La quistione Trotzky

La discussione conclusa recentemente colle note misure adottate dal CE e dalla Commissione di controllo del partito comunista Russo contro il compagno Trotzky è stata originata esclusivamente dalla prefazione scritta da Trotzky al terzo volume delle sue opere, 1917, pubblicato in russo pochi mesi orsono, prefazione datata 15 settembre 1924.

La discussione sulla politica economica russa e sulla vita interna del partito, che prima aveva opposto Trotzky al CC di esso, era chiusa colle decisioni del XIII Congresso del Partito e del V Congresso mondiale, e Trotzky non l'ha riaperta. Si accenna nell'attuale polemica ad altri testi, come il discorso al congresso dei veterinari e l'opuscolo Su Lenin, ma il primo data dal 28 luglio, epoca in cui erano a Mosca ancora le Delegazioni al V Congresso, e non sollevò polemiche; il secondo è stato scritto ancor prima e largamente citato dalla stampa comunista di tutti i paesi, senza che nessuna eccezione fosse sollevata dagli organi del partito.

Il testo della prefazione su cui verte il dibattito non è noto ai compagni italiani. La stampa comunista internazionale non l'ha ricevuto, e per conseguenza, non avendo Trotzky né altri scritto ulteriormente a sostegno di quelle tesi, ha pubblicato soltanto scritti confutanti la prefazione stessa. Quello che ha aperto la polemica contro Trotzky, ossia l'articolo della redazione della Pravda degli ultimi di ottobre, è stato pubblicato in appendice dall'Unità. Quanto alla prefazione medesima, in italiano ne è apparso un riassunto sulla Critica Fascista, n. 2 e 3 del 1511 e 112 di quest'anno, e le prime pagine sono state riportate dall'Avanti! del 30 gennaio. In francese la prefazione intera è stata pubblicata nei Cahiers du bolscevisme, rivista del PC Francese, nei n. 5 e 6 del 19 e 26 dicembre 1924.

La prefazione a 1917 tratta degli insegnamenti della rivoluzione russa di Ottobre dal punto di vista della corrispondenza del partito rivoluzionario al compito storico della lotta finale per la conquista del potere. Recenti avvenimenti della politica internazionale hanno posto questo problema: realizzandosi le condizioni oggettive storiche per la conquista del potere da parte del proletariato, ossia instabilità del regime dell'apparato statale borghese, spinta delle masse verso la lotta, orientamento di larghi strati proletari verso il partito comunista, come garantirci che questo corrisponda alle necessità della battaglia, così come rispose il partito russo nell'Ottobre 1917, sotto la guida di Lenin.

Trotzky presenta questa questione nel modo seguente. L'esperienza ci insegna che nel momento della lotta suprema in seno al partito comunista si può manifestare la tendenza al formarsi di due correnti: una che intenda la possibilità dell'insurrezione armata o la necessità di non ritardarla, l'altra che all'ultimo momento, sotto il pretesto che la situazione non è matura e che il rapporto delle forze tra noi e l'avversario non ci è favorevole, sostiene il rinvio dell'azione, e prende praticamente una posizione non rivoluzionaria e menscevica. Nel 1923 questa tendenza ha avuto il sopravvento in Bulgaria, all'epoca del colpo di Zankoff, e in Germania in Ottobre, determinando la desistenza dalla lotta che poteva arrecarci il successo. Nel 1917 essa si manifestò in seno allo stesso partito bolscevico, e se fu battuta si deve a Lenin, la cui formidabile energia impose ai riluttanti il riconoscimento della situazione rivoluzionaria e l'ordine supremo di sferrare l'azione insurrezionale. Occorre studiare il contegno, nel 1917, dell'opposizione di destra contro Lenin nel partito bolscevico, e raffrontarle con quelle degli avversari della lotta sorti tra le nostre file in Germania nel 1923, e nei casi analoghi. Il linguaggio dei fautori del rinvio della lotta e la loro attitudine politica collima talmente nei due casi, da porre la questione delle misure da prendere, nella Internazionale, perché prevalga nei momenti decisivi il vero metodo leninista e non siano eluse le possibilità storiche della rivoluzione.

