Natura della guerra

Le guerre napoleoniche, come tutte le altre susseguitesi, tra le quali quella del risorgimento italiano, portavano l'impronta della rivoluzione borghese. In effetti queste guerre non rappresentavano altro che l'atto conclusivo di una nuova fase economica, la quale aveva potuto procrearsi nel grembo stesso della vecchia società; l'economia borghese dopo aver penetrato in seno alla società feudale ricorre alla guerra per poter suggellare la vittoria politica.

La guerra aveva quale obbiettivo l'abbattimento delle barriere traballanti del feudo, in vista della creazione dello stato nazionale, il che voleva dire aprire nuovi orizzonti economici alla nuova classe dirigente.

Ad un certo momento dello sviluppo dell'economia allargata nazionale, con la presenza del nuovo fattore procreato dallo stesso sviluppo dell'economia industriale, il proletariato - il quale per le sue esigenze rivendicative era portato a lottare sul terreno di classe - conseguentemente spingeva indirettamente la classe nemica alla ricerca dei nuovi mercati per collegare quella merce che sul mercato nazionale non aveva più possibilità di essere smerciata. Fu da questa lotta inevitabile tra proletariato e borghesia che ebbe inizio il periodo della guerra del brigantaggio coloniale.

La corsa alle colonie aveva due significati intimamente legati: da una parte la guerra rappresentava di per se stessa un fattore d'impiego del plusvalore, che non trovando posto di collocamento negli ambiti dell'economia nazionale, rappresentava un fattore di crisi permanente; dall'altra i frutti delle conquiste di nuove terre di influenza che si sarebbero verificati in un secondo tempo con la messa in valore dei nuovi territori nel senso di creare un nuovo mercato di consumo.

Quale contraccolpo ai due suddetti fattori, si verificava un crescente potenziamento numerico del proletariato, in effetto dell'inevitabile sviluppo industriale dovuto alle necessità dei nuovi mercati, ed inoltre un risveglio della potenza politica del proletariato, il quale da quest'epoca passava dalla fase iniziale dei grandi organismi di massa (organi di difesa) a quella della formazione di organi di partito.

L'epoca di floridezza economica che si aperse in relazione diretta alle conquiste coloniali, comportò in seno al proletariato il manifestarsi di una fatale illusione: l'illusione riformista. La tendenza riformista in seno ai partiti socialisti ebbe il sopravvento; essa si basava su una falsa visione del come la classe proletaria realizza la sua emancipazione di fronte al suo nemico capitalista. La posizione controrivoluzionaria consisteva nel fatto di credere possibile staccare il fattore economico da quello politico. Lo strappo di una rivendicazione economica da parte proletaria avrebbe dovuto comportare di riflesso una nuova tappa verso la strada rivoluzionaria dell'abbattimento dello stato capitalista, e solo su questa direzione di lotte per il continuo riallacciamento del fattore minimo al fattore massimo del potere, il proletariato avrebbe potuto evitare di essere trascinato nel vertice della guerra 1914-1918.

Il tradimento socialista, viceversa, si appoggiava su un piano completamente opposto, cioè la rivendicazione economica veniva valorizzata quale punto di partenza per il raggiungimento della riforma politica, la quale a sua volta doveva rappresentare una tappa vittoriosa verso il potere proletario.

Alla fine di questo tragitto di penetrazioni (il quale dopo aver fatto economia di una rivoluzione doveva concludersi con il trionfo pacifico del socialismo), il mostro della guerra si presentò sotto le spoglie degli stessi uomini e organismi che giuravano per l'idea socialista.

Era inevitabile che al termine della fase evoluzionistica che ebbe inizio a favore nei nuovi margini dei mercati coloniali, una crisi di dominio doveva sconvolgere le base stesse della società capitalistica. La classe proletaria mondiale era annientata dalla politica riformista e perciò impotente ad opporsi allo scatenamento del conflitto.

Se le guerre napoleoniche e quelle del risorgimento italiano aprivano nuovi orizzonti all'economia borghese, la quale poteva dilagare su scala nazionale, le guerre coloniali davano respiro di una maggiore portata e lo sviluppo tecnico industriale poteva lanciarsi in spazi quasi illimitati. Ma l'illusione di una evoluzione economica senza fine su basi borghesi cadde nella constatazione che il mercato coloniale si saturava nel capovolgimento della sua funzione primitiva, cioè da cliente minacciava di trasformarsi in offerente. Lo stesso fenomeno che travalicava l'economia metropolista avvolgeva disperatamente nel loro irresistibili sviluppo industriale le stesse colonie.

