In Asia la terza Sarajevo?
Le dichiarazioni programmatiche (messaggio sullo Stato dell'unione) rese da Eisenhower, il 2 febbraio, al Congresso americano, non hanno arrecato nulla di nuovo a quanto il segreto meccanismo delle profonde forze storiche autorizzava a prevedere circa la futura evoluzione dell'imperialismo e dei rapporti di forza intercorrenti tra i maggiori concentramenti di potere economico e militare del mondo. Confermavano quanto già era dato di anticipare circa lo sviluppo della strategia mondiale del massimo centro imperialistico — gli Stati Uniti. Tuttavia rivestivano notevole importanza in quanto segnavano il punto critico del passaggio dalla presa di coscienza delle ineluttabili necessità della politica americana; alla loro brutale trascrizione in termini reali di programma di governo, davanti a cui la ipocrita bigotteria dell'amministrazione Truman aveva esitato. Ciò non significa però che il ferreo determinismo delle cose non avrebbe frantumato gli ultimi ostacoli demagogici posti da Truman, se fosse rimasto al potere.
Due sensazionali iniziative del governo da lui diretto, Eisenhower annunciava nel corso della sua dichiarazione. Primo la denuncia retroattiva dei patti di Yalta e Potsdam, firmati nel 1945 dai rappresentanti di Russia, Stati Uniti ed Inghilterra. Secondo: lo sblocco di Formosa.
Il rifiuto di accettare le conseguenze storiche dell'applicazione dei patti di Yalta e Potsdam confermava l'irresistibile tendenza dell'imperialismo americano a spogliare il suo ex alleato russo delle concessioni dovute fare, alla fine delle ostilità, in vista di assicurare alla delicata fase del trapasso del dopoguerra uno stabile equilibrio internazionale — premessa indispensabile di quello sociale tra le classi. Tale linea programmatica, che nel futuro dovrà sortire risultato oggi imprevedibile, non poteva non arridere all'Inghilterra, tradizionale sfruttatrice dei mercati danubiano-balcanici, che dallo sgretolamento del blocco russo (sanzionato appunto a Yalta e Potsdam con la stipulazione di accordi circa l'occupazione della Germania Est e dell'annessione della Prussia Orientale da parte della Russia, l'avanzamento dei confini della Polonia sulla linea Oder-Neisse, la partecipazione della Russia alla stesura dei trattati di pace con Romania, Bulgaria, Ungheria, il passaggio sotto la sovranità russa di Sakalin e delle Isole Kurili), spera di poter riottenere, in gara con gli Stati Uniti, le vecchie posizioni di monopolio. Ma una reazione completamente opposta, una vibrata protesta del Governo e fiere rampogne di tutta la stampa inglese, Londra doveva opporre alla decisione del Governo americano di revocare l'ordine di bloccare le coste di Formosa, dato nel giugno 1950 alla VII Flotta americana. Coincidendo a puntino con le reazioni di collera e di preoccupazione dei pubblici poteri di Cina e della stampa stalinista mondiale, le accese recriminazioni del Governo di Londra stavano appunto a dimostrare che la nuova manovra diplomatico-militare di Washington nei riguardi di Ciang-Kai-scek, appostato a Formosa contro Mao-Tse-Tung, persegue un obiettivo non solamente antirusso, ma pure anti-inglese. Alleata e cobelligerante dell'America nella campagna di Corea, la Gran Bretagna dissente dalla politica americana verso la Cina. Perché? Perché sull'immenso continente cinese si scontrano formidabilmente gli insopprimibili impulsi espansionisti di tre imperialismi. In Cina, non in Corea.
