La rivoluzione russa è una rivoluzione comunista?
L'accusa più grave che gli avversari della rivoluzione bolscevica credono di poter muovere, in nome del marxismo, all'opera dei comunisti russi, è quella di aver voluto portare a termine una rivoluzione socialista in un paese dove non esistevano ancora le premesse per un siffatto rivolgimento, dove, l'85% dell'economia essendo costituito da aziende a tipo precapitalistico, soltanto una minima parte dell'economia offriva le condizioni per un diretto trapasso dal regime capitalista a quello collettivista.
A suffragio e conferma di tale asserto, s'invocano le esperienze negative della rivoluzione russa nel campo dell'economia, dal fallito tentativo di instaurare un comunismo coercitivo all'attuazione della "Nuova Politica Economica", che tende a reintegrare forme e sistemi economici, che si ritenevano sorpassati con l'avvento del proletariato al potere.
Gli argomenti, più o meno marxisticamente validi, che contro tale accusa si accampano da parte dei comunisti, si possono dividere in due gruppi principali: quelli che scansando il nocciolo economico della questione, si attaccano alla superficie politica di essa; e quelli che, pur affrontando il problema nella sua essenza economica, non ne toccano il fondo, per il fatto di porlo su un piano relativo e contingente.
Nella prima categoria vanno collocati quei tentativi apologetici che trasportano l'asse del problema nell'antinomia: democrazia - dittatura proletaria. L'errore comune a questi tentativi consiste nell'anteporre l'aspetto politico della questione a quello economico, nel prescindere dal substrato economico del problema, - elemento essenziale e primario di ogni analisi marxista. Non si considera se le condizioni economiche siano mature per una trasformazione in senso comunista o socialista, ma ci si appaga di dimostrare che il proletariato è stato abbastanza maturo da instaurare la sua dittatura, a ciò costretto da profonde necessità storiche.
Un autorevole nostro compagno, in una sua conferenza sul tema "Marxismo e comunismo", ebbe a formulare tale concezione nei seguenti termini: la questione, se il proletariato abbia raggiunto un grado sufficiente di maturità per compiere la sua emancipazione non può essere risolta, se non collegandola con quella dei rapporti di forza esistenti fra proletariato e borghesia. Non si domanda se il proletariato, preso in sé e per sé, sia abbastanza forte, ma se esso sia abbastanza forte in rapporto alle forze della borghesia.
Questa tesi regge fino a un certo punto, cioè finché ci si contenti di dimostrare la possibilità d'una rivoluzione politica; ma viene a mancare ove si voglia dimostrare la possibilità d'una rivoluzione economica in senso collettivista.
Prendiamo, ad esempio, un paese come la Russia, dove proletariato e borghesia sono la minoranza della popolazione, e dove le aziende a tipo capitalista costituiscono soltanto una piccola parte delle aziende, su cui si fonda l'economia nazionale. In un simile paese è possibile che il proletariato, se sorretto temporaneamente dalla piccola borghesia, riesca a rovesciare il potere della borghesia e ad instaurare temporaneamente la sua dittatura; è possibile che, in un primo momento, il proletariato diventi il protagonista di una rivoluzione, la quale però, nel suo ulteriore sviluppo, si rivelerebbe come ostetrica, non di un assetto socialista, ma di un assetto piccolo-borghese contadinesco. Poiché, una volta spodestata ed espropriata la borghesia, i termini di relatività: proletariato-borghesia, si spostano in quelli di: proletariato - piccola borghesia. Nel primo caso, trovandosi ambedue i termini sul medesimo piano di sviluppo storico, il problema si riduce ad una questione contingente di forza, nel secondo caso invece, trovandosi i due termini su due piani differenti, esso riveste il carattere d'un problema di maturità in un senso intimamente storico, dialettico.
