Rapporto del PCd'I sulla "questione italiana"

Partito Comunista D'Italia – Sezione dell'Internazionale Comunista – Comitato Esecutivo
Palazzina Porta Venezia – Milano

Milano, li 19.IX.1921

Al Comitato Esecutivo dell'Internazionale Comunista – Mosca

Compagni,

questo rapporto ha subito un ritardo indipendente dalla nostra volontà. Noi siamo nel periodo del trasferimento della sede della nostra Centrale da Milano a Roma, e questa circostanza si aggiunge alle altre, derivanti dalla situazione generale, per moltiplicare le esigenze del nostro lavoro.

Questo rapporto sarebbe destinato a pervenirvi contemporaneamente ad un rapporto ordinario sul lavoro del nostro partito che, insieme al secondo numero del nostro Bollettino estero, conterrà un resoconto dettagliato della nostra attività di partito dalla data del primo rapporto ufficiale inviatovi nel mese di maggio.

Entriamo direttamente nell'argomento speciale che forma l'oggetto di queste pagine: la "Questione Italiana", secondo le risoluzioni del III Congresso internazionale, di fronte al prossimo congresso del PSI.

Risoluzione del CC del PCd'I

Le notizie sulla risoluzione votata dal Congresso di Mosca sulla questione italiana, benché ci arrivassero in una forma incerta, furono ben lontane dall'essere quelle che il CE del nostro partito si sarebbe aspettate. Questo fatto ci spinse ad inviarvi ai primi di agosto il telegramma firmato da Bordiga in cui si chiedeva il ritorno della delegazione per un rapporto preciso e per una urgente riunione del CC. La delegazione non rientrò che più tardi. Il CC non si è potuto riunire che il 26 agosto e ha lungamente esaminato la situazione creatasi. Diamo prima di tutto la risoluzione adottata, risoluzione del tutto interna e non destinata ad essere resa pubblica:

"Il CC del PCI, esaminata la situazione politica italiana e le risoluzioni del III Congresso dell'IC, adotta per l'atteggiamento del partito nei confronti del PSI i punti seguenti:

I. La risoluzione del Congresso di Mosca e l'ultimatum in essa formulato non possono non presupporre la necessità che ogni gruppo che entri nell'IC deve essere completamente sul terreno della sua dottrina e della sua azione, così come sono stabilite negli statuti, nelle tesi e nelle condizioni di ammissione.

II. Nel PS, pur essendovi numerosi elementi, soprattutto proletari, che possono e devono venire al comunismo, non esiste alcuna frazione organizzata in vista del prossimo congresso che, per il suo programma e per la sua pratica, sia sulla piattaforma dell'IC;

III. Se, al prossimo congresso, nel PSI si producesse una scissione, la frazione di sinistra, così come si è già costituita, non perderebbe per il fatto d'essersi separata dai riformisti i suoi caratteri teorici e pratici anticomunisti.

IV. Il PC lavorerà contro l'eventualità della sua fusione con una simile corrente con tutti i mezzi che la disciplina internazionale gli permette; continuerà a denunziare con vigore l'opportunismo di tutti i gruppi dirigenti delle frazioni costituite nel PS, riservandosi di facilitare, con misure organizzative l'adesione degli elementi del PSI che, in seguito ai risultati del congresso, si orientassero completamente verso le direttive dell'IC.

V. La situazione creata dal prossimo congresso del PSI sarà portata davanti al congresso del PC senza che alcun fatto compiuto venga a modificare in alcun modo la posizione di quest'ultimo di fronte al primo, e senza la partecipazione di alcuna rappresentanza estranea all'organizzazione attuale dell'IC e della sua sezione italiana.

VI. Un rapporto con le spiegazioni e i motivi di questa risoluzione sarà inviato al CE dell'IC".

La risoluzione che precede è stata votata dai seguenti comp.: Grieco, Terracini, Fortichiari, Bordiga, Repossi (CE), Gramsci, Tarsia, Parodi, Berti (rappresentante dei Giovani), e poi accettata da Belloni.

C'è stato un emendamento Bombacci, votato da lui stesso e poi accettato da Marabini. Alle parole: "delle frazioni costituite nel PS", sostituire le parole: "delle frazioni finora costituite nel PS".

Assenti Gennari, Misiano e Sessa.

Si è poi adottata all'unanimità la seguente mozione, da pubblicare:

"Il CC del PCd'I, dopo una discussione sui rapporti con il PSI in seguito al Congresso dell'IC, conferma l'atteggiamento finora osservato dall'Esecutivo, dalla stampa del partito, e da tutto il partito, nei confronti dei socialdemocratici e degli opportunisti di ogni sfumatura, e decide di portare la situazione che sarà creata dal prossimo congresso del PSI al congresso del PCd'I, convocato senza alcun fatto e atto che pregiudichi le sue risoluzioni, e senza l'intervento di alcuna rappresentanza estranea all'organizzazione attuale dell'IC e della sua sezione italiana". (La traduzione di questi documenti è rigorosamente letterale).

Si tratta ora di sottomettervi, compagni dell'Esecutivo dell'Internazionale, gli argomenti a sostegno del nostro punto di vista così formulato. È questo l'oggetto dell'esposizione che segue.

Atteggiamento della Federazione Giovanile

A titolo di documentazione, conviene aggiungere la mozione votata dal CC della FGCI, all'unanimità, il 4 settembre:

"Il CC della Federazione Giovanile Comunista d'Italia, dopo un'ampia discussione sui rapporti con il PSI dopo il Congresso di Mosca, dichiara di condividere totalmente l'opinione del CC del PCd'I e di seguirne le decisioni; e, studiando la possibilità di una fusione di una parte del PSI con il PC, dichiara che, in tal caso, la gioventù comunista riprenderebbe tutta la sua libertà di condurre un'opposizione critica al partito, mentre invece nella situazione attuale riconosce senza riserve i rapporti di stretto legame con il partito accettati nei congressi internazionali giovanili; per quanto riguarda i rapporti con la Federazione Giovanile Socialista, conferma l'atteggiamento del CC e dell'organo federale Avanguardia".

Ed entriamo nell'argomento.

Il PSI al momento della scissione di Livorno

Faremo alcune osservazioni sul valore della scissione verificatasi a Livorno, che, a nostro avviso, ha costituito un'applicazione regolare e felice delle condizioni di ammissione all'IC. Lo scopo di queste condizioni è di dare all'organizzazione dell'IC dei criteri che le permettano di assicurarsi del carattere veramente comunista dei raggruppamenti che ne dovessero far parte. Il centro del PS accetta, nelle sue dichiarazioni, queste condizioni, ma ne respinge una: l'espulsione dei riformisti, identificati dalla frazione comunista e dai rappresentanti dell'IC nella frazione di "Concentrazione socialista" in base all'atteggiamento di quest'ultima contro i principii e i metodi dell'IC.

