Relazione della maggioranza del CC del Partito Comunista d'Italia alla conferenza nazionale di Como 1924
Relazione della Maggioranza del C.C. del Partito
RELAZIONE DI TOGLIATTI PER LA MAGGIORANZA DEL C.C.
Il compagno Togliatti inizia la sua relazione esponendo qual è l'origine del gruppo che costituisce l'attuale maggioranza del C.C. del Partito. L'atteggiamento di questo gruppo è conseguenza di una linea che esso ha seguito negli ultimi due anni di vita del Partito con continuità. Una prima separazione tra l'attuale maggioranza del C.C. e i compagni del vecchio C.E. Si manifestano fino alla vigilia del IV Congresso. L'attuale gruppo di maggioranza sostenne allora che, pur mantenendo l'opposizione di principio alla fusione con il P.S.I. non ci si dovesse disinteressare della discussione delle condizioni di essa. Su questo punto non era d'accordo con il C.E. In seguito, la divergenza si approfondì. Una parte della delegazione, in contrasto con il compagno Bordiga, sostenne la necessità di entrare nel comitato di fusione costituita dal IV Congresso.
Anche in contrasto con le linee del vecchio C.E. fu il programma di politica fusionista verso il P.S.I. proposto dal Partito all'Allargato del giugno 1923. Lavorando all'attuazione di quel programma, la maggioranza dell'attuale C.C. si era venuta ponendo sempre pigramente e con convinzione sul terreno politico della Internazionale e si propone oggi di far compiere lo stesso cammino al Partito intero.
FRONTE UNICO
Fatta questa premessa, il compagno Togliatti inizia la sua relazione con un esame della situazione internazionale e delle questioni controverse nella tattica del Comintern. Si può dire che essa sia caratterizzata dal fatto che l'Internazionale Comunista sta diventando una delle più importanti forze determinanti della politica europea. Ciò dipende dal fatto che l'Internazionale è gagliardamente avviata alla soluzione del problema della conquista della maggioranza della popolazione lavoratrice di alcuni fra i principali paesi europei. Questo problema dell'Internazionale si era posto come problema centrale al IV Congresso, cioè nel momento in cui parve doversi chiudere il periodo aperto dal I e del II Congresso mondiale, quello della necessità in ogni paese di un nucleo costitutivo del Partito Comunista. Per la conquista della maggioranza della popolazione lavoratrice il III Congresso lanciò a tutti partiti la parola d'ordine " andare alle masse " e formulò la tattica del fronte unico. Noi riteniamo che quella parola è questa tattica siano ancora rispondenti alla situazione oggettiva. Ancora oggi di partiti comunisti sono nella maggior parte dei paesi un'avanguardia che combatte distaccata dal grosso dell'esercito dei lavoratori e lo scopo dell'azione loro deve essere quello di colmare il distacco lottando fianco a fianco con la grande massa operaia per strapparla all'influenza dei capi socialdemocratici.
Nel fatto che noi accettiamo indichiamo come storicamente attuale la tattica del fronte unico, non si deve concludere che noi chiudiamo gli occhi sui pericoli che essa presenta. Questi pericoli vennero però indicati già fin dal III Congresso. Gli è da temere che l'applicazione continua del fronte unico faccia dimenticare a una parte della classe lavoratrice e anche dei nostri militanti quale è la funzione che spetta al Partito Comunista nell'opera di preparazione e direzione rivoluzionaria. Che questo pericolo sia reale ce lo hanno dimostrato i recenti fatti della Germania. I nostri compagni tedeschi hanno applicata la tattica del fronte unico in modo che la conseguenza di essa non fu una diminuzione di prestigio della socialdemocrazia, ma un aumento di prestigio dell'ala sinistra di essa. Le masse, è una parte del partito stesso, furono portate a considerare la sinistra socialdemocratica come una possibile alleata dei comunisti nella lotta rivoluzionaria.
Gli stessi avvenimenti tedeschi hanno invece mostrato della socialdemocrazia deve essere considerata in blocco come un'ala della borghesia. La tattica del fronte unico deve tendere a dare alla grande massa una concreta prova di questo fatto e non già a porre davanti a gli operai il Partito Comunista sullo stesso livello degli altri partiti. Anche applicando la tattica del fronte unico, i comunisti non devono dimenticare che il loro partito è il partito della rivoluzione e che la rivoluzione non si prepara soltanto con le trattative diplomatiche con i capi di altri partiti. Siccome questi pericoli esistono, noi chiederemo al V Congresso che formule e le tesi direttive dell'azione di tutti partiti in modo esplicito e rigoroso, così che, se vi sono degli opportunisti in seno al Comintern, essi non possano ritenersi coperti dalla bandiera del fronte unico.