Ciò, fin dal dicembre 1950, nel "Filo del tempo" La daga e Venerdì - L'atomica e Mao fu detto e ribadito nel "Filo" Preparate il Canguro del maggio 1951. In essi era esposto il concetto che, nella competizione con gli Stati Uniti, la Cina non è, nelle mani della Russia, un elemento decisivo, data la sua arretratezza nel campo della siderurgia (praticamente inesistente), dell'industria meccanica (riassumibile in qualche fabbrica) e soprattutto in quello dei mezzi di comunicazione. Anzi, fu spiegato, poco o nulla può l'apparato produttivo russo, appena sufficiente ai bisogni interni, per potenziare le immense risorse del territorio cinese, che invece solo nell'enorme potenziale economico industriale degli Stati Uniti possono trovare il complementare sussidio. Ne risulta necessariamente un'irresistibile attrazione tra Stati Uniti e Cina che, quanto più viene contrastata sul piano politico ideologico dal regime di Mao Tse-tung, alleato militarmente a Mosca, tanto più crudamente si delinea sul piano economico-produttivo. Fino a quando la politica resisterà alle incoercibili spinte dell'economia? Fino a quando il regime di Mao-Tse-tung riuscirà a durare nel precario gioco di opporre alle pressioni esercitate dalle forze economiche, quelle esclusivamente politiche, e molto limitatamente militari, provenienti dal Governo di Mosca, secondate forse per un calcolo mercantile di ottenere dal nemico-amico americano le migliori condizioni di compra-vendita? Rifacendosi al conflitto insorto allora tra Truman e Mac Arthur e risoltosi con il siluramento del generale dalla carica di comandante delle truppe dell'O.N.U. in Corea, il "Filo" Preparate il Canguro! scriveva:
"In sostanza Mac Arthur svela senza troppe storie che ha una comune politica con Truman e tutto l'imperialismo statunitense: conquistare la Cina. Occorre tenere il Giappone e Formosa saldamente. La Cina non darà, sorretta dalla Russia, il problema e il metodo per domarla e controllarla: militare o economico?".
Lo sblocco di Formosa sta a confermare la tesi dei "Fili": l'obiettivo dell'imperialismo americano non è la industrializzata Corea, ma la semi-vergine Cina. Rimane però ancora dubbio quale metodo di conquista sia prevalso nelle alte sfere del governo americano. Infatti, se è notorio che l'armata che Ciang-Kai-scek tiene a Formosa è capace solo di effettuare dei colpi di mano da "commandos" sulle coste continentali della Cina e di disturbare le vie di comunicazione con incursioni aeree, un'eventuale mossa controffensiva delle forze di Mao contro Formosa potrebbe servire al governo americano per invocare gli estremi dell'aggressione ad un membro delle Nazioni Unite, dato che tale è riconosciuto di diritto e di fatto il regime nazionalista di Ciang-Kai-scek. D'altra parte, la VII Flotta americana di stanza nelle acque di Formosa, se ha ricevuto l'ordine di non più impedire atti di guerra di Ciang contro la costa cinese, non per questo è stata ritirata dalla zona. In ambo i casi, attacchi Mao la fortezza nazionalista di Formosa, oppure faccia pesare la sua offesa sulla VII Flotta americana, gli Stati Uniti saranno in possesso dei precedenti atti a giustificare la mobilitazione delle forze delI'O.N.U. contro la Cina. Comunque, se l'attacco armato è nei piani del Governo di Washington non sarà il "casus belli" a mancare. Tre colossi imperialisti si affrontano nello Stretto di Formosa. Vedremo applicare il metodo militare? Di certo c'è che non saranno state le isteriche manifestazioni dei partigiani della pace a fermare le mani americane, se attacco militare non ci sarà. Vorrà dire che gli Stati Uniti si saranno fondati sulla forza di attrazione che emana dal loro potenziale economico e a cui in definitiva è demandato il ruolo determinante nella competizione a tre che si svolge attorno alla Cina.