È la prova evidente che il centro non è comunista ed è incompatibile con la III Internazionale. Il problema di fronte al quale si trovava il III Congresso non doveva essere posto in questo modo: i comunisti italiani e l'Esecutivo avevano ragione di esigere l'espulsione dei concentrazionisti?, ma doveva concernere i caratteri del centro serratiano nel suo insieme, e bisognava rispondere al quesito se esso comprendeva elementi desiderabili per l'Internazionale. Il fatto che questa frazione organizzata non abbia voluto separarsi dai Turati e dai D'Aragona non può essere considerato come un semplice malinteso o come il semplice risultato del diabolico lavoro di Serrati, ma come una prova che questa frazione non era di per sé sul terreno del comunismo. In effetti i centristi accettavano tutte le altre condizioni perché sapevano che non era necessario eseguirle tutte in un colpo e si poteva rinviarne l'applicazione nascondendola sotto mille dettagli dell'azione di partito – demagogia ed opportunismo aiutando – , ma arretrarono di fronte ad una condizione che bisognava applicare nello stesso Congresso, così come avrebbero violato tutte le altre al momento di tradurle in pratica.

La questione ultimativa della cacciata dei riformisti servì magnificamente a smascherare gli anticomunisti. La dimostrazione posteriore che effettivamente i concentrazionisti devono essere respinti dall'Internazionale non ha in sé nessuna importanza, se non se ne tira la conseguenza dialettica che anche i filoconcentrazionisti sono da scartare per sempre dall'Internazionale.

Escludiamo noi che individui o gruppi anche considerevoli possano convincersi della giustezza del punto di vista dell'Internazionale, e rientrare nelle sue file? Dal punto di vista dell'organizzazione possiamo pensare che sarebbe stato desiderabile che le sezioni nazionali dell'IC, una volta costituite sulla base delle 21 condizioni, non dovessero ammettere altro genere di adesione che quella individuale. Ma non pretendiamo qui di collocarci su un terreno che non sia quello delle risoluzioni del III Congresso alle quali è necessario che tutti gli atti dell'Internazionale e dei partiti aderenti si uniformino con disciplina. Prendiamo dunque atto del fatto che il III Congresso ha voluto tendere la mano al peccatore e dargli la possibilità di pentirsi, rinnovandogli la stessa (la stessa, sottolineiamo queste parole) situazione e condizione ultimativa di Livorno e confermando che è appunto la "concentrazione" che si deve espellere.

Ebbene (ci si scusi la banalità di questo stile adottato a scopo di chiarezza) si annetta chi è disposto all'espulsione dei concentrazionisti riformisti come erano a Livorno, cioè "tipo 1920".

Vedremo un po' oltre la portata di questa distinzione.

Bisogna prima di tutto chiedere ai fatti se conservano la nostra dialettica interpretativa della non-espulsione dei riformisti. Saremo brevissimi.

Prima di Livorno. Sarebbe un grave errore credere che la critica marxista dei gruppi di sinistra del PSI (Soviet, Ordine Nuovo, ecc.) vertesse unicamente sulla politica e l'atteggiamento della destra classica del partito. Si accusava apertamente di non essere comunisti e di sabotare il vero processo di preparazione rivoluzionaria non solo i Turati e C., ma anche e, oseremmo dire soprattutto, i "serratiani", i rappresentanti della corrente della Direzione del P. che poi si pronunciò per Serrati, ma che, in realtà, dominò sempre la politica del P., avvicinandosi sensibilmente ai riformisti.

A Livorno. Con la nostra polemica congressuale noi non dimostrammo soltanto che i turatiani erano dei traditori (termine che in realtà non meritano), ma rivolgemmo quest'accusa soprattutto contro il centro. Avendo quest'ultimo fatto fronte unico con la destra contro di noi e l'Internazionale, da parte nostra ci dedicammo come ad un solo compito alla lotta destinata a liberarci di queste due specie di avversari. A partire dalla scissione, non sono stati che una cosa sola.

Il PSI dopo Livorno

A Livorno, gli avvenimenti fanno fallire il piano dell'opportunismo centrista di restare con l'IC senza cambiare nulla in realtà nell'azione pratica del P. (piano apertamente confessato: i centristi sostenevano d'essere un partito che non aveva nulla da rimproverarsi e nulla da mutare, salvo sottomettere di più alla disciplina certi atti personali troppo clamorosi). Ma non fanno perdere evidentemente al centrismo il suo carattere di imbroglio: ecco quindi che si dichiara di essere sempre con Mosca e per il metodo comunista, e si sostiene che solo un malinteso su una questione di dettaglio e di cattive informazioni ha determinato la rottura con Mosca. E qui ci si può chiedere, aprendo una parentesi: chi dunque ha interesse a sostenere che la brusca rottura di Livorno nasceva da un malinteso, l'IC o il centrismo serratiano? Non è forse il secondo che sfrutta questa affermazione, per mantenere gli operai prigionieri delle sue menzogne, dopo essersi beffati dell'Internazionale?

La mozione Bentivoglio, alla quale un Congresso mondiale ha fatto tanto onore, non è che un ingranaggio di questa macchina. Lungi dall'essere imposta dagli operai rivoluzionari, essa serviva a ingannare gli operai rivoluzionari. Non cercheremo un argomento nel fatto che il nome di Bentivoglio unisce ormai una nomea internazionale di ortodossia all'atteggiamento ultra-turatiano di colui che lo porta, e che è membro del comitato concentrazionista. Ma c'è ben più di questo.

Guardiamo il P. dopo Livorno. Contiene esso dei proletari rivoluzionari? Sì, ce ne sono che possono diventarlo. Ci sono degli operai che vorremmo avere nel nostro P.? Sì, a decine di migliaia. Ma non dimentichiamo che la qualità di rivoluzionario e di comunista non ha un sensrtito, la cui maggioranza dopo Livorno è "sul terreno dell'IC" e la cui unanimità è armata di una mozione Bentivoglio, abbia qualche cosa in comune con una politica pratica comunista (o semplicemente "non anticomunista"), dove dobbiamo applicare il nostro esame? 1) All'azione collettiva del partito, diretto dalla sinistra. 2) Alle dichiarazioni della tendenza di sinistra e alla sua posizione di fronte a certe situazioni e al Congresso. 3) All'atteggiamento di una corrente di gruppi qualsivoglia di individui eventualmente "malcontenti della politica del partito". Ci si accontenta di poco, non si è esigenti.

