Marxisti e religione
"L'Unità" del 9-6 reca con questo titolo un articolo che è una recensione del libro "Les marxistes et la réligion", tradotto per gli Ed. Riun. col titolo: "L'ateismo moderno" del "compagno" francese Michel Verret. Nella scala della degenerazione opportunistica internazionale, senza dubbio i gloriosi esponenti del P.C.I. occupano l'ultimo posto, quello più feccioso e vomitorio. Nella nostra ultima riunione interfederale, parlando dell'arte e della letteratura, abbiamo visto come la posizione del P.C.I. fosse di gran lunga al di sotto di quella falsamente marxista del partitone russo, e in fondo si riducesse alla pura e semplice rivendicazione borghese, che ogni genietto figlio di papà e ogni bohémien sottoscriverebbero a occhi chiusi: la rivendicazione della "libertà" dell'artista, libertà di materia e libertà di espressione. Abbiamo anche visto come questa posizione servisse al P.C.I. per accattivarsi le simpatie degli strati ibridi e lubrichi, costituiti da tutti gli scrittorelli, pittorelli e artistucoli della gloriosa Italietta. Pur di captare voti da costoro, il P.C.I. non esita a solleticare e a difendere la loro "libertà" di espressione, adattandosi ad inquadrare in "una critica rivoluzionaria" della società odierna le più insulse balordaggini e mostruosità scritte, rappresentate o espresse dagli esponenti nostrani della putrefazione di una società il cui compito "intellettuale" si è esclusivamente limitato all'esportazione delle più astruse cretinerie, smerciate come autentici capolavori d'arte e come tali bevuti dal fecciume dei piccolo-borghesi, sempre avidi di "novità" artistiche che ne appaghino il bisogno di evasione da una società che li stritola.
Ebbene, come nel campo dell'arte i piccisti sono all'avanguardia (o alla retroguardia) nel sostenere le rivendicazioni "illuminate" dei piccolo-borghesi, così nel campo della religione sono divenuti i più accesi sostenitori dei "valori eterni" in essa espressi e contenuti. E come quelle posizioni da bohémien fuori tempo servivano solo ad accaparrare voti dagli strati degli "artisti", così ora queste posizioni di "apertura" verso la religione vanno inquadrate nel proposito ben fermo di continuare a sviluppare il famoso "colloquio" con i cattolici, colloquio che ancora non ha avuto l'unico risultato agognato: una poltroncina, almeno, al tavolo di governo. E a questi cattolici viene riconosciuta la loro buona volontà, il loro zelo per la pace, la solidarietà e la fraternità tra gli uomini. Ma c'è di più: si riconosce anche, nella religione cattolica, come nel cristianesimo, la presenza di certi "valori" comuni! Bestemmie più atroci di queste, non ne sentimmo nella nostra breve vita di militanti rivoluzionari, e forse non ne sentirono neppure quelli più anziani tra noi che dovettero arginare altre e pestilenziali ondate di opportunismo forcaiolo. Il "marxismo" che riconosce valori eterni! È cosa da far strabiliare chiunque abbia appena appena masticato un po' di marxismo. E questi dottoroni, questi uomini di cultura, questi intellettuali "marxisti" (puah!) presentano le loro affermazioni come l'ultimo, nuovo, concreto sviluppo del nucleo vitale del... marxismo!
Ma state a sentire. Dopo aver citato per intero la famosa
"quarta tesi" di Marx su Feuerbach, che riguarda il limite
della dissoluzione operata da Feuerbach del divino nell'umano, il
"compagno" Verret passa a svilupparla, dedicando particolarmente la
sua analisi all'alienazione dell'umanità. Verret sottolinea poi che la forma
religiosa della coscienza sociale è stata carica di differenti e opposti
contenuti di classe, prestandosi anche a rivendicazioni rivoluzionarie, e questo
per "l'universalità della credenza religiosa in una data società".