La conclusione più importante che emerge a nostro parere dall'efficace analisi cui Trotzky sottopone la preparazione e l'effettuazione della lotta di Ottobre in Russia, è che la riluttanza della destra non si presenta solo come un errore nella valutazione delle forze e nella scelta del momento dell'azione, ma come una vera incomprensione di principio del processo storico rivoluzionario, e come la proposta che questo prenda uno sbocco diverso da quello della dittatura del proletariato per la costruzione del socialismo, in cui sta il contenuto vitale del marxismo rivoluzionario rivendicato e realizzato nella storia dall'opera di gigante di Lenin.

Ed infatti il gruppo dei compagni dirigenti del partito bolscevico che allora si oppose a Lenin non sosteneva soltanto che si doveva ancora attendere, ma contrapponeva alle parole programmatiche leniniste: dittatura socialista del proletariato, tutto il potere ai Soviet, lo scioglimento dell'Assemblea Costituente; altre formule, come una combinazione del Soviet e di un parlamento democratico, il governo di tutti i partiti soviettisti, ossia di una coalizione di comunista e di socialdemocratici e ciò non come espedienti tattici di transizione ma come forme permanenti della rivoluzione russa. Si urtavano dunque due concezioni di principio: la dittatura soviettista retta dal partito comunista ossia la rivoluzione proletaria in tutta la sua potente originalità come fatto storico dialetticamente opposto alla rivoluzione democratica borghese di Kerensky, che è un concetto leninista; e la spinta a sinistra, il completamento, la difesa dallo straniero, della rivoluzione del popolo contro lo zarismo, ossia del successo della borghesia e della piccola borghesia.

Sottilmente nota Trotzky, sintetizzatore magnifico e senza pari tra i viventi di esperienze e verità rivoluzionarie, che nel periodo rivoluzionario i riformisti si spostano dal terreno del socialismo formale ossia dalla vittoria della classe proletaria ottenuta coi metodi democratici e legali borghesi al puro terreno della democrazia borghese, diventando i paladini e gli agenti diretti del capitalismo. Parallelamente un'ala destra del partito rivoluzionario va di fatto a occupare il posto lasciato libero da costoro, riducendo la propria funzione a quella di invocare una vera democrazia proletaria o qualcosa di simile, quando è il momento di proclamare il fallimento di tutte le democrazie e muovere alla lotta armata.

Questa valutazione dell'attitudine di quei bolscevichi che non furono allora con Lenin è indubbiamente grave, ma essa emerge dall'esposizione di Trotzky attraverso citazioni documentate - non smentite - dalle dichiarazioni dei destri medesimi e di Lenin in risposta ad esse. La necessità di sollevare questo problema risulta poi dal fatto che non abbiamo più Lenin; e che senza di lui abbiamo perduto il nostro Ottobre di Berlino: fatto di portata storica internazionale che spezza ogni considerazione di opportunità e di quieto vivere interno. Trotzky vede questo problema in modo analogo a quanto la sinistra della delegazione italiana sosteneva al V Congresso: l'errore tedesco non può essere liquidato riversandolo sui destri che allora dirigevano il partito germanico, ma esige la revisione della tattica internazionale dell'Internazionale e la verificazione del suo modo interno di organizzarsi, di lavorare e di prepararsi ai compiti della rivoluzione.

Il dissidio nel partito bolscevico alla vigilia della rivoluzione può seguirsi come una serie di vigorosi interventi di Lenin per rettificare la linea ed eliminare le esitazioni. Già nella sua lettera dalla Svizzera Lenin aveva iniziata questa sua opera. Al suo arrivo egli si pone decisamente contro il difesismo ossia l'attitudine tenuta, tra l'altro, dalla Pravda che spronava i lavoratori alla guerra contro i tedeschi per salvare la rivoluzione. Lenin stabiliva che noi avremo una rivoluzione da difendere quando al governo non saranno gli opportunisti agenti della borghesia ma il partito del proletariato.

