Appunti sui Manoscritti di Marx del 1844 (1)
Cardini del programma comunista
Nelle sedute conclusive delle riunioni tenute a Torino e a Parma (e si considerino anche gli sviluppi dati al resoconto della prima coi Corollarii pubblicati nei nostri nn. 16 e 17 del 1958) vennero trattate questioni fondamentali della dottrina del nostro partito. Esse si ricollegano alla negazione dell'individualismo e della personalità del singolo, di cui oggi si vede fare largo abuso non solo nella propaganda dei paesi capitalistici occidentali, ma anche in quella degli amici e seguitanti di Mosca. A questi argomenti di dottrina ci ha direttamente ricondotti ora la dimostrazione che tutte le innovazioni e pretese riforme presentate agli ultimi congressi russi sempre più procedono in direzione diametralmente opposta al comunismo marxista, tanto quando si tratti di affermazioni teoriche dirette a simulare scandalo per il "revisionismo" di jugoslavi ed altri (resoconti di Torino), tanto quando si tratti di concreti mutamenti di struttura avvenuti nella organizzazione economica russa. Sotto entrambi questi riflessi abbiamo svolto i richiami all'effettivo programma del comunismo scientifico di Marx e alla dottrina del materialismo storico, rivendicando le tesi vitali più spesso oltraggiate - anche dai non filorussi - e che culminano in quella del partito gerente della dittatura rivoluzionaria e della sua vera meccanica che si basa sulla invariante dottrina classica internazionale e ultrasecolare; e non sulle opinioni dei singoli e la loro imbecille statistica nelle forme elettive borghesi.
Tutto questo tesoro delle nostre originali e possenti dottrine e metodi si è visto ancora una volta infamato e calpestato al recente congresso, quando la serie capitolarda dei rinnegamenti è giunta fino a far posto nella meccanica della attuale economia sociale sovietica (e la constatazione contingente è esatta) dell'incentivo dell'interesse personale! Naturalmente la espressione più triviale di questa massima fra le tesi antimarxiste si trova nel rapporto sul XXI Congresso al C.C. del partito italiano (Unità 17-3-1959): "nell'agricoltura venne restaurato (lo stesso espressivo verbo è nel rapporto Krusciov, ed. it., pag. 13) il principio che l'interesse individuale deve continuare ad essere la molla prevalente dello sviluppo della organizzazione colcosiana". Nelle "tesi" del Congresso è adombrata in modo un poco meno pacchiano la pretesa paradossale che nelle opere di Lenin e perfino dei fondatori del comunismo scientifico si faccia posto alla leva dell'interesse materiale. Ma il trucco è chiaro: altro è interesse materiale, che può essere fraternamente comune agli sfruttati che devono rovesciare la società privatista, altro è interesse individuale, la cui molla consiste nell'incentivo a fregare il compagno di classe.
Ma qui discutiamo dei caratteri di una società socialista, e (secondo le più recenti truffe) perfino comunista. Ed è in tale campo che la tesi dell'incentivo personale vale il capovolgimento del marxismo rivoluzionario. Ancora una volta occorre tornare alle origini. Che quella restaurazione si stia facendo in Russia lo concediamo; è una delle cento tappe della peggiore controrivoluzione.
La moderna filosofia critica
Un concetto centrale del marxismo è quello che la filosofia del tempo moderno che, anche sotto il nome di scuole diverse parte da Cartesio, Bacone e Kant, è una sovrastruttura storica propria del tempo e del modo di produzione capitalistico. Gli ideologi della classe borghese ovviamente considerano la vittoria di queste scuole moderne sulla tradizionale filosofia cristiana teologica e scolastica come una conquista "definitiva" del sapere umano, e quindi mostrano la pretesa che anche gli esponenti del socialismo proletario debbano fare omaggio ad essa e porsi sotto lo stesso ombrellone filosofico. In altri termini si pensa, e questo luogo comune è molto diffuso, che i socialisti facciano propria e vantino la vittoria ideologica del criticismo borghese contro il fideismo medioevale, e sia un loro punto vitale di partenza lo svolgimento della filosofia, e con essa delle teorie sulla società umana e la sua storia, dai sistemi di credenze religiose.
Questo è un pernicioso errore in quanto, anche nei casi (non generali) in cui gli ideologi della moderna borghesia hanno osato rompere apertamente con i principii della chiesa cristiana, noi marxisti non definiamo questa sovrastruttura di ateismo come una piattaforma comune alla borghesia e al proletariato, che rispetto ad essa è una protagonista della storia futura, ma spieghiamo quel conflitto di idee come una proiezione della lotta tra i nascenti ceti capitalisti da una parte, e dall'altra la antica nobiltà terriera e il suo ordinamento feudale. Quando sulla grande scena della storia una tale lotta di classe è scontata con la vittoria del capitalismo contro l'antico regime, e si determina una nuova lotta di classe, il nuovo protagonista che è il proletariato avrà una propria ideologia che non ha alcun fondo comune a quella che inquadrò la lotta borghese contro il medioevo, anche se nella reale lotta politica vi dovettero essere alleanze di fatto, e di armi.
Altro luogo comune in questa materia è che Marx ed Engels derivano la loro dottrina come un filone sorto dal corso della filosofia critica tedesca, che fu uno dei rami più importanti del movimento moderno e toccò il suo vertice nell'opera di Hegel. La verità storica è che Marx, Engels e il loro gruppo non trascurabile sia di studiosi che di aperti agitatori sociali si contrapposero subito ai discepoli di Hegel che a lui si richiamavano fedelmente, e li trattarono da ideologi borghesi e piccolo borghesi, deridendoli sì anche quando mostravano di non aver capito il maestro, ma svolgendo insieme una aperta e risoluta condanna del sistema di lui.
Marx narra nella prefazione alla Critica della Economia Politica, scritta nel 1859, che lui, Engels ed Hess avevano steso un imponente lavoro per definire la loro posizione negativa radicale rispetto ai seguaci di Hegel e ad Hegel stesso col suo grande sistema di cui erano stati conoscitori profondi, ma dice che trovarono inutile la divulgazione di una tale critica, in quanto il punto di arrivo era che si doveva spostare il campo della ricerca dalla filosofia tradizionale alla economia - ove era meglio criticare i classici borghesi inglesi; o meglio ancora dal campo della ricerca passare a quello della battaglia - ove era meglio continuare l'opera dei sia pur primitivi comunisti francesi.
Ma se nessun riguardo poteva suggerire di tenere private le feroci stroncature degli Stirner, Bauer, Strauss, ed anche Feuerbach, altre ragioni indussero Marx a non pubblicare mai le parti che smontavano del tutto il classico sistema hegeliano, da cui tuttavia in chiari passi di tutte le sue opere si era allontanato. Egli lo dice nella sua prefazione al Primo Libro del Capitale, nel 1873. Nella "dotta Germania" troppi botoli intellettuali si erano dati a trattare Hegel come un "cane morto", e Marx non poteva far coro a simile servidorame. Ma la ragione più che letteraria era storica. Solo in Germania era fallita, col 1848, la grande rivoluzione borghese che in Inghilterra e Francia aveva da tanto tempo vinto; per i tedeschi di Bismarck e degli Hohenzollern, Hegel era purtroppo ancora un rivoluzionario, e Marx si limitò a ricordare come il suo metodo dialettico era l'opposto di quello di Hegel, e di averne condannato il lato mistico, ossia idealistico, già trent'anni prima.
