Gli operai berlinesi sono insorti contro la galera del lavoro salariato
I sanguinosi fatti di Berlino Est, che la propaganda orchestrata dai politicanti americani ha preteso di elevare al rango di rivolta contro il comunismo e la stampa stalinista di ridurre al livello di una banale provocazione ordita da teppisti all'uopo pagati, costituiscono senza dubbio un tragico episodio. Tragico per quali motivi, e per chi? Lasciamo da parte i facili effetti emotivizzanti, le speculazioni, tanto più freddamente calcolate quanto più celate nelle astute lamentazioni sui dimostranti schiacciati sul lastrico dai carri armati russi lanciati nelle strade e nelle piazze tumultuanti, sugli arresti in massa, lo stato d'assedio, le esecuzioni sommarie.
Tragici sono stati i fatti di Berlino Est per il proletariato internazionale, perché - mentre gli operai berlinesi insorgevano contro la galera del lavoro salariato - ancora una volta l'imperialismo è riuscito a sfruttare per i suoi fini di guerra una manifestazione della collera proletaria contro lo sfruttamento capitalistico e un tentativo di scuoterne il pesante giogo. Una decina di morti sono meno di una goccia di sangue perduto dal gigante proletario, cui ben più tremende emorragie sono valse solo ad accrescerne la forza vitale. E sia detto a scorno di coloro che quotidianamente svolgono la nefanda opera diretta ad apprendere alle masse l'arte di belare pietosamente sulle proprie sofferenze, mentre l'esigenza vitale di uscire dall'inferno dell'imperialismo spezzandone le basi sociali impone al proletariato di esprimere dal proprio seno combattenti intrepidi, disposti al supremo sacrificio della vita. Non, dunque, lutto per le uccisioni e i cadaveri. Nella lotta di classe, che è inevitabile scontro di opposte potenze sociali, anche una sanguinosa disfatta può essere salutata, benché dispensatrice di crudeli tragedie individuali, come un dato positivo, come la premessa di vittorie future. Ciò avviene allorché la sconfitta mette in luce le manchevolezze esistenti nello schieramento proletario e, quel che conta, mostra le posizioni dalle quali il nemico ha combattuto e che occorrerà espugnare per arrivare alla sua distruzione.
Le manifestazioni di Berlino Est sono costate la vita di un numero imprecisato di operai, ma, quel che è di gran lunga più tragico, non sono servite ad aprire uno spiraglio nella cortina di infatuazioni partigiane che avvolge le menti proletarie. In verità, hanno mostrato di quale fulminea reattività e potere di influenzamento dispongano le opposte, ma solidali sul terreno antirivoluzionario, centrali imperialistiche. Hanno dato la misura della strapotenza delle forze della conservazione, che dovevano scattare in piedi ad imbrigliare un'esplosione sociale scaturita dal crudo contrasto tra le forze di produzione e i tirannici rapporti capitalistici, stroncare sul nascere i germi della rivolta di classe, e sfruttare l'esasperazione delle masse ai fini della polemica bellicista che dalla fine della guerra oppone Mosca a Washington. Con adattamento repentino alle urgenti esigenze dell'ora, le esitanze e le irrisolutezze dello schieramento atlantico cessavano d'incanto, sicché tutti i governi di Occidente, senza bisogno di consultarsi, si sono ritrovati insieme nella comune azione tendente a deviare sul terreno nazionalista del pangermanesimo la ribellione delle masse operaie contro precise imposizioni di carattere inequivocabilmente capitalista e sfruttatore, deliberate dal governo stalinista di Grotewohl.