È noto che la parola d'ordine del partito bolscevico era stata fino allora quella della "dittatura democratica del proletariato e dei contadini". Nel suo scritto Trotzky non pretende affatto che questa formula fosse sbagliata, che essa fallì storicamente, e che Lenin la sostituì con una formula equivalente alla Rivoluzione permanente sostenuta da Trotzky e dai suoi amici in altri tempi. Ben al contrario, Trotzky rivendica la giustezza di quella formula come la concepiva e adoperava il genio rivoluzionario di Lenin, ossia come parola tattica e di agitazione da adoperare prima della caduta dello zarismo, e che difatti si realizzò, in quanto dopo lo zar non si ebbe in Russia una pura democrazia parlamentare borghese, ma un dualismo tra un debole stato borghese parlamentare e i nascenti organi del potere proletario e contadino, i Soviet. Ma appena apertasi questa fase in cui la storia ha confermato la giustezza dello schema leninista e bolscevico della rivoluzione, Lenin si porta subito - come orientamento della politica del partito se non come successione esterna delle formule di propaganda - sulla posizione più avanzata di allestire la seconda e la vera rivoluzione, di andare con l'insurrezione armata alla dittatura socialista e soviettista del proletariato, si intende guidatore sempre delle falangi dei contadini in lotta per la loro emancipazione dal regime agrario feudale.

Trotzky scolpisce il problema dell'incomprensione del vero genio strategico di Lenin da parte di quelli che, come tra i tanti nostrani massimalisti, invocano ad ogni piè sospinto la sua teoria e la sua pratica sul compromesso e sulla elasticità di manovra. Lenin manovra, ma la manovra non fallisce mai la visione dell'obiettivo supremo. Per altri, troppo spesso la manovra diviene fine a sé stessa e paralizza la possibilità della conversione rivoluzionaria, attraverso cui vediamo in Lenin la souplesse cedere il posto alla più implacabile rigidità nel volere la rivoluzione, nello sterminarne i nemici e i sabotatori. Lenin stesso, con passi citati da Trotzky, stigmatizza questa incapacità ad adattarsi alle nuove situazioni rivoluzionarie, e lo scambiare una formula di polemica indispensabile nell'epoca precedente ai bolscevichi, con un non plus ultra per la loro politica ulteriore. Sta tutta qui la grande questione della tattica comunista e dei suoi pericoli di cui discutiamo da anni, a parte le conclusioni che si possono raggiungere con l'obiettivo di avviare a questo dannoso escamotage del vero contenuto rivoluzionario degli insegnamenti di Lenin.

Trotzky espone come per Lenin sia sempre stato chiaro che la rivoluzione russa, anche prima dell'avvento del socialismo in Occidente, passando per la fase transitoria della dittatura democratica ossia per una fase piccolo borghese, doveva arrivare alla fase della dittatura integrale comunista. I destri, col preconizzare un governo di coalizione operaia e deprecare la lotta insurrezionale, mostravano di far propria la posizione menscevica, secondo cui la Russia, anche liberata dallo zarismo, doveva attendere che la rivoluzione socialista trionfasse negli altri paesi, prima di scavalcare anche le forme della democrazia borghese. La prefazione di Trotzky bolla energicamente questo errore, veramente caratteristico dell'antileninismo.