Per i primi punti, compagni, vi faremmo torto se ci insistessimo. Su questo argomento avete già abbastanza materiale. Date un'occhiata ai nostri Bollettini per i compagni esteri, di cui speriamo di farvi avere il secondo numero insieme a questo rapporto, e fermatevi un istante sulla politica del partito e sulla sua propaganda a proposito, per esempio, della questione sindacale e sull'atteggiamento nei confronti del fascismo, o nelle elezioni. Sottolineiamo soltanto qualche cosa. Tutto il Partito Socialista è per Amsterdam contro Mosca, contro i comunisti e per la burocrazia sindacale. Poco tempo fa la nostra proposta formale per l'azione generale contro l'offensiva capitalistica, sulla quale speriamo che siate già informati, non ha ottenuto una risposta che dal bonzo Baldesi, in un linguaggio disgustoso. L'Avanti! l'ha pubblicata senza aggiungervi nulla. E non ha mai scritto una parola su questo argomento, che è ardentemente all'ordine del giorno. Su nessun giornale socialista, nessun membro di questo partito ha scritto una parola per dire soltanto che la sua opinione diverge un tantino dall'opinione del controrivoluzionario Baldesi. Quanto al fascismo? La parola d'ordine del PS non è stata: siamo deboli, attendiamo il momento favorevole per agire; ma è stata (parliamo, beninteso, delle dichiarazioni ufficiali del partito) che all'arma borghese della violenza bruta il proletariato deve opporre l'arma "classista" della lotta con la penna, i discorsi e la scheda, rispondendo agli aggressori col mezzo della "non violenza"; è stata che è all'autorità legittima costituita dello Stato che spetta il compito di vietare e castigare "ogni violenza". L'accordo con i fascisti consegnava ogni "violento", cioè i proletari comunisti o anarchici o senza partito ma non disposti a sottomettersi all'oltraggio alle loro case e alle loro famiglie, alla giustizia borghese; peggio ancora, alla "mano libera" fascista. Ci sono dei casi di spionaggio socialista contro nostri compagni. Documenti? Consultate i manifesti della Direzione del partito, sfogliate l'Avanti!; il nostro giudizio sintetico sarà confermato e forse accentuato da voi. Il nostro CE esiste, fra l'altro, per fornire all'IC i dati dell'esperienza del partito, senza timore d'essere abbassato al compito di "cattivo informatore di Mosca". Che valore si sia dato all'azione elettorale da parte di quei molto onorevoli signori del PS lo si può rilevare dalle stesse fonti: si è indicato al proletariato nella campagna elettorale l'obiettivo centrale della sua azione opponendo la scheda proletaria alla rivoltella borghese, si è promesso che una vittoria elettorale proletaria avrebbe disarmato il fascismo e ricondotto il "normale" e desiderabile regime della legalità capitalistica… L'azione parlamentare può essere così definita: tutti i deputati socialisti fanno continuamente dei piccoli compromessi innumerevoli per i loro elettori piccolo borghesi – forse solo gli uomini dell'estrema destra, avendo una dignità personale se ne astengono… o sono più sicuri del posto in parlamento. È noto, infine, che la Direzione, con una risoluzione presa di recente, ha autorizzato il gruppo parlamentare – che d'altronde fa quel che vuole – a servirsi della sua forza e della sua influenza in modo positivo, cioè gravitando verso questo o quel gruppo borghese.

Parlare della frazione di sinistra sarebbe inutile. Essa non è nulla di diverso dalla direzione del partito. In quest'ultima non vi sono dissensi circa la tattica generale. Baratono se ne era allontanato; ora è di nuovo il relatore al Congresso per Serrati: probabilmente sarà comprato da un altro. "Ma è Baratono che ha fatto il nostro discorso-programma" lanciato dal suo regista.

Infine, ci potrebbero essere dei gruppi di malcontenti, di protestanti. Non ne sono mai mancati, nel partito italiano. Se con la scissione non avessimo portato via con noi tutti coloro che erano capaci di critica, e dato (modestia a parte) ad ogni critica uno sbocco nello sforzo comune del lavoro rivoluzionario, non si verificherebbe questo fatto sintomatico: che non si sentono più gli strilli o i brontolii dei malcontenti né nel loro partito, né nel nostro.

Nessuno, in realtà, ha protestato contro gli atti vergognosi che abbiamo appena passato in rassegna. Nessuna tendenza alla formazione di un gruppo si è prodotta, che si opponesse alle direttive anticomuniste e antirivoluzionarie del partito. Lo stesso Turati ha potuto gridare in piena Camera: "Viva l'Italia!", o Treves esaltare la Georgia socialdemocratica o peggio ancora; ebbene nessun chiasso, nessuno scandalo: la razza un tempo così tenace dei giudici e dei boia politici, nel partito socialista, si è esaurita…

Che cosa vuol dire tutto ciò? Che, dal punto di vista collettivo, organizzativo, non c'è e non si forma, neppure in embrione, nel partito di cui ci occupiamo, un raggruppamento qualsiasi di forze tendente al comunismo. Non c'è, non ci sarà in questo partito nessuna "frazione" comunista di opposizione, che si eriga o si sia eretta su questa base: reagire all'innegabile anticomunismo dei capi di fronte alle questioni di primordine citate più sopra. Ce n'è a sufficienza per concludere che siamo in presenza di un partito che non è comunista, nemmeno in parte; che batte per forza d'inerzia la via di una tradizione socialdemocratica, e che cadremmo in un enorme abbaglio se pensassimo che questo insieme organizzato, nel grosso delle sue forze, si sia separato dal movimento comunista solo per un errore momentaneo e vi ritornerà un giorno così com'è, oppure che racchiuda un "nucleo" che se ne può ancora far sbocciare.

Questo organismo è ormai insensibile ai problemi dell'IC; vive fuori di essi; questi problemi non susciteranno nel suo seno nessuna crisi futura.

La crisi attuale nel Partito Socialista

Tuttavia, sentiamo rispondere a tutto ciò che precede, nel PS c'è ora una lotta di tendenze, e si parla di una possibile scissione del partito nel congresso che si prepara. Fra questa situazione e la rottura di Livorno con l'IC ci dev'essere una relazione; delle conclusioni utili possono esserne tirate per smascherare agli occhi dei lavoratori la politica equivoca di Serrati, che in nome dell'unità ha causato due scissioni invece di una. Per rispondere ad una simile domanda, bisogna vedere quali siano in realtà queste relazioni, e a quale titolo ci si possa servire per la campagna comunista delle lezioni dell'attuale situazione del PSI.