È vero che le centrali propagandistiche del blocco atlantico non hanno esitato ad incitare alla rivolta. Ciò aiuta a comprendere come il ricorso alla violenza e alla guerra civile sia perfettamente compatibile con la conservazione capitalista, quando beninteso il controllo delle forze operaie sia assicurato a formazioni politiche apertamente o copertamente legate all'imperialismo. L'audacia sfrontata dei governi atlantici, specialmente di Bonn e di Washington, doveva spingersi al punto di denunziare al pubblico orrore il regime di sfruttamento di gente nei paesi del blocco russo. Ma proprio qualche giorno prima dei torbidi, il governo Grotewohl non aveva adottato talune misure di politica economica che provavano, per chi ne aveva bisogno, che il modo di produzione e il regime sociale del preteso mondo del "socialismo trionfante" sono fratelli gemelli del capitalismo che, ad onta della marcia democrazia e della ruffiana libertà, asservisce corpi e menti al di qua della cortina di ferro?
Da parte loro, gli oppressori sotto etichetta socialista e comunista non esitavano un attimo a mettersi sotto i piedi tutto il ciarpame propagandistico sul pacifismo e la tolleranza sociale, e passavano il comando della contro-azione ai generali super decorati, alle divisioni corazzate, ai plotoni di esecuzione. Mentre il governo Malenkov tende la mano agli imperialisti di Washington, implorando l'accordo internazionale e la discussione pacifica attorno al tavolo verde dei convegni dei Grandi, i generali ai suoi ordini hanno mostrato, facendo sparare sui dimostranti di Berlino Est, che un accordo che sia impossibile raggiungere è solo quello tra gli interessi delle masse lavoratrici e la conservazione delle classi dominanti borghesi. L'imperialismo può fabbricare 1000 Pan Mun Jom, ma non può concedere nemmeno una tregua agli sfruttati. Non v'è dubbio che gli operai di Berlino Est tentavano di insorgere contro il principio stesso dello sfruttamento del lavoro salariato. In quelle condizioni, i generali russi non potevano fare altro che ordinare la carica ai carri armati. A Mosca, come a Washington, chi attenta alla conservazione del regime del salariato merita la morte.
La propaganda russa e filorussa non ha avuto la vita facile mentre gli incendi divampavano a Berlino, i carri armati spazzavano la folla, i plotoni di esecuzione lavoravano. Ciò perché non ha potuto negare che l'esplosione era dovuta al malcontento delle masse. Già, alcuni giorni prima, il Governo Grotewhol aveva adottate alcune misure che facevano giustizia della retorica antiborghese dello stalinismo tedesco. Un gran numero di industriali e di commercianti le cui aziende erano state confiscate per inadempienza fiscale venivano reintegrati nei loro diritti di proprietà, erano liberati dall'obbligo di pagare gli arretrati delle tasse, ed ammessi ad usufruire di favorevoli prestiti di Stato. Alle aziende commerciali private veniva riconosciuto il diritto di compravendita di merci distribuite al consumatore attraverso la rete degli spacci statali. Era sanzionata pure l'abrogazione delle confische a favore delle cooperative agricole, e la restituzione delle terre o l'equivalente in denaro ai contadini ricchi e medi scappati nella Germania Ovest. Seguivano altri provvedimenti, tra cui la riconsegna delle proprietà del clero. Tali notizie si leggevano sull'Unità del 12 e 13 giugno mentre durava l'ubriacatura elettorale.
