Neutralismo e pacifismo, armi della guerra

Anche il PSI ha sentito il bisogno di prendere posizione di fronte al problema della guerra. Il documento pubblicato in proposito non poteva essere che l'ennesima prova dell'inconsistenza politica della tradizione del partito e in particolare della sua direzione "centrista".

Il documento inizia con una faticosa analisi della situazione di minaccia di guerra profilatasi sull'orizzonte internazionale. Lo fa, come al solito, dando un colpo al cerchio e l'altro alla botte, e vietandosi così ogni conclusione seria anche dal punto di vista borghese e democratico. Prima affermazione: l'attuale tensione internazionale è il riflesso di una "ricerca di equilibrio militare fra i due grandi blocchi mondiali". Non dunque il prodotto dell'inevitabile maturazione di contrasti imperialistici nel seno della società borghese internazionale, ma il frutto di una politica di... equilibrio inaugurata a Postdam (in nome delle quattro libertà) e sfociata nel modo e nelle forme che tutti sanno. La guerra diventata questione di "equilibrio" militare fra due contendenti.

Seconda affermazione: "Il conflitto tra i due grandi blocchi è un aspetto della lotta di classe reso evidente dalla competizione fra due sistemi economici e sociali: quello collettivistico della Unione sovietica e dei paesi di nuova democrazia, cui non possono non rivolgersi le speranze dei lavoratori, e quello capitalistico nella sua espressione pura degli Stati Uniti d'America e nelle forme variamente dirigiste e pianificatrici delle nazioni europee". Qui, come si vede, non si tratta più di ricerca di equilibri militari, ma di affrontarsi sul piano militare di due forze sociali antitetiche e, secondo l'interpretazione della "sinistra" del partito, la guerra diventa un episodio della lotta fra proletariato (Russia) e borghesia (America).

Terza affermazione: "Ma il conflitto fra i due sistemi statali non esaurisce in sé i termini della lotta di classe e della lotta del socialismo contro il capitalismo. La lotta per il socialismo è ricca di motivi più profondi e articolati: essa si svolge su di una frontiera che non coincide con la frontiera fra i due blocchi di Stati, ma passa attraverso i singoli Stati ovunque esistano masse sfruttate ed oppresse che occorre inserire nella lotta per il socialismo con richiami più efficaci e molteplici di quanto non sia l'appello ad assecondare – in pace e in guerra – esigenze diplomatiche e strategiche". Dove, attraverso le più comiche contorsioni, l'"equilibrio militare" fra le correnti in lotta nel partito è raggiunto: lotta di classe sì, però... Con un sospiro di sollievo i membri della Direzione depongono la penna e si detergono il sudore: la "base" in questo pasticcio capirà quel che può e quel che vuole; la "sinistra" chiuderà gli occhi sul primo punto, la destra sul secondo, il centro lavorerà alla ricerca dei "più profondi ed articolati motivi" e alla conciliazione fra le simpatie verso il sistema collettivista dell'Oriente e la resistenza e la preparazione militare di Oriente ed Occidente.

Esaurita la parte critica, avanti con la parte costruttiva. Il compito del PSI è chiaro: difesa della pace: non pacifismo imbelle, per carità, ma pacifismo attivo animatore e sollecitatore dei "più profondi e vasti strati popolari in tal modo preparati alla lotta rivoluzionaria per l'instaurazione del socialismo". La direzione del PSI gonfia il petto adergendosi a "difesa della pace", come scuola di preparazione... rivoluzionaria alla conquista del potere. Come lavorerà per la pace? Anzitutto, propugnando la neutralità dell'Italia, che è già un primo modo per riconoscere l'ineluttabilità della guerra e rispondervi col classico grido: "sbrigatevela voi proletari americani e russi; noi stiamo fuori a...lavorare per la pace".