Noi dimostreremo che questa situazione non autorizza affatto a invalidare la nostra conclusione precedente, fondata sull'esame scrupoloso dei fatti, che i problemi del comunismo non sollevano nessuna lotta di frazioni e di tendenze nel PS. Ciò si traduce nella considerazione del tutto concreta che dal Partito Socialista non uscirà un insieme organizzato in grado di porsi collettivamente sul terreno dell'Internazionale Comunista.

Dopo la rottura con i comunisti, nel PS non si è verificato un moto di riflusso che ne conducesse una parte verso l'Internazionale da esso abbandonata. Nessun paragone sarebbe possibile con la situazione del Partito Indipendente di Germania, nei confronti del KPD, l'anno scorso. Nel partito indipendente c'era un'autentica frazione interamente collocata sulla piattaforma del comunismo, in teoria e in pratica, che aveva delle masse e che aveva anche dei capi. Questa differenza impressionante si ricollega all'altra, del tutto immediata, che il partito indipendente non era mai uscito dall'Internazionale, ma aveva marciato progressivamente nella sua direzione, mentre il partito socialista italiano ne è uscito e si è messo – tutto – in cammino verso destra. Se Turati è ancora più a destra di Serrati, ciò non esclude che siano stati i sinistri – tutti – ad aver "realizzato le migliori velocità" in questa marcia "verso destra alla velocità del treno lampo". Il problema che ora agita il partito non è sorto dal pentimento dei comunisti "artificialmente separati" da noi. Esso è sorto da una fase ulteriore del rinculo di tutto il partito verso metodi clamorosamente socialdemocratici. Quello che si pone non è più il problema dell'Internazionale e del comunismo, ma il problema della partecipazione al potere borghese.

Turati e la destra non chiedono di entrare subito in un ministero. Ma sviluppano logicamente la loro azione. Essi hanno preso al suo vero valore l'atteggiamento del centro a Livorno: non era un gesto cavalleresco fatto per i loro begli occhi, uno sforzo per avere il modo di convincerli, loro, i riformisti, delle tesi comuniste, ma era l'abiura del metodo rivoluzionario proclamato al Congresso di Bologna, era la confessione che la rivoluzione "alla russa" era una follia. Poiché il partito si è dato questa via, i riformisti chiedono che formuli un suo piano di azione per uscire dalla situazione attuale, che è senza dubbio irta di difficoltà; si collocano sul terreno del teorema preferito da Serrati che si debba correre in aiuto con tutte le forze e servirsi di tutti i mezzi di azione; chiedono che nei mezzi tattici ammissibili si inserisca anche la partecipazione al potere borghese.

La realtà mette il centro socialista in questa situazione: nel periodo rivoluzionario che noi attraversiamo, non c'è più posto per gli atteggiamenti negativi e platonici: bisogna respingere la necessità della lotta per la dittatura del proletariato con le sue condizioni indispensabili, cioè fare della collaborazione di classe, fare il gioco della borghesia. Il centro del partito socialista è ormai sullo stesso terreno generale di principio e di tattica della destra turatiana: non v'è che una differenza secondaria fra la collaborazione aperta di Turati e la collaborazione mascherata e nascosta dei centristi, che ha il "vantaggio" di facilitare il rimorchio delle masse al seguito dei capi opportunisti. Turati non intende forzare la situazione e giungere ad una rottura con i centristi: accetterà ogni sorta di disciplina fino al momento in cui sarà diventato possibile fare la collaborazione ministeriale, appoggiandola sulle risorse del centrismo, cioè sulle proclamazioni demagogiche secondo cui si conduce un'azione di classe e non si escludono le soluzioni rivoluzionarie in altre situazioni non ancora mature, ecc.

Si può da una situazione del genere concludere che la sinistra del PS rifuggirà spaventata dalle conseguenze della sua rottura con il comunismo e ritornerà a quest'ultimo? Prima di tutto, bisognerebbe sempre aspettare che il primo passo, la delusione per la degenerazione collaborazionistica, fosse seguito dal secondo, che cioè si riconoscessero e si accettassero i metodi comunisti. Ma in realtà nemmeno questo fatto si verificherà. Non vi sono che due ipotesi: o la sinistra cederà all'abile manovra della destra e la seguirà in un progressivo adattamento ad una serie di rinunce, o difenderà ancora per qualche tempo la sua posizione assurda di un'intransigenza negativa un tempo sostenuta dal partito, ma costretta dalla situazione attuale ad evolvere o verso il comunismo o verso la collaborazione. Le forze suscitate da questo atteggiamento tradizionale del partito socialista hanno in effetti già scelto fra le due vie: a Livorno, e nessun fatto, lo ripetiamo, ci dà l'impressione che un gruppo ritorni nel senso della sua scelta. Si tratta di vedere in quale tempo e con quale grado di esitazioni, per lo più determinate unicamente da calcoli opportunistici, coloro che a Livorno sono partiti nella direzione diametralmente opposta alla nostra percorreranno tutto il loro cammino, che termina nelle braccia della borghesia.

La questione ora discussa nel PS non è, com'è noto, che la vecchia questione risolta nel senso dell'intransigenza fin dal Congresso di Reggio Emilia (1912). I serratiani propongono oggi la stessa soluzione di allora, nel pezzo che condanna ogni collaborazione. Come allora, propongono l'espulsione dal partito non di chi per principio ammette come possibile la collaborazione, ma solo di coloro che la praticano senza l'autorizzazione del partito.

Ecco una prova che la corrente serratiana, nel suo attuale dissenso con la destra, ci sembra più a destra che a Livorno. Allora si sosteneva la possibilità di mantenere nel partito coloro che ammettevano il metodo socialdemocratico per la conquista del potere; oggi si pretende che vi si possano conservare coloro che sono partigiani per principio della collaborazione al potere.

È quasi sicuro che si troverà un formula per conciliare la posizione di Serrati con la posizione di Turati. Alessandri, con la sua frazione intermedia, vi lavora. D'altra parte, né Turati pensa ad una collaborazione con un piccolo partito "secessionista" e senza gli effettivi attuali del partito, né Serrati si immagina una separazione dalle forze parlamentari e sindacali della destra. L'uno e l'altro si collocano sulla "pregiudiziale" dell'unità. È chiaro come il sole. L'unità è loro necessaria: l'uno è pronto a sacrificarle la collaborazione, l'altro l'intransigenza; solo dopo aver fatto di tutto per giocarsi a vicenda. Sapendo ciò, conviene all'Internazionale, senza guadagnarvi nulla, mettere delle carte nel gioco di Serrati e prolungare – indirettamente – il periodo durante il quale la vergognosa commedia centrista potrà ancora essere recitata?