Da questo fenomeno ebbe origine la guerra 1914-1918, guerra di decadenza dunque, giacché non si trattava più di andare alla conquista di nuovi mercati, ma bensì di una nuova ripartizione delle zone di influenza già acquisite dal capitalismo mondiale. Il trattato di Versailles doveva rappresentare la base di una pace duratura, ma fu invece il punto di partenza del diversivo per la preparazione di un nuovo conflitto. Infatti i vincitori della ultima guerra non poterono evitare di essere travolti nella crisi mondiale iniziatasi nel 1929 con il crac americano, e ciò nonostante la spogliazione delle colonie tedesche, mentre la Germania di Hitler poté iniziare la sua campagna demagogica antiversagliese per trascinare le masse verso la guerra. Dall'altro canto le democrazie poterono galvanizzare la masse verso la guerra antifascista, per poter nascondere quella crisi congenita al capitalismo mondiale che si chiama mancanza di sbocchi commerciali. In realtà la ripresa economica iniziatasi nel dopoguerra aveva una sola origine e certamente non quella del passaggio delle colonie tedesche in nuove mani, ma bensì dal fatto concreto della distruzione del potenziale economico verificatosi nell'immane guerra.

Ripresa ricostruttiva dunque, anzi ripetizione economica: ecco l'unico mercato conquistato dal capitalismo mondiale, mercato che ha la sua chiusura nel 1929 e che si apre in pieno solo nel 1932 con la messa in piedi dell'economia di guerra.

Le caratteristiche della guerra attuale si pongono su un piano molto più elevato, pur avendo quale punto di partenza le stesse basi della guerra 1914-1918, cioè anche questa guerra fa parte della serie di conflitti a carattere distruttivo.

Mentre nella guerra 1914-1918 si sperava risolvere la crisi con la spogliazione del "nemico" dei suoi blocchi coloniali, nell'attuale conflitto l'obbiettivo prende delle proporzioni molto più profondo, giacché il capitalismo mondiale ha realizzato la coscienza del pericolo che lo sovrasta.

Il fallimento della stabilizzazione a lunga portata dell'economia mondiale, costringe il capitalismo ad evadere dal vecchio concetto di guerra, basato puramente su antagonismi economici tra stato e stato, ed i nuovi obbiettivi saranno molto più chiari in quantoché non si tratterà più dell'obbiettivo minimo di strappare una nuova zona d'influenza ad un concorrente, bensì di infrangere ed annientare i punti fondamentali di un'industria capace di trasformarsi in base di partenza verso il socialismo.

L'incrocio del formidabile potenziale industriale tedesco con il bacino agricolo danubiano, avrebbe realizzato l'embrione decisivo del socialismo. Impedire la comunione di questi due fattori, ecco l'obbiettivo del capitalismo mondiale. Se la Germania nel suo formidabile sviluppo industriale minacciava di valicare gli argini-base della società borghese - e questo pericolo non era possibile evitarlo neanche con la buona volontà di Hitler - evidentemente il capitalismo, e per lui Hitler stesso, non poteva non convincersi che l'unica strada per risolvere la crisi di sviluppo era la guerra. La guerra giacché l'altro corno del dilemma si chiamava rivoluzione ed esso pure covava in potenza nelle viscere del capitalismo.

La situazione tedesca dopo la decapitazione degli spartachisti nel 1919 con l'assassinio di Rosa Luxemburg e Carlo Liebnecht da parte di sicari militaristi diretti della socialdemocrazia per il capitalismo mondiale, era soddisfacente e poteva vivacchiare tranquillo intervenendo attraverso aiuti economici finanziari ecc.

La possibilità di vittoria proletaria nel periodo di crisi del 1923, era già compromessa dall'errore commesso al congresso di Halles nel 1922 con la fusione degli spartachisti e socialisti indipendenti; fatto, questo, che comportò l'annegamento della parte sana degli spartachisti in seno alla zavorra opportunista. Le tesi opportuniste del III Congresso dell'Internazionale completarono il quadro della disfatta del proletariato tedesco, il quale, guidato dai centristi, doveva cadere nelle braccia del fascismo e trascinato alla guerra. Il capitalismo mondiale poteva giudicare pacificamente l'evolversi della situazione tedesca che la mancanza di un vero partito impediva di sboccare verso la rivoluzione. Il trionfo di Hitler ha rappresentato la conclusione della crisi che aveva già imboccato la via della guerra.

