C'è uno spettro in Europa

L'atto di nascita della dottrina e della milizia comunista, il Manifesto dettato nel 1847 dal Carlo Marx, cominciava la lapidaria esposizione dei capisaldi del comunismo, notando come questo apparisse all'orizzonte della politica europea come uno spettro terrificante per le più svariate scuole e correnti della vita pubblica ufficiale, concordi tutte da paese a paese e da destra e sinistra nell'investire coi più roventi anatemi il nuovo pensiero e la nuova pratica della Rivoluzione.

Settantacinque tremendi anni sono passati da allora, tre quarti di secolo densi di eventi formidabili per la storia dell'umanità. Sulle prime basi della teoria e della organizzazione l'edificio del comunismo è andato sorgendo attraverso un continuo ed aspro travaglio, alternato di slanci audaci, di pentimenti esitanti e di crolli parziali, di ferrei ritorni alla implacabile e ardua costruzione. La mentalità delle varie specie di filistei sulla cui cute scese mille e mille volte il sarcasmo demolitore dei nostri Maestri, e le formule del loro gemere, scongiurare, maledire, non sono cambiate gran fatto attraverso un periodo in cui le classi dirigenti hanno pur ostentando ininterrottamente la ricerca di nuove attitudini, parodia in cui sfogavano la morbosità del loro sistema nervoso sociale in dissoluzione. Lo stesso orrore, lo stesso terrore, lo stesso livore, confortati dalla medesima malvagità e della medesima viltà feroce, si levano contro lo "spettro" che non cessa di incombere e di riempire di sé ogni prospettiva del domani.

Cento e cento volte il pensiero ufficiale ha voluto ignorare il pericolo rivoluzionario e lo ha ipocritamente dichiarato scomparso, cento e cento volte ha dovuto dimostrare nel rinnovarsi del suo odio che la scomparsa non era che un vano desiderio. Il movimento delle classi lavoratrici compiva attraverso i complessi eventi degli ultimi decenni il difficile suo cammino, la sua dottrina e la sua prassi erano necessariamente soggette a revisioni profonde, le vie smarrite erano faticosamente ritrovate e gli sbocchi tentati di sanguinosi e spesso infruttuosi assalti; ma nelle alternative il filisteo borghese non ha mai cessato di sentire che la causa nemica guadagnava terreno e trasformava ogni esperienza di dolori e di asprezze nello approfondire e nell'intensificare l'attrezzamento delle sue forze e delle sue schiere moltiplicatesi per ogni dove irresistibilmente tendenti all'unità delle aspirazioni e dei metodi di lotta.

Una vecchia risorsa della polemica controrivoluzionaria si è pur sempre inserita nell'alterne vicende del movimento proletario: quando questo visibilmente s'ingrandiva e si rafforzava su posizioni che pure gli erano state tenacemente contrastate come inammissibili e incompatibili colle buone norme del vivere civile, e si era costretti a cercare nelle concessioni il mezzo per ottenere una tregua nell'avanzata delle classi lavoratrici, si gridava che il mostro rivoluzionario si era ammansito e che gli erano stati strappati gli artigli. Quando, dalle nuove posizioni, od anche dalle delusioni di gravissimi errori, lo slancio verso la lotta rivoluzionaria erompeva di nuovo irresistibile, ricominciava a fluire l'indignazione e l'esecrazione, e tutti i mezzi che le classi dominanti hanno per formare la cosiddetta pubblica opinione e lo spirito pubblico erano volti a dimostrare che si trattava dei moti di infime minoranze la cui opera ed i cui intenti andavano descritti coi più foschi colori.

Le bande di criminali denunciati come nemici di Dio e della legge dei primi moti operai ed internazionalisti, quando ai lavoratori era computato come delitto anche la richiesta di un pezzo di pane di più e la formazione di una associazione dai modesti fini economici e professionali, fanno posto alle falangi innumeri delle organizzazioni sindacali e socialiste dell'immediato anteguerra, in cospetto delle quali il borghese ama ostentare la compiacenza perché il proletariato rosso è divenuto ragionevole e non parla più di sovvertimento delle istituzioni, né più crede ai rivoluzionari miti del comunismo. L'atteggiamento ufficiale della borghesia è quello di proclamare come eliminata ogni eventualità di azioni rivoluzionarie delle masse, di fingere di credere scomparso lo spettro comunista. Le classi dirigenti di tutte le nazioni si esaltano negli inizi della grande guerra della vantata solidarietà nazionale del proletariato e del suo sacrificio patriottico, in cui socialismo e internazionalismo sarebbero per sempre sepolti.