Il proletariato, continua Verret, è però "classe atea", perché non
ha bisogno di nessuna mistificazione religiosa per condurre la sua battaglia
rivoluzionaria; deve fare appello solo agli uomini. Si passa infine alla
"morale" proletaria. Ma non crediate che questa morale sia di lotta,
la "morale" di un esercito in combattimento, quale è quello della
classe proletaria finché deve vivere e combattere nella società borghese, una
"morale" quale quella che Lenin additava alla Russia comunista del
'18: l'amore per i compagni, l'odio per gli altri. No, perdio, papa
Giovanni non è passato invano! La nuova "morale" del proletariato,
come lo vorrebbero questi signori, è annacquata, è evangelizzata, è
pastorizzata.
"Il proletariato... non può essere veramente buono per sé stesso se non
lo è anche per gli altri".
Giusto, ma se inteso in senso dialettico; e di una dialettica marxista, non
dolciastro-idealistica.
L'azione politica del proletariato non solo è un'azione di classe tendente all'emancipazione e allo svincolamento di una classe dalla sua soggezione e schiavitù ad un'altra ma è anche, contemporaneamente e in una prospettiva più ampia, lotta per l'emancipazione di tutta la società, lotta per la liberazione di tutti gli uomini. Ogni conquista, ogni vittoria del proletariato è quindi anche, dialetticamente, una conquista e una vittoria di tutti, anche degli altri. Ma, così come l'intendono i rinnegati assertori dei comunismi (?!) nazionali, la frase acquista tutt'altro significato: proletario, non puoi badare a te se non badi anche agli altri; non puoi avanzare le tue rivendicazioni se non tieni presenti anche i giusti diritti degli imprenditori, non puoi intraprendere le tue azioni di lotta se non tenendo presente il momento congiunturale difficile dell'economia nazionale!
Veramente, la quintessenza del più schifoso tradimento degli ideali della classe proletaria è racchiuso in quella frase. Ma la classe proletaria se ne fregherà degli altri, dei borghesi, delle mezze calzette, dei piccolo-borghesi, e, quando giungerà l'ora, saprà schiacciare come pulci questi addormentatori dei suoi istinti vitali, questi traditori della sua causa, questi svirilizzatori della sua forza demolitrice! E quel giorno noi l'attendiamo con ansia per fare anche noi la nostra opera di spazzini!
Ma turiamoci il naso e andiamo avanti. Dopo aver riportato le
parole di un comunista fucilato che esprimevano
"la grande idea terrena dell'anonima sopravvivenza dell'individuo oltre la
morte"
(altra bella schifezza: noi respingiamo tutte le sopravvivenze dopo la
morte, quella dell'anima, quella del pensiero, quella delle azioni, quella
dello...anonimato: per noi sopravvive solo la specie, non conta nulla se la
morte o la vita di un militante rivoluzionario è conosciuta o ignorata dagli
altri; perché l'affermarsi e il continuarsi della lotta rivoluzionaria è
indipendente da qualunque "persona"), perveniamo così alla domanda
cruciale:
"Oggi, la coscienza religiosa è capace ancora di riflettere esigenze di
riscatto sociale, di progresso?".
Col solo porsi questa domanda, il "compagno" francese e quello
italiano mostrano di essere lontani mille miglia dalla tagliente critica
marxista della società capitalistica, dalla considerazione del ruolo che in
essa gioca la religione. Col solo porsi quella domanda, dimostrano cioè di non
essere affatto dei marxisti. Ma continuiamo. Il religioso progressista e l'ateo,
per questi "compagni" (ma faremmo meglio a chiamarlo compari),
pur con idee differenti operano allo stesso modo: gli atteggiamenti
contemplativi cedono il passo agli atteggiamenti militanti, e ciò a servizio di
espliciti, nuovi, concreti il più possibile, impegni.