Ma ci sono due posizioni da esaminare, in rapporto a quanto abbiamo detto all'inizio di questo esposto. Quale sarebbe la situazione se, malgrado tutto, si verificasse una rottura fra la frazione di Serrati e la frazione di Turati? E ancora, quale atteggiamento bisogna prendere di fronte alle eventuali sfumature di sinistra della frazione Serrati? Esaminiamo queste due possibilità.

La rottura con i turatiani si traduce in un ritorno al comunismo?

Sulla probabilità di questa prima ipotesi abbiamo già detto il nostro parere. Che si caccino dal PSI tutti i concentrazionisti (condizione minima necessaria posta dal III Congresso), v'è una probabilità, se la si vuole calcolare, di due contro cento.

Supponiamo per un momento che essa si sia verificata. Ci troviamo di fronte ad un partito riformista collaborante al ministero borghese e ad un partito centrista, intransigente sulla tattica parlamentare. Che fare di questo partito? Cominciamo con lo stabilire che a questo partito "conviene" entrare nell'Internazionale Comunista e fondersi con noi, anche se sarebbe capace di chiedere l' "epurazione" del partito comunista. È evidente che questo partito non avrebbe da solo nessuna influenza e nessuna probabilità di vita. Sotto il fuoco incrociato dei riformisti, padroni della CGL, e dei comunisti, sarebbe presto liquidato.

Ebbene, in presenza di una tale ipotesi, pur restando in linea di principio partigiani del metodo di "schiacciare" un simile partito contro lo spietato rifiuto ad aprire le nostre porte ai gruppi collettivi e a concedere dei passaggi nel nostro esercito "con i vantaggi del grado", e riconoscendo che l'atteggiamento dell'ultimo Congresso ammette la possibilità delle "fusioni", ci limitiamo a chiedere ciò che nessuno potrà contestare: che si applichino a questo partito le 21 condizioni.

In altre parole – e noi chiediamo a questo proposito una dichiarazione dell'Esecutivo – noi siamo dell'opinione che la rottura con i turatiani così com'è prevista nell'ultimatum del III Congresso sia una condizione "necessaria" ma non "sufficiente" per l'ammissione di un gruppo nell'IC e debba essere osservata allo stesso modo di tutte le altre condizioni del II Congresso, che conservano tutta la loro forza dopo il Terzo.

Che cosa avverrebbe se si dicesse: la sola questione che ci divide dal partito socialista era, a Livorno, l'esclusione della frazione di destra; una volta esclusa quest'ultima, ogni difficoltà scompare? Si falserebbe, noi pensiamo, lo stesso spirito della risoluzione del Terzo Congresso che è stata presa sulla base di un esame profondo della situazione diLlivorno e ha il senso di una conferma dell'atteggiamento dell'Esecutivo in quella occasione, facendo però questa concessione: di rinnovare in certo modo al PS l'occasione e la situazione che allora esso non ha voluto cogliere. Ma – l'abbiamo mostrato – la situazione rea destra, molto più lontano dal comunismo, molto più pericoloso per la rivoluzione, che a Livorno, pur avendo camminato durante questo tempo senza fermarsi nella direzione opposta a quella di Mosca – si ritrovi a Mosca sfruttando abilmente una nuova situazione, intrufolandosi nell'Internazionale senza mettersi affatto in regola con la sua dottrina, con i suoi statuti, con le sue condizioni, con le sue tesi. Il che vorrebbe dire, sul terreno concreto, nella pratica, dopo quanto si è detto fin qui non per fare del dottrinarismo o della scolastica, ma per allontanare ogni sospetto che il nostro atteggiamento pratico possa essere bloccato di fronte alla necessità di ubbidire ad una decisione del Congresso; il che vorrebbe dire, compagni, rovinare quella che può essere la forza della sezione italiana dell'Internazionale e i risultati del lavoro comune in Italia, prospettiva di fronte alla quale la Centrale italiana ha il preciso dovere, non il diritto, di dichiarare che non ne porterebbe la responsabilità.

Ancora qualche parola su questa "distinzione". A Reggio Emilia, nel 1912, il partito italiano dichiara solennemente che resterà fedele al suo programma di Genova 1892, che gli traccia un'azione "indipendente da ogni altro partito" e respinge il metodo collaborazionista. Nella situazione così cambiata del dopoguerra, nel 1919, esso supera il programma tradizionale per adottare un programma contenente la dittatura del proletariato e l'uso della violenza rivoluzionaria. Gli si contesta, da parte degli elementi più avanzati e dell'IC, che non basta aver accettato in teoria un tale programma, che bisogna rompere con quelli che respingono questo stesso programma, che bisogna sviluppare un'azione veramente comunista. Esso si rifiuta di espellere la minoranza che non condivide il programma di Bologna, rivelando così la sua vera natura. Ora, si può mai ritenere possibile la sua ammissione all'Int. Com. per il fatto di escludere semplicemente una minoranza che viola non il programma di Bologna, ma il vecchio programma socialdemocratico del 1892-1912?

Nel primo caso, si mettevano alla prova coloro che dichiaravano teoricamente d'essere per il programma comunista. Nel secondo, non si prova più nulla perché si può concepire che l'esclusione dei collaborazionisti sia eseguita da individui o gruppi che non sono nemmeno in teoria sul terreno del programma comunista (esempio: Lazzari).

Ne risulta la bontà e l'evidenza teorica e disciplinare del punto I della risoluzione della nostra Centrale, che dichiara che il recente ultimatum dell'IC ai socialisti italiani presuppone ch'essi osservino tutte le condizioni, di cui l'espulsione dei riformisti è soltanto una.

La conclusione dell'aver accettato un simile punto di vista è che non si potrà ammettere nell'Internazionale un partito uscito dalla scissione del PSI sulla base che si sta discutendo. Confermando la bontà di tutte le considerazioni generali che precedono, l'esame al quale si sottoporrà quel partito per stabilire se corrisponde alle 21 condizioni ci dimostrerà che si tratta di un gruppo che non si schiera con il comunismo, che è inutilizzabile per l'azione comunista. Bisognerebbe vedere, "poi", se il fatto di essersi staccati dai riformisti permetterà a questo partito "socialdemocratico intransigente" di gravitare verso il partito comunista, o se, come crediamo più verosimile, non si dirigerà, con un certo ritardo, sulla stessa china sulla quale l'avrebbe preceduto più frettoloso (nell'ipotesi poco probabile che discutiamo) il gruppo turatiano.

È prevedibile una scissione della frazione Serrati?