Tuttavia lo spettro è riapparso più tremendo sul finire della carneficina mondiale, e il coro livido degli scongiuri ha dovuto ricominciare. Le masse hanno ricominciato a tingersi di rosso, percosse e sollevate dalle onde della tempesta sociale. Lo spettro si è finalmente incarnato nella vittoria rivoluzionaria del comunismo in Russia, a cui guardavano gli sfruttati di tutti i paesi, minacciosamente sollevandosi nell'immediato dopoguerra. Non si poteva più negare l'esistenza del fantasma, si è dovuto ricominciare a maledirlo e vituperarlo. Lo spettro del comunismo prendeva forme materiali, per gli oppressi e i diseredati del mondo intero erano le forme della prima famiglia comunista e della prima armata liberatrice, della prima repubblica proletaria, per gli oppressori ed i privilegiati quelle di un mostro ferocissimo e sanguinario, il mostro bolscevico.

Sullo spettro fatto mostro è sorta la leggenda costruita dall'odio e dal terrore, invocante la crociata per la distruzione e lo sterminio.

Ma lo sterminio non è stato possibile: le forze dello Stato e dell'esercito rivoluzionario hanno resistito agli attacchi della reazione capitalistica, il fantasma del potere comunista si è potentemente radicato nella realtà rispondendo colle armi alle armi a difesa della propria esistenza.

Sono quattro anni che fiumi di odio e di menzogne si rovesciano sul regime proletario di Russia. Le vicende ancora una volta complicatesi ed alternanti della lotta proletaria hanno reso possibile che il baluardo rivoluzionario di Russia fosse isolato in un feroce assedio delle forze del passato, e alle masse degli altri paesi fosse impedito di proseguire direttamente l'opera della prima vittoria. Le classi dominanti riprendono un po' di speranza. Se non è stato possibile uccidere il mostro bolscevico, sarà possibile ad esse renderlo innocuo? E' credibile che esse possano addomesticarlo?

Alla leggenda di un comunismo materiato di criminalità e assetato di sangue e di distruzione, artefice volontario di lacrime e di morte, distruttore avanti tutto delle sue stesse creazioni, oggi che il potere del primo Stato proletario si è solidificato come un fatto indemolibile, viene sostituendosi la sciocca leggenda di un comunismo smorzato ed autocastrato, che viene per questo accettato nei cenacoli della gente per bene.

I rappresentanti della Repubblica dei Soviet sono invitati a convegno coi potenti ufficiali del mondo perché avrebbero rinunziato ai termini irriducibili del rivoluzionarismo comunista e muoverebbero a riconciliarsi cogli istituti della società odierna, a riconoscere la vitalità del sistema capitalistico contro cui erano mossi in guerra. Questa ragione nella propaganda filistea della stampa gialla viene sostituita a quella, ben più evidente al sicurissimo istinto delle moltitudini, che non si è potuto spezzare il fronte delle baionette e dei cannoni dell'armata rossa, né aggirarlo portando il veleno dell'insidia controrivoluzionaria nel seno stesso della organizzazione del nuovo Stato proletario.

Quando la borghesia capitalista dopo aver denunziato come criminoso il principio della associazione sindacale proletaria dovette riconoscerlo e legalizzarlo, essa segnò in quel momento una tregua apparente, ma sentiva che in tal modo dava nuova base a più tremende lotte delle forze rivoluzionarie contro di essa. Non poteva però fare altrimenti, e per le mille sue voci gridò di avere ammansito il mostro della rivoluzione inquadrandolo nelle sue leggi e nei suoi istituti. Per vie complesse che non è qui il caso di seguire, la forza rivoluzionaria riprese la sua via e preparò ben altre tempeste.

Accogliendo a Genova i delegati della Repubblica dei Soviet nei quadri delle sue legali rappresentanze, la Internazionale degli Stati capitalistici subisce un fatto ineluttabile; mai ai suoi mille organi tra cui primeggia la stampa gialla fa dire che le forze della rivoluzione sono venute a Canossa. Ma vi è in questo una situazione analoga a quella ora accennata e a quella mille volte ripetutasi delle alternative nella lotta di classe mondiale, che mai non hanno dissipato lo spettro della rivoluzione integrale. E se l'analogia non è completa, le differenze militano a tutto favore dei più pronti sviluppi rivoluzionari della situazione attuale. Uno Stato costituito e organizzato, diretto fermamente dal Partito Comunista, se deve piegare alle necessità dello svolgimento storico lo fa con libertà di iniziativa mille volte maggiore delle organizzazioni del movimento proletario fino a ieri soggette a mille fattori di incertezza nel loro difficile divenire. L'onda di ristagno dell'offensiva rivoluzionaria provocata da un momentaneo confluire della politica dominante con le forze che il proletariato ha potuto organizzare dalle sue file, potrà essere molto più rapidamente invertita in un nuovo assalto oggi che si tratta di un potere costituito e sovrano nella organizzazione e direzione delle sue forze.