Chiederemo inoltre e sempre allo stesso scopo che si sia espliciti nel dire che, se l'applicazione della tattica del fronte unico dovrà avere dei risultati di carattere organizzativo, dovrà trattarsi in ogni caso di organi di massa, creati e controllati dal basso, e non di eterogenei organismi creati dall'alto, in cui il nostro partito perda la sua fisionomia caratteristica. Precisati questi punti, la tattica del fronte unico dovrà continuare ad essere norma generale dell'azione di partiti comunisti, riconoscendo che non ad essa ma ad errori compiuti nella sua applicazione si devono attribuire gli insuccessi dell'azione di alcuni dei partiti comunisti europei.
GOVERNO OPERAIO
Passando a trattare un altro dei problemi oggi controverse nel campo internazionale, il compagno Togliatti si tiene quale significato i comunisti devono dare alla parola d'ordine del governo operaio, e rileva come questo proposito molti dubbi e incertezze esistano ancora nelle file del partito. Molti compagni, ad esempio, credono che la parola del governo degli operai e dei contadini contenga una indicazione della soluzione del problema della Stato come noi lo prospettiamo. Ciò è assolutamente errato. Il problema dello Stato ha per noi un'unica soluzione, quella che indichiamo con l'espressione: dittatura del proletariato. La parola del governo degli operai e dei contadini ha carattere di propaganda e di agitazione. Essa è una formula generale con la quale noi sintetizziamo il contenuto di tutte le note parziali che la grande massa lavoratrice è tratta a combattere dai bisogni immediati della sua vita.
Essa serve per imporre il problema dello Stato anche alle parti più arretrate della popolazione lavoratrice e per collegarle nella lotta con le avanguardie rivoluzionarie alla cui coscienza e chiaramente tutto il programma comunista. In questo senso si può dire che governo operaio e dittatura del proletariato sono sinonimi.
Altri compagni ritengono che governo operaio rappresenti una fase necessaria di passaggio tra i governi borghesi alla dittatura del proletariato. Ebbene, anche questo concetto è errato. Nello svolgimento delle situazioni reali può avvenire che governo operaio si realizzi concretamente. Questo però non potrà essere se non un momento traditore eccezionale, un momento nel quale proletariato non si può arrestare se non a costo di essere sconfitto. Il P.C. dovrà aderire ad una soluzione eccezionale di questo genere solo quando essa permette di risolvere qualcuno dei problemi che sono essenziali della rivoluzione ( ad esempio l'armamento degli operai ) e quindi contenga perciò stesso in se è elementi tali da portare ad un superamento immediato di questa tappa. Il governo operaio, se si è realizzata, deve realizzarsi in modo da essere condannato a sparire nel fuoco della guerra civile. E nella guerra civile si porrà in modo inesorabile il dilemma: ho dittatura della borghesia e dittatura del proletariato.
In Germania si è commesso l'errore di credere che il " governo operaio " potesse rappresentare un punto d'arrivo o almeno un punto dove si potesse sostare dimenticando i problemi fondamentali della preparazione rivoluzionaria. L'errore non fu solo dei compagni tedeschi, ma anche nelle tesi del IV Congresso, formulate in modo da lasciare aperta la via a interpretazioni opportunistiche del pensiero del Comintern su questo problema.
IL PARTITO COMUNISTA MONDIALE
Il V Congresso dovrà essere molto più esplicito e preciso.
Ma vi è un altro. Sul quale dobbiamo insistere in quanto è essenziale per la nostra differenziazione da una delle tendenze esistenti in seno al nostro partito. Tra le conquiste che l'Internazionale nei primi anni della sua esistenza ha solidamente compiuto nell'animo delle masse lavoratrici, vi è la convinzione della necessità, per la vittoria della rivoluzione proletaria, dell'esistenza di un unico partito comunista mondiale. Questo partito è l'Internazionale Comunista.
