Non abbiamo da perdere che le nostre catene
Con queste parole narra uno dei giornalisti nostrani che un operaio dimostrante in Berlino Est si rivolgesse a un gruppo di proletari di Berlino Ovest, assistenti dietro uno schieramento di forze d'ordine americane allo svolgersi della grande, anche se sfortunata, insurrezione contro la galera del lavoro salariato. Dopo più di un secolo, il grido di battaglia del Manifesto echeggiava nelle stesse vie e sulle stesse piazze che la storia volle già teatro nelle più violente battaglie rivoluzionarie di questo secolo e di tutta Europa.
Non è certo dalle confuse e contraddittorie ricostruzioni della stampa borghese che l'"episodio" berlinese può ricevere luce. Ma sono i fatti che lo illuminano. E questi fatti sono, da un lato, i precedenti - già da noi illustrati - dell'evoluzione politica nella Germania Orientale (la convergente azione svolta dai dirigenti cosiddetti comunisti affiliati a Mosca di rincrudimento delle condizioni di lavoro degli operai e di aperto favoreggiamento della classe padronale, della grande proprietà industriale ed agricola) e, dall'altro, la tardiva ma ben definita reazione dei rappresentanti di questa stessa classe al di qua della cortina di ferro.
Già lo stesso giornalista di cui parlavamo (al secolo Barzini Jr.) osservando come la rivolta berlinese fosse esclusivamente e totalitariamente operaia e con finalità e parole d'ordine operaie, si lasciava sfuggire il rilievo che, di fronte all'esplodere di quella elementare violenza proletaria, il sentimento dominante nelle autorità americane di occupazione era stata la paura - la folle paura che l'incendio dilagasse in Berlino Ovest. Oggi, a distanza di tre settimane e mezza dai fatti, e di fronte al dilagare di confuse notizie su analoghi moti operai in Polonia, il governo repubblicano degli Stati Uniti, che aveva impostato la sua campagna elettorale sul tema della "liberazione" dei popoli dominati da Mosca e dell'aiuto ai moti popolari antisovietici, si affretta - come risulta dalla nostra stampa - a dichiarare che non un carro armato... liberatore si muoverà in appoggio di operai che sfidano inermi i carri armati del "nemico". Le reazioni di classe della borghesia internazionale sono pronte e solidali: non si appoggiano moti proletari anche se contingentemente passibili di indebolire il concorrente imperialistico; l'attacco proletario, diretto contro un settore del capitalismo mondiale, è un'offesa a tutto lo schieramento della conservazione; alla repressione poliziesca del settore colpito, quello russo, l'altro settore, quello americano, assiste levando all'Onnipotente la calda preghiera che la repressione sia radicale e definitiva. Una sola "liberazione" è concepibile, per la classe dirigente americana o russa: quella che avviene sotto la sua direzione, coi suoi carri armati, con una carne da cannone che abbia rinunciato a "spezzare le proprie catene".
Basterebbe questo ricostituirsi del fronte comune russo-americano di fronte ad un'elementare e diciamo pure confusa e disordinata rivolta di operai, a definire il carattere sociale di questa. Può, alla propaganda americana, far comodo tuonare contro il "lavoro forzato" in regime russo; ma alla stabilità internazionale del capitalismo non farà mai comodo che gli operai di qualunque meridiano e parallelo del mondo incrocino le braccia e si lancino inermi contro i carri armati della polizia nel tentativo di infrangere la norma, non russa o americana ma mondiale in regime capitalista, dello sfruttamento massimo della forza-lavoro. La cortina di ferro disturba (ma soltanto disturba) la nobile professione delle spie dell'imperialismo; diventa una provvidenziale cintura sanitaria contro il dilagare dell'infezione antiproduttivista, antistakhanovista, antipadronale, contro lo scandalo del proletario che non riconosce l'autorità né dei santi né dei poliziotti perché "non ha da perdere che le proprie catene".
La rivolta di Berlino ha avuto (ed era logico che avesse) questo sapore per il capitalismo di Occidente e di Oriente: la gran "paura" è stata la stessa a Mosca e a Washington; continuerà ad essere la stessa di fronte alla minaccia o alla realtà di nuovi scoppi di violenza proletaria. Se i Quattro Grandi si incontreranno, la loro stretta di mano sarà tanto più calorosa; ma la nostra va agli oscuri, piccoli, anonimi proletari berlinesi, ai protagonisti della prima battaglia di questo dopoguerra che abbia avuto il potere di far tremare nervi e polsi a potenze irte di carri armati e troneggianti su montagne di bombe atomiche; agli operai che hanno evocato in Europa, come 105 anni fa i loro compagni parigini, lo spettro del comunismo.
Da "Il Programma Comunista" n.13 del 1953