismo marxista da quelle invece che restano piú o meno velate nella cerchia dell'antíco terreno socialdemocratico e della seconda Internazionale. [... ]

Ma vi è anche un altro interessante argomento, che ha una caratteristica sentimentale, col quale si contrasta l'accettazione di queste 21 condizioni. Si è dovunque formata una corrente che dice-. accettiamo; però nel paese nostro non possiamo applicarle perché vi sono condizioni speciali. Ciò è stato affermato in Italia, in Francia, in Svizzera, in Germania, in Inghilterra. Se si accettasse questo principio le 21 condizioni non sarebbero applicate in nessun paese del mondo. [Applausi dei comunisti]

Si dice ancora: le 21 condizioni corrispondono alle condizioni della Russia. Non è vero. Fanno tesoro deh'esperienza russa e non credo che vi sia qui qualcuno cosí cieco da voler negare il valore della esperienza russa nel giudizio internazionale della lotta proletaria, salvo ad accettarlo o non accettarlo. Ma le 21 condizioni non servono per la Russia. La Russia è l'unico paese cui non servono perché là il pericolo dell'opportunismo è superato.

Se voi leggete una qualunque delle 21 condizioni vi accorgete subito che quasi tutte non si possono applicare al Partito comunista russo. Dove si dice, per esempio, che si deve fare l'azione illegale non è che si dica per la Russia, perché là esiste la legalità proletaria e sovietísta e l'azione illegale non si deve piú fare. Dove si dice che si devono combattere i bund riformisti, sindacali, non è per la Russia che lo si dice. Dove si dice che si deve andare nei parlamenti anche se saremo costretti ad andarci con la corda al collo, non è per la Russia che lo si dice, perché là parlamenti non ce ne sono piú, come io auguro che sia anche qui prima delle prossime elezioni.

Voi vedete dunque che le 21 condizioni non corrispondono alle particolari circostanze russe.

Ma c'è un altro argomento, anch'esso alquanto sintomatico. Vi sono i disfattisti della rivoluzione russa, coloro che hanno combattuto contro le falangi rosse del proletariato russo nelle file degli eserciti della reazione, coloro che hanno per lo meno esercitato la loro complicità con tutti gli atti di jugulamento della Repubblica proletaria, i Martoff, i Cernoff e simile mirabile genía che girano per i congressi dei partiti proletari di tutto il mondo e vanno a dire che l'internazionale comunista vuole applicarvi per forza quei metodi che sono stati applicati in Russia. Ma dove è detto questo? E per di piú coloro che dicono questo sono proprio quelli che anche in Russia sono stati contro quei metodi ed hanno combattuto anche là contro la dittatura del proletariato e contro il principio sovietista.

Voi vedete dunque come questo argomento della differenza di condizioni non si riduca che a uno dei tanti sofismi che si costruiscono per conchiudere: La rivoluzione sí, la dittatura sí, tutto quello che volete sí, ma non adesso, non in questo posto, domani, altrove. [Ilarità, commenti animati] [... ]

Il partito si svegliò all'indomani della guerra in una situazione che aveva delle caratteristiche rivoluzionarie, ma che non era certamente la situazione in cui si svegliò il movimento socialista russo o tedesco. ]@ indubbio, è pacifico che, tra i paesi vincitori, era l'Italia quello che usciva dalla guerra con la situazione piú tesa, piú economicamente critica, ma dall'altra parte non si delineò immediatamente il problema della conquista del potere da parte del proletariato, dinanzi al quale si sarebbe spezzato inevitabilmente l'antico partito. Esso si delineò per riflesso di quella revisione universale dei valori socialisti che prendeva ammaestramento dalla rivoluzione russa e dalle rivoluzioni degli altri paesi.

Orbene, disgraziatamente bisogna constatare che questo partito, all'indomani della guerra, ha ripreso la sua funzione: ha cambiato la formula, ha cambiato il programma, ha seguitato ad essere diretto da uomini di sinistra, ha anche inneggiato alla rivoluzione ed ai metodi che si erano riaffermati nella rivoluzione russa, alla dittatura del proletariato, al sistema sovietista, ma ciò che piú premeva in questo meccanismo, che per tanti anni aveva girato cosí e che attendeva la fine della guerra per cominciare a seguitare a girare, per rifare le sue ruote nella organizzazione economica, nei comitati elettorali, ciò che piú premeva era di chiudere la parentesi per rimettersi a tessere quella medesima tela, servendosi dell'opposizione alla guerra non per una feroce revisione rivoluzionaria dei valori, non per guardare in faccia all'avvenire e per dire: "Bisogna radicalmente mutare l'indirizzo attraverso le nuove vie," ma semplicemente per fermarsi a dire: 'Siamo stati contro la guerra e quando verrà la grande baraonda elettorale, in nome di questa opposizione, eleggeteci." [Applausi] [... ]