Il ruolo controrivoluzionario dei Noske, Scheidemann e compagni, rappresentanti della socialdemocrazia tedesca, e la politica centrista, erano la garanzia per il capitalismo mondiale dello svolgersi inevitabile della situazione tedesca verso il fascismo: cioè la guerra.

Hitler al potere in Germania nel 1933 rappresentava l'unica via di salvezza della situazione tedesca nei confronti degli interessi mondiali del capitalismo. La corsa sfrenata agli armamenti fatta dal nazismo, era l'unica politica capace di dare respiro ad una economia senza via d'uscita. Il riarmamento della Russia, l'annessione della Sarre ecc. non erano altro che gli anelli di una stessa catena, che aveva diretto legame alle basi stesse della società borghese. Più che un disperato tentativo di arginare l'irruenza tedesca verso la guerra alla conferenza di Monaco verso il 1938 si recitò una commedia che consisteva nel reciproco tasto di polso per misurarsi la temperatura che, pur essendo altissima nei confronti della Germania, travagliava tutti i presenti della stessa febbre; la diagnosi era senza appello: la GUERRA.

La crisi sociale acuta del subito dopoguerra che investì il settore italiano, permise al capitalismo di infrangere l'assalto proletario del 1919, grazie ad un partito che per la sua stessa struttura ideologica politica e organizzativa, non poteva essere idonea per guidare la classe proletaria alla conquista del potere. Da questa posizione la borghesia italiana, fiancheggiata dal capitalismo mondiale, passò all'offensiva dimostrando di aver compreso il significato rivoluzionario del congresso di Livorno del 1921, dal quale sortiva un partito comunista diretto dalla sinistra. Questo fattore costrinse il nemico a precipitare gli eventi verso il trionfo fascista. La borghesia italiana trattata da Cenerentola, sul tappeto verde di Versailles, potrà sfogare la sua bile controrivoluzionaria per più di vent'anni sul corpo del proletariato; invece di rivendicazioni territoriali essa riceverà con grande orgoglio il manganello forgiato a Londra e benedetto dal rappresentante del mondo religioso: il Papa.

La crisi di sviluppo che scosse nel 1935 la borghesia italiana, ebbe ancora una volta al suo fianco i rappresentanti quotati del capitalismo mondiale, il quale era preoccupato di una sola cosa: impedire alle grandi masse italiane di veder chiaro nell'avventura africana, giacché essa era l'unica via d'uscita per risolvere momentaneamente la crisi sociale interna; risolvere momentaneamente la crisi interna significava impedire il manifestarsi di quei sintomi che avrebbero potuto rappresentare i punti di appoggio di una ripresa mondiale del meccanismo di classe. A completare l'annebbiamento della realtà ai proletari italiani furono le sanzioni. Si trattava di far credere infatti alle grandi masse che il loro problema d'esistenza era legato alla conquista di nuovi territori. Applicare le sanzioni voleva dire, in un certo senso, facilitare il compito di propaganda guerriera della borghesia italiana, la quale poteva facilmente convincere le masse che l'ostilità inglese era dovuta alla sua tendenza rapace che la spingeva a lottare contro ogni tentativo altrui di conquistare nuovi territori.

La prova di connubio della borghesia italiana con il capitalismo mondiale, viene data dal beneplacito inglese al passaggio delle navi italiane in rotta verso l'Africa, e dall'altro canto della inutilità dal punto di vista economico delle terre occupate, non rappresentando esse una contropartita immediata di una messa in valore commerciale. Questo al tempo stesso prova che la guerra d'Etiopia non era altro, per il capitalismo, che un diversivo necessario a far deviare un complesso di contraddizioni interne, aventi quale origine la crisi di sviluppo di cui era travagliata la società italiana.