C'è l'altra ipotesi, certo meno inverosimile, che in seno alla sinistra attuale si formi un gruppo, una "sottofrazione". Che vi siano delle sfumature nella frazione Serrati è innegabile. Non esiste invece finora un comitato di frazione organizzato che si collochi più a sinistra della frazione "massimalista unitaria" (Serrati, Lazzari, Vella, Bacci, Baratono, ecc.). Ma ci sono, in seno a questa frazione, dei gruppi che si mostrano più avanzati. Si può contare su questo gruppo come su una manifestazione di tendenze comuniste?

Ecco il nostro parere, che poggia sui fatti: non esiste nessun gruppo che si sia posto sulla piattaforma comunista dal punto di vista teorico e pratico; non ne esiste che si affermi sulle tesi fondamentali dell'azione comunista come sarebbe l'azione sindacale contro Amsterdam, la lotta contro i fascisti, ecc. Ciò che divide le sfumature della frazione Serrati è unicamente la maggiore o minore severità nei confronti dei riformisti. Secondo la schiacciante maggioranza dei serratiani, essi potranno rimanere anche se sono collaborazionisti per principio, purché non si mettano contro le risoluzioni del congresso nella loro applicazione ad opera della Direzione del partito. Altri affermano che si devono espellere immediatamente alcuni uomini della destra che si dichiarino per il metodo collaborazionista, i rari elementi più avanzati sostengono l'espulsione di tutta la frazione di Reggio Emilia, dato che essa si è apertamente dichiarata partigiana della partecipazione al governo in una situazione favorevole.

Non v'è discussione sulla questione del programma del partito, dei rapporti con l'Internazionale. Non ci sono proposte contro il tranello di Serrati che ha fatto decidere dalla Direzione del partito che prima si discuterà la questione del ministerialismo, sapendo che il congresso non farà una grande discussione sulla quale si voterà, sulla quale si avrà la soluzione della crisi.

La Direzione ha appena votato un ordine del giorno con il quale protesta contro i termini offensivi del Manifesto dell'Esecutivo sulla questione italiana, e su questa base dichiara che il partito non potrà mai avvicinarsi a Mosca. Ebbene, un minuscolo gruppo di sinistra della sezione di Milano, che sembra finora il più audace, e che non condivide questa risoluzione, trova tuttavia che su questo punto la Direzione ha avuto ragione e parla anch'esso delle informazioni inesatte e delle opinioni ingiuste di Mosca. A Napoli v'è un gruppo che trova equivoco l'atteggiamento della frazione Serrati: cosa strana: questo gruppo conta fra i suoi dirigenti degli individui che da tempo erano fuori dal partito socialista per il loro opportunismo e che vi sono rientrati, come è avvenuto del resto in numerose organizzazioni locali del PSI dopo la scissione!

Bisogna notare che fino ad oggi tutti questi elementi votano per la mozione Serrati e restano così impegnati a bloccare con quest'ultima nel congresso. Non v'è dunque nessuna probabilità che conducano un'azione indipendente. Cercheranno di spingere Serrati alla rottura con la destra, ma non è concepibile che rompano con Serrati se questi resterà sul terreno dell'unità del partito. Voteranno la mozione del grosso della frazione massimalista – che non porterà alla scissione – sotto l'influenza di un argomento di questo genere: non si deve fare il gioco di Turati indebolendo la maggioranza della sinistra.

Potranno esserci delle delusioni personali, senza dubbio; ma non l'uscita dal PSI di un gruppo organizzato attraverso un processo analogo a quello che condusse noi comunisti alla scissione di Livorno. Questo processo ha per condizione l'esistenza di un'organizzazione all'interno del partito. Ora, nel PS non c'è che l'organizzazione della frazione serratiana; il congresso non girerà che intorno ad un grande dibattito, sulla collaborazione; fra Serrati e Turati si verificherà un incontro, con Alessandri che funge da "Croce rossa", come dice lui.

Quanto al gruppo di sinistra, è probabile che si formi, è difficile che lavori altrimenti che come una tendenza nella tendenza Serrati, è quasi impossibile che non condivida, quale che sia, la sorte della frazione Serrati.

I comunisti e la crisi socialista

Un'obiezione prevedibile: questo gruppo di sinistra potrebbe organizzarsi, o almeno avrebbe potuto organizzarsi, se i comunisti italiani avessero lavorato a questo scopo.

La nostra opinione è, prima di tutto, che per poter sviluppare una simile azione, occorrerebbe che nella situazione reale e concreta esistessero, almeno allo stato embrionale, certi dati. Essi non vi si trovano. Non si è manifestato nessun socialista disposto ad un lavoro con noi, su un terreno che si avvicini a noi. Bisognava cercarli? Ma se si ha ragione di prevedere che se ne troveranno pochissimi, è preferibile attenersi alla tattica, adottata dal nostro partito dalla sua fondazione, di attirare individualmente gli operai socialisti. Per iniziare un lavoro organizzativo in vista del congresso socialista (con tutte le riserve su questa tattica di un partito che lavora come frazione di un altro) bisognava almeno aver potuto constatare l'esistenza di qualcosa più che il nostro desiderio o la nostra idea di farlo, cioè, quanto meno, di una vaga tendenza, di uno stato d'animo che si delineasse nelle file socialiste. Non ve n'è, siatene sicuri. Non potendo svolgere questo lavoro, e quello di attrazione individuale essendo sospeso dalla situazione creata dal III Congresso, il risultato è che l'azione contro le manovre dell'opportunismo in Italia è, per questo fatto, resa più difficile.

E poi, compagni, bisogna tener conto dei precedenti del movimento italiano. Non li ricordiamo qui al titolo deplorevole di "condizioni speciali", ma perché ci permettiamo di credere che nelle esperienze di ogni movimento ci sia qualcosa di buono da utilizzare per tutta l'Internazionale, in mezzo agli errori da correggere mediante le esperienze più vaste del movimento generale. In Italia ci sono state diverse scissioni, e il partito è sempre passato attraverso esse guadagnando in forza ed influenza per il grande fattore, d'ordine non soltanto psicologico, ma anche di disciplina e di organizzazione centralizzata, che non si è mai più perdonato ai rinnegati. Neppure gli elementi usciti un tempo alla sinistra del PSI, cioè i sindacalisti, sono oggi (se ci riferiamo, naturalmente, ai nomi conosciuti dalle masse, ai capi) nelle nostre file. I quadri del nostro partito sono composti di vecchi militanti che "sono sempre stati insieme" nella stessa organizzazione. Noi vediamo in ciò un elemento di forza, perché l'esperienza ci ha insegnato che ivi risiede il mezzo migliore per condurre un buon lavoro di proselitismo nei confronti di elementi sinceri, giovani e vergini, e per conquistare un'influenza sulle masse. Ciò gioverà forse a spiegarvi i rapporti che corrono attualmente fra i due partiti su tutta l'estensione del loro fronte, e può farvi accettare la verità di questa considerazione: un lavoro nel partito socialista di cui avessimo preso l'iniziativa avrebbe allontanato l'obbiettivo per il quale lo si sarebbe intrapreso e avrebbe probabilmente dato delle armi agli opportunisti contro di noi e contro i nostri metodi.