Questi problemi furono energicamente dibattuti dal partito nella conferenza di aprile 1917. Da allora Lenin non cessa di ribadire potentemente l'idea della presa del potere. Egli batte in breccia l'inganno parlamentarista, chiama vergognosa più tardi la decisione del partito di partecipare al preparlamento, assemblea democratica provvisoria che si convoca in attesa della elezione della Costituente. Fin dal luglio egli, pure seguendo col massimo di attenzione l'evoluzione dell'orientamento delle masse e sapendo imporsi un periodo di attesa dopo l'assaggio e ricognizione dell'insurrezione fallita in quel mese, pone in guardia i compagni contro gli stessi inganni della legalità soviettista. Egli cioè dice che non bisogna legarsi le mani rimandando la lotta, non solo alla convocazione della Costituente, ma altresì a quella del II Congresso dei Soviet, e alle decisioni della maggioranza di questi, che potrà ancora restare agli opportunisti, dopo che l'ora di rovesciare colle armi il governo democratico sarà già scoccata. Egli disse in un certo momento, è noto, che avrebbe portato il partito al potere anche senza i Soviet: tanto che alcuni dei destri lo chiamò blanquista per questo. E Trotzky (su cui vorrebbero puntare i campioni imbecilli della democrazia contro la tesi dittatoriale bolscevica) avverte ancora una volta i compagni europei, che nemmeno dei Soviet ci dobbiamo fare un feticismo maggioritario: il nostro grande elettore è il fucile nelle mani dell'operaio insorto, che non pensa a deporre schede ma a colpire il nemico. Ciò non esclude il concetto leninista sulla necessità di avere con noi le masse, e l'impossibilità di sostituire all'azione rivoluzionaria di esse quella di un pugno di uomini risoluti. Ma, avute le masse, e qui sta l'argomento in discussione, occorre un partito o uno Stato maggiore che non frapponga tra esse e la lotta diversivi e tergiversazioni. Possiamo aspettare le masse, e lo dobbiamo, ma il partito non potrà, pena la disfatta, farsi aspettare da esse: ecco una maniera di formulare il tremendo problema che, essendo la borghesia mondiale ancora in piedi in mezzo alla sua crisi, pesa su tutti noi.

Il 10 di Ottobre del 1917 il Comitato Centrale del partito bolscevico delibera l'insurrezione. Lenin ha vinto.

Ma la decisione non è unanime. I dissidenti dirigono il giorno dopo alle principali organizzazioni del partito una lettera, Sul momento presente, che stigmatizza la deliberazione della maggioranza, dichiara impossibile l'insurrezione e sicura la sconfitta. E il 18 Ottobre i nostri scrivono ancora contro la decisione del partito. Ma il 25 Ottobre l'insurrezione ha vinto e il governo soviettista si installa a Pietrogrado. E il 4 Novembre, dopo la vittoria, i dissidenti da Lenin danno le dimissioni dal Comitato Centrale per essere liberi di appellarsi al partito, nel sostenere la loro tesi: non si deve, come Lenin sostiene, costituire un governo di partito, ma servirsi del potere conquistato per formare un ministero con tutti i partiti soviettisti, ossia i menscevichi e socialrivoluzionari di destra rappresentati nei Soviet. Si deve ugualmente convocare la Costituente e lasciarla funzionare: ancora nel Comitato Centrale viene affacciato tale tesi, finché non prevale ancora la linea di Lenin, e la Costituente viene dispersa dalle guardie rosse.

La storia del dissidio se si vuole è breve. I compagni di cui si tratta riconobbero il loro errore. Questo è giustissimo e non si tratta certo di qualificare quei compagni. Ma che riconoscessero l'errore, dinanzi alla rivoluzione vittoriosa e consolidantesi, era cosa inevitabile, a meno di passare addirittura nel novero dei controrivoluzionari. Resta il problema che emerge in tutta la sua gravità dalla semplice osservazione: se Lenin fosse restato minoranza nel Comitato Centrale e l'insurrezione fosse fallita per la sfiducia gettata preventivamente su di essa da una parte dei suoi capi, questi avrebbero parlato nei termini in cui parlano i compagni responsabili della direzione del partito tedesco durante la crisi dell'Ottobre '23. Ciò che Lenin scongiurò in Russia, non ha potuto l'Internazionale scongiurare in Germania. In queste condizioni l'Internazionale, se di fatto vuole vivere nella tradizione di Lenin, deve fare in modo da non trovarsi più oltre: la storia non è generosa di occasioni rivoluzionarie, e il passare di queste lascia lo strascico doloroso che tutti conosciamo e soffriamo.