Se lo sblocco di Formosa, e il via libera a Ciang di recare offese al regime di Mao-Tse-tung, inizia un complicato e pericoloso processo diplomatico-militare, che insidia gravemente il prestigio della Russia in Estremo Oriente, legato come è alla sopravvivenza del regime di Mao, pericoli non meno tremendi corre l'imperialismo britannico, che dalla ripresa dei traffici commerciali con la Cina, di cui aveva un tempo il monopolio, si attende di trarre le energie per restaurare il barcollante edificio dell'impero. Per Londra il male maggiore non è tanto la caduta per crisi interna del regime di Mao, ma una sua metamorfosi titista: ad orientamento filo-americano. In fondo, l'Inghilterra è certamente non meno soddisfatta che la Russia dell'antiamericanismo del regime di Mao-Tse-tung. E ciò si comprende, buttando via le elucubrazioni della stampa di partito, specie di quella stalinista, e affidandosi all'esame dello sviluppo storico dei concentramenti di potere in contrasto, e delle risultanti di azione politica che il determinismo del sottosuolo economico impone ai governi.
A fare ciò occorre innanzitutto liberarsi dai pregiudizi messi in circolo dalla stupida propaganda dei giornali cominformisti, come in Italia l'Unità e l'Avanti, che, illudendosi di svolgere una vigorosa lotta contro l'imperialismo americano, in effetti ne agevolano il corso, diffondendo false dottrine e inadeguate interpretazioni delle vive correnti storiche. Errata, fra tutte, la tesi secondo cui il controllo dei paesi legati nel Patto Atlantico sia necessario all'America in quanto, attraverso il canale ieri dell'E.R.P., oggi del M.S.A., l'economia americana ricercherebbe un'àncora di salvezza scaricando sui mercati europei il "surplus" della produzione americana. Dal constatare che da quasi cinquant'anni l'Europa è tributaria dell'America, al concludere che i mercati europei sono un'esigenza vitale inderogabile per l'America, ci corre il mare, il mare delle cifre. Gli Stati Uniti costituiscono il massimo paese consumatore di materie prime, che ritira da tutte le parti del mondo, dominando il mercato mondiale in tale settore. Ora, l'Europa da un lato non può placare la fame di materie prime dell'America, essendo essa stessa soggetta per lo stagno, la gomma, il petrolio, ecc., ai paesi produttori asiatici; ma nemmeno potrebbe, anche se possedesse mezzi di pagamento necessari, assorbire un grande contingente di prodotti industriali dell'America, dato che ne produce essa stessa a sufficienza e perfino di troppo, almeno in riguardo ai grandi paesi industriali di Inghilterra, Germania, Francia. La cifra delle esportazioni americane in Europa rappresenta appena il 3% della produzione globale americana. Anzi, poiché nei traffici commerciali tra U.S.A. e Europa esiste un disavanzo di 2 miliardi e mezzo di dollari, che l'Europa non riesce a colmare, non producendo nulla (tranne i profumi e i vini pregiati) che l'America non fabbrichi già in casa e che quindi non sia costretta ad acquistare all'estero, ne risulta che il commercio con l'Europa costituisce un passivo per l'America, costretta com'è a pagare con i suoi stessi dollari, tramite ieri l'E.R.P., oggi il M.S.A., le proprie esportazioni in Europa. Chiaro dunque che i veri pascoli dell'imperialismo americano sono altrove. Dove? In gran parte in Asia; in genere, dovunque i prodotti industriali americani possono scambiarsi con materie prime. Ma l'obiettiva impossibilità economica di maggiori traffici commerciali tra America ed Europa spinge irresistibilmente i paesi industriali di quest'ultima: l'Inghilterra e la Germania soprattutto, ad appetire i mercati asiatici. Da qui, la concorrenza, i feroci quanto dissimulati rancori della ex dominatrice Inghilterra, della perfida Albione.
