Schema di programma del Partito Comunista Internazionalista

Nota - Il presente schema di Programma si ricollega al nostro programma-base che sono le Tesi di Roma, elaborate e approvate al II Congresso del Partito Comunista d'Italia (1922)

I. SITUAZIONE E PROSPETTIVA

La guerra, in questa sua convulsa e feroce fase conclusiva, mostra, accanto al declino della potenza tedesca, la vittoriosa affermazione delle armi alleate con netto vantaggio militare e politico degli Stati Uniti e della Russia. Si profila così la prospettiva di una pace democratica assicurante agli Stati Uniti soprattutto, un'incontrastata egemonia economico-finanziaria sul mondo. Ciò potrebbe significare non soltanto una guerra vinta, ma una pace vittoriosa, un consolidamento cioè del capitalismo che sarebbe riuscito così a tagliare ancora una volta la strada al proletariato, che nella crisi aperta dalla guerra aveva posto la possibilità di riuscita di un moto rivoluzionario. La validità di una tale ipotesi, poiché la guerra è sempre in atto, e in essa può ancora giocare l'imponderabile, potrebbe anche non essere confermata in pieno dai prossimi eventi, ma, allo stato attuale della crisi e con gli elementi a disposizione, nulla fa presagire che ciò potrà verificarsi. Questo è comunque certo: che la vittoria schiacciante delle potenze dell'intesa, rafforzerà potentemente il fronte di resistenza del capitalismo mondiale e restringerà le possibilità obiettive della rivoluzione proletaria. Si ha la riprova della giustezza di questa analisi nella constatazione che una parte del proletariato "sente" la guerra democratica e guarda ad essa e alla sua vittoriosa conclusione come se si trattasse della "sua" guerra e della "sua" vittoria.

La responsabilità storica di questa tragica deviazione dalla giusta linea di classe spetta ai partiti socialista e centrista che hanno agito ed agiscono di fronte alla guerra non come forze di destra del proletariato, ma come reali e coscienti forze della sinistra borghese.

II. FASCISMO E DEMOCRAZIA

Il fascismo come esigenza della società borghese ed espressione organica della difesa del privilegio sul piano dello Stato autoritario nella fase più acuta della crisi capitalistica, è ormai episodio che interessa assai più da vicino i necrofori che la politica e la storia. Ma va constatato che il fascismo muore non per effetto di una lotta frontale violenta condotta dal proletariato, non è spazzato via cioè da un'ondata rivoluzionaria; ciò vuol dire che vi è pacifico trapasso di potere da un piano di politica ad un altro più adeguato alle nuove necessità scaturite dalla guerra e che le esigenze dello Stato autoritario, quale abbiamo conosciuto e sperimentato - e che sono sempre vive e consistenti come vivo e consistente è tutto il capitalismo da cui tali esigenze hanno origine - saranno alla base dello Stato democratico, le stesse con in più l'ipocrisia e l'inganno delle libertà, riservate di fatto a coloro che detengono il potere.

Va quindi da sé che i termini del conflitto sociale non sono venuti così a modificarsi minimamente e, quali che siano le forze al timone dello Stato, per il nostro partito esse difendono gli interessi del capitalismo con tutti i mezzi, gli stessi adoperati dal fascismo, contro ogni tentativo proletario di impossessarsi del potere.

Contro lo Stato democratico, la tattica del partito del proletariato non cambia: non crediamo alle sue elezioni né alla sua costituente, né alla sua libertà di stampa, di parola e di organizzazione; ma il partito si varrà di questa, come di ogni concessione a cui la borghesia sarà costretta, all'unico scopo di irrobustirsi e di essere in grado di colpir sodo. Allo stato attuale, la guerra ha prostrato il fascismo, ma non mancherà di prostrare politicamente i partiti a tradizione proletaria del Comitato di Liberazione Nazionale, che, legati alle forze vittoriose della guerra cui devono le loro momentanee fortune politiche, sono oggi costretti a continuarla. Il nostro partito, com'è stato solo a combattere la guerra dell'imperialismo nazifascista, sarà solo a combattere quella delle democrazie.