I compagni dovranno considerare che il contenuto del dibattito non è tutto qui, se si riferiscono ai motivi per i quali Trotzky è stato biasimato nella mozione pubblicata, e agli argomenti della polemica, come li ripete riassumendoli l'autore degli articoli firmati A. P. Per quanto riguarda il compagno Trotzky, i problemi sollevati si riducono a quanto ho esposto: ma è vero che dall'altra parte si è risposto sottoponendo a un processo tutta intera l'attività politica svolta dal compagno Trotzky nella sua vita. Si è parlato di un trotzkismo che, contrapponendosi al leninismo, si svolge dal 1903 ad oggi su una linea continua, e si presenta sempre come una lotta da destra alle direttive del partito bolscevico. In questo modo si è inasprito e aggravato il dissidio, ma soprattutto si è deviato la discussione eludendo il problema vitale posto da Trotzky nei termini che abbiamo prospettati.

Accennerò solo brevemente alle accuse tirate fuori contro Trotzky da un campo estraneo a quello in cui resta la sua prefazione.

Un trotzkismo esisteva dal 1903 al 1917, in effetti, ed era un'attitudine di centrismo e di integralismo tra menscevichi e bolscevichi, piuttosto confusa e incerta teoricamente, oscillante praticamente da destra a sinistra, e giustamente combattuta da Lenin senza troppi riguardi, come usava Lenin con i suoi contraddittori. In nessuno dei suoi scritti dal 1917 in poi, ossia dalla data del suo ingresso nel partito bolscevico, Trotzky rivendica le sue opinioni di allora. Egli le riconosce erronee: nella sua lettera ultima al Comitato Centrale dice che "considera il trotzkismo come una tendenza scomparsa da molto tempo". Lo si accusa di aver parlato solo di "errori di organizzazione". Ma la rottura di Trotzky col suo antileninismo passato non va cercata in un suo atto legale di abiura, bensì nelle sue opere e nei suoi scritti dopo il 1917, che ne fanno incontestabilmente dinanzi alla storia il secondo dei bolscevichi. Nella prefazione Trotzky tiene a dimostrare il suo completo accordo con Lenin prima di Ottobre e in Ottobre: ma si riferisce esplicitamente al periodo successivo alla rivoluzione di Febbraio, ed osserva che anche prima di giungere in Russia, in articoli scritti in America, espresse opinioni confrontantesi con quelle di Lenin nelle lettere dalla Svizzera: con ciò non si sogna di nascondere che era lui che, dinanzi agli insegnamenti della storia, si portava sul terreno di Lenin prima a torto combattuto.

Trotzky discute col diritto e dalla posizione di un membro del partito bolscevico che rimprovera alla destra del suo partito un contegno che risente di errori menscevichi nel periodo della rivoluzione. Il fatto di essere stati, nel periodo precedente alla rivoluzione e alla lotta suprema, lontani da tali errori e a fianco di Lenin, alla preziosa sua scuola, dava solo maggiori doveri ai luogotenenti di lui di sostenere validamente l'azione senza sdrucciolare sugli errori di destra.

Per questo significa rovesciare i termini veri del dibattito e profittare dell'informazione unilaterale l'addossare a Trotzky la tesi sulla impossibilità della rivoluzione proletaria in Russia prima che in altri paesi, tesi che la prefazione a 1917 critica invece come determinante l'errore dei destri.