Gli Stati asiatici sono impegnati oggi, come scriveva recentemente un giornale finanziario, nella attuazione di giganteschi piani pluriennali per la valorizzazione delle loro risorse, piani che la Conferenza del Commonwealth, tenuta a Colombo nel gennaio del 1950, ha coordinato in un unico piano chiamato appunto "Piano Colombo". Partecipano ad esso, come membri originari, India, Pakistan, Ceylon, Malesia, Borneo britannico; successivamente si associavano il Viet Nam, il Laos, il Cambogia, il Nepal, la Birmania, e ultimamente l'Indonesia. Alle necessità di finanziamento dovrebbero provvedere per meno del 50% i paesi interessati; per il resto la Gran Bretagna, gli altri membri del Commonwealth, gli Stati Uniti, la Banca internazionale e il capitale internazionale privato. Quale che sia la sorte del Piano Colombo, concludeva la nostra fonte, nei prossimi anni verranno attuati in questi Paesi, grandi progetti di bonifica e di regolamentazione dei fiumi, di costruzione di bacini e di centrali elettriche, di strade ordinarie e ferrate, di impianti industriali soprattutto nei settori più direttamente collegati all'agricoltura, per i quali si dovrà importare tutto, dal macchinario ai tecnici.
Il Piano Colombo non conta fra i suoi membri la Cina, ma, essendo le esigenze economiche cinesi praticamente identiche a quelle degli altri paesi asiatici, può essere adoperato come indice della situazione storica in cui, dopo la seconda guerra, sono venuti a trovarsi gli Stati asiatici di recente formazione. La raggiunta indipendenza politica e l'autonomia statale, seppure li ha cancellati formalmente dai ranghi dei possedimenti coloniali e dei protettorati, non ha comportato naturalmente l'emancipazione economica dalle ex potenze occupanti (Inghilterra, Olanda, Francia) e dagli Stati Uniti. La Cina non esce da tale quadro. Politicamente indipendente, ideologicamente orientata verso la Russia, rimane soggetta economicamente all'Occidente imperialista, da cui soltanto può ottenere i finanziamenti necessari alla attuazione dei piani di industrializzazione. La "brutalità" della politica di Eisenhower e Foster Dulles altro non è che il riflesso della impossibilità obiettiva degli stessi governi capitalistici a sottrarsi alle ferree costrizioni del determinismo delle forze economiche. Libertà di scelta nella fissazione della linea di condotta non esiste nemmeno per i più potenti Stati della terra, e di ciò i marxisti non possono non rallegrarsi. Pur sapendo che la formidabile polveriera che stanno accumulando in Asia costituisce un pericolo mortale per la sopravvivenza dello stesso capitalismo, Stati Uniti, Inghilterra, Russia non possono evitare di scontrarsi pesantemente in Asia. Altra via d'uscita non esiste. La Russia non può perdere l'alleanza con la Cina, perché ne andrebbe di mezzo il suo prestigio in Asia e nel mondo intero: il pericolo tuttora reale di una rottura potrebbe venire scongiurato solo se la produzione russa fosse in grado di levarsi con le fonti di materie prime e di forza di lavoro della Cina, ma il livello di sviluppo attuale della produzione russa, nonostante le esaltazioni degli interessati, non può che bastare appena alle esigenze locali, mentre ha ancora davanti a sé l'immenso compito della colonizzazione dello sconfinato spazio che si estende tra gli Urali e la Manciuria. La Gran Bretagna non può rassegnarsi alla perdita dell'antica influenza in Cina, deve lottare per riconquistarla, pena l'aggravarsi degli squilibri commerciali che minacciano la stabilità sociale della metropoli; ma deve lottare in condizioni di inferiorità con il colosso americano, che controlla saldamente il Giappone, Formosa, le Filippine, e, attraverso il Patto del Pacifico (Anzus), stende la sua influenza su Australia e Nuova Zelanda, mentre esercita incontrastato sul Pacifico, da San Francisco ad Okinawa, il dominio aereo-navale. Delle incoercibili necessità degli Stati Uniti in Asia, già si è parlato.
Non occorreva certamente la profezia di Stalin circa la probabilità di conflitti tra le potenze imperialiste occidentali: due guerre mondiali stavano già a provarlo. Ma lo scontro di influenze in Asia dimostra pure che, comunque la guerra dovrà scoppiare, la Russia non potrà starsene fuori.
Source | Il programma comunista n. 4 del 1953 | |
---|---|---|
Author | - | |
n+1 Archives | Original | Ref. DB 00000 |
Level of Control | With original |