Il grande manoscritto sulla Ideologia Tedesca, e quelli che sono indicati come Manoscritti economico-filosofici del 1844 (Economia politica e filosofia) sono stati poi pubblicati, sebbene i topi avessero largamente ascoltato il consiglio degli autori di roderli, e i testi siano pieni di lacune e di dubbi.
Ne resta più che abbastanza per stabilire che Hegel fu un ideologo borghese e che il marxismo rivoluzionario ha definitivamente demolita ogni sua costruzione come ogni altra giustificazione teorica della forma capitalistica.
L'io e la coscienza, fantasmi borghesi
Marx nella sua critica a Feuerbach, che considera più serio di tutti gli altri "giovani hegeliani", stabilisce che egli è il solo che ha ben maneggiato la dialettica del maestro e la negazione della negazione; ma condanna maestro ed allievo in quanto la loro esercitazione puramente astratta si riduce a partire dalla soppressione della religione ad opera della filosofia (speculativa) per ricadere alla soppressione della filosofia e al ristabilimento della religione e della teologia. In senso storico ciò vale dire che lo sforzo di ateismo della classe borghese nascente chiude la sua parabola con un nuovo successo della maniera religiosa: nel 1844 ci si dichiarava senza timore atei, oggi nessuno scrittore osa più farlo.
Marx dichiara in questo Feuerbach buon seguace di Hegel ossia riporta ad Hegel la responsabilità della sterilità del metodo critico borghese. Egli dice a questo punto, in uno schema che purtroppo si è trovato presto interrotto: "Gettiamo uno sguardo sul sistema di Hegel. Bisogna cominciare dalla Fenomenologia perché è lì che nasce la filosofia di Hegel e che si trova tutto il mistero". Lo schema dice: "Fenomenologia". "A. La coscienza di sé" - "I. La coscienza... - II. La coscienza di sé. La verità della certezza di sé stesso... ". Non è necessario riportare tutto lo sviluppo schematico del testo, il quale reca parole di dubbia decifrazione. Quello che è chiaro è che per Marx l'errore di Hegel consiste nel poggiare tutto il suo colossale edifizio speculativo, col suo rigoroso formalismo, su di una base astratta, quale la "coscienza". Come Marx dirà tante volte è dall'essere che bisogna partire, e non dalla coscienza che l'io ha di sé stesso. Hegel è chiuso alle sue prime mosse nell'eterno vano dialogo tra il soggetto e l'oggetto. Il suo soggetto è l'Io inteso in senso assoluto, e "il primo oggetto è per lui la sua stessa certezza", come detto in vari altri passi. "Hegel commette qui un doppio errore che si manifesta nel modo più netto nella fenomenologia, questo luogo di nascita della sua Filosofia".
Come dal senso di tutti i densi brani, l'errore di Hegel consiste nel partire dal soggetto pensante, dalla testa che pensa. Infatti Marx dirà nella citata prefazione che egli capovolge tutta la dialettica di Hegel la quale ha l'errore di camminare reggendosi sulla sua testa. A tale errore sono condannati tutti i pensatori del tempo borghese, e che esprimono la gesta storica della classe capitalista. Il loro Io, il loro Uomo, il loro Soggetto che si pretendono espressioni dello stesso Assoluto non sono che la transitoria peculiarità del Borghese.
Fin dal tempo delle elaborazioni giovanili di Marx e dei suoi compagni è chiaramente costruito quanto dovrà opporsi al denunziato fondamentale errore di Hegel che si riassume nella superstizione individualista. Infatti fin da quel tempo era sorto il programma comunista, ossia la valutazione scientifica anticipata della società umana che al capitalismo deve succedere, e in quei primi manoscritti è già contenuto tutto quanto non poteva forse allora inserirsi nelle trattazioni e manifestazioni di partito, che tuttavia rispondevano alla esigenza di definire i realistici rapporti sociali. Fin da allora se ne potevano seguire le prime manifestazioni nei vari paesi e discutere gli enunciati.
Il gioco delle terziglie
Uno dei compiti del nostro impersonale movimento di partito dovrebbe essere quello di "ricostruire" il testo dello studio di Marx del 1844 di cui ci stiamo ora servendo e che in tutte le edizioni riproduce un manoscritto i cui fogli sono stati numerati da mano poco competente e quindi contiene strani salti da uno all'altro dei fondamentali argomenti. I più intelligenti editori (vedi S. Landshut e J. P. Mayer a Berlino 1931) hanno stabilito che questo lavoro vale di preambolo filosofico alla monumentale opera del Capitale, e che quindi è altro volgarissimo luogo comune che Marx negli scritti giovanili fosse hegeliano, e solo dopo sia stato materialista storico; e magari più vecchio un volgare opportunista! Compito della scuola marxista rivoluzionaria è di rendere palese a tutti i nemici (che hanno la scelta di tutto prendere o tutto rigettare) il monolitismo di tutto il sistema dal suo nascere alla morte di Marx e anche oltre (concetto base della invarianza - rifiuto base della evoluzione arricchitrice della dottrina del partito).
Se Marx avesse cambiato filosofia allora sì che avrebbe riscritto quei manoscritti e l'altro enorme scartafaccio sulla Ideologia Tedesca. Non li ha riscritti appunto perché non ha mai cambiato, e fin da essi aveva liquidato ogni idealismo borghese e la sua più compiuta forma hegeliana.
Il manoscritto rimesso nel suo ordine e senza inversioni mostrerà bene perché non occorreva riscriverlo. La liquidazione dell'idealismo filosofico consiste in una "totale trasposizione" del materiale trattato: definizione degli enti, postulati, teoremi e leggi. Questa geniale trasposizione avvenuta una volta e in una volta sola nella storia dell'uomo e del suo pensiero risulta nel titolo: trapasso dalla filosofia alla economia politica. Di tutto il preteso doppio aspetto di Marx non resta che questo: egli si laurea col titolo burocratico di dottore in filosofia, ed opera come dittatore (prendetevi sul muso la parola che odiate) su tutti voi, affaristi, e professori di economia del suo tempo e del nostro e di quello che ancora deve venire. Ben lo chiamaste "dottore terrore rosso" - red terror doctor, e mai protestò, anzi si compiacque.