Voi ci dite - è una obiezione che io raccolgo en passant - che questo nostro attaccamento ah'applicazione in Italia dell'esperienza comunista è qui fuori di posto, che questa nostra idolatria per la violenza che altrove, sotto altri climi, sotto altri cieli si è verificata, è una conseguenza della mentalità di guerra, che fra noi ci sono i socialisti di guerra. Ebbene, o compagni, dopo aver ricordato che, senza fare paragoni, tra noi vi sono dei vecchi e dei giovani che noi ricordiamo nell'ora della vigilia della guerra sempre uguali a se stessi, e senza nessuna esitazione dinanzi all'insídia socialpatriottica, che molti sarebbero oggi tra noi di quei giovani se la guerra stessa non li avesse sacrificati alla causa della borghesia, mentre io rivendico ciò che ci allaccia al passato di questo partito ed anche a quelli che a noi hanno appreso, uomini che oggi sono nell'altra sponda, mentre io rivendico questo, voglio anche dire che questo fenomeno, che deve essere considerato obiettivamente, del socialista di guerra, a me piace raffrontarlo con quello del socialista della parentesi di guerra, del socialista che non ha bestemmiato perché ha taciuto, del socialista che, quando invece di essere duecentocinquantamila eravamo nelle tessere ventimila e nella pratica poche centinaia, non ha detto nulla, ma che poi, passata la bufera, è venuto a dire: "Siamo stati contro la guerra," ed è andato nei comizi elettorali a valersi di questo. [Applausi]

MOLTE VOCI: Ce ne sono anche tra voi!

BORDIGA: Sí, o compagni, ve ne saranno anche tra noi di questi socialisti della parentesi di guerra, non lo escludo, non lo discuto, io non confronto due tendenze, io confronto due stati d'animo e due genesi dell'attitudine rivoluzionaria, e dico che io, che socialista di guerra non sono stato mai, preferisco quei giovani che, attraverso l'esperienza tratta dall'infamia capitalistica e dall'essere stati inviati al fratricidio sui fronti della battaglia borghese, sono tornati con la nuova fede della guerra per la rivoluzione... [Applausi vivissimi dei comunisti, rumori] [...]

Voi, o compagni, ci obiettate: "Ve ne andrete, abbiamo visto altri andarsene, i sindacalisti, gli anarchici, abbiamo visto altre sfrondature... [Interruzioni, commenti] Ve ne andrete come altri se ne sono andati..." [Nuove interruzioni e battibecchi. Applausi dei comunisti] Ristabilíamo i pronomi al loro posto e vi calmerete. Voi dite a noi "secessionisti," voi ci dite: "Ve ne andrete e finirete dove altri hanno finito perché la bandiera della lotta di classe è rimasta a questo vecchio tradizionale Partito Socialista che attraverso ai suoi urti di tendenza è rimasto finora all'avanguardia dell'azione del proletariato italiano, voi siete piccoli gruppi di gente, di illusi, di arrabbiati o maniaci della violenza che andate e che subirete la stessa sorte degli altri..." [Interruzioni] Se questo avverrà, ebbene, noi, o compagni, vi diciamo che vi sono due ragioni che ci differenziano da tutte le scissioni che sono fino ad oggi avvenute. Vi è la ragione che noi rivendichiamo, e voi avete ancora la possibilità di venire a confutare questi argomenti di dottrina e di metodo, noi rivendichiamo la nostra linea di principio, la nostra linea storica con quella sinistra marxista che nel Partito socialista italiano con onore, prima che altrove, seppe combattere i riformisti. Noi ci sentiamo eredi di quell'insegnamento che venne da uomini al cui fianco abbiamo compiuto i primi passi e che oggi non sono piú con noi. Noi, se dovremo andarcene, vi porteremo via l'onore del vostro passato, o compagni! [Rumori, interruzioni violente da parte della maggioranza, applausi dei comunisti]