Non era collaborazione né tradimento per i dirigenti delle forze proletarie l'accettare che il movimento sindacale del proletariato fosse legalizzato. Se essi si fossero opposti a che le prime associazioni professionali clandestine e illegali diventassero pubblicamente e legalmente la base dell'immenso movimento sindacale odierno, avrebbero fatta una politica senza alcun senso e paralizzato il logico divenire delle forze rivoluzionarie.

Collaborazione e tradimento era quello dei social-nazionali del 1914 che inquadravano le masse a loro affidate nel meccanismo di guerra degli Stati borghesi, come collaborazione e tradimento è ogni atto che inserisce l'azione delle organizzazioni proletarie nella funzione del Governo capitalista, mentre non lo è il tenere una manifestazione pubblica quando l'autorità borghese lo abbia consentito, e non lo fu l'accettare di partecipare alle elezioni per gli organismi ufficiali dello Stato, allorché le classi dominanti si decisero a concedere il diritto elettorale alle masse popolari. Il rifiuto borghese, così nel caso del diritto elettivo, che in quello di associazione sindacale come in quello del riconoscimento della Repubblica dei Soviet, era un fattore rivoluzionario. Ma da quando questo rifiuto cade non è rivoluzionario ma semplicemente idiota il volerlo sostituire con un rifiuto nostro al riconoscimento formale di quello che è purtroppo e da lunga pezza un fatto che non si tratta di "non riconoscere" ma di saper eliminare nella realtà della lotta: il potere dei nostri nemici.

La Delegazione dello Stato operaio che viene a Genova a contatto coi delegati degli Stati Capitalistici non fa nulla di diverso da quello che fa l'organizzazione che dirige un sindacato riconosciuto dalla legge o il deputato socialista o comunista che va in Parlamento.

L'essenziale per l'uno e per l'altro dal punto di vista rivoluzionario è il garantire la indipendenza dell'inquadramento delle forze proletarie e il non aggiogarle al carro del potere borghese. In questo senso diciamo che il fatto storico dell'incontro di delegati del proletariato e del capitalismo in una tregua formale, può più rapidamente risolversi nel riaccendersi della lotta aperta quando l'organismo proletario di cui si tratta è uno Stato fortemente costituito e armato, che quando esso è un sindacato o un partito politico.

Queste cose sono state e saranno meglio discusse nelle trattazioni della stampa comunista mondiale. La nuova leggenda borghese del nostro bolscevismo addomesticato e del comunismo venuto a Canossa non regge più di quella circolata fino a ieri sulle criminali atrocità dei dittatori rossi che solo col ferro e col fuoco andavan trattati. Lo spettro del comunismo sarebbe scomparso se le armi fossero cadute delle mani di Trotski e dal Kremlino non si dirigesse ancora una parte della superficie terrestre assai più vasta dell'Europa. Nascondere questo spettro dietro lo sparato bianco indossato da Cicerin è solo un ridicolo tentativo della ipocrisia borghese.

A furia di rettifiche e riconoscimenti che essa ammanta col pretesto che si rende omaggio alle sue istituzioni, la classe dominante giungerà simulando fino al punto fatale in cui le forze dell'avvenire potranno dire di non voler riconoscere il suo potere per la sola ragione valevole dinanzi allo spirito di realtà della politica rivoluzionaria del comunismo, quello cioè di aver rovesciato di tale potere gli ultimi baluardi, non cogli isterismi simbolici di curiose negazioni di fatti concreti, ma colla effettiva forza delle armi rivoluzionarie.

C'è più che mai uno spettro in Europa e nel mondo. Più che mai questo misterioso fantasma prende forma e materia di realtà. Non solo esso appare e riappare malgrado ogni forma di scongiuri sul fronte delle folle tormentate e martoriate, sempre più precisandosi nelle file del loro organamento rivoluzionario, ma altresì, assunta una sagoma saldissima nelle armate del primo Stato proletario, vigila sul gioco protocollare dei dibattiti di Genova attendendo il momento di mostrare che non il gesto e simbolo, ma le ragioni supreme della Forza, aprono le vie della storia.

Da "L’Ordine Nuovo" del 30 aprile e 1° maggio 1922. Firmato: Amadeo Bordiga.

Archivio storico 1921 - 1923