In tutto il testo non troviamo mai la classica triade: tesi, antitesi, sintesi. In effetti Marx ritiene a fini soprattutto polemici la celebre serie dialettica in quanto negazione delle prime costruzioni metafisiche e fideiste (da questo testo emerge come, al loro posto storico, sono per noi tutte degne di esatta considerazione, e in questo è uno dei contrasti tra Marx ed Hegel). La dialettica apparsa presso gli eleati in Grecia ruppe l'incanto delle antinomie dualiste tra principio del Bene e del Male, tra i quali non si può che rimbalzare all'infinito e ogni negazione di negazione riafferma identico il primo risultato. Più volte narrammo di Zenone che uscì genialmente dalla tradizione formale tra freccia ferma e freccia in corso, scoprendo il valore istantaneo della velocità di un mobile, e il germe del calcolo degli infinitesimi. Ma i termini tesi, antitesi e sintesi, furono dati da Fichte prima di Hegel, che li prese a prestito, e Marx criticando i giovani hegeliani usa la loro lingua. Abbiamo dunque una prima tesi o affermazione che qui troviamo chiamata in genere posizione, o anche supposizione. La prima negazione conduce alla seconda parte della terziglia, che il lettore trova in questo testo indicata come alienazione, o anche esteriorizzazione, ossia porsi fuori e contro, contrapporsi. La terza parte della terziglia, che sarebbe la vera conquista, la sintesi di Fichte, la troviamo chiamata in questa polemica come soppressione, talvolta vittoria; è colpa di Hegel se non resta chiaro se la prima o la seconda parte, il "soggetto" o la sua "alienazione", resta travolto; la costruzione di Marx rende tutto coerente e brillante, ma era per Hegel e peggio per i minori hegeliani del tutto inopinabile.
Trasposizione rivoluzionaria di Marx
Il primo tema di Hegel è come abbiamo visto dal cenno della Fenomenologia - che per i migliori storici e critici come per Marx è il cardine del sistema - l'uomo evidentemente posto come singolo individuo. Se non è l'Io di Fichte è il sé. Il passo ulteriore è l'alienazione di questo sé ideale. "L'alienazione, che forma dunque il vero interesse di questa esteriorizzazione e della soppressione di questa esteriorizzazione (primo e secondo passaggio dialettico) è l'opposizione tra lo in sé ed il per sé, tra la coscienza e la coscienza di sé, tra l'oggetto ed il soggetto". Così il testo di Marx riferisce la vanità dei passi di danza in tre tempi di Hegel. Molti altri passi, che andrebbero rimessi come dicevamo nel loro ordine primitivo, mostrano che la "vittoria" finale non saprà né potrà essere mai altra che (senza aver nulla "materializzato" ossia senza mai avere afferrata la realtà oggettiva) il rificcare tutta la coscienza di sé dentro quel sé da cui si era con fatica "alienata". La pretesa del sistema di Hegel di fermare la identità del reale e del razionale è fallita, e si ricade nello Ich - Ich tedesco, al giro di Fichte: Io - non io - Io. Ma queste lungi dall'essere conquiste della speculazione filosofica sono dati dell'ambiente storico e sociale, in Francia avremo come "vittoria" l'Egalité (in francese in Marx); in Inghilterra il bisogno materiale, pratico, e diremmo (se a Marx si potesse prestare un vocabolo) il business.
Diamo per comprovato che Marx rigetta le costruzioni di Hegel senza altre citazioni (da riservarsi ad una edizione catechistica che si dovrebbe fare in questo scritto). Se Hegel non lo ha reso limpido Marx, è inutile rovinare le meningi nostre e dei lettori!
Passiamo alla costruzione ben diversa del marxismo. Al posto dell'io collochiamo non l'uomo fuori del tempo, ma l'uomo del tempo nostro, il proletario salariato. La prestazione di lavoro parte dell'uomo era già per Hegel la corona del doppio trapasso, la sua nobilitazione nella piena dignità di membro della società civile e cittadino dello Stato, realizzazione suprema dell'assoluto Spirito. Passato Hegel tra gli apologisti della borghesia e del capitale, ecco come Marx pone l'alienazione, la esteriorizzazione del proletario. Con il prestare il suo lavoro contro salario in danaro egli è uscito dalla sua persona, e si è mutato in una forma materiale, la merce (il suo lavoro è merce ed ha valore di scambio). Come avverrà il terzo passaggio con cui l'operaio ridiventerà uomo e ridiventerà sé stesso (pretesa del trapasso hegeliano)? Forse con altro scambio del ricevuto pugno di moneta con altra poca merce? Non certo! Ed è facile vedere che non gli resterebbe altra sorte che "alienarsi" ancora e di nuovo spersonalizzarsi, ritornare non uomo vivente ma fisico oggetto.
Il nuovo trapasso, che è davvero una soppressione ed una vittoria, fa sì che l'operaio rientri non nello stesso singolo individuo, ma nella forma umana superiore, nell'uomo sociale, nel primo vero uomo che sia umano. Questo termine di arrivo è la società umana comunista; la vittoria è quella della classe proletaria sulla dominante classe capitalista, la soppressione è quella della proprietà privata nella ultima forma di Capitale ed è - si badi bene e si confronti in cento punti il testo - anche la soppressione dell'operaio, del proletariato, delle classi, dello scambio e del danaro.
Il misterioso sé uscito dal proprio individuo vi rientrerà dunque, ed è questo il nuovo messaggio, e si riscatterà dall'essere stato annichilito e distrutto come persona (risultato massimo della sola società capitalista integrale perché, come i passi mostrano, questo annientamento non era totale ancora nelle forme preborghesi). Ma non rientrerà più, in quel promesso trionfo, in una persona isolata, individua, singola, bensì nella persona sociale dell'uomo del tempo comunista.
Dati storici del trapasso
Fermo restando che il massimo di alienazione dell'uomo si raggiunge nel presente tempo capitalista - ed è compito della contemporanea lotta comunista mostrare come le esteriorità della economia mercantile più recente, con tutti i suoi atteggiamenti benesseristi o colcosianisti, e populisti ovunque, nulla ha mutato in questo profondo rapporto - il testo di Marx è buona guida anche in riguardo al corso delle dottrine economiche e della ideologia filosofica e politica, per tutte le forme che hanno preceduta la piena rivoluzione borghese, dall'antichità al feudalesimo, e poi a noi, passando per i fisiocrati, i mercantilisti, gli economisti prericardiani e ricardiani, gli economisti volgari che li seguirono (e stanno seguendo). Il riordino di questa parte sarebbe una grande dimostrazione del criterio di invarianza, perché la valutazione delle varie forme e scuole economiche tranciata già con mano maestra da Marx giovane, collima integralmente con quanto è contenuto nella Storia delle Dottrine economiche, testo degli ultimi anni preparato dall'autore nel suo piano come Quarto Libro del Capitale.
In questa seriazione di primissima importanza sono collocate anche le dottrine dei primi comunisti ed utopisti. Nei primi tentativi sarà considerata come alienazione peggiore dell'uomo ora l'attività industriale, ora quella agricola; le prime intuizioni del comunismo integrale condurranno a cercare oscuramente appoggi nel regime terriero o nella audacia delle imprese capitalistiche.
Prima tuttavia di dare i tratti del trapasso al comunismo totale e a quello che darà al lavoratore la vera forma umana, il testo di Marx si ferma in una analisi del primo "grossolano comunismo" col quale si fa riferimento, più che ad un autore teorico, ad un movimento che per tutti i marxisti è glorioso, quello della Lega degli Eguali del tempo della rivoluzione giacobina, se pure il suo carattere francese aveva fatto, a quelle audaci tesi che prevenivano il loro tempo, una cattiva stampa nella cultura tedesca, contro la quale questi sforzi titanici di Marx sono diretti.