III. IL NOSTRO PARTITO E LA RUSSIA

La Russia ha cessato di essere per il nostro partito il paese della prima grande realizzazione rivoluzionaria del proletariato mondiale, e rimane pagina aperta all'indagine critica del marxismo rivoluzionario, a cui è oggi affidato il compito di individuare e mettere a nudo le ragioni storiche d'ordine economico e politico, che sono state, in Russia, alla base della sconfitta del potere proletario e hanno operato come elemento determinante del dissolvimento delle forze politiche dell'Internazionale comunista. Dalla violenta repressione operata contro gli autentici rivoluzionari di Kronstadt fino alla liquidazione fisica di tutte le opposizioni alla politica nazionalista di Stalin, è evidente nello Stato operaio un ingrandire costante di questo curioso, paradossale equivoco: tutti vi operano per armare la rivoluzione contro ogni velleità di ritorno del capitalismo, e tutti, rivoluzionari o no, hanno contribuito di fatto ad armare le milizie della più spietata reazione antiproletaria che doveva strangolare la rivoluzione di Ottobre e, con essa, i suoi combattenti migliori. Per i marxisti, le cause di ciò non vanno ricercate in cielo né risiedono nella perversità di alcuni uomini, ma vivevano nelle cose dello Stato proletario, alimentate dalla politica di compromesso portata dall'economia sul piano della stessa ideologia imperante all'epoca di Lenin e di Trotsky.

In virtù dell'esperienza russa, è acquisito ormai alla lotta del proletariato che la violenza rivoluzionaria è storicamente necessaria e vitale solo se esercitata da forze di classe nelle cui vene circoli sangue proletario, ed abbia come finalità non la soluzione di interessi generici, subiettivi e contingenti, siano pure legati alla vita di uno Stato proletario, ma sia sospinta da esigenze permanenti e fondamentali di classe, nei cui confronti lo Stato è soltanto episodio e semplice e temporaneo accidente. In caso diverso, la violenza cessa di essere levatrice della storia e spiana la strada ai ritorni della reazione.

Il partito ritiene che dalla repressione di Kronstadt alla liquidazione del Partito Comunista, la violenza dello Stato operaio degenerato è stata la espressione di una volontà direttiva e d'interessi economici e politici non più coincidenti con la lotta del proletariato. Sarà così meno difficile domani ai partiti della nuova Internazionale definire i termini, sul piano teorico e tattico, della politica contro il compromesso.

A conclusione affermiamo:

La dittatura del proletariato non deve in nessun caso ridursi a dittatura di partito, anche se si trattasse del partito del proletariato, intelligenza e guida dello Stato operaio.

Lo Stato e il Partito al potere, in quanto organi di tale dittatura, portano in germe la tendenza al compromesso col vecchio mondo, tendenza che si sostanzia e si potenzia, come l'esperienza russa ha insegnato, nella temporanea incapacità della rivoluzione in un dato paese di irradiarsi, saldandosi col moto insurrezionale d'altri paesi.

In una fase dunque di politica temporeggiatrice imposta dalla gradualità dello sviluppo rivoluzionario, gli interessi della rivoluzione si garantiscono con la presenza operante del proletariato - soprattutto delle sue forze più coscienti - negli organi essenziali della dittatura, con le cariche elettive, col diritto di rimozione dalle cariche, col libero esercizio del sindacato operaio a tutela dei propri interessi di classe nei confronti dello Stato e di tutte le stratificazioni economiche non ancora socialiste: in una parola, col più ampio esercizio della democrazia operaia. Se in questa fase della dittatura di classe è anacronistica la libera esistenza dei partiti, dovrà però essere libera l'opera di critica e di opposizione nell'ambito del partito della dittatura. L'esercizio della più vasta democrazia nei rapporti fra il proletariato e il partito, fra proletariato e Stato operaio, presuppone un altissimo grado di maturità politica raggiunta dal proletariato e l'esistenza di condizioni obiettivamente sufficienti per tale esercizio in ogni settore economico e sociale dello Stato operaio.

È implicito che è compito del partito che esercita la dittatura elevare tali stratificazioni arretrate fino al livello degli interessi rivoluzionari di classe, attraverso i mezzi e i metodi consentiti dalla stessa democrazia operaia, quali il libero dibattito, la libera espressione nelle assemblee, ecc.

Lo Stato - sopravvivenza borghese della quale il proletariato non può fare a meno di servirsi per eliminare i residui di una società divisa in classi, ma di cui deve affrettare la dissoluzione - tende tanto più a sopravvivere e a rafforzarsi, invece di deperire, quanto più si isola dal moto del proletariato internazionale, pretendendo di costruire nel proprio ambito il socialismo, e di contrapporsi come Stato operaio agli Stati borghesi sull'arena mondiale.

IV. LA NUOVA INTERNAZIONALE

La vastità e la durata del conflitto, la profondità e l'asprezza degli urti ideologici, l'esperienza negativa del primo Stato proletario e della sua Internazionale, devono aver determinato le condizioni favorevoli per la creazione e il rafforzamento di organizzazioni comuniste nei singoli paesi, che attendono l'ora di potersi riunire per gettare le basi della nuova Internazionale. Questa dovrà tener conto soprattutto delle loro esperienze negative, per divenire di fatto l'organo della rivoluzione mondiale comunista. Il nostro partito, che in questi ultimi decenni ha sentito più di ogni altro la carenza di un organo direttivo internazionale che fosse realmente guida e incentivo alla lotta del proletariato, e ne ha coraggiosamente denunciato le insufficienze, gli errori e le deviazioni, e infine il tradimento, e che non si è lasciato sfuggire occasione per riannodare contatti tra le forze della sinistra internazionale, saprà prendere l'iniziativa al momento opportuno. Esso è ideologicamente preparato a questo compito di ripresa e afferma fin da oggi che la nuova Internazionale:

a) dovrà evitare di divenire lo strumento dello Stato operaio e della sua politica, ma, considerandosi la più alta assise dei lavoratori del mondo, dovrà difendere gli interessi della rivoluzione anche nei confronti dello Stato operaio;

b) dovrà evitare di burocratizzarsi, facendo del suo centro direttivo, come dei centri periferici, il campo di manovra del carrierismo funzionaristico;

c) dovrà evitare che la politica di classe sia pensata e realizzata con criteri formalistici e amministrativi.

Il pericolo di incrostazioni opportunistiche e di autoritarismo funzionaristico potrà essere neutralizzato a tempo ed eliminato soltanto da un'attiva partecipazione degli organi politici del proletariato dei diversi paesi alla vita politica dell'Internazionale, dal suo vigile controllo sugli uomini e sugli organi preposti ai centri direttivi e di responsabilità.

V. LA NOSTRA TATTICA

Abbiamo già affermato che la tattica del partito non cambia con l'apparente e formale modificarsi delle condizioni esterne e politiche dello Stato. Se il corso della guerra non sarà brutalmente interrotto o radicalmente mutato col cedimento di qualche settore per effetto d'una riuscita sollevazione operaia, contro la prevedibile esperienza democratica, sotto la tutela delle vittoriose forze alleate, il nostro partito porrà la lotta del proletariato sul piano della tattica rivoluzionaria, che consiste nell'interpretare tempestivamente le situazioni dall'angolo visuale di classe, nell'adeguare ad esse le parole d'ordine dell'azione, nell'armare a tempo il proletariato delle idee essenziali di cui si alimenta la sua lotta e dei mezzi necessari al consolidamento della vittoria. Nell'immediato dopoguerra, mentre sotto la guida dei socialisti e centristi si ripeterà la manovra cara alla reazione democratica di deviare la spinta rivoluzionaria per farla arenare nelle secche delle rivendicazioni parziali ed immediate e nel compromesso approfittando dell'inevitabile smarrimento politico economico e morale che si abbatterà su tutti gli organi dello Stato e sullo spirito delle masse, e della incapacità della classe dirigente responsabile della guerra di organizzare la pace nel senso di risolvere gli enormi problemi posti sul tappeto dalla guerra, il nostro partito adeguerà la sua tattica al maturare di favorevoli condizioni obiettive e condurrà la lotta nell'alveo della tradizione rivoluzionaria per essere in realtà di guida e non al rimorchio dei prossimi avvenimenti. È perciò ovvio che gli espedienti tattici della democrazia saranno gettati tra i ferri vecchi della politica, non appena il partito riterrà che la situazione precipiti verso una soluzione rivoluzionaria.

E poiché la nostra linea politica non sarà influenzata né da suggestioni idealistiche né dalle teoriche della spontaneità, ciò consentirà che la volontà di lotta del partito coincida con la volontà delle grandi masse, allorché queste esprimeranno in sintesi l'urgere di una necessità realizzatrice nel senso dell'attacco rivoluzionario per la conquista del potere.

Ma non si avrà conquista seria del potere, se il partito non avrà prima conquistato l'influenza sulle grandi masse del proletariato. A questo scopo il partito così definisce i propri compiti:

a) le masse non si conquistano quando e come si vuole, se condizioni obiettive non le agitano, a nulla valgono su di esse le acrobazie manovriere dei partiti che vorrebbero influenzarle e farle scattare al tocco di bacchette magiche;

b) lo spirito combattivo delle masse, allorché si accende alla lotta, segna come in un diagramma il processo d'instabilità e di crisi che pervade l'apparato produttivo del capitalismo, i suoi mercati e il complesso della sua organizzazione politica. In questo momento, il partito può operare il suo inserimento nella lotta, ed esserne uno degli elementi determinanti, attrarre nella sua orbita le masse a potenziarne unitariamente le energie per indirizzarle verso il raggiungimento di determinati obiettivi;

c) la riuscita di una tale manovra è possibile nella misura in cui il partito avrà saputo creare in seno alle masse organismi permanenti di propaganda, di proselitismo e di agitazione; nella misura in cui avrà saputo conquistare la fiducia, con l'aderenza costante alla vita e alle lotte del proletariato e alle sue esigenze di classe; nella misura infine in cui avrà dimostrato di non aver illuso con agitazioni intempestive e non sentite, con la ginnastica a vuoto dello sciopero per lo sciopero, o dello sciopero per fini aberranti allo spirito e agli interessi di classe;

d) il nostro partito, che non sottovaluta l'influenza degli altri partiti a tradizione operaia e l'importanza di tale influenza sulle masse, si fa assertore del "fronte unico", manifestazione organica dell'unità proletaria al di fuori dei partiti, essenziale ai fini della lotta e della vittoria, naturale e libera palestra al conflittare delle opposte correnti politiche, in cui il nostro partito giuocherà il suo ruolo preminente di guida della maggioranza del proletariato, perché ne è l'interprete fedele, perché ne rappresenta gli interessi fondamentali e perché, soprattutto, ha dimostrato di essere la sua unica e sicura guida alla lotta rivoluzionaria.