La necessità di dirigersi immediatamente dopo verso il settore spagnolo non fa altro che rinsaldare la tesi suaccennata. Lo svolgimento della guerra di Spagna potrebbe far supporre l'esistenza di guerre fondamentalmente differenti l'una dall'altra, ma tale supposizione non può sorgere che da un giudizio fatto sulle apparenze. Infatti l'assoluta assenza in questo conflitto di particolari interessi territoriali, conferma la natura di questa guerra, la quale trova anch'essa origine nella lotta che il capitalismo mondiale ha ingaggiato contro il proletariato mondiale. La presenza nella guerra di Spagna di tutta la gamma del capitalismo mondiale, Russia compresa, dimostra l'interessamento che il nemico manifestava impedendo al proletariato spagnolo di trovare la via della sua vera lotta. Inchiodarlo sui campi di battaglia al servizio dei due diversivi di pretta marca borghese, il Burgos di Franco e la Barcellona di Companis, ecco il loro vero obiettivo.

Se la guerra di Spagna può sorgere dalla deviazione di un movimento di classe (sciopero generale) la guerriglia partigiana si presenta nelle situazioni di frattura militare e politica, cioè dei momenti propizi per una possibile entrata in campo della classe proletaria. Difatti il proletariato in genere è preso nell'ingranaggio della guerriglia partigiana in un momento che, stanco e demoralizzato cerca una via d'uscita e la trova nell'indicazione centrista che, sotto il manto del comunismo, può facilmente trascinarlo ed inchiodarlo di nuovo alla guerra illudendolo di lottare per la rivoluzione.

Si può affermare che nell'ambito della guerra il partigianismo si presenta quale manovra estrema in vista di chiudere il passo allo straripamento delle masse sul terreno della lotta contro la guerra.

Conclusioni

1°) L'enorme sviluppo dell'apparato produttivo mondiale, costringe il capitalismo a dirigersi verso uno sbocco che possa essere nello stesso tempo distruttore e realizzatore di plus valore. Il punto di partenza per la realizzazione di questo piano si trova nello stesso meccanismo dell'economia di guerra, la quale troverà nel vasto campo della guerra in atto la base per sviluppare al massimo le capacità distruttive. Ma sarà solo nelle direttive fondamentali dell'azione bellica che il capitalismo svelerà la mostruosità del suo duplice obbiettivo.

2° Tenuto conto della formidabile potenzialità dell'apparato industriale tedesco, che rappresentava una permanente minaccia di sfuggire al controllo, diviene evidente che la direttiva bellica era in Germania, giacché annientare questo potente meccanismo vuol dire distruggere un fattore socialista di primo ordine e nello stesso tempo creare le condizioni per una ripresa economica su scala mondiale, fattore quest'ultimo necessario alla realizzazione del plus valore, caratteristica fondamentale dell'economia capitalistica.

3°) Non esiste problema economico senza quello politico: da questa elementare nozione marxista si deve concludere logicamente l'esistenza di una direttiva capitalistica nella condotta della guerra, con obbiettivo il fattore politico, che scaturisce da quella stessa potenza economica, contro la quale la guerra ebbe il suo punto di partenza.

Evidentemente la guerra attuale nella sua conclusione ultima, si concretizza come manifestazione di lotta contro il proletariato. Non esiste possibilità di distacco tra il fattore economico, procreatore di socialismo, e la classe proletaria, prodotto diretto del concentramento industriale. Il nemico di classe chiama il proletariato alla guerra per l'annientamento di se stesso, giacché distruggendo l'apparato economico, elimina ciò che lo ha procreato, quale fattore politico e storico capace di gettare le basi di una nuova società.

4°) L'instaurazione del fascismo sul settore italiano, in un periodo di ritirata del proletariato, dimostra l'importanza decisiva del partito di classe, importanza che lo stesso nemico deve riconoscere e correre ai ripari preventivi. Il pericolo rappresentato dal partito comunista italiano subito dopo Livorno, si concretizzava non nella sua forza organica o numerica e nemmeno nelle sue intenzioni di guidare il proletariato al potere, ma bensì nelle sue armi politiche e tattiche, le quali per aver saputo elevarsi e completare l'esperienza russa, potevano realmente essere un pericolo mortale per la società capitalista.

L'abbandono della situazione tedesca, malgrado la crisi acuta che ne era preda nelle mani della socialdemocrazia e del centrismo, dimostra con quale profondità il capitalismo analizza gli organismi di guida del proletariato, mettendo al servizio dei propri interessi certe posizioni politiche che non hanno la qualità di presentarsi nettamente contro di esso.