In questo punto il lato economico del problema della rivoluzione russa, come tipo di rivoluzione proletaria in un paese economicamente arretrato, s'affaccia in tutta la sua ineluttabilità: praticamente, imponendosi con la necessità d'un ulteriore sviluppo e parziale restauro (ove esse sono state soppresse) delle forme economiche individualiste e capitalistiche; teoricamente esigendo con accresciuta insistenza una risposta al seguente quesito: il proletariato, proponendosi di attuare un assetto collettivista in un paese dove le condizioni obiettive per una tale trasformazione non sono date che in piccola parte dell'economia, non si è assunto un compito che trascende le sue forze, o più precisamente, non si è assunto un compito, per quanto riguarda la concentrazione dei mezzi di produzione, la industrializzazione dei rami ancora arretrati dell'economia (e si tratta della parte preponderante), non si è assunto un compito, diciamo, che non è il suo, bensì il classico compito storico della borghesia? Al proletariato divenuto classe dominante la critica marxista assegna il compito d'avviare l'economia dall'assetto capitalista a quello socialista, ma non quello di portarla dal regime precapitalista al regime collettivista, che presume un alto grado di concentrazione dei mezzi di produzione.
Non mancano, certo, difese e giustificazioni della rivoluzione proletaria in Russia, che affrontano il problema nella sua sostanza economica; ma, come già accennammo, la maggior parte di esse si muove su un piano contingente, e ciò fors'anche perché le accuse ed obiezioni non sono, per lo più, contenute in termini assoluti e rigorosamente dottrinali.
L'argomento più comune è quello dell'assurdità di voler pretendere che, in un paese economicamente così arretrato come la Russia, un assetto socialista si possa attuare nel volgere di pochi anni. Cosa evidentissima. Sennonché, nel nostro caso, non si tratta di possibilità od impossibilità relativa, misurabile con criteri di tempo, ma di possibilità assoluta. Dello stesso genere sono gli argomenti che spiegano la mancata realizzazione d'un regime comunista con le condizioni particolari in cui ha dovuto svolgersi la rivoluzione proletaria in Russia: eredità d'una economia disgregata, guerra civile accanitissima e lunga, intervento, blocco, ecc.
Con criterio scientificamente ben più valido affrontano il problema quegli scrittori, che affermano essere irrazionale ed antistorico voler considerare la rivoluzione russa come fatto isolato, avulso dal movimento proletario internazionale. Il problema della rivoluzione russa rimane necessariamente insoluto se non lo s'inquadra nel complesso della rivoluzione proletaria su scala mondiale. Nell'attuale grado di sviluppo dell'economia mondiale, caratterizzato dall'interdipendenza degli organismi economici, non è possibile che uno di questi organismi viva e prosperi, staccato da quel complesso più vasto, di cui esso costituisce soltanto un singolo elemento. Ora, uno Stato a base collettivista non potrà mai inserirsi armonicamente in un sistema economico mondiale che si regge su fondamenta capitalistico-individualiste. Di qui la necessità che la rivoluzione proletaria si attui anche negli altri paesi capitalistici, se si vuole che la Russia inizi la sua opera di realizzazione socialista. Neppure paesi come l'Inghilterra o la Germania, dove la concentrazione dei mezzi di produzione ha raggiunto un grado altissimo di sviluppo, potrebbero reggersi a lungo in un simile isolamento tanto meno poi un paese come la Russia, dove il processo di industrializzazione dell'economia non aveva superato ancora la fase iniziale.
Ragionamento inconfutabile questo, ma troppo comprensivo rispetto ai casi cui esso può venire applicato, perché non sfugga quello che v'è di particolare nel problema russo: cioè di sapere come possa svolgersi il processo di concentrazione dei mezzi di produzione in un paese dove la borghesia, coefficiente propulsore di tale processo, è stata spodestata. Si tratta, in fondo, di sapere quale sarà il fattore che dovrà continuare quell'opera, che dalla borghesia russa è stata compiuta soltanto in minima parte.
Per trovare una risposta, basta dare un senso più specifico a quella tesi secondo cui la rivoluzione proletaria nei paesi capitalistici dell'Occidente è condizione indispensabile per la realizzazione d'un assetto socialista in Russia; e precisamente, che tale rivoluzione è necessaria, non solo perché essa offrirebbe alla Russia la possibilità d'inserirsi armonicamente in un sistema economico internazionale, ma anche perché essa darebbe vita, o meglio, sprigionerebbe, metterebbe in efficienza quell'agente che dovrà operare la industrializzazione delle aziende a tipo precapitalista, cioè la maggior parte dell'economia russa. E tale agente è, come non sarà difficile arguire, il proletariato dei paesi occidentali, diventato padrone del potere politico ed economico.