Da tale posizione non si può decampare è perciò nessuna concessione deve essere fatta al federalismo e alla correnti autonomiste esistenti nei vari partiti nazionali. A tale scopo bisogna tener fermi i 21 punti ed organizzare il nostro centro internazionale in modo che sia in grado di dare unità di direttiva e di azione a tutte le sezioni. Certo non si può dire che l'I.C viva ed operi già oggi come un partito mondiale unico, ma ciò si spiega con le diverse condizioni in cui operano le sue sezioni, con la diversità degli elementi da cui esse sono costituite e così via. Ma questo proposito esiste una differenza di valutazione fra noi e compagni che si presentano come la " sinistra del P.C.I. ". Questa trae dall'esame delle condizioni in cui oggi si svolge l'azione del Comintern la conseguenza che, poiché esso non è ancora un " vero " partito comunista mondiale, poiché è esistono nel suo seno dei pericoli di degenerazioni opportunistiche, si deve prospettare la necessità di lottare contro questi pericoli mediante la costituzione di una frazione internazionale di sinistra. Ciò ha come conseguenza di porre anche dei limiti alla assolutezza della disciplina. Infatti i compagni della sinistra sostengono che è possibile a un gruppo di negare la sua partecipazione alla direzione di un partito comunista quando le direttive sulle quali essa dovrebbe dirigerlo non siano da esso condivise e lasciano prevedere possibile pure la conquista della divergenza di una sezione del Comintern per svolgere azioni di conquista del centro stesso della Internazionale. Noi vediamo in queste opinioni il ritorno ad un'organizzazione di tipo " parlamentare " e la negazione pratica della I.C. come partito comunista mondiale. L'unico modo di lottare contro i pericoli di degenerazione della I.C. è dico a lavorare nella lotta che il suo centro dirigente conduce contro questi pericoli. Siamo quindi costretti a dichiarare che se al V Congresso i compagni della sinistra assumessero un atteggiamento favorevole alla creazione di una frazione nel seno del Comintern, noi ci porremo nettamente contro di essa.
PROBLEMI INTERNI DEL PARTITO
Chiusa così la prima parte della relazione, il compagno Togliatti esamina brevemente quale è la situazione interna del partito. Le tesi presentate dalla minoranza su questo argomento giudicano alla nascita e la fisionomia del P.C.d'I. attraverso i singoli gruppi (Ordine Nuovo, Soviet ) che hanno contribuito alla sua formazione.
Una discussione su questo argomento sarebbe senza dubbio interessante, ma noi crediamo che oggi il problema non debba essere visto da questo punto di vista, bensì da quello delle masse di cui il P.C. - fin dal suo sorgere - è stato l'espressione.
All'epoca del Congresso di Livorno solo un'avanguardia della classe operaia era rappresentata nei gruppi che formarono il partito comunista. Questo fu in parte conseguenza di una situazione oggettiva, ma in parte anche dal modo come alle masse venne presentata la necessità della scissione. Tuttavia anche dopo la costituzione del partito, il problema di conquistare adesso la maggioranza della popolazione lavoratrice non poter essere risolto e ciò per le condizioni in cui noi allora fummo costretti ad agire. I limiti della nostra azione erano rigidamente segnati dalla situazione oggettiva; e l'essere riusciti da essa "creare " un partito comunista e dargli tra le masse le basi che risultano dai veri congressi confederali fu un grande successo politico. Si era fatto colpa al vecchio C.E. di non aver applicato la tattica del fronte unico. Non è vero. La tattica del fronte unico fu, nei primi anni di vita del P.C.I., applicata nel solo modo che la situazione particolare del nostro partito e quella generale italiana rendevano possibile e necessaria. Rimane la questione della fusione che fu cosa ben diversa da un caso di applicazione della tattica del fronte unico. Noi riteniamo ancora oggi che fu un errore del Comintern il porre un problema di fusione al nostro partito pochi mesi dopo la sua costituzione, quando la linea coscientemente seguita sino ad allora era stata completamente diversa. Ma i Comintern commise anche l'errore di credere quello che mai avrebbe dovuto prendere, cioè che il partito socialista fosse effettivamente possibile conquistarlo cacciando dalla direzione di esso i capi controrivoluzionari. Di qui le incertezze, le oscillazioni, gli insuccessi clamorosi di cui poi il nostro partito doveva pagare il fio. Malgrado questa riserva e la nostra diversa convinzione, noi siamo però sempre stati disciplinati alla Internazionale è perciò possiamo dichiarare senza tema di essere smentiti che gli unici responsabili del fallimento della tattica della fusione furono gli elementi di cui Comintern si servì per applicarla e che gli avevano fatto credere cose non rispondenti alla realtà.
Così, noi abbiamo affermato nell'ultimo Esecutivo Allargato che le trattative con i capi del P.S.I. erano destinate a fallire e che bisognava invece organizzare una frazione terzinternazionalista del P.S.I., facendo lanciare da questa una parola d'ordine politica - e non solo disciplinare - allo scopo di disgregare il partito stesso. Tale linea di condotta doveva essere seguita fino a che avesse dato tutti i risultati possibili. Allora vi doveva essere un punto di arresto, cioè i terzini dovevano uscire dal P.S.I.. A questa pratica i Comintern e la nostra minoranza hanno acceduto solo dopo sei mesi di incertezze e di dubbi. La situazione in cui ci siamo trovati nell'ultimo anno e che si riprodurrà fino a che al di fuori del partito vi sarà un gruppo, quello dei terzini, non soggetto alla nostra disciplina e nemmeno tenuto ad una coerenza di atteggiamenti, è nocivo al prestigio e alle sorti dell'Internazionale in Italia.
