Prospettive

Lo sbarco anglosassone in Sicilia apre nella guerra una nuova fase che merita di essere attentamente studiata dal punto di vista delle prospettive rivoluzionarie. È oggi impossibile prevedere la durata della lotta in quel settore, per quanto le prime impressioni siano di un'offensiva condotta con abbondanza di mezzi ed estrema facilità di rifornimenti, contro le forze numericamente elevate ma tecnicamente insufficienti e tutt'altro che ansiose di combattere. È anche impossibile prevedere quali sviluppi avrà, se cioè sarà il punto di partenza di un attacco diretto al continente italiano o se, come sembra più probabile, servirà di trampolino di lancio verso le due altre isole maggiori (da cui un attacco all'Italia sarebbe molto più agevole) o verso la Puglia e, di qui, la Grecia. In questo campo non è dato avanzare che ipotesi. Ma, comunque abbia a svolgersi la lotta, è chiaro ch'essa porta l'Italia al centro dell'offensiva anglosassone contro l'Europa e ne fa uno dei principali teatri della guerra. L'Italia entra in questa fase in condizioni disperate: con una situazione alimentare difficilissima, con un armamento del tutto insufficiente, con le sue città praticamente indifese contro le incursioni, con una truppa male armata, mal nutrita e stanca di combattere. Sono questi, dati di fatto che nessuna propaganda nazionalistica e nessuna retorica da articolo di fondo può smentire. D'altra parte, la ripresa della lotta sul fronte orientale impegna l'esercito tedesco nel momento in cui la sua presenza sul teatro bellico mediterraneo sarebbe, dal punto di vista dell'Asse, improrogabile. In queste condizioni, è facile prevedere la tragedia che si abbatterà sul paese, la demoralizzazione che provocherà nelle truppa - già stanca e percorsa da una profonda vena di disfattismo - lo smarrimento, la stanchezza, il panico delle popolazioni civili, la disorganizzazione della vita economica, il peggioramento della già difficile situazione alimentare e dei rifornimenti in genere. Tutto lascia prevedere, da una parte, l'aggravarsi delle condizioni generali della vita e, dall'altra, l'accentuarsi della tensione politica interna. S'inizia, per il regime, un periodo di crisi in cui la classe operaia sarà evidentemente chiamata ad esercitare una funzione di primo piano. È questo, dal punto di vista delle prospettive rivoluzionarie, un primo dato positivo.

Il secondo dato positivo è offerto dalla situazione generale europea. L'attacco all'Italia rientra in un piano generale di assalto alla "fortezza europea". Ora, questa fortezza è in realtà, una polveriera. La situazione interna italiana si ripete, moltiplicata e peggiorata, per tutti i paesi d'Europa: la Francia e i Balcani sono, alle due estremità opposte, in un periodo di profondo fermento, di latente e aperta rivolta: la guerra vi ha inciso profondamente nella situazione economica interna, nella vita politica, nei sentimenti. La Germania, duramente e continuamente colpita nella sua attrezzatura industriale, largamente dissanguata su tutti i campi di guerra, è anch'essa nonostante l'apparente solidità della sua struttura generale, alla vigilia di una crisi profonda. Tutta l'Europa è in bilico sull'orlo di una convulsione di lotte politiche e sociali. La bardatura di guerra simula una stabilità, non garantita tuttavia da solide basi economiche, politiche, militari, sociali. Non è difficile immaginare lo scatenarsi di forze che la rottura di questo telaio artificioso potrà provocare. Qualunque durata, estensione e forma stia per assumere nel prossimo futuro la guerra, è questo un secondo dato di fatto incontrovertibile.

L'attacco all'Italia si ripercuoterà dunque sulla situazione europea e ne subirà di riflusso i contraccolpi. Le possibilità oggettive rivoluzionarie si dilateranno col dilatarsi della guerra, e si faranno più prossime. Ora è chiaro, indipendentemente dalle ragioni generali su cui si fonda l'ideologia e l'azione comunista, che i questa crisi imminente il fattore risolutivo non può essere dato che dalla classe proletaria, sulla qual la situazione più direttamente incide e, al suo seguito, dai ceti proletarizzati dei contadini poveri - ai quali la guerra ha tolto le braccia dei giovani e che non trovano un compenso nell'attività speculativa dei medi e grossi contadini - e della piccola borghesia: ceti, questi ultimi che possono intervenire nella lotta solo in quanto il proletariato li guidi e che si orienteranno soltanto in funzione dell'orientamento della classe più rivoluzionaria, ma che avranno comunque una funzione nella fase critica ed insurrezionale. Un fenomeno delle proporzioni assunte dagli scioperi torinesi e milanesi, dimostra nell'ambiente proletario una rinnovata volontà di lotta, che l'aggravarsi della situazione non potrà non accentuare. La possibilità e, insieme, i compiti di un partito rivoluzionario sono, da tutti questi fattori, moltiplicati. Oggettivamente, la situazione matura con una rapidità che può divenire, in determinate circostanze, precipitosa.