Ammesso che vi fosse un nuovo trotzkismo, il che non è, nessun ponte potrebbe legarlo col vecchio. Il nuovo in ogni caso starebbe a sinistra, mentre il vecchio era a destra. E tra i due si colloca un periodo di magnifica attività comunista di Trotzky, riconosciuta incontestatamente da tutti gli altri collaboratori di Lenin contro gli opportunisti socialdemocratici come rigorosamente bolscevica. Dove è meglio fiancheggiata la polemica di Lenin contro gli opportunisti socialdemocratici, che negli scritti di Trotzky, citando per tutti Terrorismo e comunismo? In tutti i congressi del Partito russo, dei Soviet, dell'Internazionale, Trotzky ha fatto rapporti e discorsi che definiscono in modo fondamentale la politica del comunismo negli ultimi anni, e mai si sono contrapposti a quelli di Lenin in questioni centrali: mai assolutamente se parliamo dei Congressi internazionali, di cui Trotzky ha sempre esteso i manifesti ufficiali, in cui ha diviso passo per passo con Lenin la polemica e l'opera per consolidare la nuova Internazionale eliminandone i residui opportunisti. Nessun altro interprete di Lenin raggiunge in questo periodo la solidità di concezione di Trotzky sui temi fondamentali della dottrina e della politica rivoluzionaria, mentre egli sta a pari col maestro nella efficacia scultorea della esposizione e della presentazione di quei postulati nella discussione e nella propaganda.

Non voglio nemmeno dire della parte presa da Trotzky come capo alla lotta rivoluzionaria e alla difesa politica e militare della rivoluzione, perché non ho la necessità né la intenzione di fare l'apologia di Trotzky: ma credo che questo passato si possa per lo meno invocare per far risaltare l'ingiustizia della riesumazione del vecchio giudizio di Lenin sull'amore di Trotzky per la frase rivoluzionaria e di sinistra, insinuazione che è bene riservare a chi le rivoluzioni ha mostrato di saperle vedere solo da lontano, e magari a molti ultrabolscevichi di occidente.

Si dice che Trotzky ha rappresentato nella precedente discussione col partito gli elementi piccolo borghesi. Non è possibile qui occuparci di tutto il contenuto di tale discussione, ma non va dimenticato: primo, che per la parte concernente la politica economica della repubblica, la maggioranza del partito e il Comitato Centrale fecero proprie le proposte della opposizione e di Trotzky; secondo, che l'opposizione aveva composizione eterogenea e come certo non si potrebbe accollare a Trotzky le opinioni di Radek sulla questione tedesca, così è inesatto attribuirgli quelle di Krassin e altri per maggiori concessioni al capitale straniero; terzo, che nella questione dell'organizzazione interna e di partito Trotzky non sosteneva il frazionismo sistematico e la decentralizzazione, ma un concetto marxista e non meccanico e soffocatore della disciplina: la necessità di veder meglio in questa grave questione si fa ogni giorno più pungente. Essa però esigerebbe una trattazione apposita. Ma l'accusa di esponente di tendenze piccolo borghesi si distrugge contro l'altra che Trotzky sottovaluta la funzione dei contadini nella rivoluzione di fronte a quella del proletariato industriale, altro pernio gratuito della polemica, laddove la tesi agraria di Lenin trova Trotzky fedelissimo seguace e illustratore (e in materia Lenin stesso non impediva si dicesse che aveva rubato il programma ai socialisti-rivoluzionari). Tutti questi tentativi di prestare a Trotzky dei connotati antibolscevichi non ci persuadono in nulla.

Trotzky fu in contrasto con Lenin, dopo la rivoluzione, sulla questione della pace di Brest-Litovsk e su quella del sindacalismo di Stato. Sono questioni certo importanti, ma che non fanno classificare come antileninisti altri leaders che allora furono nella tendenza di Trotzky. Su errori parziali del genere non si può poggiare la complessa costruzione che vuole fare di Trotzky il nostro anticristo con scorribande di citazioni e rilievi in cui la cronologia e la logica se ne vanno a catafascio.