Come opererà il PSI per garantire questa neutralità? Forse preparando una risposta rivoluzionaria alla guerra? Ohibò, chiedendo la non adesione a nessun blocco, battendosi per la riduzione delle spese militari al minimo "non potendo l'Italia svolgere in caso di conflitto altra funzione che di ausiliaria ed assecondatrice di azioni di guerra delle Grandi Potenze" (quest'inciso vale da solo tutto il resto: la Direzione chiede che se guerra dovrà esserci, l'Italia sia almeno una semplice ausiliaria come vuole il trattato di pace: che si scanni per un quarto invece che per intero), contro la fabbricazione di materiale bellico e la non utilizzazione degli aiuti ERP a tale scopo, ecc. Infine, in caso di guerra il PSI indirizzerà le energie convogliate nella lotta preparatoria ad una nuova lotta per la pace, contro le unioni sacre e per la non collaborazione con "le forze statali rese dalla guerra ancora più oppressive e totalitarie".

E il documento è finito e debitamente archiviato.

Discuterne il contenuto da un punto di vista proletario sarebbe sciocco. Le teorie della "lotta per la pace" e del "neutralismo" operante od imbelle, sono concezioni che il movimento operaio ha liquidato da tempo come forme aperte di capitolazione di fronte alla guerra. Il proletariato lotta contro la guerra in un modo solo: preparando e mettendo in moto le forze della rivoluzione. Non chiede pace alle forze della guerra: chiede a se stesso le energie per distruggere le cause del massacro e creare così le condizioni di una pace che il regime capitalista esclude.

Ma l'assurdità del documento socialista non va vista in rapporto alle ideologie del proletariato, ch'esso ha calpestato e rinnegato da troppi anni, ma in rapporto alle posizioni del partito nello schieramento borghese-democratico che è il suo naturale domicilio. Ora è chiaro che, di fronte al problema della guerra, i partiti borghesi aderenti ad una realtà sociale e politica che hanno fatta propria non possono prendere che una sola posizione conseguente: o quella dei fautori di un blocco o quella dei fautori dell'altro. Se piratesca è la posizione dei partiti americano e russo, gesuitica e non meno piratesca è la posizione di chi, mentre rimane affondato fino al collo nel meccanismo della società capitalistica, pretende di garantirsi una neutralità ch'è stato fin troppo zelante a vendere in nome degli "ideali" e dei "principi" che hanno presieduto a tutta la sua azione su scala nazionale ed internazionale. Il PSI ha questa funzione (che è, lo voglia o no la direzione Jacomettiana, la stessa della "terza forza" saragattiana): di far credere ai proletari che, ferma restando l'adesione del partito alla ideologia alla prassi e agli interessi sociali della democrazia, la neutralità sia possibile e la pace possa essere difesa; far credere che si possano accettare gli aiuti dell'America ed esigere che siano impiegati per scopi che con gli interessi americani non hanno nulla a che fare; che si possa costruire sulle sabbie di una neutralità che è negata da tutta l'evoluzione del regime capitalista.

Fra il si e il no son di parer contrario, dice la Direzione centrista. In pratica appellandosi al suo stesso documento, di fronte alla guerra il partito non potrà che sfasciarsi secondo una linea naturale di rottura: una parte, aggrappandosi alla prima formula del contrasto fra i due blocchi, proclamerà che, dal momento che il conflitto c'è, meglio accettare il "minor male" (il blocco antitotalitario); l'altra, aggrappandosi alla interpretazione della guerra come episodio della lotta di classe, penserà che, dunque, bisogna schierarsi con la propria classe, impersonata nella "nuova democrazia".

Il vecchio baraccone socialista ha dunque partorito il suo ennesimo documento d'imbecillità senile. Buffonesco dal punto di vista proletario; impotente ed imbelle, nonostante le professioni di attivismo, dal punto di vista borghese. Il centro della direzione ha la sua strada segnata, e, se non si schiererà con le due ali polarizzate verso Oriente o verso Occidente, farà la solita opera di pia crocerossina chiedendo per l'Italia la guerra minima, la guerra corta, la guerra non tanto sanguinosa, la rapida conclusione della pace. È superfluo dire che di queste crocerossine le forze della guerra hanno sempre avuto bisogno, come hanno sempre avuto bisogno di una Svizzera e di una Svezia neutrali e di pii missionari della "umanizzazione delle armi distruttive". Jacometti e Lombardi faranno questo, a meno che, nel frattempo, non abbiano scelto come più coerente ai "profondi ed articolati motivi" della lotta per il socialismo un'altra casacca militare.

Da "Battaglia Comunista" n. 34 del 1948.

Archivio storico 1945 - 1951