VI. PROBLEMA SINDACALE

Allo stato attuale il problema sindacale è inesistente e i residui delle vecchie organizzazioni sindacali a vita clandestina han dimostrato di servire più come pedina per agitazioni politiche legate alla guerra che come autentici organi della lotta operaia.

La ripresa sindacale, che si avrà con la fine della guerra, risentirà delle sue vicende politiche e vedrà potentemente rafforzato il tradizionale predominio socialdemocratico sui sindacati e reso più autoritaria la sua burocrazia. Ad onta di tali prospettive il nostri partito agiterà non appena possibile il problema della riorganizzazione unitaria del movimento operaio, ricostituirà la rete delle sue frazioni sindacali dal gruppo comunista di officina (composto di comunisti e di operai senza partito), fino al comitato Sindacale nazionale comunista: e se lo riterrà necessario si farà iniziatore di un "Fronte delle sinistre Sindacali" per rovesciare i capi della Confederazione del lavoro.

Intanto il partito concentrerà la sua attenzione e il suo lavoro sul legame sistematico con le officine allo scopo di formare non solo un apparato interno, ma anche una rete per la manovra delle grandi masse.

VII. LAVORO TRA I CONTADINI

Questa guerra a somiglianza della precedente, e certo in proporzioni maggiori, deve aver approfondito nei contadini il distacco col mondo delle tradizioni secolari, della sudditanza economica e politica e deve aver agito da piccone demolitore da un lato contro i vieti ed angusti sistemi di conduzione agricola e dall'altro contro il predominio delle cricche parassite dello schiavismo agrario. Il distacco tra la popolazione dei campi e quella urbana è andato attenuandosi e molte incomprensioni e più di una differenza sono scomparse; avvicinate, accomunate quasi dalle sofferenze fisiche e dalle costrizioni morali e politiche imposte con la violenza da una dittatura senza scrupoli e da una guerra feroce.

Se il contadino che pensa con lentezza, ma pensa con una logica chiara e profonda, fosse giunto dopo tante esperienze a percepire il legame di corresponsabilità che corre tra il padrone della terra che egli lavora e le forze politiche che vollero questa guerra di sterminio, un grande passo sarebbe stato compiuto verso la rivoluzione.

Le nostre campagne che la guerra avrebbe dovuto trasformare sospingendole, come in parte ha fatto, verso più alti gradi di evoluzione economica, al quinto anno di guerra si trovano paurosamente impoverite di braccia e di riserve per le razzie sistematiche dei belligeranti nemici ed amici, strette tra le lusinghe effimere del mercato nero e la svalutazione monetaria, che rende nullo il loro sacrificio e sotto l'assillo dell'intervento monopolistico e rapinatore dello Stato. Non dubitiamo che tali vicende abbiano creato nello spirito delle masse contadine avversioni e odio contro un regime economico politico che l'esperienza ha mostrato insensato e criminale.

Il dopoguerra si presenta perciò ricco di promesse rivoluzionarie anche in questo settore nel quale il proletariato industriale aveva trovato fino a ieri sorda tenace opposizione al comune sforzo di emancipazione. Il nostro partito ha sempre riconosciuto il ruolo che il contadiname soprattutto quello povero è destinato ad avere nella rivoluzione italiana e pone fin d'ora all'ordine del giorno il problema dei contadini facendo suo il programma definito al II Congresso del Partito Comunista Italiano, programma sempre vivo e attuale e come impostazione tattica nella fase che precede la conquista del potere, e come indirizzo concreto e costruttivo nella prima difficile fase di realizzazione d'una economia socialista.

Dal punto di vista pratico il partito conta sulla riorganizzazione dei Sindacati dei salariati agricoli e delle leghe dei mezzadri e dei piccoli fittavoli, e per i piccoli proprietari sulla organizzazione di un'associazione di difesa dei loro interessi economici.

IL COMITATO CENTRALE DEL PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALISTA

Settembre 1944

Presentato dal CC nel novembre successivo.

Da un opuscolo, Edizioni del Partito Comunista Internazionalista, 1945.

Archivio storico 1927 - 1944