Il supremo punto di arrivo
Siamo anche noi qui trascinati a non seguire l'ordine cronologico né una logica partizione per capitoli, e troviamo assai utile passare prima alla lapidaria descrizione del comunismo umano finale ed integrale. Infatti scopo di tutta la nostra fatica è stabilire che questa descrizione tassativa del futuro è base indispensabile per la guida della lotta del partito comunista, organismo riferito a tutti i tempi e a tutti i luoghi e ad una rigorosa unicità di direzione dottrinale e di lotta, e che le tempeste non hanno spezzato.
"Il comunismo inteso come positiva soppressione della proprietà privata, e dunque come soppressione della alienazione dell'uomo da sé stesso, e quindi inteso (alla fine del trapasso totale) come appropriazione reale da parte dell'uomo e per l'uomo dell'essere umano (della umana essenza); e per questo come ritorno completo, cosciente, attuato all'interno di tutta la ricchezza degli sviluppi del passato, dell'uomo per sé in quanto uomo sociale, ossia in quanto uomo umano".
La enunciazione è un punto dell'elenco e non ha verbo. È l'ultimo punto. Essa, notate, rispetta formalmente gli snodi della terziglia. La proprietà privata ha alienato l'uomo da sé stesso: primo passaggio. Il comunismo, con negazione della negazione, sopprime dalla radice la proprietà privata. Risultato: l'uomo ritorna sé stesso, ma non come era partito alla origine della sua lunga storia, bensì disponendo finalmente di tutte le perfezioni di uno sviluppo immenso, sia pure acquisite nella forma di tutte le successive tecniche, costumi, ideologia, religioni, filosofie, i cui lati utili erano - se ci è lecito così esprimerci - captati nella zona di alienazione. Ma quest'uomo in grado di abbeverarsi in questa abbondanza di benefizi non è più l'uomo individuo ed egoista, ma l'uomo sociale, ossia collettivo, il vero e primo uomo umano. Non è per la prima volta umano perché da materia sia salito a spirito, ma perché da individuo è salito a specie a genere, a umanità. Ad ogni pagina troviamo questa dichiarazione che Hegel e i suoi misconoscono, che l'uomo è un essere naturale e di più un essere generico. L'aggettivo generico vuol dire che fa parte di un genere; come tale si apre la sua via nella vita e nella storia e non come membro individuo del genere, fra gli altri e contro gli altri. Ma proseguiamo nel passo decisivo.
"Questo comunismo (quello totale del periodo precedente) è, in quanto compiuto naturalismo, umanismo; in quanto compiuto umanismo, naturalismo; è la vera soluzione dell'antagonismo tra l'uomo e la natura, come tra l'uomo e l'uomo; è la vera soluzione del contrasto tra l'essenza e l'esistenza, tra la soggettività e la oggettività, tra la libertà e la necessità, tra l'individuo e la specie. È la risoluzione finale degli eterni enigmi della storia che appare come il contenuto di questa conquista".
Questo brano tanto breve quanto possente non colpisce soltanto perché raccoglie in un giro sintetico tutti i grandi problemi della filosofia umana di prima, di allora e di dopo, su cui converrà soffermarsi uno per uno; non colpisce soltanto per l'incredibile coraggio di annunziare il possesso della finale soluzione di così angosciose ricerche di tutti i luoghi e di tutti i tempi (e nel testo stesso non è difficile trovare passi non meno alti in cui si dimostra che anche in queste supreme tappe non è l'opera di una testa pensante, ma la sintesi di lunghissimi decorsi e processi collettivi, sociali); ma colpisce qui noi, proprio perché vi leggiamo la proclamazione del principio di invarianza che sempre difendiamo con impegno e anche con esasperazione, e saremmo mortificati se sembrasse che un tale principio fosse stato da noi, ultimi, incluso nel sistema.
Una banda di coboldi afferma che ben leggendo Marx, Engels e Lenin si debba concludere che le vie del futuro sono inconoscibili e si riveleranno tratto a tratto ad esploratori che vadano a tentoni. Ad esempio un russo, che voleva portare acqua al molino della validità staliniana della legge del valore in una società socialista, si arrabattava col testo di Engels e cercava di scusarlo perché non si può pretendere che i fondatori della dottrina abbiano potuto confondersi a stabilire tutte le peculiarità della economia socialista! Altro che peculiarità; qui si tratta di scolpire nel bronzo e nel granito le linee dorsali di quel trapasso, che nella nostra dottrina è tutto definibile e definito, e lo è in quanto, e da quando, l'infamia (troveremo questo vocabolo nello scritto in esame, e altri ancora più forti) della civiltà capitalista ha spogliato i proletari degli ultimi brandelli della umana loro natura.
Riconoscere il comunismo
Il marxismo rivoluzionario - appunto in quanto non ha raggiunto una così terribile meta arrampicandosi su passerelle libresche, ma ha inteso il linguaggio delle conclusioni tratte dalla profondità della vivente storia - sa quali sono le caratteristiche della società che sarà fondata dalla rivoluzione comunista, e lo sa dall'epoca i cui materiali storici permisero di edificare quelle formidabili conclusioni.
Quando le prime volte or sono quarant'anni si pose il problema, a noi odiatori dell'ambiente capitalistico di Occidente, di andare nella Russia della prima gloriosa vittoria, gli ingenui pensavano che si trattava di andare a vedere - riportando la ricetta - come si facevano le rivoluzioni e come si metteva in funzione la società senza proprietà privata.
Questo triviale errore fu alla base di tutte le tremende successive degenerazioni. Le prime raccolte delle forze del partito comunista mondiale dovevano trovare le loro basi e fondamenti nei principii comuni da gran tempo costruiti ed abbracciati; e non può dirsi che i formidabili marxisti russi dei primi anni non abbiano lavorato in questo senso con tutto rigore.
Ma tra quelli che convenivano e ascoltavano ve ne erano troppi che del programma comunista genuino nulla sapevano. Se lo avessero conosciuto ne avrebbero aborrito ed avrebbero rinculato nei loro viaggi di esplorazione. Ma il successo, la vittoria, il clamore mondiale, li suggestionarono; e la ganga si mescolò al metallo genuino della dottrina comunista, alla quale erano ben noti i lineamenti radiosi della sola e oggi così lontana vittoria.
Le falsificazioni staliniane
Il manoscritto di Marx del 1844 pubblicato a Lipsia nel 1931 col titolo Economia politica e Filosofia nell'ordine seguito anche dalla traduzione francese di J. Molitor, Edizione Costes, è apparso in italiano, editore Einaudi, 1949 traduttore Norberto Bobbio, sulla base di altra edizione tedesca da quella prima indicata di Landshut e Meyer, che fa parte delle Opere riunite storico-critiche di Marx ed Engels, edite a Berlino nel 1932.
In questo testo l'ordine è diverso nella scelta della foliazione del manoscritto originale, ed il titolo è Manoscritti economico-filosofici del 1844; titolo in verità non molto espressivo se lo si è fatto seguire da quello: Critica della economia politica con un capitolo finale sulla filosofia di Hegel. In entrambe le edizioni fa da breve premessa un testo che Marx ha inserito in uno dei fogli dell'ultimo dei tre quaderni manoscritti.