Ma la situazione ha anche i suoi elementi negativi, che un partito rivoluzionario deve affrontare con estrema fermezza e con assoluta obbiettività. Lo sbarco anglosassone, qualunque estensione e sviluppo stia per assumere, segna il primo passo verso l'insediamento in Italia e, successivamente in Europa, di un gigantesco blocco di imperialismi borghesi; imperialismi che estendono i loro tentacoli a tutto il mondo e che dispongono di risorse materiali e politiche enormi: imperialismi che agiranno, sul terreno politico europeo e mondiale, in senso nettamente reazionario. Anche sotto questo aspetto la situazione italiana si salda strettamente alla situazione internazionale. Se è vero che lo sbarco e i suoi sviluppi militari accelereranno il processo di crisi europea ed italiana o incrineranno la compagine degli stati fascisti, è altrettanto vero che le forze così impiantatesi in Italia e in Europa agiranno - vorranno agire - come forze d'ordine borghese e perciò come fattori controrivoluzionari. La presenza della Russia non muta - stando le cose come stanno - la realtà di questa situazione: essa si muove ed agisce - ed agirà, a meno di un rivolgimento interno nel senso di una ripresa proletaria - nell'orbita degli imperialismi inglese e americano. È questo un fattore nettamente negativo della situazione, ed è chiaro che nel crollo del fascismo, la posizione di un partito seriamente rivoluzionario non può essere che di opposizione alle forze internazionali borghesi che tendono ad assumere l'eredità fascista. Anti-capitalisti, noi non possiamo essere che anti-democratici, allo stesso modo che siamo anti-fascisti, e la rivoluzione proletaria, sbarazzatasi dei regimi totalitari, dovrà affrontare la stessa aspra battaglia contro i regimi democratici borghesi.

Questi regimi non dispongono soltanto della forza militare, ma si trovano spianata la strada - ed è questo, dal nostro punto di vista, il secondo fattore negativo - dalle formazioni politiche che, sul terreno italiano ed europeo si muovono in funzione anglo-russo-americana. Fattore non meno importante e pericoloso, tanto più pericoloso in quanto, attraverso le due grandi correnti tradizionali operaie, esercita la sua influenza diretta sulla classe proletaria. Il filo-democratismo socialdemocratico (che si risolve, concretamente, in anglofilia) e l'opportunismo staliniano, col suo corredo di fronti nazionali, di blocchi anti-fascisti, di supina accettazione della politica della Russia, cospirano, nel loro comune e generico anti-fascismo, a preparare la vittoria di uno dei due blocchi imperialistici sull'altro - e, quel che più importa, sulla classe operaia. Sarebbe stolto, anzi delittuoso, nascondersi che nella situazione presente, le masse italiane e, più genericamente europee, si muovono praticamente e sentimentalmente, sul terreno del compromesso. Stanche di un ventennio di reazione e di soffocamento, esse si orientano in un accesso di disperazione verso la soluzione più comoda, verso la "linea di minor resistenza". E, in tal modo, favoriscono, senza volerlo, senza capirlo, un riassestamento della società borghese su basi più sane e sicure. Le ragioni di questo orientamento sono state da noi più volte indicate: la lotta contro questa degenerazione opportunistica è, non da oggi, la nostra ragione di essere. Ma non è in nostro potere modificare, di colpo, una situazione obbiettiva e soggettiva che da del problema rivoluzionario un problema di avanguardia proletaria.