Il partito di fronte alla guerra

1°) Nel chiamare i proletari a disertare la guerra, il Partito non fa altro che indicare ad essi un orientamento elementare di difesa contro una violenza che tende ad eliminarli quale fattore di concorrenza sia sul terreno economico come su quello politico.

2°) La posizione degli operai di fronte alla guerra deve essere di lotta e non di passività, la posizione passiva vuol dire incoscienza del pericolo che la guerra rappresenta per gli operai, le loro famiglie e per la loro classe, estremo limite del progresso. La coscienza di classe del proletariato di fronte alla guerra si manifesta concretamente nei seguenti punti: Nel disertare i sindacati divenuti organi dello Stato; nel rigettare con disprezzo l'arma delle rivendicazioni immediate giacché essa rappresenta un legame diretto all'economia distruttiva e produttrice di morte proletaria, cioè la collaborazione con la guerra. L'indirizzo che il Partito dà ai proletari di sabotare la macchina bellica, rappresenta l'unica arma che gli permette l'azione minima contro la guerra. La violenza proletaria contro il meccanismo produttivo, realizza la coscienza di classe nei confronti del conflitto.

3°) Ai proletari deviati verso la guerra partigiana, il Partito si rivolge chiamandoli alla diserzione ribellandosi alla disciplina militare. Il P. farà capire a questi proletari la loro falsa posizione nei confronti dei loro interessi ed inoltre il mortale pericolo, in cui essi si trovano, di farsi massacrare in una lotta impari con un organismo ancora in efficienza quale il militarismo tedesco.

Chiamandoli alla diserzione indicherà loro la posizione di attesa difensiva, unico atteggiamento che potrà dare loro la possibilità di partecipare alla grande battaglia di classe nel prossimo domani.

4°) Disertare e sabotare la guerra sono due parole d'ordine di applicazione concreta, giacché sono i punti di partenza per raggiungere il fine ultimo nei quadri della guerra: quello di trasformarla in rivoluzione.

5°) Per il proletariato la questione della lotta armata si pone in due situazioni fondamentali differenti l'una dall'altra: periodo di ritirata dopo una disfatta, cioè lotta difensiva; sfacelo statale, disorientamento del nemico di classe, periodo d'assalto proletario, cioè lotta offensiva.

Lo scatenamento della guerra da parte del capitalismo presuppone la completa disfatta della classe proletaria. La guerra rappresenta l'arma di aggressione della borghesia contro il proletariato. Allo scoppio della guerra il proletario si pone contro la guerra in una posizione difensiva disertandola, ma all'atto stesso della diserzione esso si trova nell'assoluta necessità di armarsi per difendere la sua posizione di disertore cioè… [ manca del testo]

In questa fase della guerra dunque, la lotta armata espressa da minoranze proletarie si trova sul terreno difensivo ed in collegamento diretto con la lotta quotidiana del proletariato nel suo insieme sui posti di lavoro, che si concretizza con il sabotaggio. Lotta difensiva armata e sabotaggio sono due punti di partenza in direzione della lotta armata offensiva che realizza la formula finalista della lotta proletaria contro la guerra. Il centrismo pur di alimentare la guerra, cerca di incanalare il malcontento della messa sul terreno delle rivendicazioni immediate pur sapendo l'impossibilità assoluta di rompere il cerchio infernale della guerra con questa arma diventa preda del nemico; spinge il proletariato allo sciopero generale armato, in condizioni e rapporti di forza assolutamente sfavorevoli adempiendo perfettamente il suo ruolo di provocazione nelle file proletarie.

La provocazione centrista in questo caso non consiste nel fatto delle parole d'ordine di per se stesse; rivendicazioni e sciopero armato sono due armi che appartengono all'arsenale proletario. Ma nel servirsi di queste armi in situazioni contingenti e storiche, non corrispondenti agli interessi proletari e perciò indirettamente legate all'atmosfera dominante della guerra.

6°) Su questi capisaldi concreti della lotta proletaria lanciati dal Partito, si costruisce realmente il fine ultimo della presa del potere.

Un partito che pur essendo presente organicamente, non avrà saputo vivere la guerra nella sua posizione reale di lotta contro di essa, non potrà domani presentarsi alle masse. La forza organica di un partito è meno che nulla se non è aggiunta la forza politica, la quale può essere assente anche per il mancato lancio di una sola parola d'ordine.

Luglio 1944. Dattiloscritto.

Archivio storico 1927 - 1944