Si dice anche che Trotzky è in contrasto con l'Internazionale nella valutazione della situazione mondiale, che egli considera con pessimismo, e che i fatti hanno smentita la sua previsione sulla fase democratica-pacifista. Sta di fatto che a lui fu affidato di fare un manifesto del V Congresso proprio su questo argomento, e che questo fu adottato con lievissime modifiche. Trotzky parla di fase pacifista come di un pericolo contro cui i comunisti devono reagire sottolineando, nei periodi democratici, la inevitabilità dello sbocco nella guerra civile e del dilemma tra le due opposte dittature. Quanto al pessimismo, egli invece proprio denuncia e critica il pessimismo altrui, affermando, che come Lenin diceva nell'Ottobre, quando si perde il momento favorevole alla lotta insurrezionale segue un periodo sfavorevole: la situazione in Germania ha confermata anche troppo tale valutazione. Lo schema di Trotzky sulla situazione mondiale non si restringe a vedere dovunque installato un governo borghese di sinistra, ma è una analisi profonda delle forze in gioco nel mondo capitalistico da cui in sostanza non si è distaccata alcuna dichiarazione dell'Internazionale, e che si impernia sulla tesi fondamentale della insuperabilità della crisi capitalistica contemporanea.

Gli elementi antibolscevichi sosterrebbero Trotzky. Naturalmente essi debbono compiacersi dell'affermazione ufficiale che uno dei nostri grandi capi ha gettato via i capisaldi della nostra politica, è contro la dittatura, vuole il ripiegamento su forme piccolo borghesi, e così via. Ma già alcuni fogli borghesi hanno chiarito che nulla vi è da sperare, che Trotzky più di ogni altro è contro la democrazia e per la violenza implacabile della rivoluzione sui suoi nemici. Se borghesi e socialtraditori sperano davvero sulla revisione del leninismo o del comunismo fatta da Trotzky nella loro direzione, staranno freschi davvero. Solo il silenzio e l'inazione di Trotzky potranno consentire una certa vita a questa leggenda e a questa speculazione dei nostri nemici. Ad esempio la prefazione di cui si discute è stata, è vero, pubblicata dalla rivista fascista, ma la redazione, giunta alla fine del testo, si è veduta costretta a chiarire con garbo che per carità non si deve credere che le sue opinioni siano minimamente parallele a quelle di Trotzky. E l'Avanti! fa semplicemente ridere quando elogia Trotzky proprio mentre stampa il pezzo in cui, a sostegno della sua tesi, egli cita anche il caso dell'Italia a riprova della bancarotta rivoluzionaria per l'insufficienza dei partiti, riferendosi dunque precisamente al partitone socialista. I destri tedeschi accusati di trotzkismo si sono messi a strillare che non è vero, perché essi sostengono esattamente il rovescio di quello che egli ha scritto: l'impossibilità della rivoluzione dell'Ottobre 1923 in Germania. E poi queste solidarietà discutibili da opposte sponde non possono mai valere di argomento per stabilire i nostri orientamenti: l'esperienza ormai ce le ha insegnate.

Trotzky deve essere giudicato per quello che dice e scrive. I comunisti non devono essere personalisti, e il giorno che Trotzky tradisse bisognerebbe bruciarlo senza riguardi. Ma il tradimento non deve essergli prestato dalla intemperanza dei contraddittori o della loro posizione privilegiata nel dibattito. Tutte le accuse riferentesi al suo passato cadono al solo osservare che le ha sostenute la prefazione a 1917 che ad esso non si riferisce affatto, mentre prima non era stata ritenuta necessaria una tale offensiva.

La polemica contro Trotzky ha lasciato nei lavoratori un senso di pena e recato sulle labbra dei nemici un sorriso di trionfo. Ora noi vogliamo certo che amici e nemici sappiano che anche senza e contro Trotzky il partito proletario saprebbe vivere e vincere. Ma fino a che le risultanze sono quelle a cui oggi conduce il dibattito, Trotzky non è uomo da abbandonare al nemico. Nelle sue dichiarazioni egli non ha cancellato un rigo di quello che ha scritto, e ciò non è contro la disciplina bolscevica, ma ha anche dichiarato di non aver voluto formarsi una base politica personale e frazionista, e di essere più che mai ligio al partito. Non si poteva aspettare altro da un uomo, che è tra i più degni di stare alla testa del partito rivoluzionario. Ma anche al di là della sensazionale questione della sua personalità, i problemi da lui sollevati restano: e non devono essere elusi ma affrontati.

Articolo inviato da Bordiga all'Unità il 18 febbraio e pubblicato il 4 luglio 1925.

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