Infine: le nostre previsioni si riassumono come segue: scarsissime probabilità di scissione fra l'attuale maggioranza del partito socialista e la destra turatiana; una certa probabilità che in seno alla frazione Serrati si formino dei gruppi di sinistra, con la quasi certezza che non romperanno mai con essa. Le nostre proposte: se si verificherà la grande scissione si pongano al nuovo partito, in tutta la loro estensione, le 21 condizioni; il che vuol dire, si aspetti che questo partito prenda una posizione chiara – con la certezza da parte nostra che sarà una posizione non comunista. Se si produrrà una tendenza alla scissione dei gruppi di sinistra, aggregarli al partito comunista sulla base dell'adesione individuale, studiando la possibilità di riaprire un periodo durante il quale i membri del PS potranno optare per il nostro partito senza essere sottoposti, in caso di accettazione, al periodo di candidatura e ottenendo gli stessi diritti dei membri del partito che vi appartengono da Livorno.

Noi speriamo che non vi sia da parte vostra nessuna difficoltà quanto al punto 5 della risoluzione della Centrale, che si riserva di convocare il Congresso del nostro partito così com'è è per rimettergli la situazione che si sarà determinata in seguito al congresso socialista, e che è abbastanza chiara per aver bisogno di altre considerazioni.

Un altro argomento. Noi riteniamo – senza voler entrare qui in questioni troppo generali – che le unificazioni sono dei mezzi di sviluppo, se si vuole, dei partiti, ma non costituiscono il mezzo più ordinario e più desiderabile. Se hanno nel loro bilancio un attivo, che tradotto in cifre può essere considerevolissimo, dal punto di vista del lavoro di organizzazione del partito e della sua omogeneità pratica, hanno un passivo evidente. Solo in presenza di un gruppo perfettamente collocato sul nostro terreno, o che se ne allontani solo per questioni particolari e secondarie, si può andare all'unificazione a cuor leggero, ed essere sicuri che la nostra causa ne risentirà dei vantaggi. Noi chiediamo che un gruppo al quali si promette di aprirgli le porte del nostro partito abbia dimostrato in anticipo di essere deciso a lavorare sul terreno comunista con il suo contegno in tutta l'azione pratica. A questa sola condizione si potrebbe considerare esente da pericoli una tattica che evidentemente verrebbe ad interrompere lo sviluppo dell'azione del nostro partito, così come l'abbiamo impostata con i mezzi di cui disponevamo, fin dalla sua costituzione, conducendola su una linea continua verso risultati che non sono ancora tutti palpabili, ma che abbiamo ragione di aspettarci da un prossimo avvenire.

Forza ed influenza del Partito Comunista

C'è tutto un altro aspetto della questione, lo sappiamo bene, ed è il più delicato da affrontare da parte nostra. La risoluzione del Congresso ed il programma di incorporare un vasto settore del PS si appoggiamo anche sull'idea che ci sia qualcosa da cambiare nel nostro partito, non solo dal punto di vista quantità, ma anche dal punto di vista qualità.

Un giudizio sull'insieme dell'attività del nostro partito deve basarsi su numerosi elementi che qui non esponiamo, essendo questa materia riservata all'altro rapporto ordinario che vi spediamo.

Fermiamoci un momento sul problema quantità. Abbiamo esposto le prospettive della crisi del PSI. La possibilità, anche chiudendo gli occhi sulle circostanze sulle quali ogni comunista ha lo stretto dovere di averli bene aperti, non è grande. Richiamiamo la vostra attenzione sull'altro lato della questione, che se non si arriverà a nessun guadagno numerico per l'Internazionale, resterà il fatto di aver fatto delle avances e delle dichiarazioni che permetteranno di continuare l'equivoco dei malintesi, dei dissensi accidentali, ecc., rendendo più difficile il lavoro del partito comunista per aver ragione di questi mezzi sleali. Ancora: il partito potrebbe, divenendo più numeroso, perdere la sua attrattiva per le masse, che non comprenderebbero queste manovre e si lascerebbero convincere che v'è stato un gioco di questioni e di interessi personali.

Quanto alla bontà della posizione del partito e al successo del suo lavoro fra le masse, non bisogna dimenticare che esso non è sempre in ragione del numero dei suoi aderenti. È desiderabile che il partito sia il più possibile numeroso; è un assioma, ma questa condizione è desiderabile come mezzo per raggiungere il fine rivoluzionario del partito. Bisogna sapere che, se non nelle file del partito, almeno in quelle dei proletari simpatizzanti per esso e che domani vi entreranno, si potrebbe perdere una parte degli effettivi, guadagnati a destra. La situazione è tale che non potrebbero non derivare conseguenze negative dal periodo inevitabile di incertezza che seguirebbe ad un cambiamento delle basi del partito, nell'atto in cui gli avvenimenti sono tali che l'interesse delle masse è richiamato ogni giorno più sul nostro programma e sulla nostra azione.

Ci sono dei lati della nostra azione di partito che bisogna correggere? Noi ci guarderemo bene dal sostenere la nostra perfezione: sarebbe ridicolo. Ma ci sia permesso di dichiarare che non ci crediamo al punto da dover attendere la correzione dei nostri errori dalle forze che ci apporterà il partito corrotto e compromesso per sempre, sulla via di una spaventosa degenerazione, di cui eccoci costretti ad occuparci tanto su un terreno diverso da quello della lotta contro gli avversari della rivoluzione e del comunismo.

Si tratta soltanto, ci si dirà, di avvicinarci alle masse proletarie che l'opportunismo tiene ancora sotto la sua influenza. Questo processo, compagni, fa il suo corso in modo soddisfacente, per coloro che sapevano che cosa pensare dell'ottimismo esagerato diffuso sulle faccende del movimento italiano. La cosa più disgraziata per i successi dell'IC in questo senso è la comprensibile tendenza a realizzare d'un colpo solo risultati che potranno soltanto essere più sicuri se vi si perviene con i mezzi che la situazione ci offre e con il lavoro sistematico ed energico del Partito e dell'Internazionale.

Se ci si ferma ad esaminare la posizione del nostro partito, ci si può chiedere se esso presenta dei difetti dal punto di vista dei principii e dei metodi che esso sostiene, oppure da quello dell'efficacia del suo lavoro e della sua lotta.