Alcune settimane prima il Governo "socialista" decretava l'aumento del 10% delle "norme" di lavoro degli operai, tenendo invariato il salario. Migliore dimostrazione del carattere antioperaio della politica del governo di Grotewhol non poteva aversi. Mentre agli operai si imponeva di lavorare e produrre di più, si carezzava la piccola borghesia, ripromettendosi di segnare un punto a favore nella partita di adescamento e corteggiamento dei ceti borghesi che lo stalinismo gioca sfacciatamente su scala mondiale. Non occorre quindi tirare fuori tenebrose quanto ridicole storie di intrighi di agenti provocatori per afferrare il movente dei torbidi. A qualche giorno dalle misure di governo volte a favorire la piccola proprietà, gli operai edili sfilarono per le vie di Berlino Est protestando contro l'inasprimento delle condizioni di lavoro. Spaventato dalla piega che prendevano gli avvenimenti il Governo ritirò precipitosamente il provvedimento che elevava la norma, ma lo sostituiva con un altro che, sul modello russo, stabiliva fortissimi premi per chi superasse la norma. Per chi lavora nelle fabbriche è chiaro che il cambiamento non cambiava nulla, perché lo sforzo maggiore dell'operaio che "volontariamente" aspira ad ottenere il premio di rendimento costringe inevitabilmente i compagni ad intensificare il lavoro. Il prestigio del Governo, già scosso agli occhi delle masse per le concessioni fatte alla piccola borghesia industriale e commerciale, doveva ricevere un altro duro colpo, apparendo come un segno di debolezza la revoca per aperta imposizione dei dimostranti di una legge aborrita dai lavoratori. Ciò accadeva il 16. Il giorno successivo scoppiavano le dimostrazioni. Alle autorità locali, impotenti a sostenere l'urto della folla inferocita perché esautorate dalla crisi in atto nel Partito di Unità Socialista (S.E.D.) si sostituivano le gerarchie militari sovietiche che proclamavano lo stato di emergenza e passavano alla repressione armata della dimostrazione. Potsdammer Platz, la Leipziger Strasse, la Unter den Linde erano sfollate con raffiche di mitraglia. Scorreva il sangue.
La Neues Deutschland in un editoriale pubblicato il 19, a due giorni dall'eccidio, e riprodotto ampiamente dall'Unità del 20, dopo di aver fatto la cronaca degli avvenimenti, interpretandoli naturalmente alla luce della "teoria del sobillatore", congenita negli sbirri e nei giornalisti reazionari, si domandava, avendo ammesso che la dimostrazione aveva fatto cessare il lavoro in una serie di aziende: "Come è potuto accadere che una parte notevole degli operai berlinesi, dei lavoratori berlinesi, senza dubbio uomini onesti e in buona fede, fossero così pieni di malcontento da non vedere che in quel momento essi facevano il gioco delle forze fasciste?". La falsa ingenuità degli impostori! Al governo di Grotewhol, alla Neues Deutschland, all' Unità sembra ingiustificato il malcontento delle masse lavoratrici che si vedono condannate ad una maggior pena nelle galere delle fabbriche, mentre il Governo che si autodefinisce "socialista e democratico" appoggia le aziende private e il commercio privato, restituisce le terre ai contadini ricchi, reintegra il clero nelle sue proprietà! Non c'è dubbio, e l'abbiamo messo in risalto fin da principio, che le Potenze occidentali abbiano cercato di utilizzare la dimostrazione degli operai berlinesi per i propri fini imperialistici. Ma ciò non cancella il fatto, che pure la stampa staliniana ha dovuto ammettere a denti stretti, che grandi masse di lavoratori berlinesi sono scese in piazza contro i carri armati russi, di null'altro armate tranne che della loro delusione e di una fiammeggiante collera contro coloro che, bestemmiando il nome del socialismo, le tengono legate al giogo dello sfruttamento.
Gli operai berlinesi si ribellavano contro la tirannia della produzione capitalista fondata sul salariato, sulla soggezione del vivente lavoro al Capitale. Sebbene non guidati da una chiara coscienza di classe, e spinti solo dalla disperazione, davano prova di grande coraggio. Anche se la loro impresa non è valsa ad allentare la morsa delle infatuazioni partigiane che divide il proletariato mondiale nei due campi opposti del filorussismo e del filoamericanismo, ha dimostrato tuttavia che le energie di classe del proletariato sono sopite, non distrutte. Scagliando i carri armati contro i dimostranti, lo stalinismo ha mostrato di avere paura anche se alla fine è pervenuto a schiacciare ferocemente l'agitazione. La stampa occidentale ha gridato concorde: gli operai berlinesi combattono contro il comunismo! No, signori, gli operai berlinesi, per quanto in modo confuso, sono insorti contro il governo filorusso di Berlino Est perché era e rimane - come il governo filoamericano di Bonn - capitalista.
Da "Il Programma Comunista" n.12 del 1953