La distribuzione dei frammenti, che purtroppo conservano tale carattere, è più organica nella edizione Berlino-Einaudi, ma non tale certo da togliere opportunità alla migliore opera di ricostruzione che abbiamo proposta.
Infatti il primo manoscritto si dedica alle questioni di economia politica trattate parallelamente in tre sezioni: Salario, Capitale, Rendita fondiaria; con stretto legame alla struttura, di vari decenni più recente, del Capitale. Ma la fine del primo manoscritto sul "Lavoro estraniato" entra già in pieno nella quistione programmatica.
Il secondo manoscritto è un breve frammento cui è stato dato il titolo Il rapporto della proprietà privata. L'argomento è storico-sociale e tocca il nocciolo della teoria della lotta tra le classi.
Il terzo manoscritto in una prima parte è decisamente programmatico ed espone i caratteri della società comunista che succederà a quella della proprietà privata. Segue un capitolo ancora di critica della forma capitalistica: bisogno, produzione, divisione del lavoro, un frammento mirabile sul "danaro"; e la parte finale di questo manoscritto è data come Critica della dialettica e della filosofia di Hegel. Ma come nelle prime pagine questa critica è già proposta e anticipata, così gli argomenti di economia politica ricompaiono nelle ultime. Vi sono poi i vuoti e le lacune che arduo è colmare.
È notevole come la diffusione di queste fondamentali pagine e la loro presentazione riesca controproducente nello spirito che anima le edizioni dei comunisti staliniani.
Ne diamo un eloquente esempio, che mostra come ad ogni istante vi sia la trasparente preoccupazione per il contraddirsi spietato tra questi "quadri" anticipati della società futura e i caratteri della struttura russa di oggi, che questa letteratura non può tralasciare di apologizzare.
La prefazione italiana cita che Marx, menzionando più volte Proudhon, "riferisce e confuta la teoria della eguaglianza dei salari".
Questo spunto polemico fa chiara eco alla dichiarazione di scritti e congressi russi a proposito della giustificazione delle differenze gravi di salario nella retribuzione dei lavoratori russi dell'industria di stato e dei servizi di stato.
La speculazione consiste nel far credere che sia Proudhonismo sostenere che tutti i lavoratori debbano ricevere pari salario quale che sia la qualità e produttività del lavoro, e che il vero marxismo teorizzi per la società socialista salari disuguali!
Aut salariato, aut socialismo
Ora la posizione di Marx rispetto a Proudhon, ben chiara fin dal 1844 e ribadita nell'opera apposita Miseria della Filosofia, oltre che nelle tante citazioni del Capitale da noi più volte date, non consiste nel confutare un "comunismo a salari eguali" - l'egualitarismo di cui i Krusciov parlano con tanto disprezzo bestemmiando anche falsi di Lenin - ma nel confutare la vacuità proudhoniana che concepisce un socialismo che conserva i salari, come li conserva la Russia. Marx non batte la teoria dell'uguaglianza, ma la teoria del salario! Salario è non-socialismo anche se si potesse livellarlo. Ma non livellato, non egualitario, è un non-socialismo a (cento volte) più forte ragione.
Sebbene il punto che abbiamo scelto sia prettamente economico, passando finalmente a citare Marx non si può omettere l'osservazione che già siamo (primo manoscritto, lavoro estraniato) nel campo dell'impiego, sia pure con intento polemico, della terminologia filosofica. Essendo questa, con piena ragione, derivata da quella di Hegel, dovrebbe già esser stata premessa la condanna del sistema hegeliano nel suo insieme, a cui infatti abbiamo già fatto più sopra riferimento.
L'economia politica classica, ossia borghese, non ha potuto evitare di fornirci la chiave del movimento della proprietà privata. Con tale chiave noi le abbiamo strappato il suo segreto: essa proprietà è il prodotto del lavoro alienato. Infatti nella società borghese tipo vi sono (questa la sintesi di tutta l'economia marxista come descrizione del capitalismo) due forme di proprietà: di capitale, o mobiliare, che dà profitto - di immobili, che dà rendita fondiaria. L'una e l'altra, secondo l'economia dei nostri avversari, misurano il loro valore secondo il lavoro. Ma chi presta lavoro nella presente società non ha alcuna proprietà privata, né mobile, né immobile. Tutta la proprietà privata è lavoro alienato. Il proletario subisce la alienazione del suo lavoro, che è (parte filosofica) alienazione di sé stesso.
Contentiamoci di questa formulazione umile per introdurre il passo su Proudhon. "Questo svolgimento getta immediatamente la luce su alcune contraddizioni non risolte sinora: 1) l'economia politica prende le mosse dal lavoro inteso come l'anima propria della produzione, eppure non dà al lavoro nulla mentre dà alla proprietà privata tutto". Non sarebbe una risposta dire che la forma capitale dà al lavoratore il salario. Questo non può divenire, in linguaggio umile, nè proprietà mobiliare né immobiliare. Nel linguaggio alto di Marx questo, il salario in danaro, non potrà mai annullare la estraniazione del proletario dalla natura di uomo che era in lui. Seguitiamo a leggere.
"Da questa contraddizione Proudhon ha concluso in favore del lavoro contro la proprietà privata". (Egli era il vero padre della illusione immediatista viva tal quale ancora adesso). "Ma noi invece ci rendiamo conto che questa contraddizione apparente è la contraddizione del lavoro estraniato con sé stesso, e che l'economia politica non ha fatto altro che esporre le leggi del lavoro estraniato".
"Quindi riconosciamo pure che salario e proprietà privata sono la stessa cosa (leggiamo: una società basata su salario pagato in danaro è società di proprietà privata, non comunista, e aggiungiamo il corollario: anche se non ci fossero proprietari fondiari e proprietari di capitale) poiché il salario, anche nella misura in cui il prodotto, l'oggetto del lavoro, retribuisce il lavoro stesso, non è che una conseguenza necessaria della estraniazione del lavoro, e infatti anche nel salario anche il lavoro non appare come fine a sé stesso (lo apparirà quando non sarà pagato, in quanto il prestarlo alla società sarà un bisogno e in quanto soddisfazione di bisogno una vera gioia) ma è al servizio della retribuzione (il lavoro è una venale imposizione). Vedremo ciò minutamente più tardi (nel Capitale la parte del valore di scambio della merce prodotta, ossia della grandezza capitale, che si chiama capitale variabile, vale il salario dato ai lavoratori, etc.), ora tiriamo ancora soltanto alcune poche conseguenze".
Sempre contro l'immediatismo
Per noi marxisti nati dopo morto Marx, e nascituri, a parte la minuta analisi delle secolari infamie della forma borghese, quelle "poche conseguenze" erano tirate per i secoli dei secoli. I revisionisti in ondate pestifere le hanno rinnegate.
- "Un violento aumento del salario (prescindendo da tutte le altre difficoltà, prescindendo dal fatto che essendo una anomalia si potrebbe mantenere soltanto con la violenza) non sarebbe altro che una migliore remunerazione degli schiavi (sottolineato in Marx) e non eleverebbe né all'operaio né al lavoro la loro funzione umana e la loro dignità".
- "Appunto la uguaglianza dei salari, quale è richiesta da Proudhon, non fa che trasformare il rapporto dell'operaio di oggi col suo lavoro, in un rapporto di tutti gli uomini col lavoro. (Adesso maiuscoleremo noi) La società viene quindi concepita come un astratto capitalista".