All'infuori del problema della fusione col P.S.I. è necessario che i compagni sappiano quale è stata l'azione del nostro partito dopo il IV Congresso mondiale in noi non esitiamo a dichiarare che il modo con cui sono stati costituiti il C.E. e il C.C. in questo periodo ha impedito il perfetto funzionamento del centro dirigente. La linea politica generale da noi seguita è corrispondente sia ai bisogni della situazione italiana che alla tattica del Comintern. Su questa linea dovremo lavorare anche nell'avvenire, e la nostra azione potrà essere molto più efficace se riusciremo attraverso la presente discussione a liquidare alcune delle posizioni che il passato ci ha lasciato in eredità. Una di queste posizioni da liquidare e quella della minoranza. La minoranza si è presentata al IV Congresso come un blocco eterogeneo di elementi che affermavano soltanto di essere in tutto e per tutto sulle direttive dell'Internazionale. Nella minoranza vi erano, per non citare che due esempi, il compagno Graziadei che rappresentava realmente una tendenza politica non pienamente conforme con quella della I.C., e il compagno Bombacci, residuo di qualcosa che non eravamo riusciti eliminare uscendo dal P.S.I.. Questo modo di bloccarsi delle elementi della minoranza ha costretto il partito a superare una crisi non superficiale. Conseguenza di essa dovrà essere la separazione di quegli elementi della minoranza con i quali è possibile collaborare da quelli che rappresentano realmente tendenze opportunistiche e liquidatrici del partito. Le tesi che oggi presenta la minoranza non sono altro che un saggio di metodologia politica comunista. Avremmo preferito che la minoranza mettesse alla prova la sua metodologia nell'esame della situazione italiana, che ci desse un " suo " programma politico per l'avvenire. Noi abbiamo invece voluto tracciare nelle nostre tesi in questo programma e soprattutto cercare di definire gruppi che si oppongono alla classe operaia e contadina e contro i quali essa deve lottare.
UN PROGRAMMA DI LAVORO
Il fascismo si proponeva di fare di tutte le forze borghesi un unico blocco politico. Esso non era riuscito nel suo scopo perché ai margini della borghesia, che esercita attraverso il fascismo alla sua dittatura sui lavoratori, esistono dei gruppi che mantengono una fisionomia loro e non si lasciano assorbire e ridurre dal fascismo. Tali sono alcuni gruppi borghesi del Piemonte e della Lombardia e i partiti dell'opposizione costituzionale nel Mezzogiorno.
Cosa dobbiamo pensare noi comunisti di questi gruppi? Noi escludiamo che esistano in Italia delle forze borghesi disposte a lottare, armate, con tre fascismo; crediamo anzi che il fascismo sarà portato piuttosto a far sua una parte dei programmi dei cosiddetti " liberali " che ora gli si oppongono, ma ciò non ci viene dal dovere di determinare quale è una fisionomia e la struttura attuale di tutti gli aggruppamenti di forze borghesi, piccolo borghesi e semi-proletarie, perché la nostra azione dovrà cercare di approfittare di tutti gli aspetti e di tutti gli atteggiamenti di essi per aprire la via alla ripresa del movimento operaio.
Proseguendo nell'esposizione del programma l'azione del partito, il compagno Togliatti espone come la tattica del fronte unico e la parola del governo degli operai e dei contadini siano adeguate alla situazione italiana e come possano servire al P.C. per realizzare quell'alleanza tra operai e contadini senza la quale non vi è possibilità di sviluppo rivoluzionario in Italia.
Sulla base dell'accettazione del programma che noi abbiamo tracciato riteniamo sia possibile una collaborazione efficace. Ma se abbiamo lasciato dietro di noi qualcosa del nostro passato, diciamo i compagni della minoranza che è necessario che si compiano una revisione anche più profonda e che lascino dietro a sé la maggior parte del bagaglio col quale si sono presentati al partito.
In quanto i compagni della sinistra, noi riteniamo indispensabile la loro collaborazione nella dirigenza del partito, per il bene del partito stesso. Crediamo che se essi continueranno in un atteggiamento di critica negativa, come hanno fatto nell'ultimo anno, si assumeranno una responsabilità ben grave di fronte al partito e alle masse operaie. Il nostro contegno verso di loro sarà determinato dal modo in cui mostreranno di saper valutare questa responsabilità.
Da "Stato Operaio" del 25 maggio 1924