"La condotta di un cristiano progressista somiglia a quella di un
comunista";
c'è da giurarlo: sul terreno della pace, della nazione, della libertà, della
fraternità, saranno sempre d'accordo; saranno sempre d'accordo, perché non
stanno né l'uno né l'altro su un terreno marxista.
Ma ecco la domanda veramente cruciale: perché ciò può accadere ed accade? Per uno svuotamento della religione dei credenti progressisti che lottano oggi per l'uomo in nome di Dio, ma lo faranno domani in nome dell'uomo e basta, e quindi perché hanno cessato di credere in Dio, pur senza saperlo? o per la liberazione, sotto l'urgenza dei fatti (sentite!) del nucleo positivo di alcuni valori contenuti nella loro fede religiosa?
Risposta dell'articolista della "Unità":
"Il Verret propende nettamente per la prima tesi; chi scrive, per la
seconda".
Merda! Nella prima posizione, v'è ancora una lontana "puzza"
di marxismo, perché gli uomini prima si trovano catapultati nell'azione
rivoluzionaria nascente da cause economiche e materiali, non ideali e astratte
come il bene della società e la pace nel mondo, poi acquistano
coscienza delle fesserie di Dio e della religione.
Invece, nella posizione dell'esponente del P.C. nostrano, ogni
"puzza" di materialismo e di marxismo è scomparsa per sempre:
navighiamo nelle fetide acque dell'idealismo borghese. Ancor più fetido è
però quel che segue: bisognerebbe, secondo l'articolista, sviluppare
alcuni punti del marxismo (ma dì, non ti bastavano ancora quelli che avevi già
sviluppati?):
"Si dovrebbe guardare più in fondo alla previsione finale contenuta nella
quarta tesi di Marx su Feuerbach, chiedendosi, ad esempio, se rimuovendo la
contraddizione della base mondana con sé stessa, cioè costruendo (!) il
socialismo, e con ciò facendo scomparire la causa dello "sdoppiamento del
mondo", non rimanga tuttavia la possibilità di punti di vista
sensibilmente differenti, e se uno di questi punti di vista potrà chiamarsi
ancora, se pure in senso traslato, senso religioso della natura e della
vita".
È chiara la caratteristica del rinnegato: essendo passato armi e bagagli alla
reazione borghese, di questa egli condivide tutte le illusioni sull'eternità
della società borghese pur con alcune piccole modifiche, e quindi sulla
eternità dei suoi valori.
Noi sputiamo sull'una e sugli altri, e ad esse non opponiamo che il nostro programma unico ed invariabile, non valore eterno ma vitale affermazione di lotta da quando la società si scisse in due tronconi, l'uno proprietario dei mezzi di produzione e l'altro schiavo, e padrone solo delle proprie braccia, l'uno parassita e sfruttatore, l'altro sfruttato ed oppresso; da quando la società divenne borghese e si divise nelle classi opposte e inconciliabilmente nemiche della borghesia e del proletariato. E il nostro programma non è un valore, non è eterno; è un'arma di battaglia, è uno strumento che ci serve per fiaccare il nemico, e quindi non è suscettibile di nessuna revisione, di nessuno sviluppo, di nessun ripensamento, non può conoscere nessun baratto, nessun commercio, perché non si tratta col nemico, lo si combatte e basta; quel programma ha solo bisogno di rimanere ben affilato e pronto ad essere usato dal pugno di ferro dell'unico Partito Comunista.
E non è eterno, perché non sarà eterna questa società, ma durerà solo finché vi saranno sfruttatori da eliminare, oppressori da combattere, rinnegati da schiacciare; mentre nella società comunista non vi sarà più nulla di ciò che delizia i rinnegati e i borghesi di oggi: non "valori", non "eternità", non esigenze "concrete", non "punti di vista religiosi", non intellettuali, non Dio, non libertà, non dottrina, non cristianesimo; ma solo una umanità finalmente conscia di se stessa, specie di uomini finalmente umana!
Da "Il Programma Comunista" n.14 del luglio 1964.