- "Il salario è una conseguenza immediata del lavoro estraniato, e il lavoro estraniato è la causa immediata della proprietà privata. Con l'uno deve quindi cadere anche l'altra".
Diamo a questo punto una nostra formulazione di questa ultima tesi, che non arreca altro di nuovo che una traduzione di tipo linguistico (ad altro il nostro lavoro di commento ai testi non pretende). Nelle forme sociali in cui si trova salario, ivi si trova estraniazione del lavoro. Queste forme sociali vanno classificate come forme ad economia di proprietà privata. Una società quindi come la Russia in cui predomina lavoro salariato (insieme ad altre forme agrarie anche inferiori alla forma mobiliare capitalista pura) per questo stesso ha una struttura non comunista né socialista (di nessuno stadio) ma è una società di proprietà privata, e per la parte industriale (e i sovcos agrari) espressamente capitalistica.
La domanda: dove sono i capitalisti? non ha senso. La risposta è scritta dal 1844: la società è un capitalista astratto. Potremmo dire anche che si tratta di un capitalismo di stato, ma lo Stato è qualche cosa al di sotto di un capitalista astratto, perché lascia fuori di sé strati sociali di capitale; quello dei colcos ed anche quello dei colcosiani, nonché di piccoli manifatturieri e commercianti. Con le ultime riforme di struttura - trattate nelle prime parti del presente rapporto - altri brandelli del capitalismo "astratto" si vanno "smistando" tra regioni, province ed aziende. La marcia è verso il privatismo e non dal privatismo in sopra.
Eterno errore di Proudhon
Ci fermeremo ancora brevemente sull'errore - più longevo del nostro secolare puro marxismo - di Proudhon. Accettata, come dialetticamente facemmo anche noi, la dottrina della economia classica: tutto il valore è lavoro, egli elaborò un programma rivoluzionario soltanto quantitativo (quindi non rivoluzionario). Occupare il campo del profitto o plusvalore e ripartirlo nel campo salari. Immaginato erroneamente che per tal modo il salario medio divenisse altissimo, propose che questo enorme "reddito annuo" fosse socialmente spartito in uguali parti tra i membri della società, divenuti tutti operai salariati.
La dimostrazione quantitativa che con tale pretesa rivoluzione i salari crescerebbero di tanto poco, che non si avrebbe nemmeno "violento aumento" è forse più intelligibile; ma alla base della nostra dottrina di partito sta la molto più valida obiezione qualitativa: restate sempre nel misero ambito della proprietà privata. Rifiutiamo la falsa eguaglianza non perché nel nostro programma debba essere disuguaglianza, ma perché i vostri uomini economicamente uguali, con misura di valore monetario, sono uguali all'uomo schiavo di oggi, al proletario, e non sono ancora l'uomo umano, della società senza classi - e senza anche forme impersonali, termine che vale l'astratto del testo di Marx, di proprietà fondiaria e di capitale industriale.
Immediatisti nuovissimi ripetono la ingenuità di Proudhon, ma dopo che da più di un secolo fu svelata, in questo testo come nelle polemiche con Bakunin, nell'Antidühring, nella lotta con Lassalle, nella critica a Gotha (più tardi nella lotta contro i sindacalisti e riformisti e l'onda del revisionismo stalinista-kruscioviano). Togliete le persone fisiche degli sfruttatori e finirà lo sfruttamento. Ieri erano un pugno di nababbi della terra e dell'industria, oggi sono uno strato sociale di gente altopagata, funzionari, tecnici, specialisti, etc. Mettiamo tutte le mesate insieme e dividiamo in parti uguali.
Centocinquant'anni dopo, questa bambinata è ancora più debole. Allora ci imputarono (quelli che ci confondevano coi socialisti volgari) di generalizzare la miseria, oggi da Russia e da Stati Uniti, con ideologie che si stanno coniugando, provano che il livellamento è già in atto, e i suoi postulati sono svuotati. Ma è ben altro e ben più tremendo quello che noi postulammo, e postuliamo negli stessi termini, a cavallo del trascorso secolo e spregiando la sua civiltà insensata e folle.
Ci resta solo da rispondere che è egualmente straniato da vero uomo il membro della società contemporanea, anche se colcosizzato di case bestie attrezzi e libretto di banca. La sua estraniazione sta nelle guerre cicliche sterminatrici, nelle crisi di svalutazione della moneta, nella ultima trovata dei debiti su acquisti e consegne a vuoto, nella disoccupazione che incombe per le degenerazioni dell'automatismo tecnico, masturbazione della scienza.
La alienazione disumanante sta oggi ancora in un altro sinistro fantasma, mezzano di quello della terza guerra: la pace tra gli Stati-lupi, veri mostri che nei due massimi vertici, allo stesso titolo, possiamo definire schiavizzatori, estraniatori astratti. Il loro accordo non può non essere che nella condanna della massa degli uomini a restare disumanati.
Aut denaro, aut socialismo
Non è il salario il solo fenomeno economico positivo che ci consente di dichiarare di essere ancora al di qua della caduta della forma capitalistica. Questo stesso concetto lo potremmo esprimere col dire che non vi è ancora socialismo quando al lavoro è dato un valore; e tanto avviene quando ad ogni altra merce è dato un valore di scambio. Sono eguali sterili tentativi di vuoto immediatismo invocare che non abbiano valore le merci, ma ne abbia il lavoro. Sarebbe puro proudhonismo più o meno anarcheggiante. Le sferzate di Marx a Proudhon consistono nella prova che egli, esasperando la tesi del lavoro solo valore, in realtà esalta e contrappone il capitale moderno alla proprietà terriera, e distrugge questa a vantaggio del capitale quando crede di farlo a vantaggio del lavoro (vedi sopra: "Proudhon ha concluso a favore del lavoro contro la proprietà privata" - e più avanti: "tutto ciò che Proudhon intende come movimento del lavoro contro il capitale... non è che il cammino della vittoria del capitale industriale"). Idem per gli alti indici produttivi russi!
Che dunque molti altri siano i fenomeni (presenti ad esempio nella struttura sociale russa) che ci autorizzano a negare la forma socialista, oltre quella del salario in moneta, può riferirsi al seguente altro passo, di poco successivo a quello sulla eguaglianza dei salari.
"Avendo trovato mediante l'analisi il concetto della proprietà privata basandoci sul concetto del lavoro estraniato, alienato, ora possiamo col sussidio di questi due fattori sviluppare tutte le categorie della economia politica, e ritroveremo in ogni categoria, come ad esempio lo scambio, la concorrenza, il capitale, il danaro, solo una espressione determinata e sviluppata di questi primi concetti fondamentali".
L'indubbio e non astruso senso di questo passo è che dove trovo scambio, concorrenza, capitale, danaro, etc., ivi ho il diritto di dire: forma economica borghese, non socialista.
Ben altre categorie si possono elencare, anche sulla base di questo sintetico e perfino monco testo: il risparmio, la divisione del lavoro - ma per il momento ci basta fermarci sul più clamoroso: il danaro.
Un suggestivo brano del manoscritto è dedicato a questa categoria infernale.