Ma nell'esaminare questi due fattori negativi (di cui, ripetiamo, sarebbe folle ridurre l'importanza), noi abbiamo finora trascurato una serie di variabili. Abbiamo cioè ammesso nelle forze da noi considerate un'assoluta immobilità, come se il corso stesso delle cose non dovesse provocare, anche in questo campo, uno spostamento di forze. Abbiamo, per esempio, considerato le tre nazioni unite come un blocco solo, come se, cioè, la loro situazione interna fosse immobile. Ma la guerra passerà su di loro senza lasciare le sue tracce? Il colossale indebitamento dell'Inghilterra verso l'America, l'ipertofria delle industrie di guerra negli Stati Uniti, la pressione a cui il conflitto ha sottoposto l'intera struttura economica e sociale dell'Urss, non provocheranno in queste che ci appaiono già come le "nazioni vincitrici" profondi squilibri interni e possibilità di crisi politiche? La classe operaia inglese, russa, americana, non risentirà anch'essa come la tedesca, l'italiana, la francese, la balcanica ecc. , gli effetti tremendi di una guerra gigantesca? L'intera economica mondiale non uscirà dal conflitto più sconvolta ancora che alla fine dell'altra guerra? Prospettive lontane, d'accordo, che presuppongono la fine del conflitto, ma che si profilano già oggi, per esempio, nell'inquietudine sociale che serpeggia in America.

Ma vi sono elementi anche più vicini, di cui si deve tener conto. La crisi che l'"attacco all'Europa" inaugura, qualunque sia la sua durata di maturazione, potrà mancare di produrre nelle masse una spinta verso sinistra? Una situazione come quella che si profila può avvalorare l'ipotesi che la cornice democratico-opportunista in cui i massimi partiti operai cercano di inquadrare le masse possa contenere a lungo il proletariato e costringerlo a battere il passo, mentre l'allontanarsi dell'artificiosa bardatura di guerra provocherà paurosi squilibri nell'economia, affretterà la svalutazione della moneta, peggiorerà la già difficile situazione alimentare e le già dure condizioni di vita? Non c'è governo di successione al fascismo che possa risolvere, sul piano borghese, le enormi difficoltà che la crisi farà sorgere, e il governo che si accollerà un'eredità simile - o lo stesso regime totalitario irrigiditosi in una caparbia resistenza - è destinato ad attirarsi l'odio e il disprezzo di un popolo che non vuol più tollerare la disciplina di guerra e che, conquistata la pace, non riesce a conquistarsi il pane e il lavoro. Tutti questi fattori incideranno profondamente sullo stato d'animo delle masse. Rimarranno esse inquadrate in partiti che non soddisfano più alle loro esigenze e alle loro speranze, che continuano ad esercitare, in una situazione potenzialmente io apertamente rivoluzionaria, una funzione moderatrice? Giacché non è soltanto vero che le masse sono oggi, nella maggioranza, sospinte verso una pura soluzione "anti-fascista" e perciò disposte ad accettare la politica del compromesso: è anche vero che accettano questa politica perché credono ancora nell'efficienza rivoluzionaria dei loro tradizionali partiti. È una situazione, in larga misura, di equivoco: ma una situazione di equivoco può durare a lungo in periodi normali, non dura a lungo in fase di ripresa rivoluzionaria e di crisi sociale profonda. Lo sfasamento che si verificherà tra la spinta delle masse e il freno opposto dai partiti maggiori - le masse cento volte avanti al partito, come constatava Lenin nella primavera del '17, ed oggi lo saranno non cento ma mille volte - avvicinerà fatalmente il punto di rottura. E il nostro compito è appunto di preparare fin da oggi quell'organismo di partito rivoluzionario che rappresenterà agli occhi delle masse - per la continuità e la decisione con cui avrà sostenuto la sua battaglia contro tutti i miti e contro tutte le mistificazioni - un naturale centro di raccolta. Alla fine dell'altra guerra questo centro di raccolta non c'è stato, o, almeno, non c'è stato subito: in tutti i paesi, la scissione tra opportunisti e rivoluzionari si è verificata in ritardo, in fatale ritardo, sugli avvenimenti: è avvenuta, quasi sempre, in fase di declino della situazione rivoluzionaria. Domani la situazione rivoluzionaria si ripresenterà: e non sarà più soltanto un partito a porsi sul piano della conservazione borghese, ma saranno due. Per contro, vi sarà, è necessario che vi siano, i quadri già saldi di un partito rivoluzionario.