Quanto al primo punto di vista, ci si permetta di dichiarare la nostra completa ortodossia. Se siamo esenti da riformismo e da centrismo, siamo egualmente ben lontani dall'essere affetti da tendenza sindacalista o anarchica. Si chiedano informazioni… agli anarchici ed ai sindacalisti italiani, il nostro atteggiamento ultraintransigente nei confronti dei quali potrebb'essere… un'altra critica rivolta agli errori del nostro partito.

Gli errori antimarxisti nel senso del partito comunista operaio tedesco non ci riguardano né da vicino né da lontano. La tenacia con cui lavoriamo nei sindacati "dall'interno" la si può giudicare dal fatto che al Congresso dei ferrovieri abbiamo avuto contro di noi un "blocco" di socialisti e di anarco-sindacalisti. Non lo si vorrà contare come un errore di mancanza di abilità tattica da parte nostra… nessuno nel nostro partito mette in dubbio la necessità della più assoluta centralizzazione: essa vi è una realtà. Il partito non ha frazioni e nessuno dei suoi militanti sente il bisogno di aprire una campagna critica sul suo comportamento.

Le concezioni putschiste o bakuniniane non hanno neppur esse fra noi nessun rappresentante. Non esiste nel nostro partito l'opinione che, poiché siamo un partito "puro", ce n'è abbastanza per ingaggiare la guerra rivoluzionaria. I nostri militanti e le nostre formazioni lottano ogni giorno contro le armate della reazione borghese, cadono spesso per la nostra causa, rintuzzano sempre più spesso l'arroganza dell'avversario; ma noi teniamo fermo senza cadere nell'errore di lasciarci imporre delle avventure in condizioni sfavorevoli.

Il nostro partito non è un partito di élite. Su tutto il fronte esso è diretto da elementi proletari. I capi intellettuali sono sottoposti ad un controllo incessante, e coloro che non erano dei veri militanti sinceri del comunismo sono stati rapidamente liquidati. Forse abbiamo il torto di avere una disciplina troppo spietata e di applicare troppe condanne disciplinari. Ma, l'abbiamo detto, non si può pretendere d'essere perfetti, e se il vecchio proverbio "in medio stat virtus" non è che un sofisma, non è meno vero che ogni merito, guardato all'indietro, può divenire un crimine.

Ma infine si dubita che il nostro partito non sia organizzato, attrezzato, educato in modo da trarre dalle situazioni il massimo effetto.

Non abbiamo avuto successo nelle elezioni? C'è stato prima di tutto un successo d'ordine non aritmetico, ma molto importante, per la disciplina e la fermezza con la quale si è riusciti a condurre in tutto il paese, a due mesi dalla formazione del partito, questa pericolosa forma di azione. Sul risultato numerico hanno influito molti fattori a noi noti e che noi abbiamo chiariti nella nostra stampa, specie a titolo di paragone con i risultati ottenuti dal partito socialista.

Quanto al nostro lavoro sindacale, esso sta prendendo un'ampiezza molto soddisfacente. I 300.000 organizzati che al Congresso della Confederazione si sono messi non solo sul terreno dell'Internazionale Sindacale rossa, ma su quello del comunismo, e che noi organizziamo ogni giorno meglio, costituiscono, permetteteci di dirlo, le migliori forze sindacali dell'Internazionale Comunista dopo i sindacati russi. La piattaforma attuale della nostra azione sindacale, di cui avete gli elementi sia nel rapporto ordinario che nel Bollettino, è perfettamente corrispondente alle decisioni dei due congressi internazionali, e ci permette una scioltezza tattica di movimento e un contatto continuo con tutti i gruppi proletari sul terreno dei loro interessi economici, che non contraddice affatto alla chiarezza della nostra posizione politica di partito.

Un'ultima osservazione. Noi supponiamo che il risultato delle elezioni sarebbe stato migliore se il PS non avesse potuto vantare le sue probabilità d'essere accolto nell'Internazionale. L'influenza sulle masse della sfavorevole impressione prodotta dal patto di pacificazione con i fascisti sarebbe stata più profonda, se in quei giorni la notizia della mozione di Mosca che non rompeva i ponti con tutti i traditori che l'avevano firmato, non avesse potuto essere sfruttata dai socialisti.

Noi abbiamo la ferma convinzione che lo sviluppo storico della situazione italiana abbia il senso di condurre a risultati rivoluzionari laboriosi, ma forse meno lontani di quel che si può credere, sulla base di lotta proletaria che il Congresso di Livorno ci ha data con l'abisso che vi si è aperto fra i partigiani della lotta comunista e gli opportunisti di tutte le sfumature.

Noi siamo sicuri che i risultati del congresso socialista, quali che siano, confermeranno questo punto di vista, e che, persistendo a lavorare in questa direzione, si arriverà ad infliggere le maggiori sconfitte all'opportunismo centrista.

Abbiamo detto abbastanza perché ci si possa fare un'idea dei nostri argomenti e degli elementi della questione. Esporli non era che nostro dovere.

Questo rapporto può concludersi con due dichiarazioni.

La prima: che i nostri voti più caldi sono per il completo accordo sul lavoro da condurre con l'Esecutivo dell'Internazionale.

L'altra: che la disciplina e la centralizzazione su base internazionale non possono soffrire alcuna eccezione nel movimento comunista, e che le opinioni della nostra Centrale o del nostro Partito devono passare in seconda linea di fronte alle risoluzioni dei Congressi internazionali così come l'Esecutivo li interpreta e li applica.

Per conseguenza, dopo aver esposta la situazione come la vede il nostro partito, e le proposte ch'esso fa, nella certezza che nessun organo meglio che il Comitato Esecutivo dell'Internazionale potrà tener giusto conto della collaborazione delle sezioni nazionali alla coscienza critica ed alle direttive pratiche dell'Internazionale di fronte ai problemi ch'essa deve risolvere, noi dichiariamo ancora una volta la nostra disciplina senza riserve alle decisioni e all'organo centrale dell'Internazionale.

Vi salutiamo, compagni, col grido: Abbasso l'opportunismo! Viva l'Internazionale Comunista!

p. il CE del PCd'I

Amadeo Bordiga

Al momento della redazione di questo rapporto siamo in contatto con il compagno V (Valesky) e attendiamo ancora la compagna C (Clara Zetkin).

Il nostro comitato sta per lasciare definitivamente la sede di Milano e trasferirsi a Roma. Speriamo di poter aggiungere allo stesso invio il rapporto ordinario.

Fonte APC, 1921, 44/19-32 (19 settembre 1921)
Autore Amadeo Bordiga
Archivio n+1 Fotocopia dell'originale Rif.
Livello di controllo Rilettura Confr. Orig. X Rev. critica

Archivio storico 1921 - 1923