Marx impiega due passi memorabili delle più grandi letterature, il primo è di Goëthe nel Faust, il secondo di Shakespeare nel Timone di Atene. Poi li commenta entrambi. Cominceremo dal passo in cui Mefistofele vuol convincere il vecchio dottor Faust che il potere (in effetti diabolico) sul danaro vale il dono della riconquistata giovinezza.
"Eh, diavolo! Certamente mani e piedi, testa e sedere, son tuoi! Ma tutto quello che mi posso godere allegramente, non è forse meno mio? Se posso pagarmi sei stalloni, le loro forze non sono le mie? Io ci corro su; e sono perfettamente a mio agio come se avessi ventiquattro gambe".
La metafora è chiara, in quanto è, anche perduta, la virilità che è promessa come ottenibile da chi disponga di un potere magico che gli apra un conto illimitato sulla banca nazionale; e non importa se Voronoff, al tempo di Volfango, Fausto e Mefisto, non era ancora nato.
Ma lasciamo il commento al grande Marx; e non occorre vi diciamo di correre col pensiero alla economia "socialista" calcolata in rubli da cima a fondo.
"Ciò che mediante il danaro è a mia disposizione, ciò che io posso pagare, ciò che il danaro può comprare, quello sono io stesso, io, il possessore del danaro medesimo. Quanto grande è il potere del danaro, tanto grande è il mio potere. Le caratteristiche del danaro sono le mie stesse caratteristiche e le mie forze essenziali, quelle di me stesso, che ne sono il possessore. Ciò che io sono e posso, non è quindi affatto determinato dalla mia individualità. Io sono brutto, ma posso comprarmi la più bella di tutte le donne. E quindi io non sono brutto, perché l'effetto della mia bruttezza, la sua forza repulsiva, è annullata dal danaro. Io, considerato come individuo, sono storpio, ma il danaro mi procura ventiquattro gambe; quindi non sono storpio. Io sono un uomo malvagio, disonesto, senza scrupoli, sono stupido; ma il danaro è onorato, e quindi anche il suo possessore. Il danaro è il bene supremo, e quindi anche il possederne è bene; il danaro inoltre mi toglie la pena di essere disonesto, e quindi si presume che io sia onesto. Io sono stupido, ma il danaro è la vera intelligenza di tutte le cose; ed allora come potrebbe essere stupido chi lo possiede? Inoltre costui potrà sempre comperarsi le persone intelligenti, e chi ha potere sulle persone intelligenti non ha più intelligenza di ogni uomo intelligente?".
"...non può il danaro forse sciogliere e stringere ogni vincolo? E quindi è esso anche l'universale dissolvitore?...".
Marx si ricollega nel suo interpretare all'altro non meno splendido passo che ha preso da Shakespeare.
Invettiva al più infame Iddio
"Oro! Oro prezioso scintillante e giallo! No, o dei, non vi bestemmio se invoco l'oro. Esso è tanto potente da fare bianco il nero, bello il brutto, giusto l'ingiusto, nobile il volgare, giovane il vecchio, coraggioso ogni codardo... Egli distoglie il sacerdote dall'altare, strappa il guanciale di sotto il capo a chi riposa. Questo giallo schiavo unisce ed infrange le fedi sacre, benedice i maledetti, rende amabile la lebbra stessa, onora i ladri e dà loro croci d'onore, ossequio ed influenza nel consiglio dei seniori. È desso che ridona lo sposo all'afflitta vedova, profuma di maggio e di gioventù rinnovata la vecchia dalle purulente piaghe che sentiva di ospedale. O metallo maledetto, prostituta oscena degli uomini, tu acciechi nell'odio i popoli!".
E più oltre l'invettiva si cambia in sarcasmo feroce.
"O tu, dolce regicida, nobile agente di dissenso tra padre e figlio! Tu, splendido insozzatore di ogni più puro talamo! Tu, Marte valoroso, tu, seduttore eternamente fiorente di giovinezza e teneramente amato, la cui rossa fiamma fonde la stessa bianca neve consacrata nel vergine grembo di Diana! Dio visibile, che leghi strettamente le cose impossibili a conciliare, e le costringi a baciarsi contro natura; o tu, pietra di paragone di tutti i cuori, indovina che l'uomo, il tuo schiavo, può ribellarsi, e con il tuo potere getta gli uomini in una tale discordia sconvolgente, che resti alle bestie il dominio del mondo!".
Le parole in maiuscolo sono da Marx sottolineate. Egli continua nel commento al più grande poeta inglese dopo quello al più grande poeta tedesco.
"Shakespeare pone soprattutto in rilievo due caratteri del danaro. 1) è la divinità visibile che trasforma tutti i caratteri umani e naturali nel loro opposto, l'universale confusione e rovesciamento delle cose. Esso fa fraternizzare le cose inaccostabili. 2) è la meretrice universale, l'universale ruffiano degli uomini e dei popoli".
Il testo prosegue in una esplicita interpretazione delle scottanti antinomie dello squarcio scespiriano che per quanto mirabile non riporteremo tutta.
Per la conclusione programmatica che qui interessa, circa la inammissibilità della moneta come "vero cemento, vera forza chimica di affinità della società" in ogni economia che non vada condannata e disonorata come privatista, riportiamo pochi passi decisivi.
"Il danaro è il potere alienato dell'umanità". Le società dunque in cui il danaro circola sono società in cui domina l'alienazione del lavoro e dell'uomo, società di proprietà privata, restano nella preistoria barbara della umana specie e nel sottosuolo storico del socialismo e del comunismo.
Non è solo il danaro ma è lo scambio, il libero scambio, che caratterizza le forme umane presocialiste e non socialiste. "Siccome il danaro si può scambiare non con una determinata qualità né con un oggetto determinato, né con una determinata delle forze essenziali dell'uomo, ma contro il complesso (leggiamo: contro una qualunque parte) del mondo oggettivo naturale ed umano; esso dunque scambia, considerato dal punto di vista del suo possessore, ogni proprietà contro qualunque proprietà, e contro tutti gli oggetti, per questo è la conciliazione degli impossibili..." e qui Marx richiama la frase di Shakespeare sul costringere i contrari a baciarsi.
La traduzione staliniana ha sconvolto questo passo, da cui emerge la insanabile contraddizione tra socialismo-comunismo, e scambio monetario, anche del danaro che l'operaio abbia guadagnato col lavoro.
Le parole riportate sono state così scritte nella edizione Berlino-Einaudi: "il danaro... scambia le caratteristiche e gli oggetti gli uni con gli altri, anche se si contraddicono a vicenda". Un tentativo di falso sciocco, ma falso sempre. Ogni qual volta vi ha scambio contro danaro, sorge di per ciò stesso quella contraddizione che è alienazione dell'uomo, che è privatismo proprietario, che è assenza storica della rivoluzione socialista.
Proprietà e individualità
Tutta la nostra tesi ha la forma di una spietata opposizione tra individualismo e socialismo, seguendo il trapasso che è in tutto lo sviluppo di Marx, tanto economico che storico che "filosofico", dall'uomo individuale all'uomo sociale, che solo merita la qualità di umano!