L'analisi sommaria che abbiamo fatto - forzatamente sommaria, in mancanza di dati sicuri sulla situazione interna degli altri paesi - ci porta ad alcune conclusioni che riassumiamo rapidamente: a) esistono fattori obbiettivi che preparano in modo indubbio la ripresa rivoluzionaria operaia; b) esistono fattori obiettivi e soggettivi che vi metteranno ostacolo: essi sono rappresentati dalla prossima presenza sul continente di forze militari del blocco imperialista anglosassone, della debole preparazione politica delle masse, dall'opportunismo dei maggiori partiti operai; c) esistono le premesse di una situazione nuova, in cui anche questi fattori negativi possono essere neutralizzati, sia dall'affiorare di forze rivoluzionarie negli stessi paesi vincitori, sia dalla crisi spaventosa che si rovescerà sull'Europa e dalla conseguente radicalizzazione delle masse operaie europee, sia dall'incapacità dei partiti opportunisti di mantenere nell'alveo del compromesso l'ondata rivoluzionaria; d) condizione prima perché queste premesse si concretino in possibilità rivoluzionaria è l'esistenza di un partito che non solo abbia per obiettivo finale la realizzazione di una società socialista, ma imposti tutta la sua azione quotidiana, la sua tattica, la sua strategia sull'obiettivo pratico e diretto della presa rivoluzionaria del potere. Gli elementi negativi non saranno mai sottovalutati da un partito come questo. Non sottovaluteremo la forza militare dell'imperialismo anglosassone, come non sottovaluteremo la colossale importanza di partiti che, per tradizione, per l'appoggio di forze politiche e militari, per l'immaturità di una larga parte delle masse, convogliano ancora sul terreno del compromesso e delle soluzioni opportunistiche gran parte del proletariato italiano ed europeo. Né sopravalutiamo i riflessi che l'accentuarsi e il giganteggiare della crisi avranno sulla vitalità politica di questi partiti. Il compito di un partito rivoluzionario non è soltanto di interpretare una situazione e comprenderne le direttrici di sviluppo: è d'inserirsi in questa situazione come suo elemento risolutivo. Riconoscere, oggi, che la nostra ora non è ancora giunta non significa adattarsi passivamente ad una situazione di fatto, così come riconoscere che il corso dei fatti evolve nel senso di una crisi rivoluzionaria non significa attendere passivi che questa crisi "avvenga". Significa, al contrario, misurare le forze in giuoco per orientarsi in esse. È questa l'importanza decisiva, capitale del partito, che non è la massa ma il suo interprete e la sua guida. La situazione, ricca di elementi positivi e, insieme, di pericoli, sarà in larga misura determinata dalla forza d'urto, dalla capacità politica, dalla tempestività di azione del partito. Per questo è necessario stringere i quadri.

La nostra debolezza d'oggi è la debolezza di una situazione di fatto, così come la nostra forza di domani sarà, in gran parte, la forza di una situazione di fatto radicalmente diversa. La crisi che si annuncia all'interno dello stesso regime di guerra e [illeggibile] più ancora, si prepara per il regime di pace, libererà una quantità di forze sinora compresse, e, con loro, libererà dall'isolamento i partiti di avanguardia proletaria. Oggi, non esiste più una direzione internazionale del proletariato, non esistono contatti internazionali. Ma vivono, in tutte le nazioni, forze politiche, pur isolate, lavorano con una mentalità e con una mentalità e con una struttura organica internazionalista. Non sarà difficile, domani, a queste forze il ritrovarsi.

Di fronte agli sviluppi dello sbarco inglese, la nostra posizione non può essere dubbia. Essa implica una lotta tenace e decisa contro i blocchi e contro le pastette a base "nazionale" o "popolare"; lo smascheramento dell'opportunismo filodemocratico, filoinglese e filo-staliniano dei due maggiori partiti operai: la contrapposizione immediata, nel periodo culminante della crisi, della parola d'ordine dei Consigli degli operai, dei contadini poveri e dei soldati, sono strumenti di lotta rivoluzionaria prima e come organi del potere proletario poi, alle parole d'ordine costituzionali, patriottarde, parlamentaristiche, che il [illeggibile] o "anti-fascismo" non mancherà di lanciare: l'armamento del proletariato, la preparazione teorica e tecnica della rivoluzione.

Solo se sapremo foggiare al proletariato un'arma tagliente, le prospettive rivoluzionarie si concreteranno in realtà di fatto. La lotta contro l'opportunismo deve essere l'altra faccia della lotta per la preparazione di quadri che siano ideologicamente e praticamente all'altezza della situazione politica, economica, sociale, del paese. È questo il nostro compito immediato: ed è, insieme, il nostro compito primordiale.

Dattiloscritto, Torino 1° settembre 1943.

Archivio storico 1927 - 1944