Qualcuno potrebbe chiederci, a questo punto, per quali ragioni riteniamo il proletariato occidentale all'altezza d'un compito, che abbiamo affermato, in base alla dottrina marxista, essere il compito specifico della borghesia. Le ragioni sono ovvie. Il proletariato occidentale, instaurando il suo potere in paesi dove lo sviluppo capitalista ha raggiunto il massimo, o per lo meno un altissimo grado di maturità, realizza un assetto economico superiore a quello capitalista, e diventa una classe storicamente più evoluta della stessa borghesia. Esso può quindi assumersi tutti i compiti che sono propri alla borghesia ed assolverli con maggior successo.
Né può meravigliare il fatto che la concentrazione dei mezzi di produzione, in tal caso, verrebbe ad essere realizzata per opera di fattori extranazionali. Tutti sanno che in Russia, tale processo s'è svolto anche per il passato in grandissima parte grazie all'intervento di capitali e valori tecnici stranieri. Ciò sarà tanto più facile, quando l'economia mondiale si svolgerà sulla base d'un piano unitario e razionale, che regolerà e disciplinerà ogni attività economica con criteri ispirati al raggiungimento del massimo benessere generale.
S'intende che il proletariato russo sarà un coefficiente eminentissimo in quest'opera; ma essa non costituisce il suo compito specifico, la sua missione storica, ch'è quella di aver conquistato e mantenuto il potere politico, in attesa che il proletariato occidentale, liberatosi a sua volta dalla dominazione capitalista, intervenga nel processo dell'economia russa, per continuarvi quell'opera, che la borghesia è stata impedita di portare a termine.
Noi vediamo, infatti, che tutti gli sforzi del proletariato russo sono stati, finora, rivolti a difendere e consolidare il suo potere politico; ed anche quei provvedimenti (generalmente riassunti sotto il nome di comunismo militare), che sembravano a molti un avviamento ad un regime socialista-comunista, si sono rivelati come forme economiche transitorie, imposte da necessità contingenti, e non come naturali prodotti dello sviluppo storico dell'economia.
Ora assistiamo a questa fase della rivoluzione russa: la mancata rivoluzione proletaria nei paesi occidentali ha reso necessaria la cosiddetta Nuova Politica Economica, la quale affida al capitalismo occidentale l'opera di concentrazione dei mezzi di produzione, che, qualora la rivoluzione mondiale si fosse realizzata, avrebbe dovuto essere assunta dal proletariato occidentale. È vero che il proletariato russo si riserva una larga parte in quest'opera, la sua partecipazione però riveste un carattere di controllo e di usufrutto, più che d'iniziativa e d'impulso creativo.
Ma questa "ritirata strategica" nel campo economico non può fornire nessuna arma marxisticamente valida a coloro che vorrebbero vedervi una nuova prova del fallimento della rivoluzione proletaria in Russia. Questa, come speriamo di aver messo in evidenza, non ha altro obiettivo storico che quello di assicurare alla classe operaia il potere politico ed il possesso e controllo di quei mezzi di produzione, che sono la premessa e la base della sua esistenza. Ed a questo scopo la Nuova Politica Economica contribuisce in un duplice senso: da una parte rafforzando ed allargando - mediante il restauro e l'incremento delle grandi aziende già esistenti e la creazione di nuove imprese a tipo capitalistico-statale - la base naturale del proletariato, classe dominante; dall'altra, interessando e legando via via - mediante il graduale elevamento delle sue condizioni di esistenza - la classe contadina all'esistenza dello Stato proletario.
Non ci nascondiamo che la situazione singolare e storicamente anormale, in cui si trova il proletariato russo - esso detiene il potere politico, ma dispone soltanto di una piccola parte dei mezzi di produzione - non è sostenibile in eterno. Ma nessun comunista serio si è mai sognato che la Russia soviettista possa vivere in eterno circondata da Stati capitalistici.
Solo se il proletariato russo sarà costretto ad abbandonare il potere prima che i proletari d'Occidente abbiano rovesciato la dominazione borghese, solo allora si potrà dire che la sua rivoluzione è stata immatura.
Fonte | Rassegna Comunista del 15 luglio 1922 | ||
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Autore | Gustavo Mersù | ||
Archivio n+1 | Copia dell'originale | Rif. | |
Livello di controllo | Rilettura | Confr. Orig. X | Rev. critica |