Il lettore che scorra il testo dei Manoscritti che andiamo seguendo rileverà certamente che, nella forma letterale, non si trova forse una espressa condanna della individualità personale ma in certo modo una sua difesa contro lo stritolamento che la forma capitale - mercato - moneta fa del vivente uomo. Lo svolgimento deve però essere colto, se vogliamo riconoscere la nostra classica tesi programmatica - allora ed oggi identica - quando, nella vera e propria nostra guerra dialettica contro gli apologisti borghesi (economisti, politici o filosofi; inglesi, francesi o tedeschi) conduciamo questo uomo, pestato come individuo dalla infamia di classe, alla riconquista. Egli non ritroverà e rioccuperà sé stesso, solingo ed egoista, ma la sua "rientrata dalla estraniazione", la riverserà nell'uomo sociale in cui l'uno e gli uni non si distinguono più dalla società senza classi, dalla umanità comunista.
Non noi avremo ucciso la persona umana, ma la bestialità della forma privatista e borghese. Né noi, rivoluzione comunista, le ridaremo vita come era, ma l'avremo trasposta nella persona sociale, la prima veramente umana. Sarà così chiusa e sepolta la storia degli individui e la sua spiegazione individuale. Perché quella storia come finora si è svolta non ha elevato l'individuo umano se non nella serie delle menzogne, ma ha proceduto camminando senza esitare sulle montagne di individuali carcasse.
In tale spirito va letto questo passo, ultimo della maledizione al danaro, prima di quello che fa da coronamento al capitolo, che sarebbe comodo attribuire ad un lirismo di Marx, ma che riserviamo come conclusione trionfale.
"Già in base a questa determinazione (del danaro come mezzo esteriore per ridurre le rappresentazioni immaginarie a realtà, quando fini illeciti e bisogni impossibili contro natura diventano veri per il possessore di danaro, e la realtà ad illusione, quando il bisogno di sfamarsi per vivere dell'uomo non è soddisfatto mancando il veicolo danaro) il danaro è dunque l'universale rovesciamento della individualità, rovesciamento che le capovolge nel loro contrario e alle loro caratteristiche sostituisce caratteristiche contraddicenti".
Poiché è Marx che sottolinea la parola individualità, si potrebbe incautamente vedervi una rivendicazione della individualità, come contenuto di quel raddrizzamento, che altro non è che il programma della rivoluzione comunista.
Ma il demonio danaro con quella sua infernale potenza di dare a chi non fu promesso, e togliere a chi fu promesso, rovescia la caratteristica dell'uomo in quanto gli dà quella della bestia. Non uomo ma bestia chi è sottoposto a prostituire il suo lavoro contro salario (gli operai delle fabbriche di Francia chiamano la prostituzione delle loro mogli la decima ora di lavoro, e ciò è vero alla lettera - (e altrove) - la prostituzione non è che un aspetto particolare della generale prostituzione dell'operaio, ed essendo tanta l'infamia di chi si prostituisce come di chi prostituisce, anche il capitalista entra in questa categoria); non uomo ma bestia chi noleggia l'altrui lavoro per danaro. Se noi invertissimo il rovesciamento ridando all'uomo imbestiato la stessa singolarità che gli dava la società borghese e le sue varie ideologie, lo faremmo rientrare nella bestia. Ma il comunismo lo eleverà ad uomo facendolo entrare in una nuova essenza umana, attinta sopprimendo ogni cessione ed acquisto per danaro.
In questo senso Marx e i comunisti vincono l'individualismo e sopprimono l'alienazione dell'uomo da sé stesso.
Il comunismo grossolano
Su di un altro brano importante dei Manoscritti del 1844 tentano gli staliniani di mettere l'accento: quello che svolge la critica del primo comunismo coevo della grande rivoluzione francese.
Ma questa critica ha solo il senso di negare a quello stadio la potenza di giungere davvero a vincere la disumanizzazione borghese.
Questo stadio segue l'esame dei precedenti, e tutti hanno già in questa base cardinale della nostra dottrina storica la loro spiegazione e la verifica della loro funzione utile.
La opposizione tra proprietà privata e non proprietà (parte dal terzo manoscritto dal titolo Proprietà privata e comunismo) è già implicita nelle società antiche, ma nella stessa forma schiavistica non è manifesta la alienazione dello schiavo, oggetto di proprietà (ricerca da fare sui noti testi per la serie tipica delle forme di produzione). La esigenza di sopprimere la estraniazione del salariato non proprietario appare dopo che la economia classica ha ammesso che tutta la proprietà è lavoro. I primi tentativi di risolvere l'antitesi tra proprietari e non proprietari sono storicamente embrionali. I socialisti francesi con Proudhon rivendicano che tutta la proprietà terriera sia ridotta a capitale (nulla più in questo degli economisti ricardiani) e passano a livellare tutto questo capitale, che è lavoro oggettivato, con un salario (come già trattato) uguale per tutti i membri di questa società capitalista. L'utopista Fourier vede la infamia del lavoro industriale e si unisce a fisiocratici nel voler considerare il lavoro agricolo come lavoro per eccellenza. Invece l'altro grande utopista Saint Simon (altamente ammirato da Marx e da Engels) esalta all'opposto come strada della emancipazione degli operai il lavoro industriale.
Quando il comunismo sorge lo fa come "espressione positiva della proprietà privata soppressa, e quindi nella sua prima forma è la proprietà privata generale".
Prima di seguire lo svolgimento dell'importante passo è bene localizzare un poco storicamente ed economicamente i concetti.
L'apparire della produzione per imprese a gran numero di lavoratori tanto nell'industria che nella manifattura, presenta un primo lato che è positivo, ossia la maggiore efficienza del lavoro umano rispetto a quello parcellare artigiano o contadino. Questo spiega che alcuni sistemi vogliono spingere ai suoi estremi questo vantaggio e il loro mito è l'apologia dell'industria. Ma questa grandeggia, riducendo innumeri contadini ed artigiani già proprietari sia pure in piccole quote di terra e strumenti produttivi (capitale) a miseri proletari. Questo processo espropriativo che sarà svolto nella dottrina della accumulazione iniziale nel Capitale, Libro Primo, basta ad infamare le aurore della civiltà borghese e meccanica, ed intanto rende evidente la alienazione da una forma più umana dell'artigiano e contadino, colle difese delle forme medioevali più volte trattate.
Qui la estraniazione è pratica perdita di un piccolo retaggio di una dignità di produttore autonomo e autosufficiente. È chiaro che la inversione della alienazione si presenti come la riconquista delle perdute parcelle e la assegnazione ad ogni membro della società di una libera parcella.
Questo errore di prospettiva, frutto dei tempi, giustifica il comunismo grossolano. Ma è inutile la insinuazione degli ex comunisti russi che vorrebbero seppellire in questo comunismo ingenuo e arretrato le odierne critiche al loro spurio sistema odierno. Tutti i difetti che il marxismo scientifico imputa a questo primo rozzo comunismo sono gli stessi che, ravvisandosi nella società russa di oggi, autorizzano noi suoi critici a demolire la leggenda che essa sia una prima apparizione storica del socialismo e a negare ai suoi bassi apologeti il diritto di dirsi rivendicatori del programma classico del marxismo rivoluzionario.