E vi è un'altra ragione, o compagni. lo ringrazio tutta l'assemblea di avermi fatto esporre concetti anche aspri senza interrompermi; mentre io forse ho interrotto gli altri. Dunque, o compagni, vi èun'altra ragione che dobbiamo invocare per difenderci da questa previsione, che mi auguro da tutti sia fatta con dolore, ed è quella che è stata già detta (non è certo un motivo demagogico che porto qui perché a me pare di non avere parlato nel modo con cui si parla quando si vuole acchiappare dei voti incerti) ed è quella che noi andiamo con la terza Internazionale. La terza Internazionale non è la cosa perfetta che si dice, la terza Internazionale si può criticare nei suoi comitati, nei suoi congressi, poiché ovunque si possono trovare debolezze e miserie, ma voi compagni non dovete dimenticare che vi è qualche cosa che resta al di sopra di qualunque critica che possa colpire un dettaglio di questa organizzazione formidabile, di questa conclusione colossale che si aderge all'orizzonte della storia e dinanzi alla quale tremano, condannate alla decisiva sconfitta, tutte le forze del passato. Vi sarà dell' autoritarismo, del difetto tecnico di funzione, degli esecutori che mancano, tutto voglio concedere, ma credete proprio voi che queste piccole cose possano svalutare questo fatto storico grandioso? Quelle parole che allora piovvero come fredde ed inascoltate tesi teoriche, quell'affermazione della unione del proletariato di tutti i paesi per la sua rivoluzione e per la sua dittatura e non solo per la tesi fredda della semplice socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio, comune persino ai rinnegati di Amsterdam, sono la base di una dottrina che è stata sparsa da pochi illuminati oggi in ogni paese del mondo. Uomini proletari, lavoratori sfruttati di tutte le razze, di tutti quanti i colori, si organizzano e si costituiscono con mille difetti, ma con una idea che sicuramente ci dice che si tratta di una costruzione definitiva della storia. Essi costituiscono cosí questo ingranaggio di lotta, questo esercito della rivoluzione mondiale. Credete voi che dinanzi ad una cosa cosí grande vi siano i piccoli errori che possano fare ritrarre chicchessia che non sia un avversario di principio? Che possa fare esitare chicchessia quando si deve scegliere se stare con la terza Internazionale, il che vuole dire nella terza Internazionale, come vuole la terza Internazionale, per andarsene invece, purtroppo per allontanarsi, purtroppo per rimanere estraneo a questo sommovimento di pensiero, di critica, di discussione, di azione, di sacrificio e di battaglia? [Applausi]

E quindi, o compagni, queste due ragioni - se il nostro pensiero non erra - queste due ragioni ci confortano che noi non falliremo allo scopo.

Voi ci domandate: 'Cosa volete fare? " Lo abbiamo detto. Il nostro pensiero nella dottrina, nel metodo, nella tattica, nell'azione è quello della tesi di Mosca. Il pensiero di ognuno di noi può differire da qualcuna di queste indicazioni, ma noi le eseguiremo tutti concordi perché crediamo che la disciplina internazionale sia condizione indispensabile per il successo proletario. Vi possono essere fra noi deboli, incapaci, incompleti, possono esservi fra noi dei dissensi: Gramsci può essere su una falsa strada, può seguire una tesi erronea quando io sono su quella vera, ma tutti lottiamo ugualmente per l'ultimo risultato, tutti facciamo lo sforzo che costituisce un programma, un metodo. Noi sappiamo di essere una forza collettiva che non sparirà come una piccola frazione, come una diserzione di pochi militi. Vi è un grande esercito che sarà invece il nucleo attorno a cui verrà domani il grande esercito della rivoluzione proletaria del mondo. [Applausi]

Ed allora la vostra previsione, condensata nella vostra domanda, non è, perché non può essere, un augurio. La vostra previsione che noi falliremo al nostro compito non è un augurio. Se augurio può esserci - e mi auguro che ancora esista questo mínimum di coerenza fra coloro che sono forse insieme per l'ultima volta - è quello che noi facciamo, è il nostro augurio, cioè, o compagni, quello di consacrare tutte le nostre forze e di consacrare tutta la nostra opera, contro le mille difficoltà, numerosissime, che si frapporranno al raggiungimento della nostra meta, e di essere insieme per combattere tutti, senza eccezione e senza esclusione di colpi, gli avversari della rivoluzione, nel cammino che ci attende verso i cimenti supremi, verso l'ultima lotta, verso la Repubblica dei soviet in Italia! [Applausi entusiastici dei comunisti]

(Resoconto stenografico del XVII Congresso Nazionale del Partito Socialista Italiano, Edizioni Avanti!, Milano 1921. In reprint, nelle stesse edizioni, 1964, pp. 271-296)

Archivio storico 1921 - 1923